37. Lui voleva che noi fossimo felici

Quando stai male ti senti come se il mondo intorno a te stesse svanendo. La gente ti parla, ma tu non la senti.
La gente ti guarda, e tu non la vedi più. Non te ne frega niente di nessuno. Né del mondo e né delle persone.

La testa la senti vuota e piena allo stesso tempo. Le tempie ti fanno male perché passi ore a piangere e a sperare che tutto finisca in fretta.
Ma in realtà non finisce mai. Perché non è una tristezza passeggera, anche se mi sarebbe piaciuto che fosse così.
Non è un periodo, perché altrimenti non sarebbe durato così tanto.
Non è soltanto una fase adolescenziale, perché succede sempre, ancora e ancora.
Una fase si supera, il dolore no. O forse sì.
Chi è fortunato, lo supera eccome. Al momento rientro nella categoria degli sfigati. Sono ancora una volta sull'orlo del precipizio. Io so cosa voglio: lanciarmi.
Lo voglio ma non riesco. C'è qualcosa che mi trattiene qui, anche se sto impazzendo.

Le lacrime si sono asciugate talmente tante volte sulle mie guance, che ormai ne ho perso il conto.
La testa mi fa così male e non posso fare niente per rimediare. Sono due giorni che non mangio, non esco dalla mia stanza e non dormo. Mio fratello mi sta attaccato perché sa che non posso essere lasciata da sola. Ho cercato di fargli capire che mi sto riprendendo. Che cazzata. È così facile fingere di stare bene e la gente è così facile da ingannare.

Mi stupisco di quante lacrime io riesca a versare ancora. La depressione non ti permette di vedere l'arcobaleno. Non ti permette di trovare il bello nel brutto. Non ti permette di alzarti e andare avanti.
Semplicemente ti sbatte a terra, ti sale di sopra e ti soffoca, giorno per giorno.

La luce non la vedi più. E quello spiraglio che ti capita di intravedere nella tua vita, sai che non dura per sempre. E quando lo vedi hai paura. Perché sai che dopo la luce arriva sempre il buio. E il buio ti prende con sé, ancora e ancora.

Ti lasci trascinare, perché sei abituata ormai. Diventi amica dei tuoi demoni. Smetti di credere nel mondo, ma credi in loro. Credi che ti distruggeranno e ti lasci andare. E loro non ti abbandonano mai, perché non lasciano ciò che gli appartiene. E tu sei la loro preda, purtroppo. Non sono soltanto loro ad avere paura di uscire allo scoperto e vedere la luce, ma diventi tu il demone di te stesso. Ti nascondi, quando parli con gli altri fingi di ascoltare.

E la notte preghi di non risvegliarti più, ma non sei così fortunato. Purtroppo ti svegli e ti tocca subire di nuovo la stessa merda.

Che gli altri si facciano da parte. Ci penso già io a distruggermi. Vorrei viaggiare in posti diversi dalla mia mente.
Vorrei rimpiazzare le lacrime con i sorrisi e i pensieri suicidi con il vuoto. Preferisco avere la mente vuota piuttosto che pensare ogni giorno ad un modo per ammazzarmi.

Arrivi al punto in cui diventi apatica. Vuota. Completamente vuota. Gli occhi diventano così gonfi per le lacrime, che nemmeno riesci più a versarne altre. E io vivo in un mondo tutto mio. Me lo sono creata io e io lo distruggo. C'è chi è felice di avere il controllo della situazione, di avere il potere e far andare le cose come vogliono loro. E ci sono io... Che mi accontento di avere il controllo sui miei pensieri, a volte.

Qualcuno bussa. Mi giro su un fianco e do le spalle alla porta. Quest'ultima si apre lentamente. Probabilmente è di nuovo mio fratello. La porta si chiude e i passi diventano sempre più vicini. Qualcuno si siede sul materasso e mette la mano sulla mia spalla. Mio fratello non ha questo profumo, ma mio papà sì.

«Come stai, tesoro?» mi chiede, accarezzandomi i capelli, come faceva quando ero piccola.

Scrollo le spalle, senza rispondere.

«So che dirti 'Mi dispiace' non aiuterà a niente, ma non meriti di stare male di nuovo per lo stesso motivo. Non posso vivere così, sapendo che potresti riprovarci.» mi stringe la spalla in segno di conforto.

«Sto bene.»

Mio padre rilascia un sospiro pesante. «Sì, diciamo sempre così quando non vogliamo sentirci soffocati dagli altri. Ci tenevi a questo ragazzo?» mi chiede e faccio di sì con la testa.

«E lui lo sapeva, che gli volevi bene?»

Annuisco di nuovo. «E ti senti in colpa, Hayra?»

«Un po'.» ammetto.

«Anche Adelaide ti voleva bene. Non è colpa tua, se hanno deciso di farla finita. Non tutti vogliono vivere e non tutti resistono.» neanche tua figlia, vorrei dirgli.

«Lo so.» sussurro, stringendo gli occhi.

«Ma tesoro, se il tuo amico ha deciso così è perché lo voleva. E forse ha trovato soltanto il momento giusto. Magari si era semplicemente stancato di combattere e voleva andare via, perché per lui era più semplice così.»

«Non condanno la sua scelta, infatti.» la voce mi esce piuttosto roca.

«Nessuno dovrebbe essere condannato per una scelta propria.» mi dice papà, sdraiandosi accanto a me.

«Non lo reputo un gesto di debolezza. Ha avuto coraggio, ad andarsene. È che chi non lo prova sulla pelle dirà sempre che sia per debolezza e che sono sciocchi. Ma non è così.» affermo e papà mi abbraccia. Vorrei piangere, ma non ci riesco più.

«Lo so, Hayra. Voglio portarti con me. Non voglio che rimani in questo posto. Non è sano per te, tesoro. Ti prego di capirmi. Devi vivere in un ambiente sereno, e qui non lo troverai.» e ha ragione. Ma non posso tornare a Nashville, dove il ricordo di Adelaide mi tormenta ancora. E non posso rimanere qui, perché il ricordo di Kayden mi tormenterà altrettanto.

«Non posso tornare in quel posto.» gli dico, staccandomi da lui.

«Nessuno ha nominato Nashville, infatti.» mi dà un bacio sulla fronte. Un'espressione confusa si fa spazio sul mio volto.

«E dove vorresti andare?»

«Io e Lindsay ci trasferiremo a Los Angeles.» Oh... California.

«Bello.» mormoro, ma dentro di me qualcosa si spezza ancora di più.

«Facciamo sul serio, Hayra. Non so cosa tua madre ti abbia messo in testa, ma odio ammetterlo, Lindsay è una donna migliore di lei.» mi accarezza nuovamente la testa e si alza in piedi. «Starò qui per altri tre giorni, pensaci. Non è mai troppo tardi per iniziare daccapo.» ed esce dalla mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Non è mai troppo tardi, dici?

Oggi c'è il funerale di Kayden. Non penso di essere sicura di potercela fare. Non ho più visto né sentito Hunter. Non oso nemmeno contattarlo. Non vorrei andare al funerale, ma voglio dirgli addio.

Guardo l'ora sulla radiosveglia e sospiro, chiudendo gli occhi. È tra mezz'ora.
Trovo ancora un po' di forza dentro di me e mi alzo dal letto. Non mi lavo e non mi cambio. Mi metto soltanto una felpa nera addosso e rimango con i jeans di ieri.
Prendo il cellulare e le cuffiette, anche se metto la modalità aereo. Non voglio essere cercata, ho bisogno soltanto della musica con me.

Mi metto le scarpe e scendo al piano di sotto. La mamma appena mi vede inizia a piangere. Fa male vedere la propria figlia distrutta, lo so. Fa male vedere qualsiasi persona distrutta dai propri pensieri.
Ma sto bene.

«Ti aspettiamo, Hayra.» mi fa sapere Lindsay con gli occhi in lacrime. La guardo e intravedo l'ombra di un sorriso triste sulle sue labbra. Lei mi aspetta. E anche papà. Si aspettano che io torni a casa sana e salva.
Ma sì, cosa pensano? Che mi butterò davanti ad una macchina? Che mi lancerò giù da un grattacielo?
Non funziona così... Non sarei così ovvia.

«Certo.» ed esco fuori di casa. Ethan probabilmente starà consolando Hunter. Gli ho detto io di stargli vicino. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno accanto in momenti del genere. Mi metto il cappuccio, metto le cuffiette nelle orecchie e mi dirigo verso il cimitero.

Ci ho messo quasi mezz'ora a piedi. Mi sono persa l'inizio ed è meglio così. Non mi avvicino alla folla di persone. Non intravedo Hunter, ma vedo i nostri 'amici'. Si consolano e si abbracciano. E io rimango nascosta dietro ad un albero, perché mi sembra vietato avvicinarmi ora. Mi sento in colpa e non merito di stare qui. La gente piange. La madre di Hunter grida e Adam Black la stringe tra le braccia. Tutti i genitori sbagliano, è vero. Chi sbaglia di più e chi di meno. Nessun genitore è perfetto.
E si sentono in colpa quando non capiscono il dolore dei figli. È così perché siamo noi che lo nascondiamo così bene. Basta prestare un po' di attenzione e senza limitarsi ai sorrisi. A sorridere sono tutti bravi, a capire no.

Rimango seduta sull'erba, a gambe incrociate. Finalmente vedo Hunter e lo guardo con sguardo vacuo. Lo so. Non è la prima volta. È successo di nuovo. Andrà bene.

Anche se non riesco più a respirare, andrà tutto bene.
Hunter non piange. Guarda la bara e basta. Mio fratello è accanto a lui, lo stringe a sé.

Ognuno lancia i fiori. Io sono venuta a mani vuote. Mi dispiace, Kayden.

Aspetto che tutto quanto finisca. Nelle cuffiette sento la canzone dei Linkin Park, Shadow of the day. È perfetta. E va bene così. Ha ragione. Le canzoni hanno sempre ragione.

E aspetto in silenzio. Aspetto e sembra un'attesa senza fine. Quando la gente inizia finalmente ad andare via, tocca a me.
Con le mani dentro le tasche della felpa, le cuffiette nelle orecchie e lo sguardo vuoto, mi avvicino alla sua tomba. Mi siedo davanti e tiro le ginocchia al petto.

«Mi dispiace», dico. «Mi dispiace di non averti portato i fiori, ma ti ho portato una canzone. So che ti piace.»

Sento freddo, quindi mi sdraio accanto a lui. Cerco la nostra canzone, la sua canzone, e dico: «Avrei dovuto capirlo prima, che ci avresti riprovato. È che quando assaggi la felicità, vorresti ancora di più. Mi sono lasciata andare. Ma sei stato anche tu a permetterlo. Tu lo sapevi, Kayden. Te ne sei approfittato del silenzio, della nostra mancanza. Aspettavi soltanto il momento giusto. Non volevi essere salvato e me l'hai fatto capire un'infinità di volte. Mi avevi detto che non ce l'avrei fatta. E ora sono qui... E metto la tua canzone preferita.» premo play e parte la canzone Doomed.
Metto soltanto una cuffietta nel mio orecchio e l'altra la lascio libera, come se potesse prenderla e ascoltare insieme a me.

E neanche adesso le lacrime scendono. La testa mi esplode, però. Fa troppo male e fa freddo. Mi rannicchio per terra e stringo gli occhi.

«Sapevo che saresti venuta...» sussulto non appena sento la voce di Hunter dietro di me. Mi metto a sedere e lo guardo spaventata. «Che hai fatto alle mani?»

Scusa.» dico, stringendomi le braccia intorno al busto. «Non ho fatto niente.»

«Ti ho aspettato.» mi fa sapere. Dovrei sentirmi... toccata dalle sue parole? Mi stava aspettando, per quale motivo? Mi alzo in piedi e mi schiarisco la gola.

«Come stai?» mi chiede e faccio spallucce.

«Tu?» domando di rimando.

«Sono arrabbiato con me stesso. Ma mi sento anche... come se mi fossi tolto un peso dal cuore. Kayden stava male, da tanto. Penso che abbia trovato la felicità. Ci ha provato e riprovato. Forse era ciò che lui voleva realmente.» mi dice e annuisco. Non so nemmeno cosa dirgli.

«Mi sento come se non avessi fatto abbastanza. Eppure lo capisco, perché... è così e basta. Mi sento in colpa, perché mi sembra di avergli rubato qualcosa che era suo.»

«Non è così, Hayra. Lui voleva che tu fossi felice. Voleva che entrambi fossimo felici.»

«Come fai a saperlo?» gli chiedo, ho la visita appannata.

«Perché mi parlava spesso di te. A volte era menefreghista, mi faceva capire che era un po' geloso. Parlava tanto, si sentiva spesso abbandonato anche quando ero accanto a lui. Ma quando stava bene lui era felice per noi. Si è sempre sentito diverso, non per la sua malattia, ma anche per il suo orientamento sessuale. La società ti fa sentire sbagliato e ti porta a questo. Kayden ti vuole bene. Ti voleva e ti vuole ancora bene.» nessuno di noi due si muove.

«Io ho sbagliato.» gli dico, indietreggiando.

«Cosa stai dicendo...»

«Mi pento di averti conosciuto.» ho una morsa allo stomaco, ma è la verità. Se non fosse entrato nella mia vita probabilmente avremmo potuto evitare un sacco di cose.

«Non dire così. Lo sai che è una cazzata!» ora è arrabbiato. Perfetto! «E se pensi sia così, allora perché mi hai permesso di avvicinarmi a te? » chiede, ma non rispondo. Le sue domande mi scivolano addosso.
«Che cosa diavolo hai fatto il primo giorno che ci siamo incontrati? Dove avevi la testa?»

Ti stavo facendo spazio nella mia vita, vorrei dirgli.

Ma rispondo: «Quello che ho fatto una vita, Hunter. Ho fatto finta.» il suo sguardo sembra ferito. «Ho fatto finta di essere chi in realtà non sono e non so se lo sarò mai. Perché Hayra è morta da un bel po'. Ma ogni tanto mi piace imitarla di quando era in vita. È bello ricordarla così. È bello ricordarmi di non essere più io.» sorrido con le lacrime agli occhi e aggiungo: «Mi dispiace, e capisco perché mi hai detto quella cosa in ospedale. E fai bene ad allontanarti da me. Anche io mi allontanerei da me stessa, ma non posso. Sono costretta a vivere dentro questo corpo. » per poco, forse, vorrei aggiungere.

«Non dire così, Masy...»

«Non so chi sia Masy», scuoto la testa. «Non so chi sono, Hunter. Ma so chi sei tu», continuo a sorridere, asciugandomi una lacrima. «Grazie, perché tu non hai mai fatto finta di niente.»

Mi tolgo la collana dello Yin e Yang, mi avvicino a lui e gli afferro la mano, posandogliela sul palmo.
Lui mi guarda spaventato e mi chiede: «Che stai facendo?»

«Questa ti appartiene. Io non merito di averla.»

«Ascolta, so che è meglio stare lontani per un po'... Ma andrà tutto bene. Sono sicuro che ognuno di noi troverà-»

«Sono sempre stata bene, no?» lo interrompo, sorridendo.

«Ok... E ora cosa farai? Andrai a casa? E domani ti sentirai meglio...» sembra lo stia dicendo per autoconvincersi. Peccato che noi sappiamo come stanno le cose.

Metto su un sorriso che trema dal dolore. «Stammi bene, Hunter.»

«Perché? Ci rivedremo presto, no?» chiede, avvicinandosi a me.

«Stammi bene fino ad allora.»

«E poi?»

«Se il tuo stare bene non dipende da nessuno, starai benissimo.»

«E se dipendesse da te?» chiede, ma sembra rassegnato.

«Mi dispiace.»

«No.» dice, assottigliando lo sguardo.

«Mi dispiace, ma ora devo andare a casa.»  e mi allontano con le mani dentro le tasche e la musica al massimo nelle mie orecchie. Andrà bene.
Appena sono fuori dal cimitero mi metto a correre come una pazza, con le lacrime che scorrono copiose sulle mie guance e che non intendono fermarsi. Ma non posso sfogarmi ora. Devo tornare a casa.
Loro mi aspettano.

Mi asciugo le guance e cammino un altro po' per le strade, senza una meta e senza un senso. Ascolto ripetutamente la sua canzone e mi costringo a non piangere. Il sole tramonta...si nasconde esattamente come la felicità si ritira dietro le montagne di dolore che mi porto dentro.

E poi, più decisa che mai, decido di tornare a casa. Sono incazzata con me stessa. Non merito di vivere questa vita. Non me lo merito proprio. Perdo ogni singola persona a cui voglio bene. Sembro maledetta. Io sono un problema e finché non starò bene con me stessa, so che non starò bene con nessuno.

Quando arrivo a casa, appena chiudo la porta mio fratello spunta nel corridoio e viene ad abbracciarmi.
«Sei tornata.» mi dice, stringendomi forte a sé.

«Sì.» dico.

Ci spostiamo nel salotto, papà mi sorride appena mi vede. Lindsay vorrebbe mordersi le unghie dall'emozione di vedermi a casa. 

«Tua madre è d'accordo, Hayra. Verrai a stare con me per un po'.»

«Cosa?» chiede Ethan, come se il mondo gli fosse caduto di sopra.

«Penso sia meglio così, Ethan. Io non...non ce la faccio a gestirla. Vorrei aiutarla, ma non posso. Penso di aver bisogno d'aiuto io.» dice la mamma, prendendosi la testa tra le mani. «È estenuante... E mi prosciuga. Con me non si riprenderà, qui.»

«Ok.» dico, cercando di tenere sotto controllo il tremolio che mi attraversa lentamente il corpo. «Ha ragione papà. Devo andare via da questo posto.»

«Ottima scelta, tesoro. Vedrai che starai meglio.» mi dice, venendo da me per abbracciarmi velocemente.

«Vado a riposarmi un po'... Svegliatemi quando la cena è pronta, va bene?»

Cerco di sorridere, mostrarmi un minimo più...normale.

«Cosa vorresti mangiare?» e loro ci credono, grazie ad un misero sorriso.

«Ho voglia di pollo...» fingo uno sbadiglio. «A dopo.» e a mai più.
Prima di andare di sopra, abbraccio mio fratello e gli dico che gli voglio bene. «Grazie di essere rimasto accanto a me in questi giorni, ne ho avuto bisogno.» gli do un bacio sulla guancia.

Ethan mi guarda in modo strano, non distolgo lo sguardo per non fargli venire i dubbi.
Annuisce e mi guarda andare via. Mi chiudo nella mia stanza e giro piano la chiave.

Mi siedo sul letto e mi guardo intorno. Qualcuno deve aver portato fuori la moquette e ha anche messo un po' in ordine la mia camera. Prendo il quadernino e mi siedo sul letto, poi inizio a scrivere tutto ciò che mi passa per la mente in questo momento. E piango. Piango tanto. E lascio perdere il quadernino e metto la faccia nel cuscino e grido. Ed ecco, questo è il mio grido finale.

Papà si sposa di nuovo.

La mamma non mi vuole qui.

Ho perso la mia migliore amica.

Ho perso Kayden.

Hunter non vorrà più vedermi.

E io continuo a sentirmi persa, vuota...

...e infelice.

Mi riprendo e finisco di scrivere la nota finale sul mio quaderno. Poi mi alzo e cerco sotto il materasso i miei antidepressivi. Sapevo che mamma o Ethan avrebbero cercato nella mia stanza.
Verso tutte le pillole che sono rimaste, sul letto. Nemmeno le conto. Prendo la bottiglia d'acqua e le mando giù tutte, senza pentirmi.

Mi rannicchio sul materasso, mi copro con la coperta, metto le cuffiette e ascolto la mia canzone preferita.
Non avrei voluto mai più ascoltare Suicide Season, ma eccomi qui. Per la seconda volta e l'ultima.

E la metto di continuo, perché voglio addormentarmi per sempre così.
Questa volta mi dissolvo per sempre nel grigio nel quale convivo.

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