Capitolo IV
Quella sera, dopo cena, Agatha e Loran si ritrovarono di nuovi da soli, in quella che ormai lei doveva abituarsi a definire "la loro camera da letto".
In cuor suo sperava che forse un giorno sarebbe stato tutto molto più semplice, meno imbarazzante. Ma la loro seconda sera di nozze era ancora intrisa di silenzi soffocanti.
«Sono riuscito a trovare altre coperte per te», disse lui, non appena furono rimasti soli in quell'ambiente freddo e un po' buio. Agatha era riuscita a portare dal piano di sotto tre candele in più per poter illuminare l'ambiente ma la stanza le sembrava sempre molto lugubre.
Loran indicò il suo letto, dove erano ben ripiegate tre coperte pesanti, una sopra l'altra.
«Grazie».
«Potrei anche comprare una stufa a legna, di quelle piccole, per riscaldare l'ambiente», aggiunse lui, borbottando molto in imbarazzo, senza neanche guardarla in volto. Si era girato, dandole le spalle e si era avvicinò al suo letto, dalla parte opposta della stanza.
«Non credo che possiamo permettercelo», azzardò lei, nonostante avrebbe tanto voluto dormire in una stanza più calda.
Lui la guardò da dietro la spalla e disse soltanto: «Non permetterò che mia moglie muoia di freddo. Se abbiamo bisogno di una stufa, troverò il modo di comprarla».
Il suo tono di voce era sicuro, e soprattutto rassicurante. Come se avesse voluto dirle "penserò a tutto io, non devi preoccuparti di nulla".
Una parte di lei avrebbe voluto credergli, e lasciare che fosse un uomo a prendersi cura di lei. E invece ne rimase un po' infastidita.
«Hai trovato lavoro?», chiese, cercando di non pensare a quanto la sua gentilezza continuasse a innervosirla.
Si mise seduta al lato del letto, continuando a guardare la sua schiena, mentre lui parlava con tranquillità.
«Sono stato a visitare alcuni cantieri e negozi, ma al momento la fortuna non ha girato dalla mia parte. Il cantiere dove lavorano tuo padre e tuo fratello non accettano più lavoratori, ma in città c'è tanto lavoro, non faticherò a trovarne uno».
«I signori Preston non mi hanno voluto dire nulla, ma ho avuto il presentimento che non riavrò il mio lavoro. Forse chiuderanno la drogheria, e se rimarrà aperta, dopo tutto quello che è successo, non penso che riusciranno a pagarmi come dipendente».
Aveva provato a non mostrare alcun tipo di sentimento, mentre annunciava la triste notizia, ma le fu più difficile di quello che aveva immaginato.
Voleva anche osservare la reazione di Loran, ma lui si voltò di nuovo a guardarla e con sincerità disse: «Mi dispiace, so che ci tenevi molto a quel lavoro».
Un po' sconvolta da quella improvvisa empatia, annuì soltanto, mentre lui aggiungeva: «Ma sei talmente capace, e piena d'iniziativa, che scommetto troverai un altro lavoro il prima possibile. Se è questo quello che vuoi fare, ovviamente».
Agatha gli sorrise, illuminando tutto il suo volto: «Mi piacerebbe poter continuare a lavorare, non solo per i soldi».
Loran annuì e si mise seduto sul suo letto, di fronte a lei: «Lo capisco».
Agatha si lasciò andare ad un espressione un po' interdetta: «Non sei preoccupato se tua moglie esce tutti i giorni di casa da sola per andare a lavorare? Credevo ti desse fastidio».
«Quando hai iniziato a lavorare per la drogheria ero preoccupato, certo, ma solo perché ero in pensiero per la tua incolumità. Non ti priverei mai della libertà che tanto desideri. Non ti ho mai visto così tanto felice e radiosa come quando vai a lavorare... e se tu sei felice, io non posso che essere soddisfatto».
Agatha fu costretta a distogliere lo sguardo dalla sua profonda espressione carica di amore, perché non era in grado di gestirla. E soprattutto non poteva restituire lo stesso sentimento.
Forse era proprio questo il problema fra di loro. Loran l'amava davvero, con tutto il suo cuore, probabilmente come nessun'altro uomo aveva mai amato una donna come lei. Ed Agatha, invece, non era in grado di comprendere cosa provasse per lui.
A volte lo odiava profondamente, altre volte la faceva solo innervosire. Poi le parlava in quel modo, la guardava e le sorrideva come se fosse l'unica donna al mondo, e tutto sembrava passare oltre.
Non riusciva però a capire se i sentimenti che provava per lui erano dovuti solo ai sensi di colpa, o a quei piccoli ma ben apprezzati gesti di affetto che le riservava, o se davvero erano sinceri.
Quando si voltò di nuovo a guardarlo, lui si stava togliendo la camicia per prepararsi alla notte, e il suo sguardo ricadde sulla grande cicatrice da bruciature che aveva su una parte del collo e sulla spalla.
«Ti fa male?», gli chiese all'improvviso, stupendosi di aver parlato a voce alta. Lo aveva pensato e per qualche istante aveva deciso di tenerselo per sé.
Eppure aveva sentito la sua voce chiederglielo, con curiosità e una nota di dispiacere, e se ne imbarazzò subito.
Lui dovette abbassare lo sguardo per fissare la spalla mentre diceva soltanto, come se niente fosse: «Non molto... ogni tanto tira un po' e da fastidio, ma niente che non si possa sopportare».
Anche lui sembrava in imbarazzo, come se non volesse parlare di quell'argomento. E anche se una parte di Agatha non era entusiasta di affrontare quel discorso, l'altra più curiosa voleva sapere.
Voleva condividere con lui, che aveva affrontato quella terribile notte come lei, le proprie esperienze, emozioni e paure.
«Immagino che sia stato un vero inferno per te, quella notte... il fuoco, il fumo e tutto il resto», iniziò a dire, mandando giù un grosso groppo di saliva che le impediva di parlare chiaramente.
Lui non distolse mai lo sguardo dai suoi occhi, anche se si capiva la fatica nel parlare di quella notte: «E' un inferno per chiunque. Essere all'interno di un edificio in fiamme, senza via di fuga, con la prospettiva di una morte orribile...».
«Tu sei entrato di proposito in quell'inferno, nonostante avessi già passato un'esperienza simile. Non riesco ad immaginare quanto coraggio tu abbia dovuto avere per fare una cosa del genere».
Non riusciva proprio a smettere di pensarci. Era come un tarlo che le tormentava la testa, giorno e notte.
«Lo avresti fatto anche tu, per una persona a cui tieni molto».
Lei alzò le spalle, ripensò a cosa significava entrare in un edificio in fiamme e ammise, senza troppa vergogna: «Non so se ne avrei avuto il coraggio».
Quell'esperienza l'aveva traumatizzata, anche se non lo dava a vedere molto.
Lui però le sorrise, per niente turbato dalla sua ammissione: «Nessuno potrebbe biasimarti, fidati. Ma ti conosco abbastanza da sapere che lo avresti fatto, senza esitazione. sei un ragazza piena di coraggio, Agatha».
Calò di nuovo il silenzio fra di loro. Lei era un po' in imbarazzo per l'ennesimo complimento ma allo stesso tempo era anche lusingata. Fino a quel momento non aveva incontrato tante persone disposte a supportarla e ad incoraggiarla.
«Ah, me ne stavo dimenticando», aggiunse lui all'improvviso, facendola quasi saltare dal letto per l'improvviso cambiò di argomento.
Curiosa, rimase in silenzio a guardarlo mentre frugava tra le tasche della sua camicia, eccitato e anche rosso dalla vergogna.
Non riuscì a vedere con attenzione cosa tirò fuori dalla tasca, poiché era un oggetto troppo piccolo e che lui richiuse nella grande mano in fretta e furia.
Per poi avvicinarsi a lei, chinarsi con il ginocchio sul pavimento e porgerle un piccolo anello ben fatto, in argento, con un diamante di modeste dimensioni ma comunque molto brillante.
«Questo è per te, una sposa ha diritto ad un vero anello», le disse, ancora in imbarazzo, ma continuando a guardarla con un sorriso radioso.
Si aspettava sicuramente una reazione positiva da lei, e quindi rimase deluso quando Agatha lo fulminò con la sua espressione furiosa.
«Dove hai preso questo gioiello? Lo hai rubato? O te lo ha dato qualche compare di Malone?».
Loran non ebbe neanche il tempo di rispondere che lei aveva già allontanato la sua mano e l'anello, si alzata e aveva iniziato a gridare contro di lui.
«Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara quando ho detto che non volevo un marito delinquente... e ora tu ti presenti qui con un anello che, ovviamente, non puoi permetterti?».
Iniziò perfino a camminare avanti e indietro per la stanza, scaldandosi improvvisamente a causata della rabbia. Sbuffava, si agitava e gesticolava come non aveva mai fatto.
«Lo sapevo che non dovevo fidarmi di te, che non dovevo accettare di sposarti...».
Ma a quel punto Loran si rialzò e la interruppe: «Ti sbagli di grosso», le disse con tono di sfida e anche con molta delusione.
Agatha incrociò le braccia al petto: «Ah sì? E allora dove avresti preso quell'anello?».
Loran allungò la mano con ancora l'anello tra il dito indice e il pollice, abbastanza alto da poterlo far vedere ad Agatha, e con tono più alto del solito precisò: «Questo anello era di mia nonna... è una delle poche cose che sono riuscito a tirare fuori dalle macerie di casa mia ed era di mia madre. L'ho portato con me in America, perché speravo di poterlo dare alla mia futura moglie ma appena arrivati lo avevo perso... o almeno così credevo».
Si prese una pausa, sospirando scocciato, prima di aggiungere: «Lo aveva preso mia zia, forse voleva venderlo per farci qualche soldo, ma sono riuscito a trovarlo... ho dovuto cercare tra le sue cose, per trovarlo, perché avevo il presentimento di non averlo perso. E l'ho fatto per te, perché credo che una donna del tuo livello si merita un anello degno di questo nome».
Rabbia lasciò il posto all'esasperazione, alla delusione e anche ad un velo di tristezza. Questo era ciò che vide Agatha negli occhi di Loran, mentre lei si sentiva sempre più in colpa.
«Loran... io», provò a dire lei ma questa volta fu lui ad interromperla: «Tu cosa? Non potevi saperlo? Eppure non hai esitato ad insinuare che lo avessi rubato».
«Loran, mi dispiace...».
«Io non sono un delinquente, Agatha, non sono come mio cugino e sto cercando in tutti i modi di fartelo comprendere», aggiunse, interrompendola ancora, con tono sempre più disprezzante: «Ma sembra che qualsiasi cosa io faccia, tu continui a giudicarmi in modo sbagliato».
Esausto, si accasciò ai bordi del letto di Agatha, guardando con rammarico l'anello che aveva tanto desiderato darle.
Non si era mai sentita così in difetto come in quel momento. Piccola, inutile e anche ingiusta. E sapeva che Loran aveva ragione, che lei si era comportata nei suoi confronti sempre con pregiudizio, aspettandosi il peggio nonostante il ragazzo non avesse mai fatto nulla di male.
Le sembrava così naturale farlo, forse perché Loran era il cugino di Kale, una persona odiosa e di cui davvero non ci si poteva fidare.
«Non pretendo amore da te Agatha», continuò lui, con ritrovata tranquillità, ma sempre con un velo di tristezza: «Sarebbe bello, lo ammetto, ma non lo pretendo. Perché l'amore non si pretende, e non si può scegliere di chi innamorarsi. Questo lo accetto, e non ti costringerò mai».
Fece un lungo sospiro, come se soffrisse anche solo ad ammettere a voce alta quello che stava dicendo: «Ma mi piacerebbe che si fosse fiducia e complicità fra di noi, come due vecchi amici. Perché, che ti piaccia o no, siamo sposati, e questo vuol dire che siamo una famiglia. Che ciò che importa a te, importa anche a me. Che ciò che riguarda me, riguarda anche te».
Si rialzò, facendo due passi verso di lei, ma senza avvicinarsi troppo: «Mi piacerebbe parlare con te di ogni cosa, potermi confidare e avere la consapevolezza che tu faccia lo stesso con me. Io mi fido di te, e mi piacerebbe che anche tu ti fidassi di me».
Altri due passi e le fu proprio di fronte. Allungò la mano con l'anello e glielo porse, proprio vicino al volto: «Mi piacerebbe poter essere amici, confidenti e complici. Almeno questo, possiamo provare a farlo?».
Agatha non diede una risposta a parole, ma prese l'anello che le stava porgendo e lo infilò nel suo dito anulare, sancendo così un patto silenzio tra di loro. Il tutto sempre senza mai distogliere lo sguardo da lui.
Loran annuì, accennando un sorriso che di sicuro non poteva ritenersi felice ma quanto meno fiducioso. E se a lui poteva bastare, anche Agatha si sarebbe accontentata.
«A proposito di confidenze...», iniziò lei, pensando che fosse una buona idea iniziare proprio quella sera a mantenere la promessa appena fatta.
Quando lui parve abbastanza incuriosito, accennò: «Oggi è successa una cosa strana alla drogheria, penso che sia meglio parlarne».
E per la prima si fidò di lui. Le raccontò quello che era successo, non perché volesse sfogarsi, ma perché voleva davvero sentire cosa lui avesse da dire in merito, come la pensava. E anche perché sapeva di non essere sola a dover affrontare quel problema.
Potevano anche litigare, odiarsi o infastidirsi a vicenda, ma Loran aveva ragione: erano sposati, erano una famiglia. E questo non sarebbe mai cambiato.
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