Chapter 13\"Una tipica commedia americana. Grazie per essere stati con noi!"


Da quando i nostri corpi si sono annusati, e assaggiati, per la prima volta, hanno creato un legame difficile da spiegare.

E da spezzare.

Ogni occasione è buona per incontrarsi, e va sempre a finire nel medesimo modo. E' complicato darsi appuntamento, dovendo rinunciare all'innovativo e ultra comodo sistema di comunicazione moderno, ma, quando lo faccio presente a Marco – più o meno un centinaio di volte in ogni occasione – lui non accenna a trovare una soluzione a lui congeniale, sebbene mi dia ragione: testardo come un mulo.

E' l'estate più calda da che ne ho memoria. Di giorno è praticamente impossibile stare all'aperto se non riparati, ma si fatica ad evitare di sudare anche all'ombra. Io, che mi surriscaldo con solamente la presenza di Marco, anche ai lati opposti della stessa stanza, soffro il doppio. In compagnia degli altri, poi, è una vera tortura mentire su di noi.

In queste settimane, fortunatamente, c'è chi parte e chi sta per farlo, così le occasioni di stare tutti insieme si presentano raramente. Il "covo", poi, chiuderà per ferie tutto agosto, come ricorda scherzosamente Dani, ogni volta che può: andrà in Grecia per tutto il mese, poveretto. Ultra regalo dei suoi per i diciott'anni. I miei è già tanto se mi faranno gli auguri.


<<A che pensi?>> domando a Marco la sera del tre luglio.

Il giorno seguente saremmo andati da Giò per seguire la parata del quattro luglio, dato che lui ha origini americane, e ci siamo incontrati proprio la sera prima per stare un po' insieme prima della sua partenza. Partenza che avverrà tra soli tre giorni: non voglio nemmeno pensarci. Come avrei fatto senza di lui addirittura per due settimane consecutive?

<<Detesto quando me lo chiedi, lo sai...>> risponde dopo un po'.

<<Dai, non rompere>> scherzo io, posandogli la testa sulla spalla.

Siamo sulla mia terrazza, sdraiati sulla chaise longue che mia madre utilizza per prendere il sole, e mantenere così l'abbronzatura in vista del suo imminente viaggio di lavoro a Londra. Papà l'ha resa accessibile proprio a tale scopo, e noi ne approfittiamo per fare i nostri comodi lontani da occhi – e orecchie – indiscreti. Ingenuamente, i miei pensano di doverci controllare solamente se ci chiudiamo in camera: su questa terrazza, invece, accadono cose ben più preoccupanti.

<<Penso a ciò che ci siamo detti ieri... quando l'ho incontrato>> continua, fissando il cielo, illuminato da qualche stella luminosa.

Quando le luci della città si attenuano, la visuale migliora drasticamente, regalandoci uno spettacolo unico: adoriamo nasconderci quassù e farci avvolgere dall'aria fresca della sera.

<<Sai, non ho voluto insistere... ma mi piacerebbe sapere di cosa avete parlato>> lo sprono.

Marco si volta e mi bacia la nuca.<<Te lo devo, dato che è merito tuo se sono riuscito ad avere un dialogo con mio padre dopo due anni>> ammette.

<<Non voglio certo obbligarti>>.

<<Non potresti, neanche volendo. Sai che io faccio sempre e solo ciò che voglio>> dice sorridendo, prendendomi in giro.

Vuole deviare il discorso, ma stavolta non ci riuscirà.

<<Sì? Sono alquanto sicura che potrei indurti a fare e a dire qualsiasi cosa...>> ribatto, iniziando a mordergli il collo.

<<Eh, no. Così non vale>> commenta lui, ma non mi ferma.

<<Di cosa avete discusso?>> lo incalzo, continuando la mia opera di convincimento.

Ottengo solo un <<mmh>> di risposta. Inizio a fargli anche il solletico.

<<Ok, ok... parlo>> cede subito.

Sorrido compiaciuta e mi metto a sedere di fronte a lui in posizione di ascolto: so quanto sia difficile per Marco parlarmi del padre.

Si schiarisce la voce e bibiglia <<ci somigliamo molto... quando l'ho raggiunto in ditta stava finendo di parlare con un operaio. Mi ha visto ed è sbiancato. E' invecchiato... ma sta bene. Invece di rifilarmi le solite scuse e le banali spiegazioni sui motivi assurdi che l'hanno spinto a lasciare la mamma, mi ha immediatamente proposto la vacanza. Ha detto che Claudio e Noemi avevano già accettato e che sarebbe stato come una volta... mi è sembrato sincero. Forse per la prima volta da quando lo conosco. Mi ha parlato da uomo a uomo, capisci? Eravamo sullo stesso livello>>.

Guarda oltre la mia spalla, lontano, come a voler rivivere quel momento per stamparlo nella sua mente. Sentirlo pronunciare quelle parole mi commuove. Ha sognato, desiderato, idealizzato quell'incontro nella sua testa mille volte prima di avere il coraggio di viverlo davvero. <<Sei stato coraggioso. Hai messo da parte la rabbia, il risentimento... l'orgoglio. Sono fiera di te>> gli dico sinceramente, stringendolo forte.

<<Poi magari il campeggio va di merda>> aggiunge brusco, sciogliendo l'abbraccio.

<<E chi può dirlo? Per me una vacanza in campeggio è già uno schifo di per sè >> commento secca, con una smorfia.

<<La mia schizzinosina>> mi prende in giro, pizzicandomi la guancia.

<<Ah sì. Passino gli spazi ridotti, i bagni condivisi e compagnia bella... ma la sicurezza di una tenda? Va bene lo spirito d'avventura, ma preferisco avventura, sicurezza... e qualche comfort. Anzi, molti comfort>> ammicco, pensando ad un mega Hotel All Inclusive cinque stelle Superior.

<<Vorresti dire che non ti basterei io?>>.

<<Ehm... no, onestamente>> confesso con sincerità, sfoggiando un sorriso ammaliante.

<<Cioè, se io ti proponessi di dividere con il mio bellissimo corpo una tenda tu non accetteresti?>> mi provoca, pizzicandomi il fianco.

<<No. Cioè... accetterei il bellissimo corpo. In qualsiasi altra circostanza, su qualsiasi altra superficie...>>.

Non potrei essere più esplicita.

Marco sorride e si avvicina per baciarmi. In queste ultime settimane non abbiamo fatto altro che spingerci sempre più in là, ma, prevalentemente, con affermazioni allusive. Se gli proponessi...?

<<Anche se poi, di cosa stiamo parlando, in realtà?>> inizio, avendo bene in mente dove andare a parare. <<Qui... si parla del tuo corpo, bellissimo lo definisci, addirittura, ma io non ho avuto ancora modo di costatare se sia vero oppure no...>>.

<<Se devo prendere in considerazione seriamente la tua offerta, devo capire cosa c'è in ballo... se la merce è davvero di qualità... >> azzardo, passandogli l'indice sul petto.

<<Non posso contraddirti...>> mormora lui, già su di giri.

<<Mi fa piacere tu sia d'accordo con me. Perchè vedi... adesso vieni qui davanti e, quando quel semaforo laggiù diventerà verde, dopo il prossimo giro, voglio vedere il tuo corpo. Tutto. Nudo>>.

Evidenzio, con un tono più squillante, le ultime due parole, tanto per essere chiara sulle mie intenzioni, indicando una luce, ora rossa, in fondo alla via, in prossimità dell'incrocio.

Marco è sbalordito, sgrana gli occhi e apre la bocca emettendo un <<oh>> di puro stupore.

Non so da dove venga fuori questo lato così spudorato, ma so che di lui mi posso fidare. E anche di me. Non andrò in panico, stavolta. Sto imparando a lasciarmi andare, a lasciar emergere la parte più vulnerabile di me, che è decisamente preponderante sulle altre. Con lui non ho timore di spingermi al di là dei miei limiti, di dar voce alle mie paure, ai miei desideri... di scoprire chi sono.

Perchè con Marco sono, probabilmente per la prima volta in vita mia, me stessa. Quella vera.

<<Anna... la tua proposta è un tantino audace>> commenta lui, tossicchiando.

<<Se non ti conoscessi almeno un po', Marco Amodio, scommetterei che ti vergogni...>>.

<<Cosa? No, nient' affatto... cioè, di cosa?>>.

<<Infatti, hai un corpo bellissimo...>>.

<<Bellissimo, sì>>.

<<Quindi il problema dov'è?>>.

<<Ehm... no, infatti, non c'è...>>.

<<Bene>> affermo, vittoriosa, dopo questa lotta a suon di battute, dove, tanto, i vincitori saremmo stati entrambi, sistemandomi sulla mia chaise longue per godermi appieno lo spettacolo. Non ha scampo: nemmeno prova ad arrancare una scusa.

Poggia prima un piede e poi l'altro, con estrema – troppa! – lentezza e si alza. Mi dà le spalle, così da non rivelarmi l'espressione del suo viso, e si allontana dall'unica fonte di luce disponibile. Cerca nel buio un complice silenzioso per togliersi dall'imbarazzo di ciò che sta per fare.

Volta lo sguardo in direzione del semaforo, che punta la sua luce rossa come un faro nella notte. Qualche secondo, Marco posiziona le mani sull'elastico dei pantaloncini e... il semaforo si spegne.

Si spegne? No!

<<No!>> urlo, colpendo l'aria con un pugno.

Scattando la mezzanotte, il dispositivo di regolazione delle luci viene interrotto, e resta in funzione solamente la lanterna semaforica centrale, che lampeggia ritmicamente, e pigramente, facendosi beffa della mia impazienza.

Marco scoppia in una forte risata, ma non si muove. <<Tanto per la cronaca, non avrei aspettato comunque il via libera di un semaforo, per dimostrarti che non temo affatto di non essere all'altezza delle tue aspettative>> afferma d'un tratto, serio.

Con la sua classica sfrontatezza e la padronanza di sè riacquistata velocemente, si volta e, con un rapido movimento, abbassa l'elastico dei pantaloncini e dei boxer, insieme.

Non ci sono parole per descrivere tutto questo – non scadrò certo nella banalità di elencarne le caratteristiche dimensionali – se non che sia lo spettacolo più sexy in assoluto cui una ragazza possa partecipare. Fingo di non essere sorpresa, mentre sbatto ripetutamente le gli occhi, anche per poter ottenere una visuale migliore, ma invano.

Marco ridacchia e, come nulla fosse, si leva dall'ingombro dei vestiti – era già a torso nudo appena messo piede in terrazza – e si sdraia accanto a me, come poco prima, ma completamente come mamma l'ha fatto.

E l'ha fatto davvero bene.

Fatico a smettere di sorridere imbarazzata, e di guardare da un'altra parte. <<Come, sono già terminate le tue valutazioni? Hai già tutti gli elementi per prendere una decisione? Ti facevo una ragazza più... concreta>>.

<<Ehm... cosa intendi con concreta?>> mormoro, con un filo di voce.

<<Che valuta concretamente le cose prima di sceglierle... non solo con gli occhi>>.

Santo cielo, in che guaio mi sono cacciata?

<<Allora, cara la mia Marchiselli... prima lanci il sasso e poi nascondi la mano?>> mi domanda, sollevandomi il mento con il pollice, costringendomi, così, a guardarlo negli occhi. Quei grandi, dolci, sensuali occhi verde smeraldo.

<<Affatto. Le mani mi servono>> lo informo, accettando la sfida.

E così mi prendo tutto il tempo che occorre per determinare una risposta affermativa o meno. Marco non mentiva: il suo corpo è bellissimo, accarezzato dalla luce dolce ma brillante della luna. E' solido ma morbido, muscoloso ma delicato... una contraddizione perfettamente coerente con il suo carattere. Ciò che è fuori, è dentro: un enigma meraviglioso, che voglio riuscire ad interpretare con l'unica chiave possibile, quella dell'amore.

Mi sto davvero innamorando di questo ragazzo?

I segnali ci sono tutti. Sto prendendo seriamente in considerazione la scabrosa possibilità di porre una piacevole fine alle sofferenze di Marco, che sembra tormentarsi molto quando l'intensità delle mie carezze cresce, quando dal piano di sotto sentiamo un chiaro rumore di vetri rotti. Lui apre gli occhi e si siede, terrorizzato.

Scattiamo in piedi, come fulmini, e recupera frettolosamente i vestiti, indossandoli. Se ai miei, che si sono evidentemente svegliati, venisse l'idea di salire quassù proprio ora, credo che mi metterebbero in punizione a vita.

Appoggio l'orecchio alla porta che dà accesso alla scala che porta alla terrazza: nessun suono.Via libera. Lo accompagno fuori, camminando in punta dei piedi. Siamo ancora un po' storditi dall'interruzione improvvisa di quello che è appena accaduto tra di noi, che ci salutiamo con un bacio veloce.

Quando chiudo la porta e sento la sua moto che si allontana, non posso fare a meno di sorridere e pensare: non mi sto innamorando di lui.

Io sono già innamorata di lui.

Perdutamente.



La mattina dopo si presenta la stessa identica scena che si ripete ogni qual volta mia madre è prossima alla partenza per una delle sue fiere in giro per il mondo.

<<Anna, dai, vieni, dammi un bacio>>.

Agata, vestita perfettamente in tailleur cremisi di Luisa Spagnoli, mi tira verso di sè prendendomi le labbra e portandole alla guancia, facendomi quasi sbattere la faccia a terra: proprio non le riesce un gesto d'affetto che possa definirsi tale. Sento il mio spazio vitale esaurirsi in fretta, avvelenata da quel suo profumo nauseante che mi resta addosso per ore, quando mi cinge poi in quel vorrebbe essere un abbraccio, ma che pare più una presa poco fortunata di un boa constrictor affamato.

<<Tornerò tra cinque giorni, solo per poco, poi andrò a Vienna. E' tutto scritto sulla lavagna in cucina, comunque>>.

<<D'accordo mamma, buon viaggio>> le auguro, in tono piatto.

<<Papà torna prima, ovviamente. Non possiamo... cioè>>.

Si corregge, notando la mia espressione offesa. <<Non vogliamo... lasciarti sola troppo a lungo. Ma questa volta ho un po' più di tempo libero e Armando non ha mai visto Londra...>>.

<<Non ti devi giustificare. Va benissimo. Sono grande, oramai. So badare a me stessa>> affermo, determinata.

<<Non ne dubito, cara. Okay, allora... ci siamo>> sospira, agitata.

<<Agata... andiamo adesso>> prova a calmarla papà, cingendole un fianco e accompagnandola alla porta.

Ha messo valigie e borsoni in auto e si è già dilungato a sufficienza per ripetermi, circa un milione di volte, tutte le raccomandazioni possibili ed immaginabili. E' stata una sorpresa quando mi hanno comunicato l'intenzione di andare via entrambi, e di non avere compreso anche me nel pacchetto – il mio rifiuto per un viaggio nella mia città preferita avrebbe dovuto insospettirli, no? – un paio di giorni fa: non lo avevano mai fatto prima d'ora. Era indubbiamente un segno di fiducia, meritata. Insomma, non avevo mai dato loro modo di dubitarne. Anche se, ultimamente... le cose sono cambiate.

Non avevo detto nulla a Marco, per evitare delusioni se, alla fine, il piano fosse mutato e per non caricarci di aspettative: casa vuota per giorno e notte era una grande tentazione, soprattutto per come stavano andando le cose tra di noi.

Non dovevo tradirmi: iniziare a ballare ancora prima che la porta si fosse chiusa avrebbe destato sospetti. Dovevo dimostrarmi sicura ma non troppo felice di restare sola... ancora qualche attimo e avrei potuto abbandonarmi alla miglior interpretazione della danza della vittoria della storia, da far invidia ai mitici attori di "Scrubs", da cui è tratta.

Non smettendo di sorridere e di salutare con la mano, sfidando l'improvvisa comparsa di una paresi alla mascella e al braccio destro, contemporaneamente, chiudo infine la porta d'ingresso con un po' troppa forza, ma chi se ne frega: l'Alfa è già partita per Linate.

Ancheggio, urlando, e mi precipito di corsa a cambiarmi: non vedo l'ora di andare da Giò e vedere la faccia di Marco quando darò loro il grande annuncio.


La casa di Giò, una bifamiliare poco distante dalla villa di Dani, è letteralmente piena di bandiere a stelle e strisce. Quella davanti alla doppia porta d'ingresso, l'unica permanente, è la più grande ed è stata spostata più in alto, per essere ben visibile anche dallo spazio, probabilmente. Il tipico patriottismo americano invade ogni angolo della piccola, ma accogliente, sala da pranzo che, per l'occasione, è stata addobbata con suppellettili di ogni tipo, ovviamente rossi, bianchi e blu. La madre e la nonna di Giò, le cui radici statunitensi sono innegabilmente riconosciute – e, a mio parere, sopravvalutate (lo zio di secondo grado del padre era americano, perciò...) – hanno preparato prelibatezze peculiarmente "Born in the U.S.A.". Infiniti Hot Dog e Hamburger dai nomi improbabili – Pulled Pork Sandwich, Sloppy Joe (forse il nome dello zio?), Philly Cheesesteak, Curn Dogs e chi più ne ha più ne metta – sono disposti in bella mostra sull'enorme tavolo al centro della stanza. In un tavolino a parte, noto un angolo con altre preparazioni.

<<Quelli sono Burger di ceci e maionese veg, patate dolci e... aspetta che chiedo notizie su quel dolce laggiù... >> esclama Giò, rivolto a me, arrivando dalla cucina.

<<E' la ricetta delle ciambelle, a metà fra un croissant e Doughnuts: si chiamano Cronuts. E' la versione delle ciambelle vegana, basata interamente su ingredienti vegetali. Only for you, dear>> mi spiega la mamma di Giò, che si presenta con un gran sorriso.

<<Grazie, non era necessario>> dico lusingata ad entrambi, ricambiando il sorriso.

Che pensiero gentile aver pensato alla variante vegana apposta per me!

Mi sto ancora crogiolando nella dolcezza del gesto, elargendo sorrisi e ringraziamenti, che non mi rendo quasi conto quando Marco fa il suo ingresso nella sala. Lui, però, nota subito me. <<Ciao>>.

Dà un'occhiata a me, poi al tavolo vegano, e scuote la testa. <<Troppo buone le donne di casa>>.

<<Sì, le stavo giusto adulando>> sorrido, di nuovo, voltandomi verso la nonna di Giò, che, nel frattempo, ha raggiunto la figlia con un vassoio pieno di Brownies al caramello.

<<Sembra invitante anche questa roba, ma io mi fiondo sull'altro tavolo>> commenta con la solita arroganza, ma poi strizza l'occhio, veloce, nella mia direzione: sta recitando bene la parte. Se, di colpo, si mostrasse troppo gentile nei miei confronti, capirebbero all'istante tutti che c'è qualcosa di strano. A differenza sua, io non riesco ad essere così distaccata e sciolta come mio solito: gli osservo il sedere mentre si allontana.

Oh porca miseria, devo farmi curare.

Sandro, che tra tutti è indubbiamente il più sensibile, mi si avvicina chiedendomi timidamente <<tutto okay?>>.

Lo rassicuro, infilandomi in bocca una patatina gigante, ammiccando. <<Forza, forza! Inizia la parata!>> grida Giò eccitato e i presenti si avvicinano al divano.

Fortunatamente nè Carolina nè Ale sono venuti. Ma, da quanto ho capito, non tarderanno ad arrivare. Provo sentimenti contrastanti verso di lui, dopo la nostra ultima conversazione: la mia idea è di ignorarlo, finchè possibile. Devo cominciare ad allenarmi, poichè parcheggia lo scooter proprio due minuti dopo.

<<Hey, hi everyone!>> saluta entrando.

<<Hello!>>.

<<Ciao! Vieni!>>.

<<Ci sono anch'io>>.

Ecco una voce che avrei volentieri fatto a meno di sentire.

<<Ciao Caro, siamo di là>> la informa Dani, sorseggiando una birra.

<<Che caldo. Si schiatta>> commenta antipatica appena entra, e si piazza di fronte al ventilatore: egoista.

Appena il suo viso ritorna di una tonalità accettabile e il sudore sulla fronte si è attenuato, mi cerca e mi squadra da capo a piedi. Fa lo stesso con Marco, seduto poco distante da lei. Proprio a lui rivolge un sorriso eloquente, mentre gli chiede <<quindi il sette parti?>>.

<<>> le risponde lui, senza voltarsi.

<<Pensa te che coincidenza: partirò anch'io proprio lo stesso giorno per Riccione. Ci incontreremo là, allora>>.

<<Ne dubito. La città è grande. La spiaggia pure>> conviene lui, serio.

Lei smette di sorridere, sospira e si alza per prendere da mangiare. "Eccoti servita, stronzetta" penso, vittoriosa, osservando la scena.

Ma poi cominciano, come al solito, le paranoie. E se si incontrassero veramente? Se poi lui capisse che, in realtà, è lei che vuole e, quando torna, mi lascia?

Nessuno sa che adesso stiamo insieme, per MIA scelta, tra l'altro. Carolina potrebbe tornare alla carica, ora che lo ha palesemente perdonato ed evidentemente – ma la smette o no di fissarlo? – non dimenticato.

Abbasso gli occhi, cominciando a mordicchiarmi nervosamente le unghie, preoccupata.

<<Hai finito? Mi innervosisce questo rosicchiare>> esclama Marco a voce alta verso di me, che sono sull'altro divano, di fronte a lui.

Smetto all'istante, sbuffando. Perchè deve essere comunque così odioso? Va bene lasciarsi coinvolgere dal ruolo che, per altro, ha sempre interpretato senza troppo sforzo, dell'amico rompipalle, ma, dopo quello che abbiamo fatto ieri sera, non lo tollero. Soprattutto perché, adesso, Caro mi rivolge uno sguardo che sembra dire "vedi? Non tratta di merda solo me. Anche di te non gliene frega nulla".

Non lo sopporto, maledizione!

Mi alzo veloce dal divano ed esco in giardino, attraversando con un balzo la portafinestra. Sto cercando di decidere se sedermi o meno su una panchina un po' malandata, accanto all'enorme salice piangente, quando qualcuno mi poggia una mano sulla spalla. Chiudo gli occhi, sperando sia Marco, e, invece, è Ale. Ancora una volta lo scambio di persone – e di personalità, così fisicamente e psicologicamente diverse – mi sconvolge. Faccio istintivamente un passo avanti. <<Scusa, non volevo spaventarti>>.

<<Non mi hai spaventata. Cosa c'è?>> domando, un po' troppo bruscamente. Ce l'ho con Marco, non con lui. Anzi, ce l'ho con me stessa, che è ancora peggio.

<<Niente, volevo solo parlarti>> si giustifica lui, abbassando timidamente lo sguardo.

<<Sì, certo... scusa. Sono un po' agitata>>.

<<Lo posso capire... insomma, dopo quello che mi hai confessato...>>.

Aggrotto la fronte, titubante. Che sta dicendo?

<<Sì... della tua intenzione di stare con Marco. Poi lui ti tratta ancora così... cioè, quindi... ha cambiato idea, su di voi, alla fine?>>.

Eh? Ah sì, ho capito: ha decisamente frainteso.

Provo a parlare, per spiegare il qui pro quo, ma lui mi prende in contropiede, si avvicina e mi bacia. Tutto in una frazione di secondo. Quanto basta, per far imprecare Marco, che, proprio in quell'istante, è uscito a sua volta e sta guardando nella nostra direzione, seguito a ruota dal resto del gruppo. Mi stacco subito da Ale, che, nel frattempo, mi ha blindata con le sue braccia attorno alla vita.

Posso decidere, ora: far infuriare Marco ancor più di quanto non lo è già non rivelando nulla, oppure urlare la verità e subirne le conseguenze. Qual è il male minore? E, soprattutto, per chi?

Marco, certo non la persona più paziente del pianeta, mi sta chiedendo in silenzio una risposta. Il suo sguardo passa da me ad Ale, a quelle sue mani ancora sui miei fianchi.

<<Ale, lasciami. Per favore, non puoi fare così>> dico, il più educatamente possibile, così che anche Marco si calmi.

Ma lui non accenna a dar segni di cedimento: i suoi occhi sono lame, i muscoli del volto tesi. I restanti spettatori dello show si scambiano a loro volta occhiate perplesse. Ale indietreggia un pochino, ma non allenta la presa. Marco sta per perdere la pazienza, quando io decido.

Scelgo lui, sceglierei sempre comunque lui, realizzo in quell'istante, sicura.<<Ale, no. Io... io non voglio. Io sto con lui, adesso>> mormoro appena.

Ale però sente, e mi lascia subito.

Gli altri non capiscono, chi sta con chi? Marco respira piano e poi si volta, ma non torna in casa. Vuole assicurarsi che Ale mi tolga le mani di dosso, una volta per tutte. Ora è decisamente più chiaro. Si alza un bisbiglìo e poi una voce sovrasta le altre. E' quella di Carolina, indignata.

<<E brava la mia Anna, la santarellina... prima te la fai con Ale e poi anche con Marco...>>.

Le sono addosso in un istante. <<Ciò che faccio e soprattutto con chi non è affar tuo!>> ringhio.

<<Tanto per la cronaca, con Ale ci sono stati un paio di baci secoli fa e Marco non mi è mai interessato fino a... fino a... poche settimane fa. Hai capito?>>.

<<Sì, raccontale a qualcun altro le tue palle>> ribatte lei, sfottendomi.

<<Non sono palle. Sei tu che non le hai, le palle, per capire che a Marco di te non gliene è mai fregato un cazzo, perchè ha sempre voluto me!>>.

Non è mia intenzione offenderla o ferirla, Carolina era mia amica: io ci tenevo a lei. Le parole mi escono, però, a raffica e non riesco a soppesarle come dovrei. Tutti rimangono immobili a fissare prima me e poi lei, senza saper bene cosa fare.

<<Magari ci hai anche scopato>> dice d'un tratto lei, a denti stretti, fissandomi incattivita.

<<Caro, adesso stai esagerando>> interviene Marco.

<<Porca puttana, è vero!>> esclama allora, inorridita. <<Non la difenderesti se non fosse così!>>.

Con voce stridula riprende, indignata <<Marco, non la conosci nemmeno. Era là che si limonava con un altro, dannazione!>>.

Lui si morde il labbro inferiore. <<Mi dispiace, Caro. Te l'ho detto mesi fa quello che provavo per lei>>.

Cosa? Mesi fa? Le ha confessato mesi fa che gli piacevo io? Il mio cuore – sebbene un po' scosso, al momento – fa un balzo.

<<Non ci posso credere>> ammette, scuotendo la testa. E finalmente se ne va.

Giò, grazie al cielo che c'è lui, batte le mani ed esclama <<e per finire, una tipica commedia americana. Grazie a tutti per essere stati con noi!>>.

Sorridiamo tutti e la tensione si scioglie. Come mi sciolgo io nell'abbraccio di Marco, nel quale mi rifugio subito senza esitazione.

<<Ragazzi>> prendo la parola più tardi, quando gli animi si sono calmati e le pance riempite per bene. <<I miei sono partiti. Casa libera per tre giorni!>>.

<<Yeeee!>>. Forti urla e fischi di approvazione confermano il mio pensiero, come anche il volto stupito e contento di Marco.

<<Domani sera allora la serata cinema la facciamo da te, okay?>> propone Dani.

<<Ma certo...>> rispondo in automatico, pentendomene subito dopo: ci sarebbe rimasta solo una sera da trascorrere insieme io e Marco.

Lui si incupisce, deve pensare la medesima cosa.

Oh, su... ce la faremo bastare.


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