Chapter 11\"Sì, ho sete. Di te. Voglio dissetarmi con l'essenza di te..."


<<Insomma, non hai nient'altro da raccontarci?>> chiede mia mamma, irritata, appena ho sistemato la valigia e siedo a tavola per la cena.

<<Mamma>> le rispondo, esasperata.

<<Cos'altro vuoi che ti dica! Ti ho raccontato tutto>>.

Questa frase è molto lontana dalla verità, ovviamente, e come lo so io, credo ne sia consapevole anche mia madre.

Motivo per cui è così insistente. Ma non caverà un ragno dal buco, deve arrendersi. Anche perchè nemmeno io so con certezza che cosa realmente sia accaduto.

So solo che non riesco a smettere di pensare al bacio con Marco...



Quando la monotonia della ripresa della scuola torna a schiacciarmi, ci sono i pomeriggi in casa Amodio a liberarmi dalla consuetudine. Al mio rientro, avevo contattato Noemi per discutere degli orari. Prima andavo da lei solo nelle ore in cui suo fratello non c'era, adesso non v'era più ragione di evitare Marco, anzi...Volevo vederlo. Il più possibile. Oramai, era inutile negare a me stessa che qualcosa era cambiato nei suoi confronti. Non ero obbligata a comunicargli la fine della mia fase di negazione dell'interesse per lui, ma sentivo il bisogno di parlargli.

Così ci accordiamo con Noemi per le diciassette e, puntuale, mi trovo a schiacciare il tasto del campanello proprio a quell'ora.

<<Buongiorno. Vieni, vieni>> mi accoglie Nadia, con quel suo rassicurante sorriso materno.

<<Buongiorno a lei>>.

<<Ma non ci davamo del tu?>>.

<<Hai ragione. Ciao>> replico, con un filo di imbarazzo.

<<Tutto bene? Sembri un po'... a disagio>>.

A disagio? E perchè mai? Avevo solamente impiegato mezz'ora più del solito a truccarmi e a cambiarmi d'abito, poichè nessuno mi sembrava adatto.

<<Ciao!>>. Una voce gioiosa arriva da lontano, mentre un bel sorriso compare dopo poco dalla porta.

<<Ciao a te Noemi!>>. Sono felice di vederla.

<<Sai che ho preso otto nel tema? O-T-T-O!>> scandisce bene la cifra, per evitare fraintendimenti.

<<Complimenti!>> la lusingo sincera, abbracciandola.

In quel momento parte Beethoven – e... i Queen? – suonati in maniera divina, al pianoforte. Chissà chi sarà mai a suonare...

<<Hey Noemi, senti... prima di iniziare... mi sono ricordata di non aver detto a tuo fratello una cosa l'altro giorno e... non si sa mai come contattarlo, perchè non ha il cellulare, né... internet>>.

Fatico ancora a credere sia possibile davvero evitare di utilizzare la tecnologia moderna, oggigiorno. <<Vado un secondo di là, okay?>>.

<<Sì, nessun problema. Possiamo studiare dopo ma... sei sicura di interromperlo mentre sta suonando?>>. Nella sua voce noto timore per la mia incolumità: nemmeno ci avevo pensato. Tanto mi aveva già dato della stronza egoista, no?

<<Correrò il rischio>> le rispondo, facendo una valutazione rischio-beneficio al volo, con un sorriso a denti stretti.

E mi fiondo in corridoio. Davanti alla porta della camera di Marco appoggio un attimo l'orecchio allo stipite, per ascoltare meglio quella stupenda melodia. Appena termina, busso.

<<Chi è?>>.

<<Sono io... ehm... Anna>>.

Sento lo stridìo dello sgabello che viene spostato e poi la serratura della porta che si sblocca – ha chiuso a chiave la porta? – mentre la maniglia si abbassa. Un ragazzo molto somigliante a Marco apre infine la porta. La spalanco, con il braccio, senza smettere un secondo di fissarlo.

<<Ma che...>>.

<<Cominciavano ad infastidirmi. Come te>>.

Sempre gentile. Ma molto... molto più affascinante con quel taglio di capelli. Alla Taylor Launtner, il licantropo di Twilight. Ma come cavolo mi è uscito di pensare proprio a lui? Non glielo confesserò mai.

<<Forza, che c'è?>>.

<<No no, non ti dirò a chi somigli>>.

Dalla sua espressione smarrita, capisco che non è ciò che mi sta domandando.

<<Anna, stavo suonando, nel caso fossi improvvisamente diventata sorda. E anche muta, magari, oh, sarebbe un miracolo!>> confessa, alzando le braccia al cielo.

Più carino sì, ma non per questo meno indisponente.

<<Per tua sfortuna ci sento molto bene. E non sono mai stata nemmeno afona in tutta la mia vita>>.

E' stupito. <<Non hai mai perso la voce nemmeno una volta?>>.

<<No, io tengo allenate le corde vocali. Sai, i vocalizzi, il diaframma... quelle robe lì>> roteo la mano avanti a me, per enfatizzare il concetto. Ma da quando parlare di me mi viene così spontaneo, con un praticamente estraneo, che sono consapevole, per altro, che, quando meno me l'aspetterò, utilizzerà queste prove contro di me?

<<Sì, conosco "quelle robe lì". Ma perchè lo fai?>>. Sembra interessato sul serio.

<<Perchè canto. Sì, cioè... mi piace cantare. Ed è più semplice se hai le corde vocali allenate perchè altrimenti...>>. Mi blocco, notando la sua faccia.

<<Quindi ora canti anche. Sei un pozzo di sorprese, Signorina Marchiselli>>.

Non so se interpretarlo come un complimento, oppure no.

<<Lo prendo come un complimento>> provo a dire.

<<Lo è>> mi risponde con franchezza.

<<Okaaay...>>.

Ora mi sento in imbarazzo più totale. E quegli occhi verdi, che adesso non sono più nascosti da quell'ammasso di capelli castani, mi scrutano, così in profondità, che non riesco a guardarli a mia volta per più di due secondi consecutivi. Pensare che lui appartiene al solo 2 % della popolazione mondiale che possiede l'iride di quel colore: raro è dir poco.

Oh Dio, mi manca l'aria.

<<Anna, ti senti bene?>>.

<<Sì, no. Non lo so>>. Regina dell'ambiguità a rapporto.

<<Vado a prenderti un po' d'acqua. Coricati un momento sul letto>>.

Con riluttanza, mi tocca dargli ascolto: mi sdraio, poco prima di sentire le mie gambe cedere. Affondo la testa sul cuscino, che sa dello stesso odore di limone e menta che ho sentito quando... l'ho baciato. Un'urgenza inaspettata si fa strada dentro di me, alimentata dal profumo di quel ricordo.

Quando Marco rientra nella stanza capisco al volo: lo voglio. Voglio sentire ancora quella meravigliosa sensazione delle sue labbra sulle mie. E' strano, a volte – il più delle volte – irritante e fastidioso, ma è anche gentile, e buono, disponibile... incredibilmente brillante. Affascinante. Sì, e imprevedibile.

Intrigante da morire, accidenti.

<<Anna...>>.

Marco ha quasi paura di avvicinarsi. Deve vedere in me quella determinazione che prima non c'era. <<Hai ancora sete, o...>>.

Sì, ho sete di te. Voglio dissetarmi con l'essenza di te. Potrei mai confessarglielo?

Senza chiedere il permesso gli prendo la mano e lo attiro a me. Lui è perplesso, ma non lascia la mia mano. <<Anna, che hai in mente?>>.

<<Io...niente...>>.

Non ci credo nemmeno io. Siamo seduti l'uno davanti all'altra e le nostre braccia si toccano, unendo i nostri corpi. Non mi basta... abbandono la sua mano, ma solo per utilizzare la mia per avvicinarlo ancora più a me. Lui però si scosta, infastidito.

<<Anna, per favore... credevo di essermi spiegato>>.

Non capisco... o è talmente forte il bisogno che ho di stringerlo tra le mie braccia...

Si alza, frustrato, e mi dà le spalle. <<Non so che intenzioni tu abbia, nè il motivo per cui tu sia qui... dato che ti ho detto chiaramente, sulla spiaggia, quella sera, che non voglio essere preso per il culo>>.

Quando si arrabbia Marco è volgare: annotato.

<<Chi ti dice che lo stia facendo?>> mormoro smarrita, con un fil di voce.

<<Coosa? Ma ti vedi? >> esclama poco educatamente, voltandosi di scatto. <<Sei piombata qui senza una ragione apparente, tutta in tiro, e mi guardi in modo lascivo... Anna, io non sono uno dei tuoi pupazzetti con cui giochi un po' prima di stufarti perchè non ti adulano più. Te l'ho già detto chiaro e tondo: io non gioco. Soprattutto non con te. Tu non lo fare con me>>.

Le sue parole mi sorprendono, mi affascinano: mi rapiscono. Riprendo coscienza dopo un attimo di stordimento. <<Nemmeno io "gioco", okay? Le cose sono andate come sono andate nelle mie precedenti relazioni, ma non perchè io giocassi... con Luca sono stata fidanzata un sacco di tempo!>>.

<<Certo, il poveretto... non ce la faceva più>>.

<<Non puoi parlare di lui in questo modo, non lo conosci neanche!>>.

Luca mi ha fatto quel che ha fatto, è vero, ma non per questo nè lui nè nessun altro può insultarlo gratuitamente così.

<<Anna, ma il punto è proprio questo: non ho bisogno di conoscerlo per sapere che è un perdente. Lo sono tutti. Tu ti circondi di gente mediocre, così puoi restare nella tua comfort zone, bella tranquilla, e, anzi, avere ogni tanto qualche soddisfazione su come tu possa essere sempre così buona e cara, così...>>. Chiude gli occhi un attimo, sospirando.

<<Così accondiscendente>> riprende, sputando sentenze a raffica. <<Nel tuo mondo fatato che ti sei creata da sola, dove nessuno vince e nessuno perde, perchè nessuno si mette in gioco! Tu ti adegui. Ti uniformi. Per non soffrire. Ma così ti limiti a sopravvivere, capisci? Vivere è un'altra cosa. Vivere è rischiare, è scommettere, è una continua partita. A proposito...>>. Se si rende conto della mia espressione turbata, la ignora, perchè continua, domandandomi innocentemente <<ci sei andata all'allenamento?>>.

Dopo tutto quello che mi ha scagliato addosso se ne esce con una domanda così futile? <<No>> riesco solo a rispondere.

Mille brividi di rabbia mi attraversano il corpo. Ho i pugni serrati così forte che le unghie si stanno conficcando nella carne.

<<Come volevasi dimostrare. Sopprimi tutto ciò che per te è importante, le tue abilità, le tue potenzialità, perchè hai paura. Sei piena di risorse che però vedi come limiti. Usi i Social per far vedere qualcuno che non sei, come la maggior parte della gente... Quanto vorrei...>>.

Notando adesso la mia espressione collerica, e pure affranta, s'interrompe e, con un cenno della mano, dichiara conclusa la sua arringa. Ma il processo non è affatto finito. 

It's my turn.

 Respiro profondamente e comincio, determinata. <<Sai solo sputare sentenze. Hai usato Carolina, l'hai illusa e hai lasciato che la colpa ricadesse su di me. Tieni lontano tutto e tutti rifugiandoti nei tuoi hobby, nelle tue assurde convinzionI anticonformiste. Io mi sarò anche creata il mio mondo fatato, come dici tu, ma tu ti sei creato un muro invisibile per non entrarci proprio, nel mondo reale. E lui non può entrare in te: non sei rintracciabile. E ne vai anche fiero. Di essere anticonformisti siamo capaci tutti, ma da lì ad esser rappresentanti del movimento anticonformista dell'anticonformismo è un passo: e via all'omologazione. Quanto temi di essere come gli altri? Quanta paura e quanta poca fiducia hai in te stesso per non permetterti di provare ad amare? A perdonare? Tuo padre, in primis>>.

Ho il fiato corto. Ma da dove mi sono uscite tutte queste parole?!

<<Anna, non tirare in ballo mio padre. Non sai niente di lui... di noi>> dice, sprezzante.

<<Tua madre me ne ha parlato spesso, invece. Ha tentato un milione di volte di contattarti, ma tu non hai mai voluto farlo. Il muro che hai eretto per lui dentro di te è un grattacielo>>.

Marco serra la mascella, violentemente irritato.

<<Vattene>> sentenzia poi, abbassando lo sguardo.

<<Molto volentieri>> ribatto, infuriata, e chiudo con forza la porta della stanza.

Noemi, Nadia e Claudio sono seduti al tavolo della cucina. Quando li vedo, capisco che stavano ascoltando e probabilmente hanno sentito tutto. <<Voi...>>.

<<Ogni parola>> conferma i miei timori Claudio.

<<Vi siete urlati cattiverie, ma...>> inizia Nadia.

<<Mamma>> la interrompe Claudio.

<<No, ragazzi. Anna deve capire. Io... non ho mai udito quelle cose uscire dalla bocca di Marco, prima d'ora, con nessuno. Lui critica, sì, ma... non giudica. Lui ti sta spronando, Anna... lui ci tiene a te. Ne sono sicura>>.

Alzo gli occhi al cielo, come a dire " come no", ma lei poggia la sua mano sulla mia. <<Mio figlio ha un carattere complicato... ma ha un animo buono. E ti sta lasciando entrare, Anna... te lo dico io che lo conosco come nessuno. Ha solo il timore di venire ferito... come tutti, del resto. Cerca di fare chiarezza dentro di te. Per noi, qualunque cosa capiterà, sappi che sarai sempre la benvenuta qui>>.

Che dolce. Le stringo a mia volta la mano. <<Grazie>>.

Noemi e Claudio si scambiano uno sguardo complice. L'unione di questa famiglia è palese, sebbene manchi la figura paterna, che però la sostiene e la incoraggia.

Perché Marco non vede ciò che vedo io? Forse restiamo ciechi di fronte alle qualità della nostra famiglia per elencarne così meno faticosamente i difetti?

Mah, il dilemma dell'amore incondizionato.

<<Noemi, andiamo nella tua camera a studiare, ti va?>> propongo alla piccola di casa, quando la situazione pare più calma.

<<Sì, prendo i libri>> acconsente lei.

Il resto della serata lo dedico allo studio, stando ben attenta a non uscire mai dalla sua stanza fino alla fine della mia permanenza.

                                                      ***

L'estate incombe, la scuola sta per finire.

Dopo la litigata, con Marco non abbiamo più toccato l'argomento. E' una sofferenza vederlo con gli altri e doverlo evitare, ma so che, finchè le cose non saranno più chiare tra noi, è meglio mettere distanza. Le ferie di mia madre capitano a fagiolo: la settimana prossima i miei mi hanno proposto un viaggio in Sardegna, poichè poi lei partirà e non avremo più modo di fare le vacanze. <<Ragazzi, vi manderò tante, tante foto dello splendido mare sardo>> scherzo, la sera prima della partenza al "covo", dove ci siamo ritrovati tutti per una pizza.

<<Che culo che già vai al mare, io dovrò aspettare Ferragosto>> commenta, sconsolato, Sandro.

<<Quando hai detto che torni?>> s'informa Ale.

Da quando la nostra "avventura" è finita, è sempre comunque premuroso e attento. Certo, brucia ancora il fatto che abbia rinunciato così su due piedi a me, a noi, ma... lui non è proprio uno da storia seria. Almeno per adesso.

<<Il 12 giugno>>.

<<Perfetto! Perchè il 13 è il mio diciottesimo, ragazzi!>> annuncia con enfasi Dani, e tutti a battere le mani.

Chissà che festa che organizzerà!

<<Non temere, caro>> lo rassicuro, sedendomi in grembo a lui e cingendogli il collo con un braccio <<non mancherò per nulla la mondo al tuo compleanno! Anche perchè hai detto che farai preparare una torta vegana, vero?>> chiedo orgogliosa: era stata una mia esplicita richiesta.

<<Ovvio, mon chèri. Con i frutti di bosco che tu tanto adori>> conferma lui, ammiccando.

<<Mi mancherete>>.

Eccome.

La Sardegna, comunque, è magnifica. Molto ventosa, ma il mare e le spiagge sono mozzafiato. Avevo bisogno di staccare da Milano, da Cascina Olmo in particolare. Da un abitante di quel luogo in particolare.

Non passa più di un minuto senza che la mia testa smetta di pensare a Marco. Le sue parole, così crude, così vere, hanno scavato un solco nel mio cuore, che non riesco a ignorare.

I giorni passano veloci, come sempre, in vacanza, e la sera prima di tornare mando un messaggio vocale al gruppo Whatsapp del "covo". Arriva a destinazione e dopo poco noto la scritta sul display "Giò sta registrando". Appena termina, premo subito sulla freccia che indica il tasto play per ascoltare la risposta.

<<Hey, ciao Anna! Oggi siamo qui tutti, stiamo allestendo il "covo", vedrai che roba!>>.

In sottofondo si sentono risate e rumori di oggetti che vengono spostati. <<Torna presto>> riprende la registrazione con la voce di Giò. <<Che qua Amo, cioè... Marco, è irrecuperabile, senza di te>>.

Si sente un suono strano e poi la voce di Marco che minaccia Giò. Poi prende evidentemente il controllo del telefono Ale, che mi informa che la torta con mille lamponi, assolutamente vegana, è già stata ordinata. La registrazione s'interrompe con un grande "ciao" corale. Sorrido e, prima di chiudere il telefono, Ale mi manda anche una foto della torta che ci sarà domani. Oh ma è stupenda! La amo! Scrivo proprio così in risposta, "Amo Amo" con due cuori, e spengo il telefono.

Il viaggio in traghetto, di notte, è tremendo: c'è caos e fa freddissimo, non vedo davvero l'ora di arrivare. Il porto di Genova è gremito di gente, nonostante sia mattino presto e le vacanze appena cominciate.

Riaccendo il cellulare e ho più di dieci chiamate e trenta notifiche Whatsapp. Le scorro velocemente, basita e sconcertata, ad ogni messaggio di più. Mi porto la mano alla bocca e, a stento, trattengo un urlo.

<<Ma che caz?>> mi sfugge, e mia madre subito mi rimprovera.

<<Le parole, Anna...>> ammonisce, senza alzare gli occhi da Vanity Fair.

Sono nervosissima. Che casino assurdo! Ma quanto ci mette 'sto barcone ad attraccare? Devo assolutamente chiarire la situazione. Panicoooo!!!

Anche se sono le cinque del mattino e stiamo radunando la roba per scendere e recuperare l'auto, non posso resistere: chiamo Ale. Suona, suona... e lui non risponde. Provo con Giò... stessa storia. E idem per Sandro e Dani. Porca vacca. Queste non sono cose che si posso risolvere per messaggio.

Fortunatamente l'autostrada all'alba è scorrevole e siamo a casa in meno di due ore. Sono combattuta... non so davvero per quale strategia sia meglio mettere in campo. Devo vagliare tutte le ipotesi, stabilire un piano.

O forse, questa volta, se mi lasciassi guidare dall'istinto?

Optando per la scelta più onesta, ma più difficile, sono, evitando, incredibilmente, le pressanti domande dei miei, sotto casa Amodio. Non so dove trovo il coraggio di suonare il citofono, ma lo trovo. Una voce assonnata risponde, dopo qualche istante.

<<Chi è?>>.

<<Clà, scusa, scusa scusa... sono Anna. Potresti gentilmente aprirmi?>>.

Non si ode risposta, ma la serratura del cancelletto scatta. Percorro i mille scalini alla velocità della luce. Arrivo al pianerottolo e trovo la porta d'ingresso già aperta.

<<Per... permesso?>> chiedo timidamente, entrando.

<<Anna! Stai bene?>> mi accoglie Nadia, sorpresa.

<<Sì... perdonatemi>> esclamo, mortificata.

Claudio, dietro di lei, scuote la testa, scocciato. Sono le sette del mattino. Io ho lavorato stanotte>> puntualizza, sbuffando.

<<Lo so... sono desolata, davvero...>> mi giustifico, mordendomi il labbro inferiore. <<Ma... è importante>>.

<<Sei qui per mio fratello, giusto?>> domanda allora, scettico.

<<Sì. Dorme?>>.

<<Esattamente come ogni persona alle sette del mattino, di sabato>> ribatte, spazientito.

Sua madre lo sgrida, e mi invita ad andare da Marco, con un sorriso: la adoro, sul serio.

Quando mi ritrovo davanti alla porta della stanza di Marco vengo assalita dall'angoscia, ma non posso tirarmi indietro ora. Abbasso lentamente la maniglia e apro piano la porta. Le persiane rendono la stanza illuminata quel tanto che basta per avvicinarmi al letto, senza capitolarci sopra.

Lui dorme profondamente. Mi siedo accanto al suo corpo che si muove piano, al ritmo del suo respiro. Osservo il suo viso rilassato e ho timore a destarlo da quel sonno che sembra animato da sogni stupendi. Gli sfioro la fronte, con un dito, per poi passare alla guancia, e infine all'incavo della spalla. Devo avergli fatto un po' di solletico, perchè si divincola e apre gli occhi.

La sua espressione, di stupore puro, mi fa sorridere.

<<Anna?>> chiede stranito, come a voler confermare di non stare più sognando.

<<Ciao>> rispondo io con un sorriso.

<<Ma... sei tornata? Che ore sono?>>.

Gli blocco la mano, prima che possa girare la sveglia, con raffigurata una chiave di violino, e iniziare ad insultarmi. <<E' un po' presto ma... avevo bisogno di parlarti. Credo tu sappia di cosa>>.

<<Ehm... penso di si. In realtà, non riesco proprio ad immaginare che cosa potresti mai dirmi stavolta per giustificare ciò che hai fatto...>>.

Soffoca uno sbadiglio, insieme all'imbarazzo. <<Insomma... scrivere una cosa così... privata... su una chat di gruppo...>>.

<<Ecco, appunto... volevo proprio dirti che... il mio messaggio è stato travisato>>.

<<Anna, l'ho letto anch'io. L'hanno letto tutti. Hai scritto proprio così e...>>.

<<Sì, ho scritto ciò che ho scritto, ma stavo parlando della torta... dei lamponi...>>.

Dio quant'è difficile. Si arrabbierà? Certo. Lo deluderò? Ovvio.

<<E' mattino presto, non mi sono ancora reso conto di essere totalmente sveglio, prima di un caffè è praticamente impossibile, e ci stai mettendo troppo per arrivare al dunque>>.

<<Lo so, ma non è così semplice spiegare>>.

<<Provaci>>.

Mi mordo il labbro, tentando di restare calma e mettere insieme il concetto. Senza sbagliare, stavolta. <<Beh... le due parole erano semplicemente una ripetizione l'una dell'altra: Amo Amo>> spiego, con un fil di voce.

<<Ma era maiuscolo>> puntualizza, innervosendosi.

<<Sì, perché il mio cellulare, quando inserisci una parola uguale dietro l'altra, la mantiene identica alla precedente... e.. e così sembrava il tuo nome... cioè, il tuo diminutivo, ma in realtà... era solo la ripetizione del verbo amo>>.

Ecco, ho infranto ogni sua illusione.

<<Ah>> commenta seccamente, facendo schioccare la lingua. <<Beh, tanto meglio>>.

<<Scusa? Non... non ci sei rimasto male?>>.

<<Di aver frainteso un annuncio privato, su una chat pubblica, di un ipotetico innamoramento di una ragazza? Non credo proprio>>.

Detta così non fa una piega. Eppure...

<<No, perchè gli altri... sì, insomma... loro mi hanno scritto che... eri colpito e...>>.

<<Non so di cosa tu stia parlando. Hanno frainteso. Può capitare>>.

E' troppo calmo. Troppo. E mi ha definito una ragazza, una... una qualunque? <<Marco...>>.

<<Anna, è tutto a posto, sul serio. Era ovvio che ti fossi sbagliata. Se ti fossi davvero dichiarata così, sai che roba? Avremmo dovuto capire subito dell'equivoco, non è colpa tua. D'altronde, era impossibile che tu scrivessi di amarmi. Non ne sei capace, giusto? Io non sono... abbastanza sdolcinato per te>>.

Ecco, mi ero illusa io, adesso, che le sue parole fossero come le intendevo io: decisamente no. <<Per un attimo ci avevo creduto, guarda te che coglione>> aggiunge ancora, amareggiato, torturandosi l'unghia del pollice. E' seduto accanto a me. Se la situazione non fosse così drammaticamente fuori controllo, lo sfotterei fino alla morte per il suo pigiama dei Simpson.

<<Non riesco proprio a comprendere perchè tu ti sia precipitata qui così. Ti facevo pena? Mi immaginavi qui a straziarmi d'amore per te, come in uno dei tuoi romanzetti rosa o filmetti romantici che ti piacciono tanto?>>.

Basta.

<<Basta, ora, taci!>> quasi urlo, frustrata.

<<Sì, hai ragione. Questa inutile conversazione è durata fin troppo. Adesso se mi fai il piacere di tornare da dove sei venuta...>> afferma in tono piatto, indicando la porta: la mia via d'uscita.

Facile, veloce, quasi indolore: ma sbagliata. <<Ascoltami e non interrompermi finchè non ho finito, d'accordo? Ce la fai?>> lo supplico, faticosamente.

<<Non sei nella posizione di avanzare pretese>>. Il suo tono è di ghiaccio, la sua postura marmorea.

<<Ti prego... io... mi devi aiutare>> lo imploro nuovamente, allo stremo.

<<Ok>> accetta infine, riluttante, incrociando le braccia al petto.

<<Tutto questo... mi fa paura. Capito? Io sono terrorizzata da ciò che sei... che siamo... che sono io quando sono con te>>.

Riprendo fiato, ma è difficile quando pare che abbiano risucchiato tutta l'aria presente nella stanza. <<Tu... hai la rara e terrificante capacità di tirar fuori il peggio di me... e anche il meglio>> mi tocca ammettere, in un moto di sincerità assoluta.

Percepisco il suo corpo che si distende e mi sprona, così, a lasciarmi andare maggiormente. <<Ho pensato... a lungo... a ciò che sento davvero. E ho compreso che... non occorre. Per la prima volta in vita mia non voglio pianificare. Non voglio far rientrare tutto nei miei schemi. Perchè non ho mai provato con nessuno quello che provo con te. Basta un gesto banale...>> intreccio le dita alle sue <<per provocare in me delle sensazioni che... non posso controllare. Detesto non avere il controllo...>>.

Non ho mai accettato il fatto di rientrare pienamente anch'io nella tremenda categoria delle maniache del controllo. Ma è così, ahimè.

<<Al mare, quella sera... il bacio, ciò che ci siamo detti dopo... ha cambiato tutto. Ma io ero... sono... troppo spaventata e... ottusa, per ammetterlo. Mi dispiace, per il malinteso... Per tutto quanto. Io...>>.

Mi concedo una pausa: sono cose davvero complicate da esprimere, per me. Cose che non avrei mai creduto di poter dire... a lui. <<Insomma io... io ci credo. Io adesso... voglio capire. Capire chi sei, capire chi sono... Chi siamo, e chi potremmo essere... insieme. Voglio stare con te... se tu ancora mi vuoi>>.

Tengo gli occhi bassi e sento solo i battiti veloci del mio cuore. La mano stretta in quella di Marco è incandescente. Se mi insulta, mi ride in faccia o mi provoca, adesso, non troverò più il coraggio di dire una sola parola ancora.

Non avrebbe neppure senso.

Percepisco i suoi occhi verde smeraldo che mi fissano e mi lacerano la pelle. Li scruto, alzando lo sguardo, ed è un attimo: ci avviciniamo all'unisono, unendo le nostre labbra con foga. Quando anche le nostre lingue si toccano un'esplosione di sensazioni meravigliose invade il mio corpo, e il suo, svegliando, rianimando tutti i sensi.

Senza accorgermene, travolta dalla passione, mi sono sdraiata su di lui. <<Scusa, non vorrei schiacciarti con il mio dolce peso>> dico, ridendo, quando ci stacchiamo faticosamente: siamo entrambi senza fiato.

<<Non mi stai schiacciando...>> dichiara, arrossendo. E' imbarazzo quello che leggo ora nei suoi occhi?

Mi ricompongo, rimettendomi seduta, e Marco fa altrettanto. <<Allora... ehm... direi... che ci siamo chiariti... e... è stato decisamente un bel buongiorno>> ammette, con un sorriso.

<<Se vuoi posso darti il buongiorno così tutte le mattine>> propongo, maliziosamente. E questa sfrontatezza da dove viene fuori?

<<Sarebbe fantastico. Ma, mi duole informarti, che preferirò sempre un'altra a te al mattino: la mia amata caffeina>>.

<<Posso tenere a bada la gelosia, a patto che poi lei ti lasci a me per il resto della giornata>>.

<<Accordato>>.

Ci sorridiamo come mai prima.

E, non so come, le mie mani sono di nuovo sul suo petto – ampio e muscoloso, ho modo di constatare – e le mie labbra sulle sue. 

Questo giorno non può che divenire un buon – buonissimo – giorno.

Non volendo prolungare quel tipico, seppur piacevole, disorientamento post dichiarazione d'amore e baci focosi, e anche perchè sono pur sempre le nove di sabato mattina e non ho dormito una mazza, avanzo verso la porta d'ingresso. Sulla soglia, confido a Marco la mia preoccupazione per ciò che scatenerà la nostra decisione sugli altri.

<<Perchè devi sempre interessarti dell'opinione della gente?>> chiede, accigliandosi.

<<La gente? Marco non generalizziamo: stiamo parlando dei nostri amici. Di Carolina, anche... che non vede l'ora di puntarci il dito contro e cantar vittoria. Già me la sento, che dice a tutti "lo avevo detto, io"... >> rispondo, imitando la voce odiosa di Caro.

<<Non condivido, sai che a me non interessa di lei. Nè di nessun altro. Non è affar loro ciò che vogliamo fare o non fare... ti fai sempre condizionare. Carolina... credo che oramai avrebbe dovuto capire e farsene una ragione. E' passato diverso tempo... se ancora ce l'ha per questa storia, è solo un problema suo. Non dovremmo farlo diventare nostro>> afferma, convinto.

<<Non posso dirti che non hai ragione>> ammetto, risentita ma compiaciuta per la veridicità – e l'irriverenza – delle sue opinioni .<<Ma non sopporterei altre accuse...>>.

<<Per favore, diamoci solo qualche settimana...>> lo supplico.

<<Come preferisci. Non posso pretendere che tu sia pronta a condividere tutto questo con il mondo. E sinceramente, non me ne frega, se... sei pronta a farlo con me, e basta. Non ti tirerai indietro, vero?>>.

La sua sicurezza vacilla: so che gliene ho dato la possibilità io, con il mio comportamento. Credo, però, che il modo in cui lo sto osservando ora, possa bastare come garanzia che le mie intenzioni siano serie. Non avendo conferma di ciò, mi tocca essere più esplicita: affondo le dita tra i suoi, ormai non più folti, capelli castani e lo attiro a me per un altro incredibile bacio.

Okay, ora ci siamo.

Mi volto e inizio a scendere, fluttuando, le scale del palazzo... felice.

Il giorno seguente, riabbracciare Sandro, Dani, Giò e – con più imbarazzo – Ale, è splendido.

<<Dunque...>> inizia Giò, che so già dove vuole andare a parare.

<<Tutto a posto. Avete frainteso. Lui lo sa già>>.

Non dovevo specificare chi intendessi con quel pronome personale.

<<Oh, bene>> dice, emettendo un rumoroso sospiro di sollievo.

<<Possiamo iniziare a festeggiare!>>.

Ottengo il consenso generale. Il "covo" non è mai stato così bello, e pieno zeppo di persone. Evito quelle poco raccomandabili e, senza il minimo sforzo, il sestetto – addobbato come se si trattasse di una festa di carnevale – e la loro simpaticissima leader, che per l'occasione sfoggia degli stivali da cavallerizza che la fanno sembrare ridicolissima. Io ho optato per una camicetta lilla – ultimamente mi piace indossarne, di ogni tessuto e colore – e dei semplici jeans a vita bassa. Dani, per fortuna, ha invitato anche Jake e Milena, che mi strapazzo per bene: mi sono mancati da morire. Marco arriva più tardi, con Claudio e, strappando a sua madre, che aveva un impegno e non avrebbe potuto occuparsene, la promessa di non fare stronzate, con la sorellina Noemi, che riaccompagnerà a casa subito dopo il taglio della torta. Non sarà certo una festa vietata ai minori, nonostante sia il compleanno di un ragazzo pronto per la maggiore età: abbiamo tutti la testa sulle spalle.

Noemi non contiene la gioia di partecipare ad un evento "da grandi" e di rivedere me, e, appena entra, lancia un urletto e mi butta le braccia al collo.

<<Ciao! Ieri mattina non sono riuscita a salutarti, sei fuggita via!>> grida sopra il chiacchiericcio, così che tutti sentano per bene.

<<Sì, ehm... avevo da fare>> mi giustifico, imbarazzata.

"Tenere nascosto il rapporto con Marco forse non sarà poi così semplice" penso, preoccupata. Lui pare riflettere sulla medesima cosa, e mi lancia uno sguardo comprensivo.

<<Forza, tutti ai vostri posti! C'è la torta!>> ci salva Giò, con questo piacevole – e notevolmente anticipato – annuncio.

Dopotutto, credo che la permanenza di una dodicenne ad un diciottesimo possa essere comunque una figata per lei, anche se breve. La torta ai frutti di bosco è sensazionale e, a renderla ancora più buona, è il fatto che sia totalmente veg.: piccola ma grande vittoria per me.

Non reggo più la forzata lontananza da Marco, dopo la stretta vicinanza di ieri, che ho rivissuto attimo per attimo nella mia mente per tutto il giorno – e buona parte della notte – e così, furtivamente, mi avvicino a lui, che sta addentando una mora. Noto due piccoli ma succosi lamponi, i miei preferiti, abbandonati nel suo piattino e decido di rubarglieli. Lui prova a mettersi il piatto dietro la schiena, per salvarlo, ma invano. Soddisfatta, recupero il mio succulento bottino e mi faccio scivolare in bocca quei frutti rossi buonissimi.

Marco mi osserva come un uomo assetato nel deserto guarderebbe un'oasi, apparsa all'improvviso, davanti a sè: ci si butterebbe dentro.

Ecco... credo di aver reso perfettamente l'idea.

Da ieri mattina, infatti, la carica sessuale tra di noi è aumentata in maniera esponenziale. Non è la prima volta che mi capita, ma non così. Mai così. Mi basta uno sguardo per alimentare la voglia di sentire ancora il suo odore, così dolce ma intenso... la sua bocca, le sue braccia, le sue mani...

Porca miseria, ci stiamo divorando con gli occhi in una stanza piena di gente. Cerco di portare il mio respiro alla normalità, distraendomi da lui e da questi lussuriosi pensieri, perchè l'elettricità tra di noi è palpabile ed ho una paura fottuta che qualcuno se ne accorga.

Risuonano le note di "Paradise City" dei Guns, e la canzone – che mi piace un casino – non potrebbe essere più azzeccata per questo momento.

"Take me down to the paradise city, Where the grass is green and the girls are pretty, I want you please take me home..."

Note autrice: Quanto è emozionante assistere alla nascita di un amore così? Un piccolo fraintendimento, a volte, può far emergere la paura di...non ammettere i propri sentimenti, con tutte le conseguenze catastrofiche che una diversa confessione di Anna avrebbero scatenato... continuate a sognare insieme ad Anna e Marco!


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