Chapter 8\ "Non che mi stia lamentando di avere una ragazza nel letto ma... "
Rassicurata Caro, il pomeriggio mi posso presentare, come d'accordo, col cuore leggero, alle ripetizioni da Noemi. Apre la porta, tutta sorridente. <<Ciao! Entra pure! Saluto una mia amica e arrivo>>.
Percorro il corridoio fino alla cucina e mi siedo, in attesa. Sento le due ragazze darsi appuntamento per il fine settimana, per una partita. Incuriosita, quando Noemi entra nella stanza, le chiedo a quale sport si riferissero: Giada gioca nella squadra Milanese di pallamano femminile.
E' un colpo dritto al cuore. Il mio sport, la mia squadra, le fatiche, le vittorie, Melissa... Luca... la mia vecchia vita mi passa davanti, come un flashback dolorosissimo.
Il mio viso deve aver lasciato trasparire il mio shock, tanto che Noemi non sa cosa dire: non immaginava certo che una comunicazione così banale potesse lasciarmi attonita a quel modo. <<Marcooo!>> la sento chiamare a gran voce, ma sono ancora troppo intontita per realizzare a quale Marco si stia riferendo.
Compare sulla soglia una testa capellona, pochi secondi dopo. <<Che hai da urlare?>> chiede infastidito suo fratello, rivolto a lei. <<Mi farai venire un colpo!>>.
Quando si volta verso di me e nota la mia espressione, però, cambia tono e, sempre parlando alla sorella, le domanda, preoccupato <<da quanto è così?>> come io non fossi presente.
Noemi tentenna, ma visto che io non accenno a parlare, risponde <<da quando le ho detto di Giada. Della partita>>.
Marco aggrotta la fronte e viene verso di me e intima, severo <<alzati e seguimi>>.
Come se mi avessero schiaffeggiato, mi riprendo e lo ammonisco <<non mi dare ordini>>.
<<Ma smettila>> esclama allora lui, alzandomi di peso e conducendomi in fondo al corridoio, lasciando Noemi sola, stranita dalla situazione. Cerco di voltarmi per scusarmi con lei, ma Marco me lo impedisce ed io non ritento, quando vedo dove mi sta portando.
<<Con mia sorella lavorerai dopo. Adesso hai bisogno di questo>> mormora, aprendo la porta della sua camera e indicandomi il pianoforte posto sotto la finestra. Non accenno a muovermi – mica quello era il suo territorio, off limits? – e quindi lui mi prende per mano e mi fa accomodare sullo sgabello. Sono in uno stato di trance, mentre lui porta le mani sulle mie e mi accompagna nel suono.
All'inizio facciamo un gran casino, ma poi troviamo un ritmo e la melodia si diffonde nella stanza. Il preludio di Chopin rompe e riempie il silenzio, ed il mio cuore. Una lacrima minaccia di dare il via ad altre mille, ma io, questa volta, non la fermo. Come se fossi sola con me stessa, la musica e il mare di emozioni che ho dentro e che stanno venendo a galla, mi lascio andare totalmente. Piango a occhi chiusi, senza far rumore, fino a che Marco toglie le mani dalle mie: ritorno in me solo in quel momento.
Smetto di suonare, apro gli occhi e un imbarazzo enorme mi assale.
<<Me ne vado, se preferisci>>.
<<Sì, preferirei. Ma...>> sussurro piano, asciugandomi le ultime lacrime salate, che ancora rigano il mio viso. <<Me ne vado io. Questa è la tua camera...>>.
<<Se hai paura che io possa sfotterti per quello che è appena successo, puoi stare tranquilla. Questa volta non lo farò>>.
Grazie tante, sarebbe una novità. Ma il suo tono è sincero, lo percepisco. <<Non ti chiederò nemmeno di spiegarmi ciò che ti è preso...>>.
Ah, muore dalla curiosità! <<Ma ho compreso che è una cosa grossa, che solo Chopin poteva curare... sapevo fossi in grado di suonarlo>>.
<<Già... adoro quel brano>> ammetto.
<<Lo immaginavo. Così melenso...>>.
Adesso riconosco il familiare tono di derisione nella sua voce: mai abbassare la guardia. Sbuffo e mi allontano, ma poi ci ripenso.
<<Marco, a che gioco stai giocando?>>.
Preso in contropiede, quasi non sa come ribattere. Quasi. Sorride beffardo. <<A me non piace giocare>>.
<<Sì? Nemmeno a me>> continuo in tono autoritario, alzando il dito indice verso di lui.<<Soprattutto con i sentimenti delle persone. Carolina era incazzata nera e mi ha detto delle cose orrende stamattina e io non ti permetto...>>.
M' interrompe, alzandosi e avvicinandosi a me, minaccioso. <<Che ti ha detto?>>.
Sembra essersi adirato. Incredibile come, di colpo, riesce a far vacillare la mia sicurezza. <<Non ti riguarda. Però... ha lanciato accuse insensate. Cercate di evitare le incomprensioni e soprattutto le incomprensioni che hanno a che fare con me>>.
Alzo il tono di voce sull'ultima parola, per darle rilievo. Marco fa spallucce e si appoggia al muro con le braccia conserte. Di nuovo quella postura... dal mio sguardo giudicante capisce che lo sto pensando e, irritato, abbassa veloce le braccia, facendole cadere lungo il corpo, in una posizione forzata, innaturale. Ma pur di non darmela vinta...
<<Anche se, comunque, non è affar tuo, cosa ti fa credere di essere così importante da diventare addirittura causa di problemi tra me e Carolina, scusa?>>.
<<No ma io...>> mi giustifico, prima di capire di essere caduta di nuovo nella sua trappola.
Lui ghigna sotto i baffi – che per fortuna non ha davvero – e mi ostacola il passaggio, mettendosi davanti a me. Io provo a superarlo a sinistra e lui si appoggia a sinistra, provo a destra e lui si appoggia a destra. Non è che perchè è riuscito a calmarmi, adesso, è più sopportabile: il suo comportamento è davvero fastidioso da morire. Non tento più di oltrepassarlo e, invece, torno indietro. Mi accomodo sul suo letto, senza nemmeno preoccuparmi di togliere le All Star, e mi volto su un fianco fingendo un sonno improvviso. Ho però timore che mi salti sopra o mi faccia qualche scherzo e, quando sento i suoi passi avvicinarsi, mi alzo a sedere, di scatto.
<<Ti fidi proprio di me, eh?>> afferma, accomodandosi ai piedi del letto, un po' dispiaciuto, ipotizzando già la risposta a quella domanda retorica.
<<Per niente>> ovviamente replico.
<<Sai>> ricomincia con il suo tono goliardico. <<Non che mi stia lamentando di avere una ragazza nel mio letto ma... ti leveresti di lì, per piacere?>>.
Solamente per dispetto mi metto più comoda, affondando la testa sul morbido e profumatissimo cuscino, stiracchiandomi in un – non tanto fasullo – sbadiglio. Marco sorride, complice di quella provocazione, e mi lascia, uscendo dalla porta.
Neanche mezzo secondo dopo crollo in un sonno profondo: piangere mi debilita. Apro un occhio con fatica molto tempo dopo, sentendo un'imprecazione giungere dalla cucina. Sono coperta – chi mi ha coperto? – fino ai piedi, senza scarpe. Chi mi ha tolto le scarpe?! Grazie a cielo non ho i calzini spaiati, come mio solito, oppure – orrore degli orrori – bucati.
Avverto dei passi avvicinarsi e fingo di dormire ancora. E' Marco. Percepisco il fruscìo della sua felpa mentre la indossa. Sento la sua vicinanza e dopo poco un tocco lieve... sulla testa. Mi volto e lo osservo.
<<Buongiorno bella addormentata>> dice lui educatamente, ritraendo in fretta la mano.
<<Ciao>> biascico. <<Quanto ho dormito?>>.
<<Parecchio...>>.
Sono in piedi in un secondo. <<Cosa significa parecchio?>> domando allarmata.
<<Circa due ore. Sono quasi le otto>>.
<<Davvero?>>. I miei mi uccideranno.
<<Non preoccuparti, se stai pensando ai tuoi... li ho avvertiti che sei qui da noi>>.
Ma come fa, legge nel pensiero?
<<E ho anche detto a mia mamma della tua assurda cosa lì... di esser vegana. Si domandava infatti, poveretta, come mai l'altra volta hai mangiato solo verdura. Credeva stessi facendo una stupida dieta. Questa sera preparerà una cena evitando ogni derivato animale... chissà che bontà... quasi vado al ristorante>> sghignazza, portandosi la mano alla bocca, come per trattenere un conato di vomito.
Mi sfotte, ma mi invita a cena e, anzi, la fa preparare appositamente per me. Quanto è complicato questo ragazzo? Giuro, è incomprensibile. Cambia di nuovo espressione, e tono di voce. Parrebbe oltremodo irritato. <<Ah e... quando cercavo il numero dei tuoi sul tuo coso che ti causerà la morte... ho letto un messaggio, per... per sbaglio>>.
Omettendo la definizione dispregiativa per il mio cellulare, adesso mi sente per aver violato la mia privacy. Inizio calma. <<Marco...>>
No, non riesco a trattenermi.<<Come cazzo ti sei permesso di leggere le mie cose?!>>.
Lui si difende prontamente. <<Sullo schermo di quel dannato aggeggio compare una parte del messaggio, quando arriva, ho scoperto, mio malgrado. Lo avevo proprio accanto quando è arrivato questo SMS: era corto, perciò l'ho letto tutto>>.
E' rammaricato? No. Sembra... adirato. Lui ha letto un messaggio privato – non conta la modalità, ma il fatto in sè – e LUI è arrabbiato? Aspetta... <<Chi era il mittente?>>. Voglio provare a capire...
<<Tieni>> quasi mi lancia l'iPhone addosso. <<Leggi tu stessa>>.
Ale. "Voglio baciarti ancora". Santo cielo... è questo il messaggio a cui si riferisce Marco? Temo proprio di sì. Arrossisco e mi schiarisco la voce. Lui è ancora seduto nello stesso punto, aspettando spiegazioni. Ma poi di cosa mi dovrei giustificare? <<Okay, hai letto. Quindi? Ora mi farai la paternale sul fatto di non poter baciare un tuo amico?>>.
<<Ti pare? Puoi fare quel che vuoi>>.
Il suo comportamento non è però coerente con le sue parole.
<<Non lo abbiamo nemmeno fatto di nascosto... ma alla luce del sole>>.
Adesso Marco è chiaramente interessato e si massaggia lentamente la mascella, fingendo di non esserlo.
<<Ieri sera, Marco. E' successo ieri sera. Alla festa>>.
<<Ecco perchè stavate tutti rannicchiati sotto la coperta>> afferma pacatamente, facendo vagare lo sguardo oltre il mio.
<<Infatti. Vuoi anche i dettagli o ti è sufficiente?>>.
Il mio tono antipatico lo scoraggia – era di nuovo pronto allo scontro, lo so – e, con un gesto della mano, fa intendere di lasciar correre. Ma ho l'impressione che invece la cosa non lo lasci poi cosi indifferente. Il motivo non mi è davvero noto.
Il mio stomaco brontola e mi accorgo di avere molta fame. Per fortuna Marco pronuncia queste meravigliose parole <<la cena disgustosamente vegana dovrebbe essere pronta>>. Disgustosamente per te, caro seguace di Gasset, filosofo e saggista spagnolo, che preferisci giudicare, invece di riflettere, dato che per lui la gente – e ogni tanto, stranamente, anche Marco può far parte della massa – lo ritiene considerevolmente laborioso.
<<Ti aspettiamo di là, pronti alla conversione>> conclude con stile, posando l'ascia di guerra.
Nadia si è davvero impegnata, ha cucinato piatti vegetali semplici ma non scontati e io divoro tutto in un baleno. <<Wow, Anna... non ti ho mai vista mangiare così!>> esclama infatti lei, con soddisfazione.
<<E' tutto squisito, davvero... Grazie infinite>>.
Al mio "squisito" Marco finge di tossire: che impertinente. Intanto il suo piatto, come quello dei fratelli, è vuoto. Terminata la cena provo a sgattaiolare via, ma vengo di nuovo rapita per una, che diventano due, poi tre, poi venti, partita a carte.
Mi diverto molto e quando è davvero ora di rincasare riesco ad evitare passaggi compromettenti chiedendo a mia madre Agata di venirmi a prendere. Saluto tutti e Marco, sulla soglia, mi fa una strana richiesta. <<Domani verso le quattro se non hai impegni devi venire in un posto con me. E Noemi>>.
Intuendo che la formulazione della frase non era del tutto corretta per me, sostituisce il verbo devi con il suo corrispondente al condizionale dovresti. Gli rispondo allora affermativamente con un sorriso, rassicurata dalla presenza della sorella.
<<A domani>>.
Il giorno dopo, a scuola, la situazione è tornata alla normalità. La presenza dei professori è garantita per tutte le ore e anche il freddo e la neve sembrano diminuire. Jake e Milena si scambiano furtivamente brevi effusioni durante il filmato che la prof. di Filosofia prova a farci seguire con scarso successo, mentre, tra una pausa bacio e l'altra, riesco a parlar loro di Ale, di Caro – che oggi è assente – e di Marco. Entrambi concordano sul fatto che dovrei concentrarmi solo su ciò che mi fa stare bene... su chi mi fa stare bene: ovvero Ale. Quindi perchè sono molto più curiosa dell'appuntamento nel pomeriggio con i fratelli Amodio, che di quello con un ragazzo dolcissimo, che bacia divinamente, di stasera?
La risposta a questa domanda diventa semplice quando, qualche ora dopo, sono in auto con Nadia e i suoi figli diretti, scopro pochi minuti più tardi, alla partita di Giada, l'amica di Noemi.
Bello scherzetto... come ho fatto a non pensarci prima?
Il palazzetto dove si svolge la partita non è distante da Cernusco ed è gremito di gente: pare un evento importante. <<Allora, sorpresa?>> mi domanda con un sorrisino complice Noemi.
Il mio sguardo va a Marco, che ammicca. <<Per niente. So, oramai, che tuo fratello è capace di tutto>>.
Il mio tono è più sprezzante di quanto vorrei. Noemi storce il naso. <<Capisco che Marco sia davvero insopportabile in certe occasioni, ma questa volta mi sembra abbia fatto una cosa carina>>.
Trovo adorabile che lo difenda, questa ragazzina sa il fatto suo.
<<Hai ragione, scusa>> ammetto, sorridendole. <<E' che sa essere davvero molto ma molto irritante>>.
Questa frase la pronuncio ad alta voce apposta, così che possa giungere anche al delicato apparato uditivo di Marco, che non è affatto abituato ai cori da stadio. In effetti, ora che ci penso, anche alle partite di Giò viene raramente: deve costargli fatica essere qui. Ma allora perchè...
Vengo distratta dai miei pensieri dall'annuncio delle squadre partecipanti al torneo. Ah, accipicchia, è un torneo! E la squadra ospite è anche una delle più forti! L'anno scorso il Cassano, la maschile, ha vinto le Nazionali! Sono eccitatissima, non riesco a stare ferma e comincio ad invidiare le giocatrici. Hanno un attacco formidabile, mentre la difesa lascia parecchio a desiderare... infatti, presto, si ritrovano in clamoroso svantaggio. Sono completamente rapita dai passaggi, dalle azioni, dalle tecniche di gioco che conosco così bene... mi alzo e grido <<allora con quella palla! Vai dall'esterno! Forza! Oh no, un free – throw... Difens, difens!>>.
Nadia si sorprende della mia intraprendenza e la apprezza. Mi affianca, ripetendo ciò che dico io, ma con più enfasi. Noemi si vergogna un po' e tiene lo sguardo basso, Claudio, dal canto suo, avverte che se non la smettiamo se ne va e Marco ci osserva stranito, prendendoci in giro. A me non importa: mi sento come non mi sentivo da mesi, anche se essere in campo sarebbe stata tutt'altra storia. Perchè non mi decido a ritornare a giocare? Che cosa mi blocca?
La squadra di Giada perde, con grande dispiacere generale. Lei ci raggiunge a fine partita e sembra parecchio demoralizzata. <<Avremmo potuto scontrarci con Conversano, e fargliela vedere, a quelle pappe molli. E invece...>> dice, affranta.
<<Dai, hai fatto un goal in throw-in niente male!>> esclamo, mettendole una mano sulla spalla, per confortarla. Lei mi guarda confusa e prova a parlare, quando Marco si intromette.
<<Se ti stai chiedendo come fa questa tizia a conoscere i termini tecnici, sappi che giocava anche lei. Anzi, vuole proprio chiederti in che squadra potrebbe essere inserita>>.
Lo fulmino con lo sguardo. <<Ma che ne sai?!>>.
Gli mollo un pizzicotto, con la stessa mano che prima carezzava delicata Giada, mentre i miei occhi sono diventati due fessure e non smettono di fissarlo in cagnesco. Mi ricompongo, dopo un momento durato più a lungo del normale, notando le facce terrorizzate dei presenti.
<<So fare da me, grazie>> annuisco, e, per confermare la mia determinazione, mi avvicino all'allenatore che si occupa, mi viene detto, anche delle squadre under 16 e under 18: posso andare all'allenamento della settimana seguente. Quasi salto dalla gioia!
Ma evito di lasciarlo intendere a Marco. Mi confido, invece, con Noemi e Nadia – Claudio aveva un appuntamento galante ed è evaporato – che si stringono attorno a me, felici. <<Se mai dovessi tornare a giocare, troverò il tempo anche per le ripetizioni>> le tranquillizzo in auto.
Marco, che ora è seduto davanti dal lato passeggero, si volta e mi fa una linguaccia. Maledetto... lo aveva fatto apposta. Posso però odiarlo per questo? O dovrei... ringraziarlo? Torno a casa "giusto in tempo per rendermi presentabile per l'appuntamento con Ale" penso, dando una rapida occhiata all'orologio digitale del cellulare, anche se, mi rendo conto appena l'auto di Nadia arriva in prossimità di casa mia, lui è già lì in attesa: in anticipo! <<Porca...>> impreco sottovoce, mentre saluto e ringrazio frettolosamente la famiglia Amodio per il pomeriggio e mi dirigo con un largo sorriso da lui, ignorando lo sguardo afflitto di Marco.
<<Scusa! Sono in ritardo!>>.
<<Non ti preoccupare, sono io che sono arrivato prima>>.
Ci ritroviamo a scusarci a vicenda, uno di fronte all'altra, in piedi, davanti al portone, al freddo, come due cretini.
Ah, l'imbarazzo dei primi appuntamenti...
Gli propongo, mettendo fine a quel momento impacciato, di entrare un secondo in casa, che i miei non ci sono. A quell'annuncio, mi segue senza problemi. <<Paura del terzo grado, eh?>> scherzo, mentre saliamo le scale.
Lui non risponde, preso com'è a osservare la mia stanza.
<<Lo so, è in disordine... e... le pareti hanno un colore orribile!>> dico io per rompere il ghiaccio, e poi mi viene un'idea.
<<Aspetta qui>>.
Indico il letto. Lui si siede. Spengo la luce e un milione di piccole luci si accendono sul soffitto. <<Ale, dove sei?>> fingo di non trovarlo, nel buio della stanza, e lui mi prende la mano per guidarmi.
Mi ci siedo accanto e poi ci sdraiamo per guardare in su. <<Le ho messe qualche giorno fa. Mio padre deve aiutarmi a cambiare il colore della stanza, ma non ha mai tempo e così... ho trovato questo rimedio. Stelle e pianeti fluorescenti da attaccare al muro... Quando poi i nostri occhi si saranno abituati, sembra di stare davvero sotto le stelle...>>.
Ale non parla ancora, ma mi stringe forte la mano. Improvvisamente mi attira a sé, e mi bacia. <<Sei tu la stella che brilla di più>> sussurra piano, terminato il bacio.
Oh che romantico! Di cambiarmi e di uscire non se ne parla più.
<<Tanto, è come se già fossimo fuori... ma qui è più caldo e più comodo!>> annuncio, quando ci rendiamo conto che oramai l'orario di inizio del film che avevamo scelto di vedere al cinema, è passato. Lui è d'accordo e mi fa comprendere meglio tutto il suo appoggio a tale decisione stringendomi ancora di più. Solo quando i baci si fanno più appassionati realizzo che siamo soli, nel mio letto, praticamente uno sopra l'altro... piccolo inconveniente che non avevo valutato.
All'improvviso mi sento a disagio. Ale mi piace, ma certo non voglio andare "oltre": non così, non adesso e non vorrei lui pensasse che invece io sia pronta. M' irrigidisco e mi scanso, fingendo di dover andare in bagno. Davanti allo specchio del bagno fisso il mio riflesso: ho il viso arrossato e il mascara colato un po' dall'occhio sinistro. Ma sto bene.
<<Sto bene, porca miseria, che mi prende? Lui non si approfitterà della situazione, lo so>> mormoro, nervosa, al mio riflesso, mentre prendo il beauty case per sistemarmi il trucco.
Quando torno in camera posso smettere di preoccuparmi, poichè il pericolo è scampato. L'attimo è passato, la magia del momento è finita: Ale ha acceso la luce e sta sfogliando il libro che ho sul comodino.
<<"L'amore non è mai una cosa semplice">> legge il titolo ad alta voce, con una nota ironica.
<<Sì, sono una ragazza romantica che legge storie romantiche>> ammetto, risentita, non sapendo bene come interpretare la situazione. <<E' un problema?>>.
<<Nient' affatto>> risponde con sincerità. Mi tira delicatamente verso di sè. <<Ma la tua vita reale al momento è meglio di un libro>>.
Eccome, se lo è. Che stupida sono stata poco fa. Non riesco mai a godermi ciò che mi sta accadendo perchè la mia mente non mi dà mai tregua. Ora basta, cervello, spegniti!
E, per le due ore successive, non faccio altro che applicarmi nel mio nuovo passatempo preferito: rendere la mia vita romantica come un libro.
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