33. Sei più forte dei tuoi pensieri

Camminare nel corridoio della scuola, con il felpone addosso e lo sguardo abbassato, questa volta non per vergogna, ma perché sono pensierosa. Mentre cammino e mi guardo la punta delle scarpe, penso a Hunter e sorrido come una bambina che ha appena ricevuto una manciata di caramelle.

Mi mordo il labbro, un gesto involontario, come se stessi cercando di contenere l'entusiasmo. È un sogno o è la realtà? Non lo so, ma spero duri ancora un po'. Non voglio svegliarmi.

Dentro questa felpa mi sento come se stessi sprofondando in un abbraccio che ho sempre sognato di ricevere. Ho indossato spesso magliette e felpe più grandi di me, perché mi fanno sentire al sicuro, come se fossero il mio guscio.

Apro il mio armadietto per posare i libri che stringo tra le mani, e noto con stupore che le mie dita sono leggermente arrossate, forse a causa del freddo. Spesso appena cambia un po' il clima, la mia pelle ne risente. Eppure io il freddo non lo sento in questo momento, anzi, fa abbastanza caldo. Ho il sangue che bolle nelle mie vene e penso di sapere il perché.

Senza smettere di sorridere, finisco di posare i libri e poi lancio uno sguardo all'orologio appeso nel corridoio. Chiudo l'armadietto e mi ci appoggio con la schiena, incrociando le braccia al petto e scuotendo la testa come una scema.
Probabilmente chi passa accanto a me penserà che sia pazza. Ma se la pazzia rende felici in questo caso, allora lascio che pensino questo di me.

«La smetti di sorridere in quel modo? Sei nauseante.» a turbare la mia calma è Vanessa, con la sua solita aria arrogante. Sospiro e mi meraviglio di come l'allegria possa essere spazzata via in così pochi secondi.

Giro la testa verso di lei, quasi a rallentatore. La guardo di traverso, e osservo il suo viso impeccabile, la pelle sembra fatta di seta sotto il mio sguardo. Mi verrebbe voglia perfino a me di accarezzarla, perché sembra senza imperfezioni, pura. Le labbra coperte da uno strato di lucidalabbra, che mette in risalto la sua bocca, dandole un aspetto più pieno, e gli occhi messi evidenza soltanto dal mascara, che allunga le sue ciglia, rendendo il suo sguardo più intenso. I capelli neri luccicano sulle spalle e mi chiedo perché non posso essere come lei, ma un sorriso buffo si fa spazio sulle mie labbra, rendendomi conto di quanto sia stupido questo pensiero.
Ognuno è fatto a modo suo, giusto? Dovrei amarmi per come sono.

«Nessuno ti costringe a guardarmi.» rispondo, dopo averle fatto un'accurata radiografia dalla testa ai piedi.

«Credimi, ci ho provato.» scandisce quasi le parole, come se volesse farmi capire che non sta scherzando.

Mi limito a scrollare le spalle. «Mi dispiace che la mia vista ti disturbi tanto.»
Lei alza gli occhi al cielo, facendomi capire di essere patetica per lei.

«Quand'è che ti leverai dalle palle?» sbotta all'improvviso.

La guardo quasi interdetta. «Che cosa ti ho fatto di male? Nemmeno ci conosciamo.»

Lei distoglie lo sguardo, infastidita. «Cosa diavolo non ti è chiaro? Le sfigate stanno con le sfigate. Cosa ha trovato Hunter in una come te? Ti lasci dietro soltanto una scia di tristezza e monotonia. Sei noiosa.»

Assottiglio le labbra, sento un tremolio attraversarmi il corpo. «Hai ragione.»

La mia risposta la fa sussultare. «Cosa? Non dovevi dire questo.» sputa con rabbia, guardandomi negli occhi.

«Scusa, ho smesso di seguire il copione. Mi dispiace se ti sei creata nella mente l'immagine dei soliti stereotipi che vedi nei film adolescenziali o che leggi nei libri.» le dico imperturbata.

Lei sgrana leggermente gli occhi e risponde: «Beh, io non leggo.»

Sorrido amaramente. «Su questo non avevo dubbi. Il punto è che soltanto perché stai bene economicamente e sei più bella, non ti dà il diritto di prendertela con gli altri. Sei grande ormai, ma fai i capricci come una bambina. Le persone non sono dei giocattoli. Hanno dei sentimenti e una testa, con la quale sono in grado di ragionare e fare delle scelte. Se Hunter non ti vuole, ci sarà un motivo.» le tengo testa e non mi sono mai sentita così sicura di me come lo sono adesso.

Lei raddrizza le spalle e alza il mento. «Hunter è te che non vuole. Si vede che gli fai soltanto pena. O forse è un modo per ringraziarti per passare del tempo con suo fratello, che è messo peggio di te.» una smorfia di disgusto le dipinge il viso.

«Sei davvero superficiale e vuota.» dichiaro, scuotendo la testa con sgomento.

«Squilibrata.» ribatte, quasi tra i denti, come se avesse voglia di sbranarmi da un momento all'altro.

Intreccio le dita all'altezza del ventre e fisso le piastrelle giallognole. Vorrei dirle che ha ragione. La mia mente sta un po' messa male, ma non mi sembra un valido motivo per essere presa in giro.

«Buona fortuna con la tua triste vita.» commento, pronta ad andare via.

«Con la madre che hai, sicuramente la tua vita è molto più triste.» alza un sopracciglio e mi stringo automaticamente nelle spalle, desiderando di farmi piccola. Vorrei sparire in questo preciso momento, ma non posso; non è mai stato possibile e mai lo sarà.

Sarò sempre costretta a sentire le solite battute sulla mia famiglia?

«Cosa ne sai tu?» trovo la forza di chiederle.

«Tua madre esce con Dave, mio zio. Com'è piccolo il mondo... e anche disgustoso, aggiungerei.» le sue parole sembrano mille aghi che mi trapassano la pelle.
Sento un formicolio attraversare le mie mani e piano piano diffondersi in tutto il mio corpo.
Abbozzo un sorriso menefreghista e vado via, dandole una spallata. Mi mostro grande, quando sono così piccola da essere calpestata da tutti. Mi dirigo in bagno e mi ci chiudo dentro, fermandomi davanti al grande specchio che ricopre la parete.

Mi osservo allo specchio e scoppio a ridere. Che risata stupida che ho! E perché sto ridendo?
E ora perché vedo le lacrime scorrere sulle mie guance? Vorrei tirare un pugno al mio riflesso. Ma cosa ha fatto lui di male? Forse odio vedermi stare male sempre per le stesse ragioni? Forse mi farebbe sentire meglio?
Mi avvicino e poso le mani sullo specchio, osservandomi da vicino.

«Che senso ha sopravvivere ad una vita che non voglio?» mi chiedo, con le mani che tremano. Afferro il lavandino e chiudo gli occhi. Non è niente, mi dico.
Non è niente.
Passa.
Passa tutto.
Passa sempre.
Non è successo assolutamente niente.
Sei forte.
Lo sarai sempre.
Sei una guerriera.

Tiro un respiro profondo e mi asciugo le lacrime con il dorso della mano. Apro il rubinetto ed elimino le tracce di dolore che ha solcato per pochi minuti il mio viso. Mi asciugo con la manica della felpa e poi metto su un sorriso felice, preparandomi a recitare la mia parte in questo teatro pieno di burattini.

Esco dal bagno, fortunatamente vuoto, e mi incammino verso la lezione di storia. È tutto okay, mi ripeto.

Pomeriggio sarei dovuta tornare a casa, ma Hunter mi ha mandato un messaggio e mi ha pregato di fare un po' di compagnia a Kayden, anche se non mi ha detto perché.
Ho chiamato mia madre per avvisarla che avrei fatto un po' tardi, ma che sarei arrivata sicuramente prima di cenare. La sua risposta è stata “Non ci posso credere, ora stai più fuori che a casa. Ci rinuncio con te”.
Ci ho provato a rinunciare anche io a me stessa, avrei voluto dirle. La mia autoironia le dà fastidio.

Poi ho mandato un messaggio a mio fratello e mi ha detto che va bene e che al ritorno giocheremo insieme al suo videogioco preferito. Ho sorriso appena ho letto il suo messaggio, perché mi sembra di ritornare ai vecchi tempi, quando il nostro rapporto era ancora unito.

Sono davanti alla porta della villa dei Black e come sempre ancora non sono abituata a venire qui.
Hunter ha gli allenamenti di basket, ed è per questo che io mi ritrovo qui. Oggi non ci siamo visti per niente. Sono un po' giù, lo ammetto, ma non è la fine del mondo.
Appena la porta si apre e una donna sfoggia un sorriso cordiale, mi sento subito in imbarazzo.

«Sono un'amica di Kayden, è in casa?» le chiedo.

La donna spalanca la porta per farmi entrare e deduco che la sua sia una risposta affermativa. Mi addentro, abbracciandomi lo stomaco, e mi fermo nell'enorme atrio.

«Il signorino Kayden è al piano di sopra, nella sua stanza.» mi informa educatamente. La ringrazio e inizio a salire le scale. Ho una morsa allo stomaco e non so il perché. Mi fermo nel corridoio, perché non so quale direzione prendere. So che Kayden ha due stanze, quindi in quale dovrei andare? Sto per andare dritto, ma vedo una porta socchiusa e faccio un passo indietro.

È la stanza in cui lui non ha avuto il coraggio di entrare.
Avanzo con l'ansia che mi attanaglia lo stomaco e afferro il pomello. Apro piano la porta e mi fermo sulla soglia, spalancando gli occhi e schiudendo le labbra, sorpresa. La stanza è stata messa quasi a soqquadro.

Una miriade di fogli sparsi sul pavimento, foto strappate dal muro, quadri rotti, vasi sfracellati a terra e Kayden che giace sul suo letto, coperto da una coperta blu, fino al collo. Intravedo soltanto i suoi ricci che sembrano una specie di scudo per il suo viso, in questo momento.

Avanzo quasi in punta di piedi, verso il suo letto. Non emette alcun suono e inizio già a lasciare che il panico mi avvolga. Sto in piedi davanti a lui e, con la mano che trema, scosto la coperta dal suo viso e mi abbasso sulle ginocchia.

«Kay...?» sussurro, spostandogli i ricci dal viso. Non mi risponde.
Lo scuoto leggermente per il braccio e la vista inizia ad annebbiarsi.

«Kay...» dico un po' più forte.

I suoi occhi si aprono lentamente, quasi svogliati, e mi fissano noncuranti.
Il vuoto galleggia nelle sue iridi. Un vuoto di cui ho paura. Poso la mano sulla sua guancia e inclino la testa. «Ehi... » avrei voluto sembrare più sicura di me, ma la voce si incrina.

Non dice niente. Resta inerme a letto, con lo sguardo puntato su di me, o forse alle mie spalle. Non capisco.
Non guardarmi in questo modo, vorrei dirgli.
Non guardarmi con questo sguardo perso.

«Sono venuta a trovarti. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere.» tento di sorridere, ma il suo silenzio mi fa tremare il cuore e fa uscire i vecchi ricordi dai loro nascondigli.
Finalmente vedo un movimento, seppur lento, da parte sua.

Le labbra si schiudono, vorrebbe dire qualcosa, ma non esce alcun suono. Una lacrima scende piano sul suo naso e la lascia scivolare libera. Occhi vacui, sguardo tenero di un angelo che soffre e corpo che sembra inanimato.

Mi siedo meglio per terra, poso la testa sul letto, vicino al suo petto, e con una mano afferro la sua. Chiudo gli occhi e piango insieme a lui. In momenti del genere le domande non servono a niente. Ci lasciamo cullare dal silenzio e lascio che mi faccia sentire il suo dolore, senza avere paura di provarlo. Stringo la sua mano, nonostante lui non si muova, e con l'altro braccio libero lo abbraccio. Osservo il suo sguardo spento e perso chissà in quali pensieri, e le sue lacrime scorrono copiose, senza fermarsi. Ma non batte ciglio. Vorrei scuoterlo e dirgli di reagire, ma sarebbe stupido.

«Il dolore congela sempre gli altri sentimenti.» sussurra, con lo sguardo puntato sulla finestra chiusa.

«Il dolore deve sempre mostrare di essere superiore a quella puttana che è la felicità.» continua a dire, poi stringe gli occhi e anche la mia mano.

«Sono con te.» gli dico con voce tremolante. E mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi deciso di non recarmi qui. Sarebbe rimasto così? Abbandonato a se stesso?

Vedo l'accenno di un piccolo sorriso sulle sue labbra, che svanisce dopo pochi secondi.

«Non ci sarai per sempre. Mi hai abbandonato anche tu, Hayra.» pronuncia queste parole quasi con odio e io mi tiro di colpo indietro, come se mi avesse tirato uno schiaffo.

Lo guardo, con le lacrime che iniziano ad asciugarsi sulle guance, e la vista ancora leggermente annebbiata. «Non è vero. Ci sono sempre stata per te. Potevi chiamarmi, Kay. Puoi chiamarmi sempre.»

«Evita di dirmi stronzate, Hayra», il suo tono è aggressivo. «Sai benissimo che quando qualcuno dice che si sarà per te, tu non lo cercherai perché avrai la sensazione di essere un fottuto peso.»

Non dico niente, perché ha ragione lui. Noi spesso non vogliamo disturbare il dolore degli altri. E nemmeno la loro felicità.

«Sei il mio ricciolino preferito.» dico all'improvviso, scompigliandogli i capelli in modo scherzoso. Mi scocca un'occhiata strana, come se fossi impazzita, poi emette una piccola risata, spostando la mia mano dalla sua testa.

«Hai riso.» gli dico tra le lacrime. Lui fa spallucce e mi fissa, facendo una piccola smorfia con la bocca.

«Sei così strana a volte.» dice, scuotendo la testa sconsolato. Si mette a sedere e osserva tristemente il caos che c'è nella sua stanza.

«Perché sei entrato in questa stanza, Kayden?» gli chiedo, iniziano a raccogliere alcuni fogli.

«Lui mi aveva detto di farlo e l'ho fatto. Dovevo sconfiggerlo.» dice, gli occhi si riempiono nuovamente di lacrime.

«Lui chi?» domando, temendo quasi la risposta.

«Non lo so.» dice, invece.
So che le persone bipolari hanno anche allucinazioni e sapere che lui sia tormentato da tanto dolore, mi si spezza il cuore. Vorrei poterlo aiutare, ma sono incasinata quasi quanto lui, e non sono sicura che la cosa del salvarsi a vicenda funzioni davvero.

«Lascia che ti aiuti. Ho combinato un disastro.» la voce incolore e rotta. Si inginocchia e mi aiuta, ma mentre gli do le spalle per raccogliere gli altri fogli, ne prendo uno e leggo il mio nome in alto. È destinato a me. L'inchiostro sembra fresco. Lo piego e lo metto dentro la tasca dei jeans.

«Sono da buttare, comunque», dice, indicando i fogli. «Tutti. Sono senza valore.»

Vorrei dirgli che tutto ciò che pronuncia e scrive ha un valore, ma decido di stare zitto. Rimango al centro della stanza con le gambe piegate e lui si sposta vicino alla finestra. Solleva lo sguardo e osserva il tempo leggermente cupo.

«Ieri sera ho osservato la pioggia cadere e ho pensato a quanto sarebbe bello se cadessi allo stesso modo, con tanta eleganza e forza, senza provare nulla. Ho guardato il cielo squarciato da lampi e ho desiderato di essere un pittore, almeno per pochi minuti, e racchiudere quella bellezza in un quadro. Poi, sul tardi, quando la luna ha fatto la sua comparsa, la sua falce argentata ha tagliato in due la mia scrivania mentre ero immerso nei miei pensieri. E ho pensato a quanto sarebbe stato bello immergermi in una vasca sotto la luna piena e avere la luce su di me come un riflettore e le stelle come spettatrici ad una tragedia.» il suo discorso sembra quasi un flusso di pensieri che sfocia nel dolore e lo alimenta ancora di più, come un corso d'acqua in una giornata piovosa.

«Poi ho pensato a quanto sarebbe triste e bello allo stesso tempo. Non voglio morire congelato. Mi basta il freddo che sento nelle vene ogni giorno, non voglio sentire altro.» mi sta dicendo come gli piacerebbe morire e io vorrei dirgli di non pensarci, ma non posso, perché sono uguale.

Mi alzo e lo raggiungo, posandogli una mano sulla schiena. «Condividi il tuo dolore con me. Facciamoci del male con i pensieri, ma non fisicamente. Io ti tengo, Kayden. Te lo prometto. Io non ti lascio in questa merda da solo.»

«La notte non ci sei. Ed è il momento che temo di più.» gli scappa un singhiozzo e si copre il viso con le mani.
«Sono un rifiuto della società. Perché cazzo sono nato? Sono completamente sbagliato. Sono una nullità. Io vedo come mi guarda la gente. Lo vedo e fa male, non mi piace. Non sono un malato mentale.» non importa se è il momento in cui si estranea e nega la realtà, lo ascolto e lo stringo a me.

«Sto solo male... È così difficile da capire?» mi chiede, stringendomi in un abbraccio forte.

«Shh...» sussurro, chiudendo gli occhi. «Sei più forte dei tuoi pensieri, Kay. Sei più forte del dolore. Ti voglio bene.» piango con lui e per lui. Lo stringo a me e mi ripeto che andrà tutto bene. Sono soltanto pensieri.
Pensieri che possono uccidere, ma vanno e vengono.

«Ti voglio bene anche io, mia sposa cadavere. »

Sorrido contro la sua spalla. «Dove lo hai lasciato il sole?» gli chiedo, dandogli una spinta in modo giocoso. Si stacca da me e osserva di nuovo la finestra.

«Dietro le nuvole, al sicuro.» risponde, torturandosi le dita.

«Il sole non si spegne mai, Kayden... E finché lui ci sarà per noi, vivremo ancora con la speranza.» gli do un bacio sulla guancia e gli sorrido. Lui annuisce e ricambia il sorriso, anche se sembra incerto. È come se volesse dirmi “Povera sciocca, non sai cosa stai dicendo”.

«Mi è venuta voglia di pancake...» mormora, cambiando argomento. Non gli chiedo da quanto tempo è rimasto a letto o da quanto tempo non mangia, perché sono sicura che non vuole sottoporsi ad un interrogatorio. Quindi sorrido e gli dico: «Allora andiamo a farli! Oh, e se ci sono tutti gli ingredienti, potremo fare anche i brownie. Io li adoro!» unisco i palmi delle mani, contenta.
Usciamo fuori dalla sua stanza e dietro lo me lo sento dire: «Hunter è fortunato ad averti.»

«E tu?» gli chiedo, ma lui mi risponde con un sorriso. E io rimango con il dubbio. Gli sto facendo male?
Sto fallendo? Mi sto lasciando trascinare nel dolore altrui inutilmente? Ma niente è inutile se ci tengo.
Non importa se ha cambiato idea su di me. Io, invece, sono fortunata e felice ad averlo intorno a me.

La tristezza giace sul suo viso e il dolore dorme maligno dentro di lui, preparandosi al prossimo risveglio. E ora ho paura di quando si risveglierà il mio, di quanto mi farà male.

È il secondo anno che aggiorno il giorno del mio compleanno 😂😂❤️
Spero vi sia piaciuto:)

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