30. Il pianto sarà il mio urlo finale

Sono passate due settimane dalla festa alla quale io e gli altri ci siamo intrufolati, e per tutto questo tempo sono stata in punizione, perché a quanto pare quella sera mi sono dimenticata del coprifuoco e sono tornata a casa alle tre del mattino, mezzo brilla, e il giorno dopo non sono riuscita a svegliarmi per andare a scuola.

Mia madre, come la brava donna che è sempre stata, comprensibile e amorevole (cogliete il sarcasmo), ha trovato soltanto il lato negativo delle cose.

Sì, anche io se fossi madre mi preoccuperei per mia figlia. Ma appunto, mia madre si preoccupa soltanto per le cose più futili. Non ci ha fatto minimamente caso al fatto che sua figlia, per una volta in cinque mesi da quando è qui, non è mai uscita con degli amici, non si è mai divertita, non ha mai bevuto, non è mai stata felice come quella sera.

E poi, dato che lei ne è a conoscenza dei miei trascorsi a Nashville, penso che a maggior ragione avrebbe dovuto prestare più attenzione a certi dettagli. Non ero ubriaca da far schifo, perché non è da me bere fino a perdere la lucidità, ma non volevo escludermi del tutto anche quella volta.

Tutta la felicità che ho provato quella sera è stata spazzata via una volta tornata a casa.
Esattamente nel momento in cui ho aperto la porta, mia madre per poco non si è scagliata su di me come una furia, prima dicendomi che sono irresponsabile per non aver rispettato il coprifuoco, e poi, la mattina dopo, dicendomi che si fa in quattro per noi, ma noi non facciamo niente per lei. Quest'ultima frase è stata l'ennesima frecciatina a me e allo studio.

La cosa strana è che sono quasi sicura che il prossimo anno non ci sarà più bisogno pagare la gente per falsificare la mia pagella.
E dopo due settimane quasi segregata dentro casa, con il cellulare sequestrato e anche il computer, ho pensato a vari modi in cui avrei potuto farmi fuori, ma poi i frammenti di quel ricordo continuavano a rintronare nella mia mente e ho pensato che non sono davvero così debole da farla finita.

Ho avuto poche opportunità di parlare con Hunter, per un secondo ho pensato che questo allontanamento improvviso gli avrebbe fatto passare la voglia anche di guardarmi.

Ma oggi sono di nuovo qui, alla stessa ora, allo stesso posto. Prima non c'era niente di nuovo, sempre la solita monotonia. Oggi invece è cambiato il fatto che vengo a scuola più sorridente e trovo lui, sempre con gli occhi puntati su di me, con quel suo sguardo che mi incatena a sé senza mollarmi.

La lezione di storia non è mai stata così noiosa come adesso. Sembra interminabile e non vedo l'ora di uscire da qui e godere dei miei cinque minuti vicino all'armadietto a scambiare qualche parola con il ragazzo che in questo momento mi sta lanciando palline di carta sul banco, cercando di nascondere il sorriso dietro il braccio per non farsi beccare.

Leggo l'ennesimo bigliettino.

" All'ora di pranzo, ci vediamo in biblioteca?"

Sembra quasi un appuntamento. All'ora di pranzo sono tutti in mensa o nel cortile della scuola. Sappiamo entrambi che la biblioteca a quell'ora è quasi vuota e possiamo parlare.
Mi giro verso di lui e gli faccio di sì con la testa, poi ritorno a far finta di seguire la lezione.

Un'ora dopo, il corridoio è gremito di persone che si affrettano a raggiungere le rispettive aule.
Adesso ho chimica e in questa aula non ho fatto amicizia con nessuno, a parte con Bella. E non la definirei nemmeno una grande amicizia, ma siamo soltanto conoscenti.
Appena entro in classe mi sembra di avere tutti gli sguardi puntati su di me. E so che spesso sono paranoica, infatti per quale stupido motivo dovrebbero i loro sguardi ardere sulla mia pelle?

Mi ripeto nella mente che questa è soltanto impressione mia e che gli altri sono soltanto curiosi di vedermi qui. Magari perché non mi hanno mai veramente notata? Chi lo sa!
Vado a prendere posto accanto a Bella, la quale subito si avvicina a me, appoggia il gomito sul mio banco e sorride in modo malizioso.

«Allora, tu e Black?» chiede, incapace di contenere l'eccitazione. Ah, sì. Mi ero quasi dimenticata che è lei quella ad essere logorroica e a cui piace un sacco spettegolare.

«Cosa?» faccio finta di non aver compreso la sua domanda.

«Uscite insieme? Ho sentito che Vanessa sta fumando di rabbia.» questa volta sorride in modo compiaciuto, mostrandomi i denti e arricciando di poco il naso.

«Ah, bella merda...» mormoro, iniziando a sfogliare distrattamente il libro.

«Già, quella è proprio ingorda! Vuole tutto per sé.» commenta, alzando gli occhi al soffitto.

«Non mi renderà la vita un inferno per questo motivo, vero?» la mia voce quasi sembra carica di speranza.

Bella mi guarda come se fossi scema. Beh, in effetti so già la risposta. È solo che non la conosco davvero così bene da poter esprimere un giudizio concreto su di lei. Fino ad ora mi è apparsa come la classica figlia viziata che non si è mai beccato un rifiuto in vita sua.

«Dimmi un po'... Tuo fratello è fidanzato?» chiede, guardandomi con aria innocente. Oh, no. Perché proprio lui?

«No, non lo è. O almeno penso...» rispondo guardandola negli occhi.
Bella sorride in modo fanciullesco, nascondendo poi il sorriso dietro il palmo della mano. Ora mi ricordo le parole di Kayden e Hunter, quindi faccio quello che loro hanno fatto con me. Le sposto la mano dal viso e lei rimane interdetta per un paio di secondi.

«La gente è bella quando sorride.» le dico in tono piatto, dopodiché mi giro completamente verso il professore, facendo capire a Bella di lasciarmi stare.
Quasi le direi di stare alla larga da mio fratello, perché dato che non sa come comportarsi con sua sorella, riuscirebbe a cavarsela con una ragazza senza usarla soltanto per andarci a letto?
Bella sembra quel genere di ragazza che non ama impegnarsi, ma ha un qualcosa che la caratterizza e la fa sembrare fragile a modo suo. Non voglio che mio fratello faccia lo stronzo, soprattutto perché Bella si è mostrata interessata a lui più di una volta e vedo sempre il modo in cui lo guarda. Sarei una sorella cattiva se dicessi che Ethan non meriterebbe di essere guardato così? Sì, forse lo sarei. Perché a me farebbe piacere vederlo felice davvero. Anche se sono state più le volte che ho pianto che quelle in cui ho sorriso, non auguro a nessuno di portarsi questa tristezza opprimente addosso, che giorno per giorno continua a soffocarmi.

Faccio degli scarabocchi ad ogni angolo della pagina e penso a ciò che potrebbe scattare sul serio tra me e Hunter. Per quanto mi faccia stare bene, ho paura di farlo stare male. Qualsiasi persona intorno a me, in qualche modo strano, sta male per colpa mia. Non voglio questo. Mi basto già io.

E mi rendo conto che la felicità per quanto sia una cosa astratta, a volte diventa una cosa concreta. Come quando guardo lui e mi chiedo perché gli piaccio. Perché la felicità diventa lui e io sono la depressione fatta persona. E nella mia testa sembra quasi uno scontro tra bene e male. Odio dirlo, ma spesso il dolore prevale su tutto. La felicità viene immediatamente oscurata, quasi come se fosse un'eclissi, ne rimane scoperta soltanto una parte, mentre la mia oscurità la travolge.

La cosa che più mi fa male, è ammettere che Kayden mi ricorda Adelaide e certe volte scatena in me emozioni che avrei preferito non provare più. Non sono riuscita a capire la mia migliore amica, perché non mi aveva dato alcun motivo di mettere in dubbio il suo stato d'animo quella sera. Ed è per questo che capisco quanto un essere umano sia bravo a mentire con i sorrisi, le risate, le frasi cariche di finto entusiasmo.

Veniamo al mondo già con l'abilità innata di farci male, di permettere anche agli altri di distruggerci, per poi imparare dagli errori. Io ho imparato, sì, ma quando la tua migliore amica si uccide e sei tu a trovarla, la cosa è ancora più struggente.

Perché io ero come un castello di vetro, con qualche piccola crepa di qua e di là, per via dei problemi che già causati dalla famiglia, poi la scomparsa precoce della persona che io quasi veneravo, è stato come una folata di vento violenta, che è penetrata tra le crepe e ha distrutto tutto. E ora di quel castello sono rimasti soltanto i frammenti e non c'è nessuno pronto a ricostruirlo, perché il vetro non si rimette a posto facilmente; perché ci sono frammenti sparsi ovunque, e non mi prenderei nemmeno io la briga di cercarli tutti.

E passo il resto dell'ora a pensare a quanto faccia schifo essere schiavi del dolore e non poterlo urlare a pieni polmoni, perché altrimenti vieni considerata un pazzoide.

All'ora di pranzo mi fiondo verso la biblioteca, dimenticandomi di tutto il resto. Mi sento quasi patetica perché sono alle prese, per la prima volta, con i miei sentimenti e ho una paura tremenda di rimanere fregata, perché vorrei davvero tanto donare questo briciolo d'amore che mi è rimasto, quasi incontaminato. Vorrei regalarlo per metterlo al riparo e non saperlo con me.

Apro la porta e mi avvicino lentamente al tavolo vicino alla vetrata, al quale è seduto Hunter. Il suo profilo sembra essere stato scolpito, non trovo alcuna imperfezione. Soltanto quando prendo posto davanti a lui, nota la mia presenza.

«Ciao, Masy.» dice, sorridendomi sornione.

«Ciao, Hunter.» rispondo con una punta di timidezza.
Io che di timidezza non ne sapevo nulla, ora mi sento vulnerabile e piccola.

«Mentre ti stavo aspettando ho scritto questo, perché penso sia molto adatto a te.» allunga il bigliettino verso di me, guardandomi con timore.

Lo afferro e lo spiego lentamente, osservando la sua calligrafia ordinata.

“ Sono abitata da un grido.
Di notte esce svolazzando
in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare.

Mi terrorizza questa cosa scura
che dorme in me;
tutto il giorno ne sento il tacito rivoltarsi piumato,
la malignità.
-Sylvia Plath, Olmo ”

I miei occhi ripercorrono con la stessa lentezza di prima i versi, sentendo l'emozione travolgermi come un'onda. Temo di sollevare lo sguardo su di lui, perché ho paura del modo in cui potrebbe guardarmi.

«Ho avuto ragione? Sì addice a te?» chiede piegandosi verso di me, sfiorandomi le nocche con le punte delle dita.

E mi viene in mente i versi che mi lasciò Kayden, scritto su quel pezzo di foglio quando mi diede la collana.

«Hunter, perché non mostri mai questa parte di te?» gli chiedo, spostando il palmo della mano sopra il foglietto, nascondendo la scritta.

«Per la stessa ragione per cui tu non sei te stessa.» risponde, guardandomi intensamente.

«Temi il giudizio degli altri?»

«Quando ti atteggi in un certo modo nella società, devi avere anche la consapevolezza che non tutti ti faranno i complimenti e non tutti rimarranno zitti, senza esprimere il loro parere» dice, sbuffando una piccola risata, come se trovasse la cosa buffa. «È più o meno come quando una ragazza esce mezza nuda e tutti le danno della troia, anche se magari non lo è, ma sono soltanto i vestiti a farla apparire come una poco di buono. È così anche per me, per te e per tutti gli altri che si tengono le cose dentro. Non mostro alla gente come sono davvero perché so già che verrei classificato come gay, femminuccia o ragazzo all'antica, perché apparentemente sono un amante della poesia e dell'arte. Questa gente non merita di conoscere il vero me. Essere acculturato e leggere qualcosa di diverso dai fumetti, non ti rende gay e nemmeno femminuccia.»

«Ognuno è libero di mostrarsi per quello che vuole.» dico, facendo spallucce.

«Appunto. Ognuno è libero di mostrarsi per quello che vuole, ma intanto, quando decidi di farlo, ti arriva una vagonata di insulti. Prevenire è meglio che curare, Masy. È ciò che stai facendo tu. Perché se tutti sapessero ciò che provi dentro di te, secondo te come ti vedrebbero? Come la povera vittima? Come la depressa di turno? Come una schizzata? Pensaci un po' e dimmi se non è giusto mentire a volte. La verità è che le persone non accettano altra gente che sono differenti da loro; non accettano il "diverso".» e forse quest'ultima frecciatina è anche diretta a me. Forse secondo lui non lo considero degno di accettarmi come diversa, ma non in senso dispregiativo. Forse vuole che io mi fidi di lui.

«Era il venti dicembre» inizio a dire, abbassando lo sguardo. «Io e Adelaide, la mia migliore amica, passavamo un sacco di tempo insieme. Mia madre a volte diceva che era una cattiva influenza per me, dato che aveva un animo un po' ribelle.» sorrido al ricordo.

«Nonostante i miei genitori non l'amassero così tanto, se la facevano andare bene per me. Adelaide era fidanzata con un ragazzo del college, si chiamava Theodore. So solo il suo nome. » la voce mi si incrina.

«I genitori di Adelaide non erano molto d'accordo con la loro relazione, sia perché lui era più grande di lei, e sia perché avevano una relazione a distanza. È per questo motivo che litigavano spesso. Quando i suoi genitori la trovavano in un mare di lacrime, finivano per litigare, perché lei difendeva sempre lui.» gli racconto.

«Era una relazione tossica. Anche uno scemo lo avrebbe capito. Quando si lasciarono ero felice per lei, ma probabilmente la mia felicità l'aveva interpretata in modo diverso. Avevamo litigato e poi, quel giorno, venne a casa mia a fare pace con me. Avevamo una tradizione stupida: ogni venti dicembre dovevamo preparare qualcosa insieme per le nostre famiglie. » e ora inizio ad avere la vista appannata. Hunter mi ascolta senza emettere un suono.

«Mi aveva mandata al supermercato a comprare gli ingredienti che mancavano. I miei genitori non erano a casa, lei rimase da sola perché “si scocciava accompagnarmi”. » mimo le virgolette. «In realtà lei aveva pianificato tutto sin dall'inizio. Sapeva che avrei dovuto prendere gli antidepressivi, ma per paura di diventarne dipendente, li nascosi nel mio armadio e ho provato a salvarmi da sola. Mi conosceva come le sue tasche.»

Hunter allunga la mano verso la mia e me la stringe.
«Li ha presi tutti, Hunter. Si è ingozzata con i miei antidepressivi e ansiolitici. Quando sono tornata a casa l'ho trovata sul mio letto, come se stesse dormendo. Ho trovato la mia migliore morta e l'unica cosa che mi ha lasciato, è stato un misero messaggio con scritto "Quattro secondi", e pensavo fosse un modo stupido per dirmi di darmi una mossa.»

«E invece?» chiede Hunter, lo sguardo velato dal dolore.

«Ogni quattro secondi una persona si toglie la vita nel mondo. Lei ha avuto i suoi quattro secondi.»

«Perché non piangi, Masy? Dovresti versare almeno una lacrima, adesso.» mi guarda come se temesse per la mia vita. Ha ragione. Avrei dovuto piangere. Anzi, dovrei versare un mare di lacrime.

«Il dolore non si manifesta sempre con le lacrime, Hunter. Il pianto sarà il mio urlo finale.» mi alzo in piedi e sento la sedia stridere sul pavimento. «Mi dispiace per aver reso questa cosa deprimente. Penso di voler stare da sola adesso.»

«Piangerai?» chiede speranzoso.

«Non è arrivato ancora il momento.» gli sorrido, cercando di rassicurarlo, ma penso di averlo spiazzato.
E capisco. Capisco perché ha paura e ha ragione. E mi dispiace un sacco per questo.

Vi è mai capitato di fidarvi della persona sbagliata? Di aver dato molto a persone che non meritavano nulla?

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