27. Sei come l'arte

Certe volte mi sembra di vivere in un mondo di cristallo che mi sono costruita io, passo per passo. Un lavoro senza tregua, che non ha permesso alla mia forza di abbandonare il mio corpo. Un mondo il cui unico abitante sono io; un mondo fragile, ma che mi fa sentire protetta. Perché a volte succede questo: nella nostra fragilità troviamo la forza.

E cammino fra le crepe create da me stessa, cammino fra la fragilità del mio animo, fra le scie lasciate dai miei pensieri, come se fossero delle tracce che mi portano in un posto più sicuro.

Seguo la cruda, la spregevole e indesiderata realtà. Quella che spesso evito, ma che vivo. Seguo l'istinto, che mi catapulta in situazioni più grandi di me, più ricche di sentimenti, impossibili da spiegare a parole.

E il mio mondo fatto di cristallo lascia sempre una crepa un po' più grande, una sorta di via d'uscita; quel piccolo spiraglio che mi consente di ammirare il mondo reale; quel mondo che mi butta giù per farmi male e quello che al contempo mi rialza e mi insegna a vivere.

Ma certe volte sono codarda e mi limito ad osservarlo con indifferenza, con diffidenza e con l'incapacità di chi ha subito abbastanza e non riesce ad accettare altre batoste dalla vita.

Perché tra il mio mondo e il mondo reale c'è il confine fatto d'insicurezza che mi impone quasi di restare dove sono. Quel confine che mi fa tremare le gambe e fa stancare la mia mente, satura e indebolita da tanti pensieri, accumulatosi con gli anni.

Quel confine che ho paura di varcare e calpestare, perché non so vivere; non so godermi la sensazione di libertà e il brivido del coraggio che si rotola sulla mia pelle, rimanendo inciso come un tatuaggio per pochi secondi; come uno di quelli che va via dopo qualche lavaggio. Quello che ammiri per poco e sei felice di averlo addosso. Quello che quando non ce l'hai più dici "Vabbè, ero consapevole che sarebbe andato via. Ma è stato bello finché è durato".

Mi dispiace vivere ancora una vita piena di incertezze, ma sono pur sempre un essere umano e so che l'incertezza è soltanto una certezza che è stata presa in giro e che ora ha bisogno di sicurezze.

Mi sembra che il mondo giri e rigiri, senza mai fermarsi a guardarmi e capirmi. La realtà sfreccia davanti a me, veloce e incurante.

E mi chiedo perché io sia nata così. Per quanto il mio odio verso le persone ipocrite e false superi ogni limite, a volte vorrei essere come loro a costo di non provare tutto ciò. Essere se stessi è bello. È bello accettarsi così, con pregi e difetti. Ma se fosse possibile, soltanto per un minuto, provare l'ebbrezza di ritrovare la serenità, sarebbe fantastico.

Ma ogni giorno mi sento come se provenissi realmente da un altro mondo. Non trovo il mio posto.

E mentre prendo il cellulare e scendo le scale per uscire fuori dall'edificio, penso a dove diavolo dovrei andare, perché a casa non voglio tornare.

Sono fradicia, ho un po' di freddo ma, prendetemi per pazza, se morissi non mi dispiacerebbe.
Appena sto per uscire fuori, davanti a me trovo Hunter e Kayden. Il minore dei fratelli stava per afferrare la maniglia, ma abbassa la mano. Suppongo che tutti e tre siamo un po' scioccati.

«Te l'avevo detto.» borbotta Kayden, il volto solcato dalla tristezza.

La giacca di pelle nera di Hunter è grondante d'acqua, i capelli umidi sono appiccicati alla fronte e mi soffermo su quella piccola goccia che giace sulle sue ciglia, mentre lui tiene lo sguardo basso. Allungo la mano e la raccolgo, quasi come fosse una lacrima. Hunter alza di scatto lo sguardo e mi osserva.

«Stai bene?» mi chiede e scrollo le spalle, spostando l'attenzione verso le macchine che sfrecciano lentamente sulla strada.

«Che facevi lassù?!» il tono di Kayden sembra indagatore e il suo sguardo mi fa capire a ciò che sta pensando.

Eppure, mi sento  così indifferente al momento, che riesco a dire soltanto: «Ammiravo il panorama.»

«Già, ottimo posto per buttarsi, no? Tienilo a mente, fratellone.» dà una gomitata a Hunter. Quest'ultimo gli scocca un'occhiata colma di rimprovero, perché in questo momento le battute del genere non sono gradite, anche se sono la prima a fare autoironia.

«Hai il cellulare spento. Mi hai fatto preoccupare.» afferma in tono severo Hunter, tornando a guardarmi come se stesse cercando qualcosa sul mio viso; si sta accertando che stia bene.

Ma a me la preoccupazione delle persone non piace. Perché,  anche se si tratta di un gesto carino, io mi sento ugualmente soffocata. «Volevo stare da sola.»

«C'è chi si preoccupa per te, Hayra.» ribatte, stringendo i denti. Mi dispiace che sia impensierito per me.

«E c'è a chi non frega un cazzo», si intromette Kayden, alzando gli occhi al cielo, poi continua: «E non è mancanza di rispetto, fratellone. Semplicemente non ce ne frega un accidente di quello che provano gli altri, se in primis non ce ne frega niente di noi stessi.»

«Sii più sensibile, Kay.» lo rimprovera Hunter, dandogli una spinta nella spalla.

«Va bene, ci riprovo: se dovessimo morire, saremmo contentissimi di levarci finalmente dai piedi e non ce ne fregherebbe niente del vostro dolore.» ribadisce, quasi scandendo le parole, con aria annoiata.

«Ci rinuncio con te. Ma grazie per avermelo ricordato.» mormora Hunter, chiaramente deluso.

«Quando vuoi, fratello!» Kay gli dà una pacca sulla schiena, reprimendo un sorriso quasi inopportuno in un momento del genere.

Si rivolge a me, sollevando un sopracciglio «Ma tu avresti il coraggio di buttarti da lassù?» mi indica con un cenno del mento il tetto dell'edificio.

«Puoi, gentilmente, cambiare discorso?» ribatto quasi con stizza.

Penso di averti dato la collana sbagliata.» questa volta si sofferma di più con lo sguardo su di me. I nostri occhi si incrociano e capisco. Io conosco questo sguardo: è deluso. E non so esattamente perché, ma so che qualcosa gli ha dato fastidio.

«Non hai freddo? Sei tutta inzuppata.» Hunter cambia quasi strategicamente l'argomento.

«Come un biscotto in una tazza di latte.» aggiunge Kayden.

«Buono per essere mangiato.» continua Hunter, fingendo poi un colpo di tosse.

«Ora capisco perché la mia eterosessualità mi ha abbandonato.» Kayden fa una smorfia di disgusto, ma so che sta scherzando. Infatti scoppio a ridere e mi nascondo la faccia tra le mani. Qualcuno, però, me le sposta.

«Quando si ride, si devono vedere i denti, si devono vedere gli occhi e si deve sentire il suono della risata, senza aver paura di ridere male.» dice Kayden, facendomi l'occhiolino. Hunter appoggia un braccio sulle spalle del fratello, questa volta sembra quasi orgoglioso di lui.

Li guardo, un po' a disagio. I due fratelli si scambiano un'occhiata e poi Hunter prende parola: «Non è mai sbagliato ridere. E non esiste la risata perfetta. Ridi come ti viene naturale, ma non nasconderti. I sorrisi non sono fatti per essere nascosti, ma sono fatti per essere mostrati. Sorridere è gratis, dovresti farlo più spesso.»

«Mio fratello è bravo con le parole. Mi fa da psicologo a volte.» Kayden lo scimmiotta, ma Hunter gli tira un ceffone. «Ma se tutti capissero come capisce lui, ci sarebbero meno suicidi, penso.»

Mi sento improvvisamente gelosa. Perché Ethan mi capisce, seppur in minima parte, ma non sa cosa fare, come parlarmi. So soltanto che impazzirebbe se facessi qualche cazzata. Ma non sa, e non sa nemmeno mia madre, come "gestirmi". Vorrei che capissero una volta per tutte che il dolore non può essere gestito.

«Ora vieni con noi.» dice Hunter, sorridendo a trentadue denti. Non dico niente, perché anche Kayden mi fa segno di acconsentire e seguirli verso la macchina. Vorrei avere anche io qualcuno in grado di capirmi così bene come fa Hunter. Anche mio fratello si mostra indifferente e testa di cazzo a volte, un po' come Hunter quando dimostra di essere chi in realtà non è, ma ma mio fratello non nasconde il lato da fratello saggio, perché forse non ce l'ha. Ethan nasconde soltanto se stesso ai miei occhi, perché non vuole mostrarsi debole.

«Ti bagnerò il sedile.» dico a Hunter, ma Kayden fa un sorriso perverso e dice: «Almeno sarai la prima ragazza a bagnare il sedile posteriore della sua macchina.» e io arrossisco fino alle punte delle orecchie.

«Oh, taci! Mi fai sembrare uno stupido verginello.» si lamenta Hunter, scoccando un'occhiata omicida a suo fratello.

«Stai a vedere che qua l'unica persona ad essere vergine, mi sa che è Hayra.» ridacchia Kayden, facendomi venire voglia di sotterrarmi.

«Dici che è troppo tardi per buttarmi davanti ad una macchina?» gli chiedo, cercando di sdrammatizzare.

«Stavamo scherzando, Hayra. Non ti stiamo giudicando.» Hunter cerca di rendere la situazione meno imbarazzante. Saliamo in macchina e non appena partiamo, inizio a farmi film mentali su ciò che succederà. Dove diavolo mi stanno portando e, soprattutto, conciata così?

Non so perché, sembro davvero anormale, ma non riesco a smettere di sorridere. Mi porto una mano davanti alla bocca per nascondermi, perché ho paura di essere presa sul serio per psicopatica. Sento Hunter schiarirsi la gola e lo guardo nello specchietto retrovisore. Il ragazzo che pensavo avrei odiato, mi fa segno di spostare la mano da davanti alla bocca. Faccio come dice e poi il mio timido sorriso viene spazzato via da uno più grande e più allegro. Mentre nell'abitacolo si sente a basso volume la canzone Sex dei 1979, vedo Kayden muovere la testa a ritmo e Hunter picchiettare le dita sul volante.

Alzano di poco il volume, vorrei anche io muovermi, come se fossi a mio agio e avessi confidenza da una vita, ma non ci riesco, non ancora. Inizio soltanto a battere il piede e le dita sulla coscia, poi vedo i due fratelli girarsi per un attimo verso di me e iniziano a cantare.

Rido e mi perdo a guardarli, ad ammirare la complicità che io non avrò mai con mio fratello. Già, li invidio. Loro sembrano davvero fratelli. Sono uniti, si capiscono, Hunter ascolta seriamente Kayden e lo vuole aiutare, forse, con tutte le sue forze.

Smetto di sorridere e inizia un'altra canzone, questa volta dei Black Veil Brides. Mi viene da ridere perché fino a qualche settimana fa, Wake up, era la suoneria della mia sveglia.
Kayden imita l'assolo della chitarra e mi viene da ridere.

«Pronta, Hayra?» mi chiede Hunter, restando attento alla guida.

«Per cosa?» chiedo, ma non mi rispondono, perché fanno la stessa cosa di prima. Quando arriva il ritornello, si girano verso di me, facendomi capire di unirmi a loro. E, lasciandomi trasportare dal momento, inizio a cantare anche io. Kayden mi batte il cinque, fischiando contento. Hunter, invece, mi sorride comprensivo, quasi felice di sapermi così a mio agio. E canticchio con loro finché la macchina non supera un cancello e mi rendo conto di essere arrivata a casa loro.

«Ah, cazzo...» mormoro, scontenta.

«Oh, non ti preoccupare! Non ti mangia nessuno.» Kayden cerca di tranquillizzarmi. So che non mi potrebbe succedere qualcosa di male, ma non sono comunque abituata a questo sfarzo. Mi sembra quasi di essere capitata qui per sbaglio.

Scendiamo dalla macchina, Kayden continua a cantare a bassa voce e Hunter mette una mano sulla mia schiena, guidandomi verso la porta, impedendomi di fare marcia indietro.

Appena entriamo in casa, Kayden grida: «Papà, siamo a casa e abbiamo portato qualcuno!»

«Oddio, no.» sto per nascondermi la faccia tra le mani, ma Hunter mi afferra le braccia e finisco per appoggiare la fronte contro la sua spalla.

«Va tutto bene, Masy.» sussurra al mio orecchio. È così buffo e strano, ma ogni volta che mi chiama Masy mi riscalda il cuore. Forse perché soltanto lui mi chiama così e mi piace. Lo reputo unico. Mi fa sentire speciale.

Adam Black fa la sua comparsa nell'atrio, guardandoci uno ad uno con circospezione. Indossa un completo blu scuro, ha una pila di documenti in mano e si sistema meglio gli occhiali sul naso soffermandosi con lo sguardo su di me.

«Salve, signor Black!» dico, alzando una mano per salutarlo. Kayden sta soffocando una risata, poi distoglie lo sguardo.

«Hayra, bentornata!» dice, venendo verso di me e abbracciandomi goffamente. «Perché siete tutti e tre bagnati?» chiede.

«Forse perché fuori piove?» dice in tono ovvio Kayden.

«E per caso siete venuti a piedi?» il scetticismo nella sua voce mi fa sentire a disagio, perché loro forse hanno cercato me.

«Andate a cambiarvi, io ho ancora del lavoro da fare.» lancia uno sguardo ai i suoi figli. «E prestate qualcosa di asciutto anche a Hayra.» aggiunge, poi si rifugia nel suo studio. Salgo una rampa di scale insieme ai ragazzi e Hunter mi fa segno di seguirlo. Si ferma davanti ad una porta bianca, con il pomello color oro, e la apre. È la prima volta che vedo la sua stanza e rimango sorpresa di quanto sia in ordine e dall'aspetto così fiabesco, che emana arte da ogni angolo della stanza.  Se Hunter vedesse la mia stanza com'è di solito, probabilmente gli verrebbe un colpo.
Le pareti sono blu e bianche. Sulla parete frontale c'è il disegno enorme della Notte stellata, e una mensola sulla quale giacciono dei libri. Mi avvicino e noto con sorpresa che sono dei classici e alcune raccolte di poesie.
Il tappeto blu sembra morbido soltanto a guardarlo e mi ci butterei volentieri sul suo letto, all'apparenza abbastanza comodo. L'arredamento è quasi tutto bianco, e vicino alla porta che dà sul terrazzo, ci sono due poltrone nere di lato. A destra, ci sono dei quadri appesi al muro e alcune foto di lui quando era più piccolo. La sua stanza è un sogno. Potrei trasferirmi qui, ma non mi sembra il caso.

«Sembri... Diverso.» mi lascio sfuggire il commento a voce troppo alta. Lui si gira verso di me, in mezzo alla stanza, e inarca un sopracciglio. «Nel senso... Ti piace l'arte? So che l'altra volta hai citato anche Van Gogh, e quindi pensavo...» tento di dire. Lui sorride amabilmente e assente.  «Wow...» mormoro, meravigliata.

«Non dirlo a nessuno, però. Mi piace l'arte, sì, ed esco pazzo per la poesia.» sembra un po' imbarazzato perché abbassa lo sguardo e cerca di guardare altrove.

«È davvero assurdo. Senza offesa, ma pensavo fossi un idiota come tutti...» sorrido cercando di non far sembrare la mia opinione così... cattiva. Mi piace dire quello che penso e voglio che lui sappia che mi ha sorpreso, in modo positivo.

«Lo immaginavo. Nessuno dei miei amici lo sa. Ne è a conoscenza soltanto mio fratello.» confessa, frugando nel suo armadio alla ricerca di alcuni vestiti asciutti. Prende una maglietta rossa e un paio di pantaloni della tuta.

«Vuoi farti una doccia calda? Metterò i tuoi vestiti dell'asciugatrice.» mi informa, ma io mi perdo a guardarlo. Perché diavolo è così carino? E, soprattutto, perché mi sto innamorando proprio di lui?

«Perché mi guardi così?» chiede, facendomi sentire subito stupida. Dovrei seriamente smetterla di guardarlo in questo modo. Capirebbe subito.

«Pensavo ad altro, scusa, non volevo fissarti.»

«Masy, tu mi fissi sempre. E io faccio lo stesso. Che motivo c'è di mentire?» si acciglia, confuso. L'ha detto davvero o me lo sono sognata io?

«Non lo so, a volte mi perdo nei miei pensieri.» ammetto e lui mi passa i vestiti, facendo poi un passo indietro.

«Cattivi pensieri?» chiede e annuisco, spostando lo sguardo su uno dei quadri appesi al muro. Rimango quasi incantata dallo struggente tramonto presente all'interno e allo stesso tempo così calmo, emana tranquillità.

«Questo quadro appartiene a Caspar David Friedrich, si chiama Le tre età dell'uomo», sorride, contemplando il quadro. «Vedi queste cinque persone, qui? Di età diversa», me le indica, avvicinandosi di più. Mi sembra quasi un insegnante in questo momento. «La persona più anziana, ovvero questa qui», pone il dito sulla figura centrale «Aspetta con calma che la sua vita venga portata via. Il veliero centrale è diretto verso di lei. Penso che la calma sia dovuta al fatto che sa di dover andare via. E a volte penso che, nonostante sia una persona anziana, potrebbe essere al suo posto una persona giovane, così calma nell'andarsene prima...» sussurra, stringendo poi la mandibola, come se non riuscisse a proseguire.

«Rivedi tuo fratello, vero?» chiedo, bisbigliando. «Lo vedi stanco e calmo, perché a lui non dispiacerebbe andarsene per primo...»

«Io capisco mio fratello. Certe volte cerco di mettermi nei suoi panni il più possibile, ma non ci riesco del tutto, Hayra. Provo ad immaginare il suo dolore, ma non riesco a capire... Così come vorrei capire un sacco te, perché mi interessi davvero tanto. E vorrei sapere cos'è che ti fa stare così male. Vorrei aiutarti, ma certe volte non so come. Il dolore dei fratelli è grande, e sai perché?» chiede, avvicinandosi a me. Il nostro viso è a pochi centimetri di distanza. «Perché anche se ho imparato ad ascoltare, non riesco ugualmente a salvare mio fratello. È come se lo stessi tenendo sobrio, ma poi... scatta. Quel qualcosa che scatta dentro di voi, io non riesco a capirlo.» dice, frustrato.

«E guarda, se c'è un quadro qui dentro che mi fa pensare a voi due, è questo», punta l'indice verso il quadro di Munch, L'urlo. Rimango in silenzio, aspettando che continui, perché so che ha da dire altro. Lo vedo dal modo in cui gonfia il petto e stringe le labbra.
«Il pittore ha trasformato la sua tristezza in arte. Ma a te non piace l'arte. A mio fratello nemmeno. Siete così vuoti...» la voce si abbassa di colpo. «Mi piace l'arte perché esprime ciò che una persona non può spiegare a parole. E vedi questo quadro? Così tranquillo e ostile allo stesso tempo; così angoscioso... Sembra quasi la tranquillità apparente che mostrate voi, ma il vostro urlo sconvolge tutto.» si avvicina di più a me, guardandomi negli occhi.

« Mi piace un sacco vedervi sorridere e vederti sorridere.» posa il pollice sulle mie labbra. «E mi piacerebbe anche baciarti un sacco, adesso. Sei come l'arte, Masy. Mi incanti.»

Ma voi cosa ne pensate di Hunter?
Ammetto che l'inizio della storia non mi fa impazzire, perché poi ho cambiato idea riguardo la storia, e ora che la sto revisionando a parte ho già modificato l'inizio. ❤️ Ma fino ad ora, di lui come persona, cosa ne pensate?

Come immaginate la fine di questa storia? Triste o felice?

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