Chapter 5\ "Dobbiamo parlare"...

Quando ricordo ai miei genitori il viaggio dell'indomani, temo decidano di non farmi più andare. Li sento confabulare in cucina e poi riesco a distinguere solo la voce di papà che rassicura mamma: è fatta.

Metto le ultime cose nello zaino e esco dalla mia camera. Ho promesso ai miei che andrò a letto presto, ma prima voglio salutare velocemente i miei amici: per l'occasione sono venuti loro da me e adesso mi aspettano in salotto. <<A che ora parte il tuo treno?>> mi domanda Sandro non appena entro.

<<Alle sei. Infatti dovrò alzarmi all'alba>>. Fingo uno sbadiglio e mi accascio sulla poltrona, accanto a Giò.

<<Non verremo a salutarti perciò. Nemmeno morti>> annuncia Ale, alzando le mani, e sorride.

<<Però saremo qui quando tornerai>> aggiunge Dani.

<<Tornerò il 14 notte, Dani>> dico dolcemente.

Lui arrossisce e dice ancora <<va be, il 15 pomeriggio, dai>>.

<<Grazie, ragazzi>>.

Ed è un grazie sincero.

Il viaggio in treno è interminabile.

Ho con me tutta la discografia dei Green Day e di Beyonce, alternate a qualche brano di Katy Perry e Madonna, altrimenti sarei divorata dalla noia.

Arrivo a Gorizia con quasi mezz'ora di ritardo. Luca, lo vedo già da lontano, è sulla banchina con le braccia conserte, in attesa. Scendo e lui si alza. Mi viene incontro e mi sorride. Lo abbraccio e sento che mi è mancato: ultimamente ne dubitavo. <<Ci sei solo tu?>>.

Mi accorgo che il mio tono non è molto incoraggiante.

Mi correggo subito, sapendo quanto sia suscettibile a riguardo, bisbigliando <<no è che mi aspettavo anche Melissa...>>.

<<Non è riuscita a venire qui. Ma ci aspetta al bar, tra poco>>.

C'è qualcosa di strano... non saprei bene cosa, ma voglio vederci chiaro. Mi avvicino a lui e provo a baciarlo, ma indietreggia. Abbassa gli occhi e io mi sento morire. <<Luca?>> pronuncio con un filo di voce, indecisa se continuare la frase oppure no.

Finalmente mi guarda, e poi dice quelle due parole che non preannunciano mai niente di buono. <<Dobbiamo parlare>>.

Parliamo, eccome se parliamo.

Parliamo per ore, e, quando mi riprendo dallo shock, vorrei solo essere a casa. A Milano. Quella che solo poco tempo fa consideravo casa mia e che avevo così lontano, ora mi sembra così estranea e troppo vicina.

Mi sento soffocare.

Fa freddo nel bar, con tutti i viaggiatori che aprono continuamente la porta alle mie spalle, ma io ho così caldo da star male.

Osservo le persone che ho davanti e provo solo odio. Cercando con tutte le mie forze di non dar loro la soddisfazione di vedermi piangere, mi alzo, mi avvolgo piano la sciarpa viola attorno al collo, indosso la giacca a vento argento e esco, senza voltarmi dal bar e poi dalla stazione.

Nessuno prova nemmeno a seguirmi. Sento il mio nome pronunciato solamente una volta, e neanche troppo ad alto volume: quasi una supplica, più che un richiamo. Dove vado, adesso?

Senza accorgermene mi ritrovo nella via della palestra. E' chiusa a quest'ora, ma ricordo esserci anche un secondo ingresso, sul retro. Spingo forte e la porta si apre: c'è aria di casa. Per forza, ho passato un sacco di tempo qui dentro. Entro e mi dirigo sui materassini, posti in ordine in fondo al campo e mi ci rannicchio sopra. E lì piango. Piango fino a non avere più lacrime da versare. Appena mi riprendo, controllo dall'app di Trenitalia dell'iPhone i treni in partenza per tornare. Fingerò un malessere per giustificare il mio precoce rientro.

Ma come potrò fingere questo vuoto che sento dentro?

Sopraggiungono di nuovo le lacrime e mi addormento, sfinita.

Quando mi sveglio è pomeriggio, e la palestra aprirà tra solo un'ora: conosco bene gli orari del sabato, meglio uscire.

Il treno che avevo pensato di prendere è già partito e dovrò per forza attendere un altro paio d'ore. Tutto mi sembra così faticoso che il mio zaino pare pesare duecento chili e le mie gambe faticano a fare il loro lavoro... mi sento debole e tanto sola. Vorrei condividere ciò che è accaduto con qualcuno, ma prima ho bisogno di mangiare.

Torno alla stazione e compro un panino alle verdure e un caffè, nello stesso bar dove, solo poco tempo prima, ho avuto la conversazione più deprimente e orrenda della mia vita sino a oggi.

Mi faccio coraggio e compongo il numero di Carolina: risponde al primo squillo. <<Ciao Anna! Arrivata? Come stai? Dove sei?>>.

Ha la voce più squillante del solito e sghignazza. <<C-ciao Caro>>.

Cambia subito tono appena sente il mio. <<Hey, ma che succede? Non stai bene?>>.

<<No, no, sto bene... solo... solo... >>. Ecco, sto di nuovo piangendo. "Non adesso, non ora, Anna" mi rimprovero, leccando via una lacrima ribelle.

<<Non è andata come pensavo, io... tornerò prima. Verso le sette dovrei essere a casa. Così magari possiamo vederci e...>.

Carolina m' interrompe. <<Veramente... stasera non ci sono>>.

<<Ma è San Valentino...>>.

<<Appunto. Vedi, questa mattina è successa una cosa...>>.

Ride e aspetta che io le chieda di continuare. L'eccitazione prevale.

<<Ok, te lo dico, tanto vale... lo sapresti appena arriveresti. Io e Marco... beh...>>. Sospira e lascia cadere la frase.

Adesso la curiosità mi divora e la sprono, anche se non con l'entusiasmo con cui vorrei. Non sono entusiasta di niente, al momento.

<<Se proprio non puoi resistere... te lo dico. Marco questa mattina è venuto da me, era strano... mi ha chiesto se tra noi era cambiato qualcosa, se non lo vedevo più come un amico... io non sapevo proprio che rispondergli. Così... ho preso la palla al balzo, e... l'ho baciato!>>.

Quasi mi strozzo col caffè. <<Che hai fatto?!>>.

<<Hai sentito bene! E lui ha ricambiato il bacio! Oh, mi sembrava di volare!>>.

La felicità di Carolina è evidente e si scontra con la mia grande infelicità. Ma, nonostante quello, mi scappa un sorriso: è merito mio. Lo so. Per quella provocazione nella casa degli specchi. Ce l'ho fatta! Almeno loro sono felici. <<Caro, non sai quanto sia contenta per te... per voi! Quindi stasera uscite insieme?>>.

<<Sì!>>.

<<Cavoli, però... primo appuntamento a S.Valentino... impegnativo...>>.

La mia osservazione la sorprende. Mi sa che non ci aveva pensato. <<Ma sì, è un giorno come un altro!>> dice, più a se stessa che a me. Non voglio rovinarle questo momento con i miei problemi così la saluto in fretta.

Appoggio il telefono sul tavolino accanto a me e qualche secondo dopo mi arriva un suo messaggio. "Poi anche tu mi racconti che succede,eh! Su su, torna qui! Baci baci" e almeno quattro smile. Non mi sono sfogata, ma sto già meglio. Quando si provano certe emozioni, tutto il mondo viene messo fuori, e certo non ne avrei fatto una colpa a Carolina per aver posto davanti la sua gioia alla mia tristezza. Io avrei tanto voluto mettere da parte il dolore... Adesso ha pure cominciato a nevicare e la malinconia mi accompagna per tutto il viaggio, sulle note di "Ho messo via" di Ligabue, e praticamente tutte le altre canzoni melodiche da lui prodotte.

Quando arrivo a Milano Centrale vedo mio padre sulle scale. Penso che è l'unico uomo che non potrà mai deludermi, nè abbandonarmi. Lo stringo forte, e lui mi accoglie in un abbraccio dolcissimo. <<Non pensavo di esserti mancato così tanto, bimba mia. Credevo già di doverti venire a prendere a Gorizia, che non tornassi più>>.

Sciolgo l'abbraccio e lo guardo. <<Sai che le fughe d'amore non fanno per me>>.

Non era proprio vero, ma cerco di sdrammatizzare, anche perchè mi stanno tornando i singhiozzi. <<Oh, per fortuna. Quindi non dovrò venirti a recuperare ogni tre per due, vero?>>.

<<Assolutamente no. Non andrò più laggiù>>.

Se si sorprende per le mie parole, non lo dà a vedere. Mi prende lo zaino e mi cinge le spalle con il braccio, guidandomi verso l'uscita. Lo sento fare un respiro di sollievo. E adesso che sono di nuovo a casa, al sicuro... lo passerò con mio padre, il mio San Valentino. Che sfigata.

Chissà Carolina e Marco...

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