Chapter 7\"Vorrei che questa sensazione durasse per sempre"...
Il mio pigiama, il mio camino e il mio libro li ho scordati in fretta. Dopo la cena, eccellente e di mio gusto, devo ammettere – e non è così scontato – stiamo giocando a Monopoli. Neanche ricordo l'ultima volta che ho tenuto in mano i soldi finti del gioco e ho tremato per accaparrarmi l'ambita posizione nel Parco della Vittoria. Poi è il turno di forza quattro, dove io sono maestra, e infatti li batto uno per uno dopo pochi minuti.
Quando Nadia propone le carte da gioco classiche, finalmente l'attenzione di Marco viene stuzzicata. Cominciavo a non sopportare più il modo in cui faceva penzolare la gamba destra, mentre leggeva un libro che doveva essere interessantissimo, dato che non si distraeva nemmeno con le esclamazioni di vittoria di sua sorella e le battute spinte di suo fratello. Chiude il libro, prende le carte e si degna di sedersi al tavolo con noi, onorandoci della sua presenza. Decide pure il gioco, che è scopa, con la variante di scopone scientifico, e si rivela un degno avversario, mannaggia: perdo clamorosamente tutte e cinque le partite.
Do una rapida occhiata all'orologio da parete sopra di me e mi rendo conto essere già le dieci e mezza. Con dispiacere, mi congedo, con la promessa di tornare presto.
Noemi mi accompagna alla porta. <<Grazie, era un secolo che non ci divertivamo così. E che anche Marco giocasse! Sì, okay, ammetto che a volte quando vogliamo giocare a carte non lo coinvolgiamo, perchè altrimenti vince sempre lui, però è strano che abbia voluto partecipare, oggi. Abbiamo passato una bella festa della donna, dai!>>.
E' davvero entusiasta. Con una mamma sempre impegnata, come mi pare di aver capito fosse la sua, e due fratelli maggiori, probabilmente Noemi ha bisogno di un'amicizia femminile.
<<Anche io mi sono divertita>> le comunico, quindi, sincera.
<<Questi sono per oggi. Potresti venire anche domani?>>.
Mi porge venti euro, speranzosa.
<<Domani no. Ma venerdì sì>>.
<<D'accordo, ho danza, ma alle cinque sono a casa. Ti andrebbe bene?>>.
<<Perfetto. Buonanotte Noemi>>.
Sto per aprire la maniglia della porta blindata per uscire, che una mano mi trattiene, impedendomi di fare un solo passo. <<Non ho un altro casco, ma puoi mettere il mio>>. Cosa?
<<Mi spiace>> sento urlare Claudio dalla sala. <<La macchina è dal meccanico!>>.
Nadia raggiunge il figlio, assicurandosi che mi offra il suo aiuto.
<<Non ho bisogno un passaggio, ce la faccio...>> provo a rispondere, ma Marco non mi fa finire, si mette il casco sotto il braccio e con l'altro mi trascina fuori. <<Allora, se non vuoi indossare il mio casco, cavoli tuoi. Congelerai e sarai in pericolo. Per non parlare della multa se ci sgamano>>.
<<Esattamente il modo migliore per convincere una ragazza della sincerità delle tue intenzioni benevole, le minacce>> esclamo, prendendo il benedetto casco e iniziando a scendere le scale. In effetti, barcollo su quei tacchi, con il buio, il freddo... un passaggio a casa è proprio ciò che mi serve.
Camminiamo in silenzio fino ai garage. Eccola, la moto da enduro di Marco. Lui sale e mi porge la mano. Sapendo di farlo innervosire non la afferro e salgo dietro di lui, non potendo fare a meno di aggrapparmi al suo fianco: è più alta delle moto tradizionali. Mi sistemo bene, metto il casco guardandolo con aria di sfida e mi appoggio alla sua schiena. Sbuffando, ancora, accende la moto e parte piano, ma accelera subito e dopo cinque minuti siamo già davanti a casa mia.
Scendo faticosamente e questa volta prendo la sua mano per aiutarmi a trovare la stabilità sui tacchi: ne avrei avuto per mesi, se fossi caduta proprio adesso. <<Grazie>> dico seccamente, sfilandomi il casco e mettendoglielo sulla testa.
<<Figurati>> risponde lui, con una gentilezza che stento a credere sia reale.
E poi la magia accade:comincia a nevicare proprio in quel momento. Lievi fiocchi scendono lenti e il potere magico della neve mi rapisce a tal punto che scordo di trovarmi con lui. Alzo gli occhi al cielo e, senza rendermene conto, apro la bocca, in attesa che qualche fiocco atterri proprio lì, per catturarne il sapore.
Una risata mi distrae: Marco è piegato in due dal ridere. <<Ma che stai facendo? Mangi la neve?>>.
<<Ecco, mi hai rovinato il momento!>>.
Batto i piedi a terra dalla rabbia. Lui prende a ridere più forte. <<Sei proprio una bambina, Anna>>.
Vorrei sferrargli uno di quei pugni che lo farebbero definitivamente tacere, quando lui, abbassando gli occhi, aggiunge, con un fil di voce <<e questo di te è assolutamente adorabile>>.
Sono confusa, ma sono più arrabbiata che confusa, o forse sono arrabbiata per essere confusa. Non lo so, questo ragazzo mi manda ai matti.
Non so che rispondere, così non dico niente, mi volto ed entro in casa, sbattendo la porta. Se qualcuno mi avesse domandato il mio stato d'animo al momento non avrei saputo definirlo. Non volevo definirlo.
Mi butto sul letto e così, vestita di tutto punto e ancora truccata, mi abbandono al sonno.
<<Stai meglio oggi?>> chiedo preoccupata a Carolina, appena l'indomani entro in classe.
<<Sì>> risponde affranta, giochicchiando con l'elastico della felpa fluo.
<<E dai, non preoccuparti per ieri sera>> la rassicuro, con un leggero buffetto sulla guancia. Che non ha l'effetto desiderato.
<<No, lo so che tu tanto non ci volevi venire!>>.
Mica mi metterà giù il muso, ora, vero? <<Dai, recupereremo. Già stasera c'è il compleanno di Sandro. Festa al "covo", giusto?>>.
Dani compare sulla soglia della porta dell'aula e, sentendoci discutere della festa che si svolgerà la sera, ci fa l'occhiolino e mima <<non mancate!>> con le labbra. Per nulla al mondo!
<<Passo io a prendere al Pick and Pay il regalo che abbiamo ordinato, poi vengo>> avverto Caro, che ha ancora il broncio.
E la bambina sarei io?
Smette di nevicare poco prima delle sei e, quando provo ad accendere lo scooter, mi rendo conto che non parte. Maledetto!
I miei non ci sono, allora chiamo Giò, che però non risponde: è agli allenamenti, ricordo. Ale e Dani saranno già alla depandance, Carolina verrà con Marco e Sandro per ovvi motivi non può certo accompagnarmi a recuperare il suo regalo.
Uffa, chi chiamo?
Decido di tentare la sorte, mandando un messaggio alla chat di WhatsApp di gruppo, dove sono presenti tutti i miei amici, con la speranza che qualcuno di loro mi risponderà. Dopo un paio di minuti il segnale di un messaggio in entrata mi conferma che ogni tanto la fortuna gira anche per me: il mio taxi – che non si è identificato – arriverà tra dieci minuti. Rientro in casa per non morire assiderata e scrivo un messaggio sulla lavagna mignon della cucina per i miei, avvertendoli che non andrò in motorino e che è il caso di chiamare qualcuno per ripararlo, quando sento il rombo familiare di una moto.
Mi affaccio dalla finestra della cucina e vedo molti capelli che escono dal casco: Marco. Mi innervosisco all'istante. Almeno si è fatto prestare il casco di riserva da Giò, osservo compiaciuta.
<<Milady>> mi sfotte, quando lo raggiungo, aprendo il braccio destro avanti a sé e azzardando pure un inchino. <<Al suo servizio!>> .
Impreco sottovoce, ma abbastanza perchè lui mi senta, e salgo sulla moto dietro di lui. <<Come mai ho l'onore? Nemmeno so come hai fatto ad avere il messaggio, dato che non possiedi ciò che oramai quasi tutta la popolazione mondiale ha e che le serve per comunicare>>.
<<Intendi quel coso che emana onde magnetiche mortali?>>.
<<Non è stato ancora dimostrato! I cellulari servono!>>.
Trenta secondi con lui e già sento la bile che aumenta.
<<Ero con Dani al "covo" per sistemare le cose della festa, e uno di quei cosi ha cominciato a lampeggiare come un albero di Natale quando è arrivato il tuo disperato messaggio di aiuto. Nessuno poteva venire, e così eccomi qui. Adesso invece di rompere come tuo solito, dovresti piuttosto ringraziarmi e deciderti a mettere il casco>>.
<<A proposito, com'è che ce l'hai tu?>> chiedo incuriosita.
<<L'ho preso a Giò prima di venire da te>>.
Ragiono un secondo. <<Cioè... eri al "covo", poi sei andato da Giò e poi sei venuto da me?>>.
<<Sai anche comporre un pensiero temporale corretto, pazzesco...>>.
Okay, ne ho abbastanza. <<Lascia stare>> quasi grido, scendendo con un balzo dalla sella. <<Vado a piedi>>.
Il mio cavaliere che certo cortese non è, mi blocca sollevando nuovamente il braccio, concendo un <<dai, va bene. Tregua>>.
Sono indecisa se concedergliela o no, anche perchè la sua mano sul fianco mi confonde un po'. Ma che cavolo?
Deglutisco piano, cercando di riprendere a respirare normalmente, aggiudicando <<tregua>>.
Alzo una mano, per suggellare il patto e, quando lui sposta la sua dal mio fianco, per stringerla, un milione di scosse elettriche mi attraversano il corpo, come la prima volta che accadde. E' calda, morbida e il suo tocco è deciso, ma dolce.
Scuoto la testa e ritraggo in fretta la mano, sorpresa da quella reazione. Cerco di non darci importanza e di vedere il lato pratico della situazione. <<Il punto di ritiro chiuderà se non ci muoviamo>> affermo, sbrigativa.
Partiamo veloci, lasciando al vento i nostri pensieri.
Quando arriviamo al "covo", dopo aver preso il regalo, l'atmosfera è già da festa. In sottofondo gli Evanescence, che io adoro, stanno suonando "Call me when you're sober" e Ale e Dani scherzano sul testo, urlando <<e allora aspetta che io ti chiami quando sarò sobrio, aspetta e spera!>>.
Ridono di gusto, fino a quando irrompe nella sala Carolina e cala il silenzio: è furente. Provo ad avvicinarmi, ma lei mi respinge. <<Caro! Ma cosa c'è?>>.
Mi rivolge uno sguardo minaccioso, poi la sua attenzione va a Marco. <<Vieni fuori un attimo, per favore?>>.
Quel "per favore" stona decisamente con il suo tono severo, e la sua frase ha tutta l'aria di un ordine, non di un invito gentile. Marco, che so persino io quanto detesti i toni autoritari, questa volta non fiata e la segue subito fuori.
<<Ragazzi, lasciamo che se la risolvino tra loro... qualsiasi cosa sia>> consiglia Ale, che intanto si alza dal divano per avvicinarsi a me.
La tensione è palpabile e, fino a quando non fanno ritorno, i toni restano pacati: persino la musica, che non è stata abbassata di volume, sembra riempire meno il silenzio, con pezzi più melodici e meno ritmati.
Sta per iniziare "Going Under" – discografia completa del gruppo statunitense, stasera, noto – quando rientrano i due piccioncini, che di romantico non hanno, però, proprio nulla: a malapena si sfiorano sedendosi accanto, senza guardarsi nè parlare. Carolina mima con la bocca, verso di me <<ti dico dopo>> e mi rilasso un po': per un momento ho pensato ce l'avesse con me.
La festa, dopo questo amaro sipario, decolla e Sandro, quando entra bendato, accompagnato da Giò, viene accolto con un grande boato e un fragoroso applauso. Arrossisce e esclama <<tanto lo sapevo, non me l'avete mica fatta!>> ma non ci crede nessuno: gliel'abbiamo fatta eccome.
Terminate le duecento canzoni degli Evanescence, il nostro deejay personale lascia il posto a Marco che, con mia grande sorpresa, stila una playlist notevole. Anche Ale – che stasera indossa una camicia color del mare e un profumo famoso, del quale ora mi sfugge il nome, che lo rendono ancora più interessante – intuisce tutti i titoli delle canzoni selezionate e fa a gara con me a chi ne riconosce di più nel minor tempo possibile. <<Guarda che, anni fa, al gioco finale di Sarabanda io le indovinavo tutte!>> lo avverto, sfidandolo: ci tengo a fare bella figura.
Siamo praticamente sdraiati sul divanetto in fondo alla sala, accanto alla TV – che chiamarla televisione è un eufemismo, dato che somiglia più ad uno schermo di proiezione di un cinema – lontani da occhi indiscreti, e si sta creando una certa complicità. Sarà che le sfide mi fanno circolare l'adrenalina in corpo, sarà che in corpo ho anche un po' di alcol, fatto sta che quando Ale inizia a farmi il solletico come punizione per una risposta errata e con una scusa prova a baciarmi, io non lo fermo. Anzi... Mi sposto leggermente per fargli spazio e consentirgli di abbracciarmi: fino a quell'istante non mi ero resa conto di quanto mi piacesse Alessandro. Le sue mani cercano le mie quando il bacio finisce. Mi rimetto a sedere cercando di ricompormi – la maglietta che ho scelto prima di uscire è davvero così sgualcita o si è spiegazzata nel frattempo? – provando una sorta di vergogna, non so bene perchè. E' stato solo un bacio... Ma voglio accertarmi che non ci abbiano visti gli altri.
Ale se ne accorge e mi lascia le mani, in imbarazzo, lanciando sguardi ai suoi amici. <<Scusami>> mi affretto a dire, riprendendogli la mano. <<E' che è stato improvviso... non ho avuto il tempo di elaborare...>>.
Perchè devo sempre analizzare tutto? <<No, figurati... neanche io pensavo di farlo... cioè... non che mi sia spiaciuto...>> sorride, malizioso, carezzandomi la guancia. << Ma non lo avevo previsto, ecco...eri... sei... così carina, Anna>>.
Carina? <<Sono carina>> ripeto, con una smorfia.
Adesso che significa carina?! Dal mio tono Ale capisce di dover recuperare... in fretta. <<Sì, cioè...>>.
Abbassa gli occhi, impacciato. <<Insomma, Anna... tu mi piaci. Mi piaci da un po' ma... non sapevo se farmi avanti e... prima... è stato più forte di me>>.
Adesso sì che come dichiarazione può andare. Mi rassereno e il panico che ho avuto poco prima si dissolve: nessuno si è accorto di nulla. La sensazione di sollievo a questa considerazione ancora mi impensierisce, ma decido di non farne un dramma. Devo ancora capire bene ciò che è successo, razionalizzare, appunto, come mio solito, ogni cosa e non sono pronta, quindi, a condividerlo con gli altri. Se da questo dovesse modificarsi il clima del gruppo, e addirittura comprometterne l'equilibrio, non me lo perdonerei mai.
Faccio spallucce, auto convincendomi della logicità della mia spiegazione, e mi dedico al cibo. Spilucco qualche patatina, ma so che non posso nascondere ancora per molto la mia scelta alimentare. Come temevo, la torta è già sul tavolo ed è composta da tre strati altissimi di panna soffice e invitante: ma non per me. Ho sempre finto di non avere appetito quando mi veniva proposto qualche "cadavere" o derivato come cibo, ma penso che ora sia il momento giusto per condividere la verità. Incredibilmente, per quanto riguarda questo argomento, sono convinta delle mie idee e sono pronta a difenderle.
Con fare solenne, attiro l'attenzione di tutti proponendo un brindisi. <<Sandro, a te e al tuo diciottesimo!>>.
Sette calici – di plastica e contenenti birra, mica siamo così sofisticati – si alzano al cielo tintinnando.
Mi trema la mano, quando riprendo la parola. <<E... a noi. Non vi ho detto quanto sono contenta di avervi conosciuto>>.
Giò mima di asciugarsi una lacrimuccia facendo ridere Dani e Sandro, ancora euforico per l'attenzione ricevuta prima, si sbilancia addirittura con un buffetto sul braccio. Carolina accenna un sorriso – devo riuscire presto a parlarle, è strana – Ale mi guarda con occhi adoranti e Marco finge disinteresse, versandosi da bere.
Consapevole di aver l'attenzione dei più, prendo il coraggio a due mani, e continuo, tentando di non far prevalere l'angoscia di un possibile rifiuto. <<So che pensate di conoscermi bene... ma c'è una cosa che non vi ho detto, e spero non me ne vogliate ma... almeno così non sarò costretta a rifilarvi scuse sul motivo per cui non potrò mai, e sottolineo mai, venire al Mc Donald's con voi... o...>>. Cerco Sandro con lo sguardo, giungendo le mani in segno di preghiera.<<Mangiare la tua torta di compleanno>>.
<<Cos'è, vuoi fare la modella?>> cantilena Giò, imitando una bambina, come in una famosa pubblicità di alcuni anni fa.
Tutti ridono, ma mi osservano incuriositi.
<<Seeeee>> dico io, agitando le braccia e palpandomi più volte la coscia. <<Ce ne vorrebbe qui!>>.
<<Ma smettila!>> mi sgrida teneramente Ale, dandomi affettuosamente un colpetto sul sedere.
<<Insomma?>> irrompe Marco, zittendo gli altri, che ancora ridacchiano, sospetto per la pacca sulla chiappa.
Il suo tono è inquisitorio e non mi piace per nulla. Mi vorrei rimangiare ciò che ho detto. Potrei cavarmela con una battuta. Con tutti i loro sguardi addosso la paura ha sostituito la voglia di fare outing.
Ritrovo il coraggio, e, tutto d'un fiato, esclamo <<sono vegana. Vegetariana, come mio padre, dalla nascita... ma vegana da due anni>>.
Silenzio. Questo mutismo generale non so bene come interpretarlo.
Un silenzio assenso, mi suggerisce timidamente la speranza?
Improvvisamente, una risata acuta arriva da dietro la porta dove, mi accorgo dopo un secondo, c'è Marco, che, durante il mio discorso, era andato in cucina a prendere le candeline. <<Vega che?>> ironizza, non contento, trovando pure una spalla in Giò, che commenta <<ecco perchè mi guardavi schifata prima mentre mangiavo le tartine al salmone!>>.
Per tagliare la testa al toro, decido di dargli corda. <<Veramente, Giò... ti guardavo schifata perchè avevi tutto il formaggio che ti colava dalla bocca come fosse bava>>.
Scateno l'ilarità generale, seguita da mille domande incuriosite e interessate sul veganesimo. Solo Carolina si tiene un po' in disparte, così, terminato l'interrogatorio, cerco di parlarle. <<Ma no, non è nulla... abbiamo solamente avuto un qui pro quo con Marco... a volte sa essere odioso>> si lamenta, torturandosi i palmi delle mani con le nocche, nervosa.
A volte? Eccolo che riparte... <<Quindi>> s'intromette il diretto interessato, anche fisicamente, tra me e lei, sedendosi in mezzo a noi. <<Vuoi dirmi che oltre alla carne non mangi tipo le uova...>>.
Ne ho parlato per mezz'ora, possibile che non ha inteso?
<<Sì>> gli rispondo, di malavoglia. <<Qualsiasi prodotto di origine animale>>.
<<Per scelta?>> insiste lui, con quel tono che chiama schiaffi.
<<Esatto. Ti serve un disegno?>> gli domando io, irritata.
<<Su, Amo, piantala>>.
E' Ale, che ci raggiunge. Sbaglio o mi ha chiamata amo? <<No ma ha cominciato lui!>> esclamo, confusa, ma decisa a difendermi.
Tutti e tre mi guardano perplessi. <<Veramente...>> balbetta Ale, a disagio. <<Dicevo a Amo... ehm... Marco... >>.
Ora sono io a non capire. Allora non stava chiamando amo me, come diminutivo di amore?
<<Amo, abbreviazione di Amodio, il mio cognome... che è lo stesso di Noemi... visto che siamo fratelli. Ricordi?>> mi sfotte Marco, perfettamente cosciente dell'enorme figura di palta che ho appena fatto. Istintivamente mi copro il viso con le mani, anche se non è proprio mia intenzione far capire il mio penoso stato d'animo al momento, nè far intendere il mio personale senso interpretativo dell'affermazione di Ale. Non so decidermi, comunque: sono contenta di aver capito male oppure no? Voglio che Ale mi chiami amore? Prima o poi, magari. Ma adesso... mi sembra decisamente precoce.
Per fortuna veniamo distratti dalla proposta di Dani a concludere la festa con uno dei loro film preferiti, che, a quanto pare, hanno visto insieme un centinaio di volte: Fast and Furious. Non è il mio genere preferito, ma chi non apprezza Vin Diesel in canottiera? E poi è una buona distrazione. Accetto di buon grado la proposta e sono la prima a piazzarmi accanto alla mega TV, proprio sul divano dove prima io e Ale... chissà che non possa ripresentarsi l'occasione? E, infatti, accantoniamo la figuraccia baciandoci per le successive due ore, durante la visione del film, riparandoci, con la scusa del freddo, sotto la coperta a quadrettoni ricamata dalle sapienti mani della nonna di Dani.
Finalmente mi sento bene, stretta tra le braccia di un ragazzo affettuoso e gentile come Ale... in compagnia di persone che mi hanno accettata... per come sono.
Vorrei che questa sensazione durasse per sempre.
E, invece, il tempo di dormire qualche ora che già è mattino.
Ho pregato in sei lingue – giuro, ho cercato le traduzioni su Google Translate – i miei per poter saltare la scuola, oggi, ma neanche la versione in Mandarino li ha convinti.
Fa freddissimo, le strade sono un disastro e c'è pure la possibilità che a scuola ci sia sciopero. Ma nulla, mi accompagna papà puntuale come un orologio svizzero e, nemmeno quando arriviamo a scuola e ci sono pochissime auto, cambia idea. Così mi ritrovo nell'atrio con altre tre ragazze ad attendere notizie sull'inizio o meno delle lezioni. Cerco di bloccare l'unico esemplare di professore nei paraggi quando con la coda dell'occhio scorgo Carolina arrivare. Lascio andare la mia preda e mi dirigo verso di lei, che, però, non mi accoglie affatto a braccia aperte: ha una faccia da paura. <<Caro, ma che succede?>>.
<<Non ho chiuso occhio, stanotte>>.
<<Ma ancora per la discussione con Marco?>>.
Come avessi pronunciato una bestemmia, Carolina esplode contro di me. <<Già, Marco! Parliamo un po' di lui! Com'è che ti sta sempre intorno?>>.
Alt, alt, alt, stop, fermi. A questo non sono preparata. Cosa? Marco intorno a chi?
Manifesto il mio sgomento, strabuzzando gli occhi e scuotendo energicamente la testa, ma lei continua, lanciando accuse. <<Sì, ti tratta male, ma parla sempre di te. Anna qui, Anna lì... so che sei stata a casa sua!>>
<<Sì>> ammetto, tranquillamente. Non ho nulla da nascondere. <<Per dare ripetizioni alla sorella! Mica per lui!>>.
<<Certo, come no. E io sono nata ieri>>.
Carolina si siede su una sedia a caso in corridoio, sfinita. Anche se sta iniziando a darmi sui nervi con la sua arroganza, mi fa anche tenerezza. Mi siedo accanto a lei, cercando di calmarla.
<<Dai, spiegami. Perchè mi dici queste cose?>>.
Lei, invece di rispondere, guarda dritto davanti a sè. Mi domanda, poi, seria <<ieri come ci sei venuta alla festa di Sandro?>> e io le confermo, perchè già lo sapeva <<mi ha accompagnata Marco. Il mio motorino non funzionava e dovevamo andare a prendere il regalo... Io ho chiesto, a tutti... un passaggio. Ma è venuto lui>>.
Sento davvero di dovermi giustificare per una scelta indipendente dalla mia volontà?
La rabbia di Carolina mi suggerisce di sì. Continua, apparentemente calma, quasi non mi avesse sentita <<e ti sei chiesta come mai è venuto proprio lui, dato che doveva invece, pochi minuti dopo, venire a prendere me? Almeno, se mi avesse avvisata...>>.
E come mai avrei dovuto chiedermelo, se neanche lo sapevo?
<<Non mi ha detto nulla. Io non ho chiesto>> semplifico. Sono mortificata e incredula. Perchè mai Marco si è comportato così?
Carolina quasi sentisse i miei pensieri, si volta e mi guarda. <<Anna, dimmi che non provi nulla per lui>>.
Posso dirlo? Ma certo. <<Sì, non provo nulla per lui>>.
Non cede, ha bisogno di essere rassicurata.
<<Caro>> aggiungo, quindi, fissandola dritta negli occhi e mettendomi una mano sul cuore, e l'altra sopra le sue, gelate. <<Tra me e Marco non c'è niente. Niente. Non so perchè ha fatto ciò che ha fatto, sinceramente... meno lo vedo e meglio sto. Te lo posso assicurare>>.
Poi, mandando all'aria la mia volontà di tenerlo per me, confesso <<e poi ieri... tra me e Ale...>>.
Subito lei, come attraversata da una scossa, si raddrizza sulla sedia, interessata. <<Sì? Ale?>>. chiede conferma.
Sì, Ale. Vedi Carolina che non ti devi preoccupare? Già... e allora come mai la spia rossa, che mi si è accesa nel cervello, indicante pericolo imminente, non si spegne?
Come previsto, le lezioni sono state cancellate e quindi le propongo una cioccolata calda al bar qui vicino, dove chiacchieriamo tutta la mattina di quanto mi piaccia Ale, tanto per scongiurare altri loschi pensieri.
Cavoli, Marco non è davvero il mio tipo!
Sarà vero?!
Continuate a leggere! ;-)
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