20. Sappi che ci sono per te
Sento il ticchettio dell'orologio che ho al polso e deglutisco. Odio qualsiasi suono. Odio me. E odio chi sono diventata. Un giorno mi odio e un giorno mi amo.
Anche se, in tutta onestà, sono più i giorni in cui detesto me stessa che quelli in cui provo stima verso di me. A volte non so nemmeno per quale dannata ragione.
Mi odio, perché non riesco a parlare con le persone.
Mi odio, perché faccio schifo a relazionarmi con gli altri.
Mi odio, perché non sono una soddisfazione per i miei genitori. Sono soltanto una nullafacente che si piange addosso, secondo alcuni.
Mi odio, perché vorrei studiare, ma lo studio è l'ultima cosa a cui sto pensando in questo momento.
Mi odio, perché non sono la sorella di cui mio fratello probabilmente sarebbe fiero.
Mi odio, perché non riesco ad aprirmi con nessuno e continuo a stare male.
Mi odio, perché appena apro bocca, la gente mi evita.
Sto male. Ma, in fondo, sto bene. No? È sempre così.
Vorrei sapere cosa si prova a guardarsi allo specchio e non farsi schifo per un singolo giorno. Non chiedo tanto, soltanto una giornata di piena tranquillità.
Vorrei provare la sensazione che si ha quando si è circondati da amici. Vorrei provare ancora un sacco di cose, tra cui la sensazione di sentirmi amata da qualcuno. Nel mio caso, la mia adolescenza ha fatto schifo dall'inizio fino ad ora. E so di non essere sola. So che nel mondo, forse anche in questo preciso istante, c'è qualcuno che sta male come me, se non peggio.
Prendo le cuffiette e poi cerco tra le canzoni della mia playlist. Ringrazio la persona meravigliosa che ha inventato la musica.
Premo play su Avalanche. Se c'è qualcuno che realmente mi impedisce di affondare del tutto è questo gruppo, i BMTH. Perché non riesco a farne a meno. È come quando tua madre cucina la tua torta preferita e tu non ti fermi alla prima fetta. Non importa se sei sazio, vorresti mangiare ancora. Non so cosa significa essere dipendente dalle droghe, ma so cosa significa affidare la propria vita a quattro minuti e mezzo di musica. Ti senti viva, ne vuoi di più. E va bene stare male, a patto che poi spunti l'arcobaleno.
Ora sono completamente vuota.
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare. Mi immagino galleggiare in un oceano. Nessuno intorno a me.
E come dice la canzone: è come una valanga, mi sento affondare.
Il cellulare vibra sopra la mia pancia. Apro gli occhi e abbasso la luminosità dello schermo. Apro il messaggio e sorrido.
Kayden: Stavo pensando di dipingere la mia stanza. Non so di che colore, però. Il rosso mi fa pensare al sangue. L'azzurro sento che non mi appartiene. Il bianco è troppo puro per me. Il rosa potrebbe andare bene. Poi magari ti invito ad un teaparty, io faccio la parte di Barbie e tu quella di Ken. Che ne dici?
Sento soltanto una piccola risata sfuggirmi dalla bocca.
Kayden: Hai sorriso, vero? So che stai sorridendo, anche se non ti vedo.
Kayden: Dimmi che sei sveglia, sto per impazzire.
Io: Sveglia, sì.
Kayden: Che merda questa roba del campeggio. Meno quattro giorni, ce la posso fare :)
Io: Ti manco?
Kayden: Così come mi manca la felicità.
Io: Anche tu.
Kayden: Ho aspettato che mi scrivessi, ma non l'hai fatto.
Sto cercando di elaborare una frase per rispondergli, ma lui mi precede.
Kayden: Ma so il perché. E anche se non sono con te, sappi che ci sono per te, da lontano.
Sono pateticamente sensibile, quindi mi scappa un singhiozzo. Mentre cerco di rispondere, il dito mi trema e sbaglio le lettere. Riscrivo la stessa frase almeno tre volte.
Io: A volte è più forte di me, mi dispiace.
Kayden: A volte anche le nuvole nascondono il sole, eppure lui non smette di brillare.
Io: Grazie. Ora dovrei andare a dormire, buonanotte Kayden.
Kayden: Buonumore, Hayra.
Sorrido e rimango a fissare per un paio di secondi lo schermo. È così strano quando basta così poco per stare bene per qualche minuto. Basta davvero così poco per sorridere. Ma è così difficile trovare la persona giusta.
Metto il cellulare nel borsone e poi apro la mia tenda e guardo il cielo. Fa freddo, dannazione. Sfrego le mani sulle mie braccia per riscaldarmi ed esco fuori. Sono circa le tre del mattino e probabilmente sono l'unica ad essere sveglia. Mi guardo intorno e noto qualcuno per terra, accanto alla mia tenda.
Mi faccio coraggio e mi avvicino lentamente. Appena capisco chi è, sgrano gli occhi e mi porto una mano sulla bocca. Avanzo ancora di più e mi abbasso sulle ginocchia. Afferro la sua spalla e inizio a scuoterlo piano.
« Hunter, svegliati! » sussurro al suo orecchio per non farmi sentire dagli altri. Chissà, magari il professore ha un super-udito.
« Mmh... Ancora un po'. » dice a voce alta. Gli tappo subito la bocca, impedendogli di dire altro. Questo mio gesto lo fa spaventare e apre di colpo gli occhi.
Ci guardiamo per un paio di secondi. Lo sguardo stanco, al contempo spaventato e preoccupato. Tolgo la mano dal suo viso.
« Masy, tutto bene? » si stropiccia un occhio e poi si mette a sedere. A stento riesce a restare sveglio.
« Perché stavi dormendo accanto alla mia tenda? Per terra? »
« Ah... » dice, secco. « Sono sonnambulo. »
Batto un paio di volte le palpebre, incredula.
« Forse faresti bene ad andare nella tua tenda a dormire. Tra un paio d'ore dovremmo svegliarci. » ci tengo che il professore non lo becchi qui, altrimenti finirebbe nei guai.
Si alza in piedi, leggermente barcollando, poi corruga la fronte. « Sì, buonanotte. » e se ne va.
Rientro nella mia tenda e sospiro. Questo sì che è stato strano.
***
Mi sono addormentata alle sei del mattino. Ora sono le sette e mezza. Alle cinque ho già sentito qualcuno sveglio che stava complottando qualcosa fuori.
Vanessa è da cinque minuti che suona il fischietto fuori dalla mia tenda. Qualcuno impreca contro di lei.
Chiudo gli occhi e mi massaggio le tempie.
« Mason, ti vuoi dare una mossa? Non tutti aspettano te! » la sua voce odiosa fa aumentare il mio mal di testa.
Mi alzo e apro la tenda, le scocco un'occhiata omicida e poi dico: « Mi preparo e arrivo. »
Mentre sono intenta a vestirmi, tocco il ciondolo della collana che ho al collo e sorrido. Quanto tempo durerà?
Dopo circa dieci minuti sono pronta. Esco dalla mia tenda e sbadiglio. Probabilmente ho due occhiaie che mi arrivano ai piedi, ma va bene così. Sono abituata a non dormire per niente o a dormire troppo.
« Finalmente, Mason! » dice il professore, battendo poi le mani.
Alzo gli occhi al cielo e poi mi unisco agli altri. Hunter sembra leggermente più riposato rispetto a me.
Mio fratello si acciglia così tanto che per poco non mi riduce in cenere grazie al suo sguardo.
Evito di guardarlo.
« Ora che siamo al completo, forse potrei iniziare. » afferma il prof. Sfrega le mani una contro l'altra e indugia con lo sguardo su di noi. « Stamattina imparerete una bella lezione. »
« L'arte di tornare a dormire? » chiede Garrett, facendo ridere alcuni ragazzi che giocano a basket.
« Stai zitto! » tuona il professore. « Dunque, stavo dicendo... Faremo un giochino. Vedete, le regole sono semplici. Ho nascosto una bandiera nel bosco. Sarete in coppia. Chi trova per primo la bandiera, al ritorno potrà avere il cellulare. » sorride come se fosse niente.
« Ma che cazzata! » esclama Vanessa.
« Senti, Coco. Se vuoi guadagnarti qualcosa, lo devi meritare. È ciò che voi bambini viziati dovete capire. Nella vita, se hai la fortuna di essere ricco, devi saper restare umile. In questo caso, non faccio alcuna differenza tra di voi. Sceglietevi il partner. » gesticola con una mano, indicandoci con il dito.
Non devo nemmeno girarmi per cercare qualcuno con cui fare squadra, perché Hunter mi ha già afferrato il gomito.
« Sarà divertente. » commenta con un sorriso furbo.
« Quando suonerò il fischietto, dovrete darvi da fare. Uno, due, tre! » suona il fischietto e Hunter mi dà uno strattone, invitandomi a correre tra gli alberi.
Sono debole, non ho mangiato, non ho dormito e l'ultima cosa che vorrei fare è correre.
« Per caso hai fatto colazione? » chiedo già con il fiatone.
« Tutti hanno mangiato, Masy. Sei l'unica che ci ha messo una vita per svegliarsi. » dice ridendo. Se sapesse il perché. Sicuramente lo sa, ma fa finta di niente.
« È ridicolo. Il cellulare ce l'ho già, perché stiamo correndo? » chiedo, rallentando il passo.
Hunter si passa una mano tra i capelli e mi scocca un'occhiata di traverso, ma non dice niente.
« Io vinco sempre. » continua a camminare con disinvoltura avanti a me, mentre io, dietro di lui, osservo il suo fisico slanciato, affascinata dalle sue spalle larghe. Mi chiedo se abbia mai fatto nuoto.
Non so per quale motivo, ma sento le mie guance prendere fuoco. Hunter si gira verso di me e si acciglia.
« Stai bene? Sei un po' rossa. » dice con un piccolo sorriso, indicandomi la faccia.
« Eh? Sì, certo che sto bene. » torno in me, stringo i pugni con decisione e continuo a camminare, velocizzando il passo.
Dopo un breve tratto, Hunter mi fa segno di seguirlo, anche se ho paura che ci perderemo. Camminiamo per circa altri dieci minuti senza dirci niente, poi mi afferra la mano e si mette a correre. Rischio di inciampare, ma ritrovo stabilità subito. Capisco il perché della sua fretta non appena vedo la bandiera.
Ancora non capisco la necessità di prenderla, dato che non abbiamo consegnato i cellulari.
L'afferra e la sventola per un attimo in aria. Lo guardo un po' interdetta, ma lui evita di guardarmi.
« Ora possiamo tornare? » chiedo, incrociando le braccia al petto.
« No, vieni con me. » propone e lo seguo tra gli alberi, finché non raggiungiamo una scogliera. Tende la mano verso di me, ma faccio di no con la testa.
Mi avvicino a passo lento e guardo giù.
Mi immagino mentre mi butto. Immagino le persone ritrovare il mio corpo in una pozza di sangue.
Cerco di scacciare via l'immagine dalla mia testa. Faccio un passo indietro e poi mi siedo per terra a gambe incrociate.
Hunter prende posto accanto a me e mi guarda di sottecchi.
« A cosa pensi? » domanda a bassa voce.
« Non vorresti saperlo... » mormoro, passandomi una mano sulla guancia.
« Non te lo avrei chiesto, altrimenti. » ribatte prontamente.
Non riceve alcuna risposta da parte mia.
« Masy, conosci il racconto di Wells, Il paese dei ciechi? » chiede, lanciando giù un sassolino.
Scuoto la testa e lui sorride.
« Vorrei farti capire una cosa, poi pensala come vuoi, va bene? » chiede, facendo scontrare le nostre spalle in modo scherzoso.
« Va bene, ti ascolto. » perché io ascolto sempre tutti, ma nessuno vuole ascoltare me. Eppure, per la prima volta, mi sembra di essere ascoltata anche quando non apro bocca.
« Vedi, in questo racconto, un uomo si smarrisce in Malesia, giunge in un villaggio dove incontra alcuni indigeni, affetti da cecità congenita, mentre lui è l'unico a riuscire a vedere. » inizia a raccontare. Fa una breve pausa, poi riprende: « Passato un po' di tempo, il giovane si innamora di una ragazza, ma per poterla sposare, il padre gli dice che deve sottoporsi all'operazione per farsi togliere i bulbi oculari per essere uguali a loro. » forse sto capendo dove sta cercando di andare a parare. « Ma il giovane scappa dal villaggio il giorno dell'operazione. » si ferma, guardandomi negli occhi. « Capisci, Masy? È così per noi. Non sei strana, sei soltanto diversa. Magari non piaci alla gente proprio perché non sei come gli altri e ti vogliono cambiare a loro piacimento. E tu cosa farai? Finirai per scappare anche tu? »
« L'importante è riuscire a scappare in tempo. » dico, tirando le ginocchia al petto.
« Anche, ma sarebbe più bello capire sin dall'inizio a cosa si sta andando incontro. » arrotola i lacci delle scarpe intorno al dito.
« Ho capito cosa intendi, Hunter. Soltanto perché la mia personalità non è uguale a quella degli altri e risulto strana, non significa che io sia anormale. Magari è la società a non funzionare. » non so per quale motivo si avvicina di più a me.
« Dobbiamo adattarci alla società con discrezione. » si alza in piedi e allunga la mano verso di me. L'afferro e mi do una spinta in su, ma finisco per sbattere contro il suo petto. La sua mano scatta sulla mi vita per tenermi ferma. Forse riesce a tenermi in tutti i sensi.
Ci guardiamo negli occhi e deglutisco a fatica.
Non mi sono resa conto di esserci avvicinati di più finché non ho sentito il suo naso sfiorare il mio. Inclina di poco il capo, istintivamente chiudo gli occhi e le sue labbra sfiorano le mie, ma non mi bacia.
« Che cazzo state facendo? » sento la voce di mio fratello e mi tiro bruscamente indietro.
« Ti stavi per limonare mia sorella? Davvero? Da quanto tempo va avanti questa stronzata? » grida verso Hunter.
« Ethan, calmati! Se la stavo per baciare o no, non sono comunque affari tuoi. » ribatte Hunter, cercando di stare calmo.
« È mia sorella. » ringhia Ethan.
« Ma cosa diavolo hai in testa? Perché proprio lui? » mi chiede. Non so come rispondere. Non l'ho deciso io.
« Mi dispiace. » dico, poi vado via, senza voltarmi.
« Hayra, sai cosa ti succederà! Sei davvero così incosciente? » grida mio fratello alle mie spalle. Non gli do ascolto. Lui non capisce. Questa volta non è così. Hunter non c'entra niente.
Il problema è questo: la gente pensa di poterti capire, ma in realtà continua a non capire niente. Capiscono tutti sempre soltanto ciò che vogliono e interpretano le cose a loro piacimento.
E io continuo ad affondare, perché ad ogni loro "Non pensare a queste cose", "Non fare quello", "Non stare male per queste cazzate" è una spinta in più verso il basso.
Questa volta io affogherò con i miei demoni, altroché.
Spero abbiate capito ciò che Hunter intende con quel racconto. :) A volte nella società tendiamo a diventare come gli altri, a seguire cattivi esempi, soltanto perché vogliamo essere accettati. Ma certe volte è meglio essere considerati strani e rimanere se stessi. Pensate sempre con la vostra testa.
Avrei dovuto aggiornare domenica, quindi il prossimo aggiornamento sicuramente sarà mercoledì. ❤️ Alla prossima.
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