Chapter 16\ "Sei così innocentemente inconsapevole di essere come sei..."


Resto amareggiata nello svegliarmi senza neanche un messaggio di Marco. Dopo la nostra discussione della sera precedente mi sarei aspettata almeno... qualcosa. Qualsiasi cosa.

Oh cielo, sono pietosa sul serio.

Sento l'auto di mio padre avviarsi e uscire dal garage: sta andando al lavoro, come ogni giorno, alle sette e quarantadue precise. Non ho bisogno di guardare l'orologio per sapere che è così. La banale ma rassicurante abitudine – questa per Marco sconosciuta – l'opposto che per me. Dopotutto, i geni non mentono.

Sto per riaddormentarmi, quando sento un suono molto fastidioso, ed insistente, diffondersi per tutta la casa. Ci metto qualche secondo a realizzare che è quello del campanello. Ma chi è a quest'ora? M' infilo una maglietta con il volto di Michael – Jackson, esiste forse qualche altro Michael paragonabile a lui? – e mi incammino lungo le scale.

<<Chi è?>> urlo davanti all'uscio. Nessuna risposta.

Alzo allora lo spioncino posto nel centro della porta e vedo...una rosa. Blu. Ma che?

<<Se crollo dal sonno, posso dire, a mia discolpa, che dormire in treno non è affatto comodo come ho sempre immaginato>>.

Marco. Qui. Con una rosa – blu – in mano.

Sono talmente colpita che non mi muovo, non proferisco parola mentre afferro la maniglia e apro la porta, trovandomelo di fronte. Lo guardo, guardo quell'esemplare di maschio così dannatamente bello, fuori, dentro, e penso solo una cosa: lo amo. Lo amo con tutta me stessa.

Sorrido e finalmente mi muovo verso di lui. Gli allaccio le braccia dietro il collo – per farlo devo obbligarlo a piegarsi non poco, è decisamente più alto di me – e lo bacio. E' salato. Dolce. Un insieme di sapori unico e particolare. Oh, che sensazione sublime.

Ogni cellula del mio corpo pare destarsi da un lungo torpore e ritorna viva, pura energia che mi colma di gioia. Ha viaggiato in treno, di notte, solo per essere qui adesso. Per me. Con una rosa comprata chissà dove, rara, introvabile, solo ed esclusivamente per me. Si definisce uno poco romantico, ma se non è romanticismo questo, dobbiamo mettere in discussione molte cose e tornare indietro di parecchi anni. William – Shakespeare – stai in guardia. A fatica, mi stacco e lo osservo, adorante.

<<Tanto per essere chiari... non ti abituare a certe cose. Non sono il mio genere, lo sai>>.

Vuole essere serio, ma invano. Ha un sorriso – splendido – stampato sul suo altrettanto meraviglioso viso. <<Dunque, ehm... mi fai entrare o...>>.

<<Oh, scusa, sì, certo... ovvio...>>.

Devo riprendermi ancora dallo shock. Un momento! Sono una ragazza che venera il romanticismo, io. Me lo voglio godere fino in fondo, visto poi che, a detta sua, sarà una delle poche volte in cui avrò occasione di farlo.

<<Allora, basta come rassicurazione?>> mi domanda, sedendosi sul divano e trattenendo a stento uno sbadiglio.

<<Sì beh... me lo farò bastare>> scherzo e lo bacio ancora. E ancora, e ancora... ne avrò mai abbastanza?

<<Ma quindi... adesso ritorni là oppure...>>.

<<No, no. Il mare è bello, indubbiamente, ma con mio padre ancora fatichiamo a capirci. E poi qui c'è qualcosa, o meglio, qualcuno, che invece capisce molto bene come mi sento e che è altrettanto bello...>>

 Mi bacia di nuovo, con più passione. Ma è stanco, si capisce.

<<Meglio se tra poco torno a casa e mi riposo un attimo. Che programmi hai per oggi?>>.

<<Devo andare da Milena a recuperare il libro di Seneca che le avevo prestato. Ma posso andarci un'altra volta>>.

<<No, possiamo andare insieme, se vuoi. Appena mi sarò ripreso e avrò dato il regalo a mia madre...>> propone, carezzandomi una guancia.

<<Il regalo? Perchè, è il suo di compleanno, oggi?>>.

Una famiglia di cancretti: e pensare che era un segno zodiacale che non mi andava poi così a genio.

<<Sì. Ho chiamato la gioielleria proprio poco prima di arrivare in Centrale. Abbiamo deciso di regalarle un orologio, insieme a Clà e Noe, ma poi io ho aggiunto un braccialetto... sì insomma, come regalo personale>>.

<<Che cosa carina. Possiamo andare insieme a ritirarlo, dopo che abbiamo preso il libro dalla Mile>> suggerisco, iniziando ad utilizzare il gergo tipicamente milanese.

<<Andata>> dice lui, trattenendo un altro sbadiglio.

So che deve farsi una doccia e buttarsi giù per recuperare le energie, ma adesso che ce l'ho di nuovo qui, tra le mie braccia, non voglio lasciarlo andare.

Dopo una bella dormita ed una rinfrescata, Marco appare di nuovo davanti a casa mia, qualche ora più tardi. Adesso che è abbronzato una spruzzata di lentiggini è comparsa sul suo viso, donandogli un'aria più dolce e rendendolo ancora più bello, per quanto possibile. Si è anche fatto crescere un po' la barba, e sta benissimo. Non mi importa di idolatrarlo troppo: mi viene naturale, visto che ne sono innamorata.

Inutile negarlo.

Quando mi porge il casco e mi aiuta a sistemarmi meglio sulla sella della sua moto bianca e blu sento l'impellente bisogno di confessarlo anche a lui. Basta quel gesto, il tocco delle sue mani, il calore del suo corpo contro il mio mentre lo stringo per evitare di cadere, a farmi capire che è il momento giusto: con il ragazzo giusto.

E' lui, è lui davvero il mio amore: quello con la A maiuscola.

Cavolo, quando arrivi a certe consapevolezze della vita senti come se un ammasso di gente si fosse riunita dentro la tua testa, e fa la ola, come ai concerti. Bizzarro paragone, ma la normalità mi sta stretta.

Che poi, chi l'ha tracciata la linea di demarcazione per definire cosa sia normale e cosa no? E, comunque, resta il fatto che sia una considerazione prettamente soggettiva e, quindi, opinabile. Immaginare persone accalcate nella mia mente che confabulano per far girare le rotelle del mio cervello nel modo corretto non mi pare tanto poi strano. Esiste l'immaginazione ed il libero arbitrio, che insieme combinano questi pensieri atipici: mica è colpa mia. Fatto sta che questi urlano lo stesso ritornello oramai da settimane nella mia testa: è lui, Anna. Non ti prodigare più a trovare mille motivi per cui non può che essere così. Perciò, perchè non dargli l'opportunità di duettare con me e far conoscere anche a Marco la voce, a volte stonata, dei miei pensieri?

A modo mio, ovviamente. Sì, lo so, la vita non è un film – come cantava J-Ax quando faceva parte degli Articolo 31 – io non vivo la favola di "Anna nel paese delle meraviglie", ma ciò non toglie che non possa essere possibile inserire un pochino di magia, ogni tanto, nella realtà. Ed io in questo mi sento davvero una maga.

Percorriamo i pochi chilometri che ci separano dalla villetta a schiera, dove abita la mia amica che, vedendomi arrivare in compagnia, su una moto, quella di Marco, per di più, rimane alquanto sorpresa. <<Ciao, sei arrivata col tuo cavaliere?>> ironizza.

<<Sì, ehm... >>. La spingo oltre il cancello, allontanandola da lui, per evitare figuracce: se ora mi domandasse della piovra rossiccia, sprofonderei al pensiero che lui possa sentire e capire che ne ho parlato anche a lei.

<<Vuoi mettere a tacere i testimoni?>> esclama con un ghigno, consapevole di aver compreso appieno l'intenzione celata dal mio gesto. E di avere il coltello dalla parte del manico.

Mi pizzica veloce il fianco e. mentre io mi piego per il solletico misto a dolore lei ne approfitta e mi oltrepassa, ritornando in strada davanti a Marco. La sento che gli chiede <<come mai già di ritorno?>> con un tono tutt'altro che confidenziale.

Milena, taci, ti supplico!

<<Oggi è il compleanno di mia madre>> risponde lui elusivo.

Ah, se la vuol cavare così?

<<E poi mi mancava la mia ragazza. Te ne sei presa cura tu mentre io non c'ero? Scommetto di sì>> aggiunge, serafico.

Si sta giocando davvero una buona mano: lusingare Milena può portare solo benefici. Lei, infatti, se ne compiace e depone l'ascia di guerra. <<D'accordo beh... grazie ancora del prestito>> dice ora, rivolta a me.

<<Non ci ho capito una mazza nella parte senza traduzione, ma tanto lo sai... avrò bisogno della mia insegnante preferita anche quest'anno>> ammicca.

<<Buona cavalcata... ehm... giornata>> sorride angelica e si chiude il cancello alle spalle, salutandoci con la mano.

<<Cosa mi sfugge?>> mi domanda Marco a bruciapelo.

<<Che? Dai>> devio il discorso. <<Andiamo, che in gioielleria ci aspettano prima della chiusura>>.

Lui scuote la testa, per nulla convinto, ma non replica. Accende il motore e parte, in direzione di Gorgonzola.

Se non fosse che ho già pianificato tutto nella mia mente e che si sta presentando lo scenario perfetto per il mio perfetto ciak romantico, disquisirei sulla città dove si svolgerà: l'immagine della muffa del celebre formaggio che le dà il nome non è molto promettente. Sento il cuore che mi martella nel petto mentre lo abbraccio forte. In lontananza scorgo un ponte che sovrasta un fiume... anche un campanile fa capolino, proprio alla destra del ponte.

Eccolo il paesaggio magico che aspettavo per il mio momento magico. Cerco la mano di Marco che non sta usando per guidare e gliela stringo. Respiro piano, cercando il coraggio, e mi schiarisco la voce per poter urlare, a metà del ponte, ciò che avrei voluto dirgli già da diverso tempo. Le parole "TI AMO" mi escono con una naturalezza disarmante. Lui si volta e, attraverso il casco, posso vedere i suoi grandi occhi che brillano come smeraldi, di pura felicità.

Viaggiamo così ancora una decina di minuti, che sembrano ore. Marco non parla, ma tiene ben salda la mia mano. Chissà cosa sta pensando... Ho un po' paura: e se non era quello che voleva sentirsi dire? Se lui non ricambiasse?

Sono sul punto di impazzire quando, finalmente, entriamo in paese. Decelera e si ferma accanto ad una piazzetta con una fontanella al centro, proprio di fronte ad un negozio con una sgargiante insegna. Aspetta che io scenda dalla moto, la parcheggia molto lentamente, poi si toglie il casco e lo poggia sulla sella. Perchè non mi guarda?

Ora ho davvero il terrore di aver fatto una cavolata. Ma Marco è un ragazzo, un uomo, di poche parole, e di grandi gesti. E sto imparando piano a capirlo. Sospira e si volta, commosso, mentre mi sfiora delicatamente le labbra pronunciando, dolcemente <<amore mio...>>.

Mi osserva, come se avesse davanti a sè un reperto storico raro e prezioso, di inestimabile valore. <<Anna, avrei voluto fermarmi appena terminato il ponte, ma non riuscivo a controllarmi. Ho desiderato tanto sentirti pronunciare quelle due parole... per davvero, stavolta>>.

Oh, già: il malinteso del messaggio. Lo avevo scordato...

<<Che quando l'hai fatto, così... semplicemente...>>.

Mi avvicino e gli poso una mano sul petto. Con l'altra gli accarezzo il viso, grattandomi la superficie del palmo con la barba ispida.

<<Sai, sei proprio l'opposto del mio ideale di ragazza>> dice, a sorpresa.

Notando il mio sgomento, si affretta ad aggiungere <<e non credevo davvero di potermi innamorare di una come te. Però è successo... perchè sei così innocentemente inconsapevole di essere come sei, Anna... così speciale>>.

Sono speciale anch'io!

Ed esserlo per uno come Marco, vale anche di più.

<<Mi spaventa a morte ammetterlo, Anna ma...>>.

Forza, forza, dillo!

<<Ti amo. Sul serio>>.

Altro che commedie zuccherose. La mia vita al momento ha un tasso glicemico così alto che potrebbe venirmi tranquillamente il diabete. Sembra davvero la scena finale di uno dei miei film, e scalerebbe senza confronti la vetta del mio film d'amore preferito: qualche volta la realtà supera davvero la fantasia.

Nadia è contenta di vedermi ed è ancora più contenta del buonumore del figlio: dev'essere proprio cosa più unica che rara.

<<Mamma, aspettiamo Noe e Clà per consegnarti il regalo comune. Intanto... io ti ho fatto questo. Auguri>>.

Le sfiora la guancia con un bacio, mentre le porge la scatolina dorata.

<<Grazie, è stupendo!>> esclama, sincera, mentre si lega al polso il braccialetto d'argento con incisi due cuori, che ha scelto di donarle Marco, per osservarlo meglio.

<<Quanto sono fortunata ad averti>> sussurra, abbracciandolo.

Non posso che annuire: ha ragione da vendere.

<<Dai, vado altrimenti mi metto a piangere>> esclama poi, strofinandosi il naso. <<Posso lasciarvi soli, voi due?>>.

Cos'è, una domanda a trabocchetto? Può? Deve lasciarci soli! Il nostro silenzio e le occhiate eloquenti che ci scambiamo io e Marco non la rassicurano, affatto. Ma, da donna saggia qual è, sorride ed esce, senza prima però puntarci l'indice contro, in segno di avvertimento.

Appena la porta si chiude, scoppiamo a ridere nervosamente. <<Chissà perchè tua madre non dovrebbe fidarsi ad andarsene e lasciarci qui soli>> dico io, ingenuamente, mentre mi sto già dirigendo verso la stanza di Marco, trascinandolo con me.

Lui commenta <<ah non lo so proprio>> sorridendo e, appena arriviamo in camera, gira la chiave nella toppa – la prudenza non è mai troppa – e mi butta sul letto: letteralmente.

Hey, un po' di tatto! Sono una donna delicata. Ho bisogno di un luuungo corteggiamento, di interminabili preliminari... Sempre che per lungo s'intenda il tempo di dirmi un paio di volte che sono bellissima, e per interminabili quattro carezze sull'addome, allora sì, confermo: sono delicata. Delicatissima. Talmente delicata che strappo senza troppi preamboli la camicia a quadri di Marco – tanto era orrenda – e gli mordo talmente forte la scapola che gli lascio un profondo segno rosso, manco fossi Bella Swan che deve dar prova di essersi trasformata in vampira ai temibili Volturi. Ho citato di nuovo Twilight, vero? Gli ormoni sono impazziti, è ufficiale.

Marco emette un grugnito profondo e si scosta, stendendosi al mio fianco. <<Anna, non posso dirti di non aver pensato ogni giorno a quando sarei stato di nuovo con te, così... ma dobbiamo andarci piano. Ancora non mi sono ehm... attrezzato... e...non possiamo più farci travolgere dalla... evidente incontrollabile attrazione che proviamo l'una per l'altro>>.

Detesto profondamente quando ha ragione.

<<D'accordo>> acconsento malvolentieri, alzandomi.

<<Non è che adesso devi stare a chilometri da me, però>> afferma tristemente.

<<Non devo, ma lo faccio: è meglio. Per la mia sopravvivenza. E la tua... mi stai facendo diventare una ragazza molto poco raccomandabile>> esclamo, riflettendo su come queste due parole dal significato opposto siano invece perfettamente assemblate e coerenti nella frase corrente.

Come Noi.

Lui ride, ma non si muove: sa che è meglio sul serio mantenere una certa distanza.

<<Va bene quindi... prepariamo la cena?>> propongo, con lo stomaco che si lamenta. L'orologio segna solo le sei, ma questa sera sarebbe bello sorprendere sua mamma con un buon piatto, per festeggiare. Conviene della brillante idea – frutto della brillante mente della sottoscritta, ci tengo a precisare – anche lui, e andiamo in cucina, per scoprire che Nadia, in assenza dei figli, aveva probabilmente vissuto d'aria. Il frigorifero pare personificare appieno la desolazione di Milano in estate, con l'unica differenza di essere, appunto, freddo, a dispetto della stagione. E adesso?

<<Non perdiamoci d'animo, qualcosa da cucinare ci verrà in mente>> esclamo, fiduciosa.

<<Potremmo preparare infinite prelibatezze con le cose che ci sono in dispensa, che le persone normali apprezzano...>> mi sfotte Marco.

<<Per normali intendi sadici assassini menefreghisti degli altri esseri viventi sulla terra solo perchè hanno l'assurda convinzione che la loro vita possa valere di più della loro?>>.

Non provate a contraddirmi sull'argomento. O, se proprio volete, a vostro rischio e pericolo. Una volta tanto Marco ascolta il suo – ho adesso la prova che lo possiede anche lui – buon senso e non insiste oltre. <<Ci sono! Faremo delle crepes. Sia dolci che salate. Vegane, ovviamente>>. Esulto per la mia incredibile ed indubbia creatività culinaria, ignorando la palese espressione preoccupata di Marco.

<<D'accordo>> annuisce lui, esitante.

Cucinare insieme al proprio partner è da sempre riconosciuto come una delle cose maggiormente erotiche che si possa fare insieme. O almeno così diceva la Clerici prima di capire che di erotico lei, con la Moroni, sua partner nel celebre programma televisivo "La prova del Cuoco", poteva farci solo un uovo alla coque.

Ed il paragone non è casuale.

Se dovessi associare il termine erotico al termine cucina l'unica cosa che mi viene in mente, francamente, è lo sguardo enigmatico e seducente di Carlo Cracco, che ha fatto diventare MasterChef un programma quasi porno, alla cinquanta sfumature di grigio: definirli penetranti, i suoi sguardi, mentre sputa sentenze – nel piatto – è quasi banale. Gli insulti gratuiti e volutamente denigranti, gli ordini così sgarbatamente rivolti ad innocenti aspiranti cuoche – che poi la maggior parte potevano essere benissimo inserite nella categoria delle "Desperate Housewives", le casalinghe disperate – i modi rudi di esprimere, da dominatore qual è, la sua innegabile volontà di far emergere l'onnipotenza divina dello scalogno, che lui utilizza "per fare il figo", come scrive nel suo libro, sottomettendo al suo – il più delle volte –offensivo giudizio qualche intruglio cucinato con reverenza, urlando mentre alza un gamberetto rinsecchito al cielo, schifato. Sì, sono una grande fan del programma. E di Cracco.

Ma ho qui il mio, di Cracco, che sta girando, come se fosse un concorrente della ruota della fortuna, l'impasto delle crepes. <<Allora, 200 grammi di farina, integrale, sia mai, 85 ml di latte di soia...di cui ne ignoro il motivo della presenza nello scaffale della drogheria della mia cucina... bicarbonato e sale. Per quelle dolci zucchero. Di canna, grezzo ed integrale, come volevi tu. C'è tutto?>> domanda, continuando a mescolare.

<<Sì, tutto>> confermo, prendendo un po' di farina dal sacchetto e tirandogliela addosso.

<<Perfida! Vuoi la guerra?>>.

E guerra sia.

Marco mi rovescia tutto il sacchetto con la rimanente farina sulla testa. Peccato, morire così giovane. E così nel pieno della sua innegabile giovane bellezza, per giunta.

Come spesso accade, oramai, le mie emozioni verso questo ragazzo mutano più velocemente dei passaggi di Beep Beep attraverso il Grand Canyon, inseguito dallo sfortunato – ma ostinato – Will E. Coyote.

La rabbia per avermi ricoperto della sostanza bianca, che ad una prima occhiata poteva rendermi una cocainomane impazzita, si tramuta in pura eccitazione.

Mi scosto i capelli infarinati dal viso, con un colpo all'indietro – molto, molto lentamente – fissando quei grandi occhi verdi, che si accendono, come collegati alla corrente elettrica.


Marco mi prende i glutei e mi solleva, per adagiarmi senza troppi complimenti sul tavolo e insinuarsi tra le mie gambe, baciandomi con passione. Con la lingua inizia a compiere rapidi movimenti circolari sulla parte superiore del mio collo, appena sotto l'orecchio sinistro, piegandosi maggiormente in avanti per continuare la sua opera e divaricandomi così ancor di più le cosce.

Siamo in cucina perciò è perfettamente consono parlare di fuoco e fiamme, descrivendo la situazione attuale del mio corpo a contatto con il suo. Con particolari parti anatomiche a contatto, se proprio vogliamo essere più specifici.

Siamo talmente occupati ad infliggerci reciproca sofferenza, che non ci accorgiamo che la porta d'ingresso si sta pericolosamente aprendo, per consentire alla – comprensiva, ma comunque c'è un limite anche alla comprensione – mamma di Marco. <<Direi che possiamo cenare in sala, per stavolta>> dice seria guardandosi attorno e poi guardando noi, facendoci prendere un colpo appena notiamo la sua presenza.

Scattiamo sull'attenti come dei grilli, ma con il viso talmente rosso che compararlo ad un peperone non renderebbe affatto l'idea: almeno siamo vestiti. Anzi, siamo infarinati dalla testa ai piedi, pronti come spiedini – vegetali – per essere fritti. E data la temperatura parecchio elevata del nostro corpo al momento, verrebbe una frittura con i fiocchi.

Non riesco a decifrare il viso di Nadia: o si mette ad urlare o a ridere. Dato che sto scoprendo di tenere molto alla mia incolumità fisica, della quale non mi ero preoccupata più di tanto fino ad ora, francamente, prego proprio che scelga la seconda ipotesi.

Ogni tanto le preghiere realizzano il miracolo e Nadia scoppia in una fragorosa risata.

<<Ma come diavolo vi siete conciati?!>>.

L'avevo già detto che la adoro, vero?

Nota Autrice: Io a Nadia farei un monumento, voi? ;-)

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