Chapter 25\"Perché non l'hai fatto, amore, perché?"
<<Ecco, ci mancava anche questa>> sbuffo, preoccupata.
<<Dai, Anna. Ha solo bevuto un po' troppo. Non volevamo disturbare la cantante all'opera>>.
Sento sghignazzare Milena dall'altoparlante del cellulare. <<Siamo già praticamente a casa. Sta' tranquilla. Goditi la serata... cioè... non in quel senso... oh, insomma, ciao>>. Chiude la telefonata, senza lasciarmi il tempo di rispondere.
<<Dove sono Jake e Milena?>>.
<<Ero talmente impegnata a duettare con Sam che non mi sono neanche accorta che Jake è stato male e sono andati via>> scuoto la testa, affranta.
<<Mi spiace. Probabilmente al quarto mojito qualcuno avrebbe dovuto fermarlo>> afferma, giustamente, Marco, finendo di posizionare l'asta del microfono ai lati del palco. Quel qualcuno sarebbe stato lui, se fosse stato di turno, sicuramente.
<<Già. Adesso mi tocca tornare da sola. Per fortuna che il mio drink pareva sprovvisto di alcol. Sai mica chi me l'ha preparato?>> domando allusiva.
<<No no, non ricordo...>>.
<<Comunque, se vuoi posso venire io con te. Recupererò la moto domattina>>.
Ding ding ding, allarme rosso: campanello di pericolo in azione.
Devo dirgli di no. Sono una ragazza – quasi – adulta adesso, posso benissimo tornare a casa di notte da sola. Sì, ehm... in fondo alla via si girava a destra o a sinistra?
<<D'accordo, mi farai da navigatore umano>> esclamo, prima di pentirmene.
<<Mi sento sfruttato, così! Ma va bene, dai. Prendo la mia roba e arrivo>> annuncia, sparendo dietro il bancone.
Mi porto le mani al viso, cercando di restare calma. Lo avrei accompagnato a casa e salutato, una volta per tutte.
Sì, sarebbe andata proprio così.
<<A destra! Oh mamma... dare un'auto così a te è un oltraggio>> urla il mio accompagnatore a lato passeggero, rassegnato.
<<Te l'ho detto che mi confondo con la guida all'inverso inglese!>> mi giustifico, arrabbiata.
<<Se se, tutte scuse. E il povero vecchietto di prima? Sono al contrario anche i pedoni, in Inghilterra?!>> domanda sarcastico.
<<Oh, sei tremendo! Non vedo l'ora che quelle tue belle chiappe si alzino dal sedile!>>.
<<Quindi trovi io abbia delle belle chiappe?>>.
Alzo gli occhi al cielo, sospirando. <<Finalmente siamo quasi arrivati. Prima di portarti a casa però, faccio un salto alla mia di casa, per recuperare finalmente la tua felpa... hai presente quella nera con la scritta "Yes! But... Not With You" che mi avevi prestato secoli fa?>>.
<<Quella che mi hai fregato secoli fa, vuoi dire. Ecco dov'era>>.
Si volta e mi osserva, con aria di rimprovero.
<<E' inutile che mi guardi così, era comoda e stava più bene a me che a te, comunque>> mi difendo.
<<Ecco. Puoi aspettarmi qui...>> propongo cautelativamente, parcheggiando di fronte a casa mia, prima di notare che Marco è già sceso dall'auto.
<<Oppure no>> sospiro, scuotendo la testa.
<<Dai, ok, vieni, ma non dobbiamo svegliare i miei>> gli ricordo, raggiungendolo in fretta.
<<Siamo più abili di ladri professionisti in quello, mi pare. Anni di pratica>> ammicca, sorridendo.
Sbuffo ma sorrido anch'io: è innegabile. In silenzio avanziamo verso la mia camera. <<Tu però non puoi entrare... c'è... casino. Sì, molto casino. La prendo io e te la porto. Aspetta qui>> affermo risoluta, pensando che la prudenza non è mai troppa. Mai e poi mai mi sarei fatta tentare dalla presenza di Marco nella mia stanza. Già era in casa mia, e non era previsto. Ci mancava anche che oltrepassasse la soglia proibita: assolutamente no.
Lui annuisce troppo velocemente e io mi metto altrettanto rapidamente alla ricerca della felpa perduta. La trovo in un cassetto dimenticato da Dio in fondo all'anta dell'armadio a muro.
Esco in un baleno vittoriosa dalla camera, ma di lui nessuna traccia.
Lo cerco in salotto, in cucina, controllo in bagno... ma dove si è cacciato?
<<Ah, sei qui>>.
Marco mi dà le spalle, appoggiato alla ringhiera del terrazzo. <<Hai visto? Quel palazzone nasconde il nostro semaforo>>.
Indica un grattacielo di almeno sette piani costruito in tempi da record e non ancora ultimato, che copre il semaforo in fondo alla via, teatro di quel gioco peccaminoso di quella sera di molto, molto tempo prima.
<<Sì. Ho visto>> rispondo, cupa.
Lui si volta, deglutendo lentamente. <<Sei stata pazzesca, stasera. Non immaginavo... che sapessi cantare così>>.
Nemmeno io!
<<E io che tu fossi così bravo con la tua band. Siete... incredibili. Sono contenta di averti sentito suonare, finalmente>>.
<<Già... sono stato un vero pezzo di merda ad escluderti sempre da tutto questo... ma così facendo avevo l'illusione che ce l'avrei fatta da solo... senza i tuoi giudizi>>.
<<Senza il mio appoggio, anche. Tanto, non t'è mai servito>>.
<<Non è vero. Anna, tu non sai...>>.
Si sta stritolando le mani. E' nervoso.
<<Vuoi spaccarti ancora le dita? Pensavo che ad un musicista servissero>> lo ammonisco, bonariamente, strappandogli un sorriso.
<<Mi servono, anche per fare questo, la cosa che mi riesce meglio>> afferma, carezzandomi il viso.
Signore, fallo smettere. Ti prego.
<<Tu non sai quante volte ho sperato di vederti varcare la soglia del locale... io, da vigliacco quale sono, mi nascondevo dietro i chilometri che ci separavano... non ti ho neanche mai chiamata, giustificandomi con l'irreperibilità del tuo numero nazionale e la mancanza del tuo numero estero... l'ho pensato, un giorno, però. Volevo raggiungerti, ovunque tu fossi>>.
Perchè non l'hai fatto, amore, perchè?
Si stringe nelle spalle, asserendo <<ma poi ho realizzato di averti fatto troppo male... e... temevo non mi avresti nemmeno rivolto la parola, una volta fossi giunto da te>>.
Abbassa gli occhi, le mani ben salde sul mio volto, ancorate ad una speranza che non potevo infrangere.
Era anche la mia.
Lo bacio prima di parlare, prima di pensare, prima di domandarmi cosa diavolo stiamo combinando. Il suo corpo risponde in automatico, e mi stringe, forte, come a non volermi lasciare. Ha paura che scappi? Di nuovo? Oramai mi era chiaro quanto questo non fosse proprio più possibile. Doveva essere chiaro anche per lui. Avrei mollato tutto seduta stante, se me lo avesse chiesto. E, per una volta, mi sentivo davvero libera in questa decisione. Senza vincoli, senza invisibili ma pesanti catene legate a sentimenti latenti, solo la pura verità: sceglierei lui perchè è lui che amo e che ho sempre amato.
Punto.
<<Io non ti avrei mai voltato le spalle. Non che non sarebbe stata la scelta migliore...>> sospiro, indietreggiando di qualche passo.
<<Ma non avrei potuto, neanche volendo. Io sono innamorata di te, Marco>> mi lascio sfuggire, affogando nella mia vulnerabilità.
<<Anche io lo sono di te, Anna. Lo sono da sempre>> sento dire da lui in un soffio.
Mi abbraccia, di nuovo, appoggiando la testa sulla mia spalla, tremando. Restiamo così, ad ascoltare i nostri respiri per un tempo infinito. Poi inizia a sfiorarmi piano il collo, con le labbra... io inspiro il profumo unico della sua pelle... quanto mi è mancato...
Ci guardiamo, consapevoli di ciò che sta per accadere. <<Io... non ci sarà più nessun problema... di quel genere. Prendo la pillola>> mi affretto a spiegare, prima che il ricordo dell'incidente che ci è costato così caro torni a farsi vivo e rovinarci anche questo momento. Lo vedo visibilmente rilassarsi e, finalmente, iniziare a compiere la sua magia. Solo lui sa come toccarmi, come accarezzarmi, come baciarmi... conosce ogni singola parte del mio corpo e come reagisce al suo tocco – il più delle volte, infuocandosi – così delicato, ma deciso... oh, che sensazione sublime.
La temperatura, al calar del sole, è scesa drasticamente, ma non m'importa. Non sento per niente freddo, con il suo corpo sopra il mio, riscaldata dai suoi baci, che osano, stuzzicano, prolungando l'attesa dell'attimo in cui saremo di nuovo uno nell'altro. Jovanotti, come canti nella tua splendida canzone "Io ti cercherò", anche io e Marco la rispettiva mappa dei nostri nei la sapremmo disegnare, e ad occhi chiusi, per giunta. Lui ne ha uno proprio sulla spalla destra, che sfioro, facendogli il solletico. In quel momento alza il mio braccio sinistro – c'è un neo ben visibile anche lì – provocandomi un solletico irresistibile, sfiorandomi con le labbra l'incavo della spalla: non avrei mai identificato l'ascella come una possibile zona erogena, prima che brividi di eccitante prurito mi attraversassero il corpo, per poi intensificarsi sulla percezione di assoluto godimento delle sue stesse labbra sul mio seno.
Accarezzo, graffio, mordo, il suo petto e la sua schiena, senza sosta, e sono preparata ad esplodere di gioia insieme a quest'uomo. <<Ti sento... ti amo...>> mi sussurra, tra le labbra, mentre i nostri corpi diventano uno.
Poco dopo fuochi d'artificio di mille odori, sapori, colori, scoppiano dentro di me, e poi in lui, portandoci in un'altra dimensione. Proprio nell'omonimo film di Pieraccioni, uno psicanalista provava a razionalizzare le avventure del tormentato protagonista del film, Ottone – che razza di nomi che s'inventa sempre Leonardo – con la frase "L'amore e il sesso sono due cose diverse. L'amore è spinto dal sentimento, il sesso è spinto dall'istinto". Certo, la moglie era più pragmatica. Per lei l'amore era solo una parola inventata dai poeti per far rima con cuore.
Non so con chi essere d'accordo, so solo che mai, mai nella vita mi sono sentita più felice di così, senza l'estremo bisogno di etichettare per forza un sentimento.
Quanta luce... ma perchè sono sul terrazzo?
Mi sveglio, un po' stordita, cercando di riportare alla mente gli avvenimenti di qualche ora prima.
Vengo facilitata nell'ardua missione – la testa mi duole molto – da un messaggio di Marco, scritto a penna, lasciato ai piedi della chaise longue.
"Ti scrivo così perchè sai quanto detesti gli sms. Va a finire che usiamo le dita più per toccare gli schermi dei cellulari che i corpi delle persone.
Fortunatamente ieri non è stato così. Sono dovuto andare via perchè mi ha chiamato mia madre. Non volevo svegliarti.
Chiamami quando puoi e vuoi.
E' stato bellissimo. Marco"
Stringendo il foglio al petto sospiro, contenta: non ci credo, finalmente tutto andrà a posto. E' troppo presto per telefonargli? Guardo l'ora: le sei e un quarto. Probabilmente sì. Resisto all'impulso, pensando ad un'alternativa accorgendomi della felpa dimenticata, appoggiata accanto alla porta. Pretesto perfetto!
Lascio un biglietto scritto a mano – la frase di Marco mi ha dato da pensare, nuovamente – ai miei genitori, per comunicar loro che ero ancora viva, e che sarei tornata nel pomeriggio. Non avevo più intenzione di partire, adesso, avrei trovato una scusa. Mi sarei presa una super meritata pausa: dal lavoro, e mai più dall'amore.
Mi preparo con cura ed esco di casa che è ancora presto.
Non so bene a che ora Marco inizierà il turno al bar, ma non m'importa: voglio vederlo. Voglio dirgli che ho preso una decisione, mia e solo mia, stavolta. Non mi voglio più aggrappare a lui, sono forte abbastanza per vivermi questo sentimento in totale consapevolezza.
Compio la strada, a ritroso, percorsa solo poche ore prima con una gioia incontenibile: sorrido a ripetizione da sola come una scema.
Quando arrivo, il bar sta aprendo. Recupero la felpa dal profondo messaggio – complice del mio piano – e mi avvicino al bancone, dove c'è una ragazza mora, dagli occhi piccoli ma espressivi.
<<Ciao, Marco è già qui?>> le domando, educata.
<<No, arriva più tardi>> risponde lei, altrettanto gentilmente.
<<Ah, d'accordo>>.
<<Avevi bisogno?>>.
<<Sì, volevo dargli questa... è sua. Aspetterò>>.
<<Guarda che non so di preciso a che ora inizia>> esclama, meno garbatamente.
<<Se vuoi >> continua <<posso dargliela io per te. Piacere, sono Carolina, la sua fidanzata>>.
Resto immobile, fissando la mano della ragazza, che si aspetta che io gliela stringa. Automaticamente lo faccio, sentendomi svenire.
<<Non credo di aver capito il tuo nome>> afferma pensierosa, corrugando la fronte.
<<Anna. Io sono... Anna>> dico, ancora in trance.
<<Ah, quella Anna>>.
Come, sa chi sono?
<<Quella che ha cantato ieri! Chris mi ha detto che hanno spaccato, i ragazzi. Beh, Marco è sempre bravo. Peccato che io mi sia persa il concerto di ieri sera, ma al giovedì non sono di turno, mai... e abitando lontano da qui, non vengo più dopo il mio turno pomeridiano di lavoro. Peccato, visto che ieri sera è stato uno spettacolo memorabile, a quanto sembra>>.
<<Già. Quindi tu... sei... Carolina... la sua...>> chiedo conferma, prima di morire.
Che poi poteva chiamarsi in un altro modo, no? Ma quante ragazze ci sono in giro con quel nome? E tutte dietro a Marco devono stare?
<<Ragazza. Fidanzata, o come vuoi definire due che stanno insieme>> chiarisce lei, seria. <<C'è qualche problema?>>.
<<No, no... affatto... beh... allora... ciao>>.
Mi volto, cercando di mettere un piede avanti all'altro senza cadere per terra, ma lei mi richiama. <<Anna... la felpa?>>.
<<Ah, sì... dagliela pure tu, sì>> le sorrido forzatamente, e poi esco, appoggiandomi al muro e abbandonandomi alle lacrime.
<<Perciò ci ha detto di andare di giovedì a sentirlo suonare perchè la sua tipa non c'era? Pazzesco>> inveisce Milena, mentre sto per imbarcarmi per Bruxelles.
<<Sì, Mile, io... vorrei non parlarne, se non ti spiace. Mai più. E' l'ultima volta che mi delude, l'ultima volta che mi faccio ingannare così. Adesso basta, davvero>> affermo, decisa.
<<Okay, io... oh Anna, mi dispiace tanto. Non so davvero che altro dire. Ma lui come si è giustificato? Insomma, l'hai sentito o...>>.
<<Mi ha chiamata diverse volte, ma non ho risposto. Non voglio neanche un'altra, seppur minuscola, delle sue menzogne>>.
Milena sospira. E' dispiaciuta e preoccupata: che grande amica.
<<Dai, ti chiamerò appena arrivo, dal telefono internazionale. Salvati il numero per le emergenze, per il resto ci sentiamo su Skype. Saluta Jake. Bacio>>.
Chiudo la telefonata e mi giro ancora una volta verso l'ingresso del Gate. Quanti film avevano al loro interno la scena di rincorse disperate prima che l'amato o l'amata prendesse il volo e rinunciasse al lieto fine per sempre?
Nella mia attuale situazione drammatica mi viene in mente solo Casablanca, l'intramontabile. Se proprio mi sforzo un pochino e cerco di immaginare la situazione in chiave ironica, penso a Rachel e Ross – quanto faceva ridere "Friends"? – nell'episodio in cui si rincorrono all'aeroporto, prima di dichiararsi. E come dimenticare la scena finale di "Sognando Beckham", con Joe che va da Jess prima della partenza di lei per gli States? E "Love Actually"...
No, basta. Quanti film così avevo visto? Probabilmente troppi. Ma nella realtà quante volte era accaduta una scena simile? Una su un milione? Di certo questa mia realtà non poteva essere da meno. Non c'era nessun Sebastian Valmont pentito delle sue "Cruel Intentions" ad aspettarmi sopra la scala mobile. C'era solo Marco, che era impegnato. Aveva un'altra donna, maledizione.
Mi aveva fuorviato con le sue parole, false, solo per portarmi a letto. Tutte bugie...
Ancora non credevo potesse essere davvero così. Ma non sarebbe stato saggio sperare in un finale diverso. Questo era il nostro finale, e adesso dovevo cambiare scena, voltare pagina.
Potevo continuare solamente la mia personale interpretazione di "The Terminal", bloccata di aeroporto in aeroporto, sperando di dimenticare in fretta di non avere una vera destinazione.
Agata Agnesi, mia madre, sulla carta, è una donna tutta d'un pezzo. La nonna della nonna della sua bisnonna aveva origini tedesche. Sicuramente un briciolo della rigorosità propria degli abitanti di terra Germanica doveva esserle stata tramandata.
Come poteva, altrimenti, somigliare alla versione Hitleriana della Merkel mentre mi scuoteva dal mio sonno, indotto dalla trecentesima visione del mio amato Ryan – so che le commedie romantiche non sono più una mia priorità, ma solo quelle in cui c'è lui: una fissazione è una fissazione – con Emma Stone in "Crazy in Love"?
<<Anna! Ma ancora dormi??>>.
<<No, sto meditando>> le rispondo, sarcastica.
<<Dai, tesoro, forza. Farai tardi>> mi sprona, sempre tiranneggiando.
<<Sì sì, ora mi alzo. Lo so che la mia presenza in fiera è richiesta per le sedici in punto>>.
Quella di oggi sarebbe stata la mia ultima occasione lavorativa, e avevo deciso fosse proprio a Milano. Anzi, vicino, a Malpensafiere, un centro di esposizioni, fiere, eventi e congressi appena fuori dalla città. Avrei ripreso l'università per poi decidere, finalmente, quale scopo ultimo potesse avere la mia vita. Sola in un bagno dalle dimensioni stratosferiche, con ancora addosso il calore della doccia, in una località sperduta Belga, circa un paio di settimane prima, mi ero resa conto che non volevo fare la vita di mia mamma. Se mai avessi avuto una famiglia, non l'avrei lasciata crescere in solitaria mentre io ero impegnata a fare la nomade. Per carità, se fosse stata proprio la mia unica alternativa, come lo era stata per Agata ai tempi, quando mio padre non era ancora stato assunto dall'azienda dove lavorava ora, l'avrei anche fatto.
Ma potendo scegliere – e potevo, grazie al cielo – rinuncio. Grazie. Ho vagabondato già anche troppo.
L'affluenza della mattina, in fiera, non era stata delle migliori, mi informa il mio collega dal marcato accento statunitense, ma già dal primo pomeriggio i visitatori erano in aumento: al nostro stand un via vai continuo. Indosso la divisa grigia con gonna pantalone coordinata e un sorriso di circostanza ben stampato in viso. Saluto, distribuisco depliant, scambio qualche informazione... Intravedo qualche faccia conosciuta, ma nulla di particolare. Fino a quando scorgo da lontano una figura che mai avrei voluto rivedere, anche solo in fotografia: Carolina. Quale delle due – serpi – è davvero rilevante? Sì, poiché tiene la mano di Marco. La Carolina del Neil41.
Una nausea improvvisa m'invade e ho le vertigini: non faccio in tempo a sgattaiolare via. "Stanno venendo proprio nella mia direzione" penso, mentre il panico mi assale: non ho via di scampo.
Marco alza lo sguardo proprio nel momento in cui io riesco quasi a sostenerlo, indossando la maschera da venditrice provetta quale ero diventata. Lui sospira, nervoso, e poi mima un <<ciao>> con le labbra, prima di proseguire dritto.
Mi sento morire.
Sto per riprendere fiato, quando noto, con orrore, che i due si riavvicinano. Carolina sta letteralmente trascinando indietro Marco. <<Ah, mi pareva fossi tu! Ma dai, che coincidenza. Sponsorizzi proprio il tipo di prodotto che potrebbe servirci nella casa nuova. Vero, amore?>> domanda al suo – che era il mio – fidanzato, accanto a lei, che, se potesse, vorrebbe essere inghiottito dal suolo.
<<Vi lascio qualche volantino, se siete interessati. Se volete qualche altra informazione il mio collega Robert sarà più che lieto di aiutarvi>> esclamo, con un sorriso tirato.
<<Robert, scusa, devo uscire un attimo>>. Chiedo aiuto al mio collega, che mi guarda perplesso, mentre sto già aprendo la maniglia della porta adiacente allo stand. <<Arrivederci>>.
Mi catapulto fuori, perdendo l'equilibrio e trovandomi in ginocchio, a terra. Che dolore. Ma non per la caduta. Magari fosse il male di un ginocchio sbucciato il vero problema, come lo era da bambina.
Mi sento come se fossi rotolata giù da una scogliera, poi riportata in superficie per essere nuovamente sbattuta per bene sugli scogli, da onde inferocite. Quasi non sento il mio nome e qualcuno che mi prende per la spalla, talmente è forte l'urlo di dolore che mi squarcia il corpo.
<<Anna... vieni, siediti>>.
<<Lasciami stare. Vattene! Lasciami andare!>> urlo come impazzita, lanciando pugni e calci, mentre Marco cerca di calmarmi.
<<Io ti odio, hai capito? Ti odio! Pensavo fossi importante per te, credevo che tu avessi più rispetto di me, di noi... e invece sei solo un bastardo!>>.
Tento di colpirlo in viso, ma lui mi blocca il polso e mi fissa. Questa emozione latente si scatena in tutta la sua potenza, incontrollabile. <<Ma perché fai così?>> mi domanda, ferito, stringendomi forte il polso.
<<Hai anche il coraggio di pormi una domanda simile?>>.
I miei occhi sono iniettati di sangue. Il suono della rabbia che cresce dentro di me mi spacca i timpani. <<Mi hai rovinato la vita! Sparisci!>>.
<<Anna... io davvero non capisco... non... cerca di calmarti, ti prego. Sei stata tu a non volermi più, io potevo aspettarti, volevo aspettarti... ma sei partita. Sei scappata ancora via da me>> dice tristemente, senza lasciarmi. Sarei crollata con un tonfo.
<<Cosa? Io ho dovuto partire, dopo che ho scoperto che mi hai ingannata!>> grido, inferocita.
<<Ingannata? Io non ti ho ingannata. Non lo farei mai. Io... ho pensato che per te quella notte fosse stato un gesto d'addio, quando mi hai riportato la felpa dicendo che non volevi più vedermi...>>.
<<Io non ho mai detto che non volevo più vederti>>.
Allenta la presa e mi scruta, dubbioso. <<Ma a me Carolina ha detto...>>.
<<Cosa, Marco? Perchè a me ha detto di essere la tua fidanzata>>.
<<No!>> esclama inorridito. <<Lei non... lei non era la mia ragazza. Avrebbe voluto, insomma, c'era stato qualcosa, ma io...>>.
Ci osserviamo, increduli, mentre la verità piano piano emerge.
Ma io ho ancora un tarlo nella testa, che mi assilla. <<Perchè mi hai invitato proprio quel giorno, proprio giovedì allo spettacolo della tua band?>> gli chiedo, quindi, in contropiede.
Lui abbassa gli occhi, colto nel vivo. <<Non volevo ferire Carolina>> ammette, ma aggiunge, notando il mio ghigno giudicante <<non c'era niente, non c'è stato niente di rilevante. Lo giuro. Però sapevo che, se mi avesse visto con te, ne avrebbe sofferto>>. << Io ero stato chiaro dopo che mi aveva confessato di essersi innamorata di me. Le avevo detto che... io non potevo esserlo di lei. Non potevo esserlo più... >> mormora appena, serrando le palpebre con forza.
<<Mi sentivo come se non potessi più provare nulla, ero... apatico. Totalmente indifferente ad ogni tipo di sentimento... lei pareva essersi rassegnata...>>.
Mi colpisce la sua rivelazione, ma la rabbia la fa da padrona.
<<E invece ha sfruttato la cosa a suo vantaggio. Ha fatto credere a me di essere la tua donna e a te di essere venuta a riportarti la felpa commissionando la consegna a lei poiché io volevo rompere. Furba la ragazza, non c'è che dire>> commento, nervosa.
Le nostre mani ancora si toccano. Vorrei urlare dalla frustrazione.
<<Comunque, la sostanza non cambia>> esclamo amareggiata, divincolandomi.
<<Ora è la tua fidanzata. Convivente, anche, magari>> azzardo.
<<Quella è solo una sua fantasia>> minimizza, osservando con particolare attenzione le sue scarpe, e non me.
<<Fantasia o meno, le cose stanno così. E così devono rimanere. A volte perdere quello che si voleva salvare può essere la vera salvezza>> filosofeggio, non sapendo più davvero cos'altro dire.
Ci osserviamo ancora, per un tempo che pare infinito.
<<Marco, vai. Non è più tempo per noi>>.
<<Sì, e forse non lo sarà mai. Ti metti pure a citare Ligabue, adesso?>>.
C'è tristezza nella sua voce, rabbia, incredulità.
<<Ligabue o no, è solo la verità. Abbiamo avuto la nostra occasione. Abbiamo già sfruttato troppe coincidenze. Ci abbiamo creduto...>>.
<<Già e chi non crede nelle coincidenze, le perde...>>.
<<Noi abbiamo già perso. Lasciamoci la possibilità di scommettere di nuovo>>.
Così dicendo, mi volto e rientro. Senza più voltarmi indietro.
Nota Autrice: In questo capitolo è chiaro quanto, prima o poi, ognuno di noi debba fare i conti col passato... sarà davvero capace Anna ad andare avanti, voltare pagina, e non voltarsi più indietro? Chi scommette? ;-)
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top