Capitolo II
«Come, prego?».
L'espressione interdetta, e anche un po' stranita, di Loran fu la parte migliore della giornata, almeno secondo Agatha. Voleva godersela fino in fondo, e lo fece mentre incrociava le braccia al petto e lo fissava vittoriosa.
«E' la mia seconda condizione, quella che tu hai accettato ad occhi chiusi prima di sposarci».
Non riuscì a nascondere un sorriso soddisfatto mentre l'espressione di suo marito continuava ad essere sempre più confusa.
«Ti stai prendendo gioco di me?», le chiese, cercando di non lasciar trasparire troppo cosa pensasse veramente. Era sempre molto accorto in certe cose, eppure Agatha riusciva a sentire un vago disappunto.
«Assolutamente no», asserì senza battere ciglio: «Noi due non dormiremo insieme. E ciò significa che non sei costretto ad unire i due letti».
Per qualche istante Loran pensò di risponderle per le rime, contrariato da quella sua decisione, e invece tirò un lungo sospiro esasperato.
«Agatha, io e te adesso siamo sposati», le fece notare con un tono che voleva sembrare calmo ma che in realtà riusciva poco nel suo intento.
«Oh, davvero?», la risposta sarcastica di lei lo rese ancora più nervoso, eppure non perse la sua compostezza, cosa che iniziava ad esasperare Agatha.
«Quindi non vuoi consumare il matrimonio?».
«Non ne vedo il bisogno... ci siamo sposati per esigenza, non per desiderio. Perciò, io dormirò nel tuo letto, mentre tu prenderai quello di tuo cugino. Perché non voglio neanche sapere cosa ha fatto Kale sotto a quelle lenzuola».
Approfittò dell'attimo di stupore di Loran, incapace di obbiettare, per avvicinarsi al suo giaciglio e tirare via le coperte per poi infilarcisi dentro con tutti i vestiti. Per nessuna ragione al mondo si sarebbe spogliata davanti a lui.
Gli diede le spalle, più per evidenziare che aveva finito di parlare e che voleva solo mettersi a dormire, così non poté vederlo in volto. Ma lo sentì sbuffare e poi togliersi i vestiti.
Una parte di lei era così curiosa che quasi si voltò per osservare, ma poi s'impose di rimanere immobile, anche solo per non dargli una minima soddisfazione.
Prima di infilarsi anche lui sotto le coperte del suo nuovo letto, lo sentì borbottare: «Roba da pazzi», e poi più nulla.
Inizialmente le fu facile addormentarsi, forse anche grazie alla stanchezza e a tutto ciò che era successo in quell'unica giornata.
Ma poi più volte nell'arco della notte si svegliò. Non per i pensieri, che comunque erano fastidiosi e le ronzavano rumorosamente nella testa, ma per il freddo.
Nel sottoscala, un angusto stanzino che divideva con sua sorella, non aveva mai avuto di questi problemi proprio per lo spazio ristretto che rendeva l'atmosfera più calda. Oltre al fatto che soleva dormire abbracciata alla sorella minore.
Ma in quella stanza il gelo la faceva da padrone, non c'era un camino a stemperare la situazione, e nessun'altro corpo caldo da abbracciare. Così si ritrovò a rigirarsi più volte tra le coperte e a raggomitolarsi su se stessa eppure i suoi denti non smettevano di battere.
«Sentiresti meno freddo, se condividessimo il letto», le parole di Loran le arrivarono addosso come un macigno, perché le doleva ammettere che aveva ragione.
«Vai al diavolo», lo apostrofò, stupendosi perfino di se stessa, e voltandosi di nuovo per dargli le spalle, restando a fissare il muro della stanza.
Si concentrò con ogni sua forza per evitare di tremare e non darla vinta a Loran, perché preferiva morire di freddo pur di vederlo soddisfatto.
Si riaddormentò perfino, nonostante il gelo intorno a lei, ma durò poco perché quando si risvegliò per l'ennesima volta, constatò dalla poco luce che filtrava dall'unica finestra, che non ancora passata la notte.
E non riuscì più a riprendere sonno, nonostante s'impegnò molto per farlo. E nonostante la stanchezza la sentiva in ogni suo muscolo e osso.
Nel buio profondo della stanza, senza neanche l'unica candela accesa, non poteva vedere Loran, ma lo sentì muoversi. Un lento fruscio di coperte che si muovevano e avvicinavano fino a quando non sentì un peso maggiore sopra di sé.
Il volto di Loran apparve sopra di lei, mentre la copriva con le sue coperte e invece di ringraziarlo, le venne in mente di dire soltanto, balbettando a causa del freddo: «Non ne ho bisogno».
«Oh, non ringraziarmi, non lo faccio per te. I tuoi denti battono così forte che non mi fanno dormire».
E prima ancora che potesse obiettare con qualcosa di ancora più pungente, era già scomparso alla sua vista ed era tornato a dormire nel suo letto, nel completo silenzio.
Avrebbe potuto ribattere lo stesso, ma già si sentiva così stupida per non averlo ringraziato, che decise di rimanere in silenzio.
Nonostante Loran fosse un tipo in grado di innervosire chiunque, e spesso molto strano, quando poi si comportava da gentiluomo non faceva altro che peggiorare la situazione, perché la metteva ancora più a disagio.
Non sapeva bene come comportarsi con quel lato di Loran e finiva spesso per chiedersi se forse non fosse stato troppo cattiva con lui. Proprio come quella notte.
Si addormentò finalmente, anche se con il pensiero di non essere stata proprio gentile con l'uomo che le aveva donato le sue coperte.
Per quanto poteva sperare di dormire il resto della notte in pace, in realtà l'ultima metà della sua dormita la passò facendo un sogno terribile.
Incubo che divenne sempre più vago non appena si svegliò ma che era sicura riguardasse Malone e qualcosa andato storto nel loro piano iniziale.
Si agitò nel letto, attorcigliata alle coperte e quando finalmente riuscì a liberarsi si mise seduta con uno slancio. Sudata e traumatizzata da ciò che aveva visto nel sogno.
Loran era sveglio, accovacciato accanto a lei e la stava chiamando con apprensione: «Va tutto bene?».
Il primo istinto di Agatha fu quello di posare una mano sul petto, per constatare che il suo cuore fosse ancora lì. Batteva come un matto, ma c'era.
«Ho fatto un brutto sogno».
«Molto brutto, direi. Vuoi parlarne?».
Il tono di voce di Loran era tornato apprensivo e dolce, al contrario di quella notte che invece era stato freddo e distaccato.
«E' solo un incubo, nulla di cui preoccuparsi», tagliò corto lei, alzandosi si scatto e costringendolo così a spostarsi per farla passare.
«Se non vuoi parlarne, va bene... ma io so meglio di chiunque altro quanto possa influenzare un brutto incubo».
Si alzò a sua volta e la guardò, forse aspettandosi davvero un primo momento di vera intimità tra di loro.
Agatha pensò solo che avrebbe voluto chiedergli a cosa si stesse riferendo, ma decise che non voleva assolutamente indagare oltre. Non perché non fosse curiosa - lo era molto in realtà - ma perché non voleva illuderlo di provare interesse.
Per ciò si voltò e uscì dalla stanza, pronta ad affrontare la nuova giornata, prima di tutto fu costretta a cambiarsi di abito, perché di certo non poteva andare in giro con il vestito delle nozze, nel sottoscala insieme a sua sorella.
Nessuno le chiese nulla, anche se lei avrebbe comunque avuto la risposta pronta, e quando uscì, pronta ad aiutare sua madre a preparare la colazione, il silenzio dominava la stanza.
Si erano tutti alzati e sedevano al tavolo, in attesa. Nessuno parlava, tutti evitavano di guardarsi e in generale l'atmosfera era imbarazzante, ma lei li ignorò tutti quanti.
Il suo obbiettivo era quello di comportarsi come se non fosse cambiato nulla. Cosa non facile da fare, ma ci avrebbe messo tutto il suo impegno.
Per questo motivo non guardò mai suo marito, seduto sempre al solito posto, mentre si voltava e si premurava a cucinare, con l'aiuto di Molly che le stava attaccata come una cozza al suo scoglio.
Poteva solo immaginare cosa avrebbe voluto chiederle, era così palese da come continuava a lanciarle occhiate tra una risatina e l'altra, ma era costretta a tacere perché non erano da sole.
E finché tutti restarono in silenzio, Agatha poté non affrontare il grosso peso che si stava portando dentro.
Ora che era passata la notte, che il giorno era iniziato e aveva portato con sé nuova consapevolezza, iniziava a rendersi conto di ciò che aveva fatta. E non era sicura di aver preso la scelta giusta.
Indaffarata ai fornelli, non smise neanche un attimo di pensare che forse avrebbero potuto fare qualcos'altro, che la sua vita era cambiata in modo non indifferente. Anche se a prima vista le sembrava tutto identico al giorno prima.
Quando poi però si misero a tavolo, iniziando a mangiare, il silenzio fu interrotto dall'unica voce che Agatha non avrebbe voluto sentire in quel momento.
«Come hai dormito, Agatha, nel nuovo letto? Spero bene».
Lei si voltò con molta lentezza verso quell'insolente di Abigail Murray, non perché la domanda in sé fosse inopportuna, ma era il tono che proprio la infastidì.
Non ché il suo volto tirato in un'espressione di finta gioia. Già non correva buon sangue tra le due, ma dal giorno prima i loro rapporti sembravano irrimediabilmente peggiorati. Non che dispiacesse ad Agatha.
«Ho dormito benissimo, grazie per l'interesse», ricambiò il suo sorriso finto mentre al fianco della donna Loran sorrideva sotto i baffi. Era l'unico che poteva sapere la verità, ma nessuno gli prestò troppa attenzione.
«Immagino che per te sia piacevole poter dormire finalmente in una vera stanza, piuttosto che nel sottoscala», continuò la donna, con l'intenzione, era ben evidente, di farla innervosire ancora di più.
Avrebbe potuto risponderle con le rime, e voleva farlo con tutto il cuore, ma quella mattina si sentiva privata di ogni sua forza, quindi continuò a sorriderle, come se fosse paralizzata e restò in silenzio.
L'espressione di Abigail lasciava intendere che pensasse di parlare con una ragazza un po' stolta e questa fu la vera fortuna di Agatha, perché la donna la lasciò finalmente in pace e non le rivolse più la parola.
Prima ancora che qualcun altro avesse la voglia di riempire quel silenzio imbarazzante, Agatha decise che ne aveva abbastanza di quell'atmosfera angusta e soffocante. E considerato che il suo stomaco era chiuso, a causa del nervosismo, si alzò di scatto annunciando: «Io esco».
«Dove vai?», le chiese la madre, curiosa ma anche apprensiva nei confronti della figlia. Aveva notato lo sguardo perso e sospiro frustrato della ragazza e non le serviva chiedere per comprendere che si sentiva a disagio.
«Vado alla drogheria a vedere se gli zii di Will hanno bisogno di aiuto con il negozio», affermò tutto d'un fiato mentre quasi si corsa di avvicinava all'attaccapanni vicino alla porta.
«E non credi che dovresti parlarne con mio nipote?».
Anche questa volta Agatha si voltò con lentezza in direzione di Abigail, incredula che quella donna stesse sfidando la sua pazienza con così tanta strafottenza.
«E perché?».
In realtà sapeva esattamente quale sarebbe stata la risposta della donna ma fece comunque la domanda, perché voleva metterla alla prova e constatare se davvero fosse così stupida da continuare ad andare avanti con la sua impertinenza.
«Loran è tuo marito adesso, e tu non dovresti perdere il tuo tempo ad aiutare sconosciuti imparentanti con tuoi vecchi pretendenti... non è opportuno».
A quel punto Agatha si era già infilata il cappotto, pronta ad uscire perché niente e nessuno l'avrebbe convinta del contrario. Di certo non quella megera di Abigail, che non aveva alcuna influenza su di lei.
E quante frasi inopportune le vennero in mente da dirle, davanti a tutti e senza vergogna, ma non ce ne fu bisogno perché Loran parlò al suo posto.
«Agatha non deve chiedere il permesso a nessuno, se vuole uscire può farlo», la secca risposta di suo marito avrebbe dovuto farle piacere, e invece la innervosì ancora di più.
Non voleva passare ancora una volta per una bambina incapace di esprimere i propri sentimenti. O peggio, di passare per la donna sottomessa ce ha bisogno del marito per esprimere i suoi diritti.
E ancora peggio quando lui aggiunse: «E comunque sto uscendo anche io, per trovare un nuovo lavoro», rivolgendosi alla zia con un sorriso anche più finto di quello di Agatha: «Così, se vi fa stare più tranquilla, posso accompagnare mia moglie fino alla drogheria».
Non ebbe l'occasione di ribattere neanche questa volta, perché prima di trovare le parole giuste per metterlo al suo posto davanti a tutti, lui l'aveva raggiunta di corsa, aveva indossato il suo cappotto e l'aveva spinta fuori da casa.
A quel punto il desiderio di urlargli contro i peggiori rimproveri fu alto, ma essendo soli si rese conto che non avevano più senso.
Lei voleva imbarazzarlo davanti a sua zia, e non fargli una scenata ridicola per strada. Furiosa decise che il silenzio e l'indifferenza fossero le uniche armi rimaste a sua disposizione.
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