Chapter 19\"Se il paradiso esistesse, sarebbe esattamente così"







<<Senti, ma visto che siamo in anticipo...>>.

Butto là una proposta allusiva, che, sono sicura, Marco coglie al volo, sebbene non risponda. Intanto ci avviciniamo sempre più a Milano.

Tutt'a un tratto, imbocca una via secondaria e raggiungiamo una zona industriale. <<Questa è la ditta di mio padre>> mi spiega, parcheggiando accanto ad un edificio molto grande.

Sicuramente non ho mai compreso sul serio il lavoro di suo papà, e quello che sarebbe diventato il suo fintanto che non avesse restituito i soldi della patente e della macchina, poichè ora, trovandomi davanti a quel cancello di ferro enorme, mi si stanno formando nella testa un milione di domande a riguardo, alle quali non so dare risposta.

Attendiamo che la luce di segnalazione di apertura, attivata tramite il telecomando che ha prelevato Marco dal cruscotto, smetta di lampeggiare, ed entriamo nella ditta. Vi sono molti camion con rimorchio e almeno due enormi magazzini. Li superiamo e ci dirigiamo oltre quelli che sembrano degli uffici, almeno dieci.

Arriviamo in fondo alla proprietà e lì Marco accosta, proprio davanti ad un piccolo lago. In lontananza le luci della città riflettono la loro intensità nell'acqua, creando dei bellissimi effetti ottici, che io osservo, rapita. Lui mi guarda e, sorride. <<Bello, vero? Guarda anche quella quercia laggiù... venivo sempre qui da bambino, quando papà lavorava fino a tardi. Ha un effetto... calmante>>.

Avrei potuto trovare almeno diciassettemila aggettivi idonei a descrivere quell'effetto, ma calmante non sarebbe stato assolutamente tra quelli. Io mi sentivo tutt'altro che calma, qui in un'auto, al buio, anzi, alle luci romantiche soffuse di una città lontana, soli, ai margini di una ditta chiusa – o almeno lo era uno dei magazzini appena visti, mentre l'altro, dove probabilmente lavorava Claudio, era ancora in funzione – con un'urgenza che si faceva più forte ogni minuto che passava. La calma era, assolutamente, un'emozione fuori dalla mia portata, in quel momento.

Come captasse le mie vibrazioni – l'energia non poteva essere sottovalutata, quando si trattava di quella che emanava il mio corpo in sua presenza – si volta e mi cattura il viso tra le mani, trovando le mie labbra pronte ad accogliere un bacio, che si fa subito esigente.

Che stupida ero stata, quel pomeriggio, a farmi influenzare dal pensiero di Luca. Luca chi? I baci di Marco sono tutt'altra cosa. Lui è tutt'altra persona. E' unico, davvero. La sua dirompente delicatezza – incredibile come potesse esser davvero così, un continuo controsenso – mentre, senza smettere di torturarmi con la lingua il labbro inferiore, mi fissa, in attesa. Vuole un consenso per poter continuare, che io gli concedo, senza più dubbi, iniziando a spogliarmi, all'inizio solo della giacca, poi anche dei miei sensi di colpa e da quelli, più profondi, di inadeguatezza, con una velocità da far invidia a Flash.

In un attimo, mi sposto dal mio sedile al suo, che lui porta indietro al massimo abbassando anche lo schienale, insieme alla zip della sua felpa. Gliela sfilo quasi senza smettere di baciargli il collo, in un rapido movimento, per non interrompere quella connessione unica e rara che troviamo quando stiamo per connettere, appunto, attraverso i nostri corpi, le nostre anime.

Mi sollevo da lui quel che basta per far scivolare i leggings e gli slip – non sapevo se avessi avuto occasione di sfoggiarli, ma, nel dubbio, li ho scelti di pizzo viola – su una gamba, mentre lui alza il bacino per abbassare i suoi insieme ai jeans. Travolti dalla passione ci stiamo scordando di un particolare decisamente rilevante, ma, al momento, chi se ne frega. Voglio sentire il calore del suo corpo contro il mio, come quella prima volta, con la differenza che stavolta provo solo un forte, incontrollabile desiderio e neanche un pizzico di dolore. <<Anna... io... non... penso... sia... una buona idea>> dice ora a voce più alta, ora più bassa, seguendo il movimento ritmico dei nostri corpi, che si stanno regalando sensazioni uniche ed indescrivibili.

<<Non... aspetta...>>.

Mi fermo, riluttante, mentre attendo che quella piccola, fastidiosa ma necessaria barriera faccia il suo dovere, per poi tornare subito nell'oblio della passione, perdendoci l'uno nell'altro.

Caro Zarrillo, io, come sai, adoro la tua canzone, ma dovresti rivedere un po' il suo testo... Perchè se "l'amore in macchina no, non c'è magia", per te è vero, allora non so che amore tu abbia fatto – con chi, poi, sono affari tuoi – e, soprattutto, quale macchina tu abbia utilizzato per farlo – se hai provato in una utilitaria, magari d'epoca, stile bianchina di Fantozzi te la sei andata a cercare, eh – ma quello che è appena accaduto in questa Mini Cooper rossa dai sedili bianchi, è, senza ombra di dubbio, magia pura.

Quando riprendiamo la strada dopo questa breve, ma intensa, deviazione, arriviamo in città e giriamo veloci su piazzale  Maciachini.

Ma dove mi sta portando?

Va bene che Milano è Milano, ma i negozi a quest'ora sono chiusi. E, dopo il sesso – soprattutto quello in auto, ora lo so – il miglior regalo di compleanno sarebbe sicuramente una seduta intensiva di shopping, tramite una sottilissima carta di credito – che potrebbe nascondersi tranquillamente nel portafoglio di Marco, dato che non vedo pacchetti in giro – contenente una cifra illimitata da spendere: non mi sembra poi una grande pretesa. E sarebbe una sorpresa graditissima. Non sono ai livelli di compratrice compulsiva stile Becky, la Bridget Jones di "I Love Shopping", soprattutto perchè con i Luke, o Luca di turno, io non voglio proprio più averci a che fare...ma insomma, magari c'è la notte bianca...

Stiamo, però, percorrendo la via parallela a viale Zara ed il quadrilatero della moda Milanese è tutt'altro che vicino: mi rassegno al fatto che il dono sarà un altro. Mi auguro vivamente non una di quelle boiate stile "Ti regalo una stella"... va bene che sono romantica, ma non pecco di una megalomania così esagerata da venerare una stella col mio nome ogni volta che alzo gli occhi al cielo e pretendere poi, pure, che lo facciano anche tutte le persone con cui divido lo spazio terrestre, e pure quello extraterrestre: Jodie Foster sarebbe fiera della mia possibilità di immaginare un "Contact" alieno.

Appena svoltiamo in via Valtellina e noto l'insegna dell'Alcatraz, capisco: stasera si balla! <<L'Alcatraz? Davvero?>> chiedo a Marco sbigottita, mentre fa una manovra che io manco dopo duecento guide pratiche saprei effettuare con la stessa maneggevolezza, per parcheggiare in uno spazio angusto ma vicinissimo all'ingresso del locale.

<<Visto che è il tuo compleanno, e noi il mio, farò questo grande sforzo. Anche perchè questa non è una discoteca come le altre, soprattutto non stasera>> risponde vago, ma con un sorrisino complice.

Non sto più nella pelle quando entriamo e consegniamo le nostre giacche alla disinibita ragazza del guardaroba, che sfoggia una maglietta talmente striminzita, che l'unica cosa coperta sono le spalle e parte del reggiseno blu elettrico, lasciando in bella vista tutto il resto del corpo, coperto da infiniti tatuaggi dark. Le sorrido, apprezzandone la temerarietà, mentre lei squadra da capo a piedi l'essere meraviglioso che mi sta accanto.

Mossa sbagliata, cara.

Mi si spegne immediatamente il sorriso, lasciando posto ad un ghigno malefico e ad uno sguardo che potrebbe incenerire un bosco intero in mezzo secondo. Lei coglie i segnali, e abbassa in fretta gli occhi. Temeraria sì, ma non c'è da scherzare con il fuoco. Ed io, mentre varcavo la soglia del locale più figo di Milano, mano nella mano con Marco, ero una fiamma che ardeva al massimo.

<<Vieni, il nostro posto è laggiù>>. Indica un tavolo dove riconosco già la capigliatura arruffata di Dani e il cappellino a scacchi di Jake.

<<Ci sono tutti!>> esclamo meravigliata, mentre ci avviciniamo ai nostri amici, che, appena ci vedono, applaudono e fischiano intonando un "Happy Brithday To You" degno di passare le audition di Xfactor.

<<Ciao! Grazie!>> sorrido imbarazzata, notando solamente ora il modo bizzarro in cui sono vestiti.

<<Ma dove eravate finiti, voi due, eh?>> chiede maliziosamente Jake, ricevendo una gomitata da Milena, che poi si alza per abbracciarmi.

<<Tutto bene?>> domanda facendosi seria, pensando al litigio di quel pomeriggio con Marco, che le avevo raccontato per le precedenti due ore prima della nostra fantastica riappacificazione.

Annuisco, felice, e lei si tranquillizza.  Ale ci raggiunge e mi abbraccia, avvolgendomi con una bandiera del Regno Unito. Ma che?

Alzo gli occhi verso il palco e solo in quel momento leggo lo striscione a righe rosse, blu e bianche, che indica il tema della serata: "LONDON CALLING, UK PARTY". Non ci posso credere! Una festa British!

<<Sappiamo della tua, a mio parere, folle, oltre il limite, passione per l'Inghilterra>> inizia Sandro. <<Io direi fissazione>> continua Giò.

<<Io direi che sei pazza a prescindere>> interviene il solito simpaticone che ha goduto, senza dubbio, della mia pazzia proprio qualche ora fa –  e non ne sembrava molto deluso, anzi – portandomi una mano sul fianco e attirandomi a sé, per dipingermi la guancia con un cuore blu.

<<Ma ti vogliamo tanto bene e quindi siamo qui per te. Ti abbiamo anche portato questa>> conclude Milena, consegnandomi un pacco giallo limone con un gran fiocco al centro.

Batto le mani dall'eccitazione scartando il regalo: una felpa nera con taglio femminile, molto morbida, mi scivola tra le mani. Cerco di osservare meglio il disegno e la scritta sulla parte anteriore, e noto un maialino con una nuvoletta dietro, sovrastante le parole : "Io non mangio niente che scoreggi". Penso che la metterò anche mentre dormo: è stupenda!

Quanto mi conoscono queste persone? E quanto, nonostante ciò, mi apprezzano?

Sto per raggiungere il culmine della gioia quando dal palco iniziano a risuonare le note di "Let there be Love"... c'è anche il tributo agli Oasis! Posso davvero chiedere di più?

Mi volto verso Marco che mi osserva contento, mimando le parole della canzone...

"Come on, baby blue, shake up your tired eyes, the world is waitin for you, may all your dreaming fill the empty sky...let there be love..."

Se questo è un film – e ancora non abbiamo del tutto le prove che non possa esserlo, giusto? –  non voglio arrivare al "The end", ma rivivere questa scena ancora e ancora... Potrei andare contro una mucca – no, meglio un essere non vivente, se posso scegliere – come in "50 volte il primo bacio", e risvegliarmi ogni giorno aspettandomi di nuovo tutto come oggi, aspettando di rinnamorarmi di Marco, dopo solo un bacio,  probabilmente, se fosse come quello che mi sta dando proprio ora: incantevole, travolgente. Paradisiaco.

Sì, se il paradiso esistesse – e le mie credenze atee al momento non possono confermarlo – sarebbe, per quanto mi riguarda, esattamente così.

Neanche siamo a metà novembre che le luci di Natale già incombono in ogni dove, causando grande irritazione dell'antinatalizio – ma dai? – Marco, e, invece, grande gioia alla sottoscritta, che sta al contrario ritrovando lo spirito alla "Mamma ho perso l'aereo", certezza del palinsesto televisivo per quel particolare periodo dell'anno.

<<Mi raccomando, non mi prendere nulla. Io detesto questa robaccia del Natale>> dice il Grinch sdraiato accanto a me, mentre osserviamo le luci dell'albero che io ho tanto insistito a decorare, ancora prima dell'otto dicembre.

<<Ma è tradizione, non robaccia!>> ribatto, infastidita. Come osava minacciare l'istinto elfico che c'era in me?

<<A proposito, quando mi accompagni a comprare un po' di regali?>> chiedo angelica, sbattendo le ciglia, facendo leva sull'innegabile – dalla pubblicità, almeno – effetto scenico del mio nuovo Rimmel curling top coat Kiko. Okay, un banalissimo mascara, ma così sembra chissachè, no?

<<Ma nemmeno morto!>>.

Dovrebbero rivalutarne l'efficacia testandolo su Marco: garantito che dal risultato potrebbe considerarsi pubblicità ingannevole.

<<Anzi, perchè non mi accompagni tu?>>.

Si siede in fondo al letto e mi rimprovera, neanche tanto velatamente, come fa da settimane, sul mio non utilizzo dell'auto. Che poi, dove sta scritto che le guide col foglio rosa non possano superare le sei ore totali? Io ne ho già impiegate dieci, di cui tre solo per imparare a parcheggiare poichè i parcheggi a nastro, cioè quando i mezzi sono posti uno dietro l'altro parallelamente alla strada, sono davvero astrusi. Li hanno inventati apposta per giustificare le barzellette sulle donne al voltante, ne sono sicura. Mai sentito parlare, comunque, dei sensori di parcheggio? Se sono così diffusi un motivo ci sarà. E non vedo perchè non debba utilizzarli anch'io. Il test di teoria è stato una passeggiata rispetto a quello che mi attende per la pratica – solo due errori su quaranta! –  che quasi quasi, quando sarò lì con l'istruttore a fianco ed il commissario d'esame dietro, potrei anche proporgliela, la passeggiata, invece che guidare: lo sanno tutti che camminare fa bene. Dovrebbero tenerci alla loro forma fisica, giusto? Sono una persona altruista, penso anche alla salute degli altri. Dovrebbero premiare la generosità di una povera tenera ragazza.

E invece Marco non fa altro che ripetermi le solite cose: che sono una bambina, che non voglio imparare perchè tanto c'è lui che mi scorrazza in giro... tutte cose sensate, per altro, a mio modesto – e rilevante – parere. In più, ho già un mezzo di locomozione valido –  se piove o nevica mi imbacucco per bene come se vivessi in Alaska –  senza contare gli autobus, i pullman e i treni, i tram e la metro su Milano. Non ho nessun bisogno di saper guidare. Nessunissimo. Assolutamente.

<<Sei una testarda del cavolo. Una viziata testarda del cavolo, anzi>> tenta di offendermi, per indurmi a cambiare idea.

Ma oramai sono immune alle sue offese. Quasi.

Mi alzo dal letto e mi inginocchio di fronte a lui. <<Dai, non tenermi il broncio. Ognuno ha i suoi tempi. Prima o poi imparerò. Ma intanto... mi accompagni a prendere una cioccolata?>> azzardo, utilizzando l'altra arma seduttiva che possiedo – con le ciglia mi è andata male, ma non mi perdo d'animo – sbottonandomi un po' la camicia cotone misto cachmere grigio perla e lasciando intravedere il reggiseno rosso che mi sono auto regalata in un momento di follia da Intimissimi.

Lui deglutisce piano – sta funzionando! – ma non risponde. Avvicina il pollice al mio petto, ma poi lo sposta sul mio mento, per alzarmi il viso e portarlo vicino al suo, solamente per sussurrarmi... <<no>>.

Sorride, osservando la mia espressione sorpresa e di colpo collerica, e si alza.

<<Ci vediamo, principessa. Io adesso mi fiondo alla cioccolateria. Buona giornata>>.

Bastardo!

D'accordo che uomo avvisato mezzo salvato – in questo particolare caso, donna – ma Marco non si è smentito neppure questa volta: nessun regalo sotto l'albero. Ogni tanto la sua coerenza potrebbe anche vacillare, come fa pericolosamente la mia, un giorno sì e l'altro pure.

Non voglio davvero fargli intendere quanto ci sia rimasta male, ma, quando finalmente ci vediamo dopo S. Stefano, a casa sua, solo uno sguardo e ha già capito tutto. Devo decidermi a prendere lezioni di teatro, prima o poi. Oppure potrei fare una capatina a Roma, dalle parti del Quirinale... di bugiardi pronti a darmi qualche dritta per fregare il prossimo ne troverei di sicuro. Invece no, io sono un libro aperto: la delusione è stampata sul mio viso in ultima versione 3D High Quality.

<<Ma di cognome fai illusione?>> scherza Marco, che ha percepito la gravità della cosa e non sa come porvi rimedio.

Siamo sul divano, seduti ai lati opposti, come in un ring.

<<E tu fai stronzo?>>. Sono consapevole di esagerare, ma non me ne importa un fico secco.

<<D'accordo, ho capito>>.

<<Cosa avresti capito?>>.

<<Che non ti basta mai. Do dieci e tu vuoi cento, ti do cento e tu vuoi mille, e così via. E' impossibile accontentarti>>.

Cosa? Ma se io sono la ragazza meno pretenziosa della terra! Si, beh... magari della terra intera no...

La verità è che del regalo in sè non me ne frega neanche poi tanto. Ma è questa sua presunzione, quest' aria di superiorità che mi infastidisce: io sono sempre la bimba viziata, lui invece l'adulto responsabile che non si perde dietro certe sciocchezze. Poi ci si rincontra a metà strada, dove siamo solo due ragazzi che non riescono a non mettersi le mani addosso. Ma non nel senso dispregiativo, più comunemente conosciuto, della frase: letteralmente. In una frazione di secondo, infatti, ci ritroviamo avvinghiati l'un l'altro, senza sapere bene come, siano finite le mie mani su di lui e viceversa. Non che questo abbia chissà quale importanza, visto che la sensazione di calore e di stordimento generata dal contatto è immediata e assolutamente reciproca.

<<Eh- ehm... scusate...>>.

Una voce ci distoglie dal nostro personale combattimento, che tanto si sarebbe concluso senza vinti nè vincitori: c'erano tutti in casa. E, infatti, la sua dolce sorellina Noemi ci fissa in preda all'imbarazzo più totale.

<<Che cavolo c'è?>>.

Anche se non dovrei – il detto recita "mai godere delle disgrazie altrui"  – il fatto che Marco non trattasse da schifo solo me, mi dava una grande soddisfazione.

<<Sta arrivando Giada. Mamma è in cucina e Clà è in camera. Possiamo stare qui? Vorremmo vedere un film>>.

Lui sbuffa, la mia mente sadica invece galoppa come un destriero che ancora non ha mollato le redini della battaglia.

<<Ma certo... che film avevate intenzione di vedere?>> domando innocentemente.

<<Quello di Moccia... "Tre metri sopra il cielo">>.

Noemi osserva me e poi suo fratello: non sa come interpretare il nostro silenzio.

<<Ma dai? Sai che pure lui voleva vederlo? Che coincidenza! Quando si dice il destino, eh? Vi facciamo posto, dai!>>.

Noemi sembra aver capito, da ragazzina intelligente qual è – lasciamo perdere la questione di ereditarietà di tale caratteristica – che sto attuando un piano vendicativo subdolo e atroce, e prova a tirarsi indietro.

<<No ma... beh, magari lo guardiamo in camera... chiedo a Clà se ci lascia la stanza...>> balbetta, osservando con terrore lo sguardo di suo fratello.

<<Ma figuriamoci! Non stareste nemmeno comode... dai, prepariamo anche un bel tè prima dell'inizio del film? Così potremo gustarcelo per bene...>> esclamo vittoriosa, dirigendomi in cucina e ignorando volutamente le occhiate assassine che mi sta lanciando Marco.

Oh, quanto è romantica la storia di Babi – che poi non ho mai capito che razza di nome sarebbe – e il bello e dannato Step (almeno questo è un soprannome)... così moderna, coinvolgente...

Marco sta soffrendo in silenzio, per non darmi la soddisfazione che già in parte ottengo dalla sua espressione al limite della sopportazione umana. Quando poi arriva la scena accompagnata dalla splendida "I Can Fly" di Gabriel, sulla spiaggia, noto che si innervosisce sulla poltrona, perchè, ovviamente, è stato anche esiliato dal divano.

Mi si avvicina e mi sussurra preoccupato <<ma è vietato ai minori questo film?>> proprio quando Step fa scivolare le mutande – le mutandone della nonna, per lo più – di Babi, lungo le sue chilometriche gambe snelle e le bacia il tatuaggio sulla pancia, prima di fare sesso tra risatine e corpi struscianti.  Io rido, pensando al disinibito ragazzo che so lui essere, che però, di fronte alla piccola sorellina, si trasforma nel fratello maggiore iperprotettivo e pudico.

<<Oh, adesso capisco il successo di questa storia>> afferma Giada, ancora estasiata, appena partono i titoli di coda.

Marco la guarda allibito e io non posso che sentirmi gratificata: due piccioni con una fava...

<<Allora, Marco, alle sei finisco l'allenamento, e poi partiamo. Lo porti tu il dentifricio?>>.

<<Anna ti ho già detto di sì. Ma lo spazzolino non lo condividiamo, eh>> risponde schifato.

<<Ovvio! Ci scambiamo continuamente ogni sorta di batteri e roba simile almeno venti volte al giorno, ma effettivamente lo spazzolino è un'altra cosa>> ammicco, prendendolo in giro.

Finalmente sta arrivando il 31 e quest'anno alla casa al mare di Dani, come tradizione, a quanto mi ha raccontato Marco, andremo proprio tutti. Non vedo l'ora di stare in panciolle per quattro giorni con gli altri in un luogo che ho nel cuore, ma soprattutto con lui: ultimamente le nostre famose litigate si sono intensificate al pari delle giornate che purtroppo trascorriamo lontani. Mi manca stare con lui, anche solo a parlare, o a stringerci in silenzio. E voglio iniziare il nuovo anno con un suo bacio: non vedo davvero augurio migliore.

In palestra c'è aria di festa: la moglie di Carlo, l'allenatore, una donna sulla sessantina un po' in carne, ha portato pandoro e panettone per il dopo allenamento. Iniziamo svogliatamente a fare qualche passaggio – le nostre teste sono già in vacanza – e quando Roberta mi dà l'ennesimo spintone – vita dura quella del pivot – cado a terra, con un dolore lancinante alla caviglia sinistra. Subito mi ritrovo circondata da volti allarmati e preoccupati, mentre l'allenatore si fa strada per aiutarmi ad alzarmi, operazione che mi riesce alquanto complicata.

Zoppico mentre raggiungo faticosamente la panchina a bordo campo e la caviglia diventa in pochi minuti il doppio dell'altra.

<<Ti porto al pronto soccorso>> annuncia Carlo sbuffando e, notando la mia espressione contrariata, aggiunge <<niente storie>>.

Sprofondo nel più totale sconforto mentre penso che mi sono giocata il Capodanno.

Marco giunge praticamente contemporaneamente a noi al PS dell'ospedale Uboldo. Quando         l'ho avvisato pensava scherzassi. Ma è possibile scherzare su queste cose?

<<I tuoi stanno arrivando>> mi avverte, cupo.

Mi guarda la caviglia scuotendo la testa. Dopo tutti gli sforzi che avevamo fatto per poter partire...

Un'ora dopo ho la certezza che la sfiga esiste: la diagnosi è di trauma grave muscolo-scheletrico dell'arto inferiore, guarigione in minimo venti giorni. Nonostante si tratti di una distorsione – non banale, ma comunque è coinvolta una sola parte del mio corpo – mi sento come Jamie nel drammatico "A Walk To Remember", quando confessa a Landon il suo triste destino.

Marco è seduto su una scomodissima sedia verdognola accanto a me, che sono su una carrozzina in corridoio, mentre aspetto che i miei genitori abbiamo firmato tutte le scartoffie. Sbircia l'ora dal cellulare: immagino si stia domandando cosa fare. Non so bene cosa aspettarmi, nè cosa in realtà chiedergli: una parte di me vorrebbe che lui mi dichiarasse dedizione eterna come se stessi davvero per crepare e mi dicesse che non partirà, un'altra parte – meno egoistica, ma più debole – di me vorrebbe urlare <<corri Forrest, corri!>>.

Al momento sono in quella sorta di dubbio amletico su cosa sia la cosa migliore da fare: sfruttare la mia sfiga o dimostrare attraverso di essa che posso anche cavarmela da sola? Oh caro Forrest Gump, quanto me la vorrei mangiare tutta la tua scatola possibilistica di cioccolatini, e decidere da me cosa vorrei mi capitasse nei prossimi –  almeno trenta, abbondiamo –  anni. Se fosse come scegliere tra diversi tipi di cioccolato non avrei alcun problema. Poi mi mangerei pure l'involucro, anche se dovessi correrti dietro, seppur zoppicando, e morire di crepacuore prima di raggiungerti, cosa assai probabile dato che corri più veloce di un ghepardo affamato. So che è da vigliacchi, ma credo che per ora opterò per il mutismo selettivo, come Lorenzo, l'amico dello sgamatissimo figlio di Zalone in "Sole a Catinelle", sfoggiando solo un piccolo broncio triste, chissà mai che serva.

Marco è sempre più nervoso, lo stesso dubbio sta consumando anche lui. Mi prendo qualche altro prezioso momento attendendo il verdetto, ma poi lo spirito saggio di Silente mi ricorda che a volte bisogna scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile. <<Non voglio che tu rinunci all'ultimo dell'anno per causa mia>> esclamo tutto d'un fiato, prima che sopraggiunga l'irrefrenabile voglia di ritrattare.

Marco mi prende la mano e sospira. Ha già preparato tutto, suddiviso i compiti e le varie cose, tutto è già pronto ed è un evento a cui partecipa da anni. <<Ne sei sicura?>>.

No, no, e poi no!

<<Sì, certo. Avrò l'aiuto che mi occorre, c'è papà e mia madre partirà per Boston tra più di dieci giorni>> rispondo, con poca convinzione.

Ma non è del loro aiuto che ho bisogno, veramente...

<<Ok allora, avviso Sandro che andrò>> afferma troppo velocemente.

Silente, vai a quel paese. Io mi preparo per Azkaban.

Nota Autrice: Povera Anna, impossibilitata a iniziare il nuovo anno con Marco... voi approvate la sua decisione? O avreste rinunciato? La sorpresa per il compleanno è stata meravigliosa, non trovate? Anche se non farle neppure un regalo a Natale... Che intenzioni ha, secondo voi? E cosa proverà realmente questo ragazzo così enigmatico? A voi la parola! E buona domenica ;-)

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