Chapter 10\ "Nonostante il turbinio di sentimenti che ho dentro, sono in pace"


<<Sei così provinciale>> commenta Marco, quando torno in salotto e lo informo dei programmi serali.

Ma ha sempre un'opinione su tutto? E, soprattutto, non si esime mai dall'esprimerla?

<<Io sarò provinciale, ma tu sei un rompipalle. Non ti va mai bene niente, te ne stai sempre sulle tue, hai atteggiamenti strani e scontrosi con la maggior parte delle persone, con la qui presente in modo particolare>> indico me stessa, portandomi l'indice al petto.

<<Non darti così tanta importanza. Stai diventando prevedibile, quasi non è più divertente sfotterti>>.

<<Sì, come no. Senti, comunque sia, preferisco mille volte essere una prevedibile provinciale che un asociale patologico, grazie>>.

<<Asociale patologico... se mai, come diceva un tizio che ora non ricordo, io sono altamente asociale e tremendamente socievole. Per questo ascolto tutti ma parlo con pochi. E comunque... asociale patologico è sempre meglio di socialmente morbosa... quante foto e video hai postato, oggi, su quel coso, Instagram o come si chiama, duecento? E quante volte hai cambiato stato sul tuo profilo Facebook negli ultimi dieci minuti?>>.

Ma che cosa gliene frega? Tanto mica può controllare. Giusto?!

<<Gli ultimi dieci minuti della mia strabiliante – prima che ne facessi parte tu, senza dubbio – esistenza li ho SPRECATI a dialogare con te, e, quindi, non ho avuto modo di connettermi a Facebook>>.

<<E questo è l'unico motivo per cui non hai aggiornato il profilo, dico bene? Scontata, ragazza. Sei al limite dell'ovvio, convenzionalmente e drammaticamente prevedibile>>.

<<Disse il maestro dell'imprevedibilità>>.

<<Di certo io cerco un modo diverso e personale per esprimere la mia opinione sui molteplici aspetti della vita. Il che mi rende alquanto imprevedibile nella stessa, ora che ci ragiono, in effetti...>> fa una pausa.

Pensavo stesse morendo di logorrea. Non sono così fortunata. Infatti ricomincia, incalzante.

<<Tu invece quali, e quante, campane ascolti prima di prendere una decisione sensata che appartenga solo ed unicamente a te stessa? Alla te vera. Senza condizionamenti. Senza din don dan confusionari>>.

Aggiunge il paragone alla "Fra Martino Campanaro" per farmi assimilare meglio il concetto. Ci arrivavo anche senza, tanto per la cronaca. Mi gira la testa. Detesto ammettere contro la mia volontà quanto siano intelligentemente sensate le riflessioni di questo fastidiosissimo ragazzo. Per quanto siano irritanti da morire le cose che dice, i suoi ragionamenti sono pressochè... brillanti e non fanno una piega. Accidenti a lui e alla mia scarsa autostima: il mio ego viene ferito costantemente in sua presenza. Ma non gli darò mai la soddisfazione di fargli capire che può vincere qualche partita, se gioca così le sue carte. Infatti lo attacco di nuovo.

<<E comunque sono stanca di combattere guerre d'intelligenza con gente disarmata. Sei un tale cagacazzo>>.

<<E tu la maga dell'elusione. Ma non certo del bon ton: ancora usi questi termini scurrili per cercare di offendermi... dilettante>>.

Siamo ancora impegnati ad insultarci – ci stancheremo mai di farlo? – quando la porta d'ingresso si spalanca, e entrano, a braccetto, le simpaticissime amiche di Carolina, con mille borse e borsette. Lei è l'ultima a entrare, annunciando <<i ragazzi stanno portando su la roba pesante>> mentre ferma la porta con il gomito, per consentir loro l'accesso.

Quando si volta, e nota me e Marco sul divano, le scappa una risata nervosa, accompagnata da una triste uscita. <<Come volevasi dimostrare. Siete rimasti qui soli tutto il tempo, voi due?>>.

Non attendendo la risposta, come se ci fosse bisogno di rispondere alla sua domanda retorica di provocazione, ci passa davanti con il naso all'insù – spero le venga una paresi, con tutte le volte che assume quella posizione – e raggiunge le altre, che intanto ci lanciano occhiate schifate.

Marco le ignora – o è bravissimo a fingere di farlo – ma in me monta una rabbia che scarico su quel poveretto di Ale, appena compare dalla soglia con due casse di acqua Vitasnella, che, se non fosse che sono nera, scatenerebbero in me un gigantesco scoppio di ilarità sull'acqua che elimina l'acqua e compagnia bella: garantito.

<<Ale, puoi sistemare quelle cose e venire con me di là? Dobbiamo parlare>>.

Ora che sono io a pronunciare queste due insulse paroline un po' mi pesa. Ma è necessario.

Andiamo sul divano, dove stavo spiacevolmente chiacchierando poco prima con Marco, ma adesso c'è un casino tremendo e quasi dobbiamo urlare per sentirci. La casa per esser grande è grande, ma siamo pur sempre tredici adolescenti in vacanza. Gli propongo, quindi, di uscire in terrazza, equipaggiati a dovere per il freddo. <<Anna, vieni, sei gelata>>.

Mi attira a sé, accogliendomi in un abbraccio.

<<Ecco, dobbiamo discutere proprio di questo>>.

Aggrotta la fronte, confuso. <<Non posso abbracciarti?>>.

<<No! E' questo il punto: puoi, devi! Insomma... noi stiamo insieme, no?>>.

Non risponde subito, ma mi stringe ancora.

<<Cioè...>> continuo, impacciata – una volta che il dado è tratto, tanto vale andare avanti – abbassando la voce, come se ciò potesse determinare una maggiore leggerezza delle mie parole <<lo faresti di là, con gli altri? Mi abbracceresti così? Mi... baceresti... così?>>.

Bisogna dimostrare bene quello che si vuole dire, mica di essere fraintesi. Le mie labbra poggiano leggere sulle sue, ma è tutto ciò che accade: Ale non sta ricambiando il bacio.

Spalanco gli occhi per la sorpresa e mi allontano quel che basta per non sentire più il calore del suo corpo. Non c'è alcun bisogno che mi risponda, il suo comportamento ha parlato per lui. <<Le cose stanno così, quindi>> mormoro appena.

"Non posso dare anche questa soddisfazione a Marco" convengo indispettita, ma poi, di colpo, un pensiero più triste attraversa la mia mente: ho appena capito che Ale non vuole stare con me e la prima cosa a cui penso è la vendetta per Marco?

<<Scusami Anna... io non voglio che credi che non mi importi nulla di te>>.

La sua voce preoccupata mi riscuote dalle mie insolite riflessioni. Povero, si tormenta anche per me. <<Ale non sono arrabbiata. Non con te. Insomma... mi hai illusa. Ma anche io ho illuso me stessa>>.

L'espressione confusa, da lui assunta all'inizio della nostra conversazione, non smette di comparire sul suo tenero viso. Non riesco ad avercela con lui, non posso. <<So che sembra una fase fatta da utilizzare in queste circostanze ma... restiamo amici?>>

La sua evidente sincerità mi colpisce.

<<Certo>> rispondo, con altrettanta franchezza.

<<Grazie>>.

E' strano che io abbia ringraziato uno che mi ha appena mollata, ma non è tanto più strano di come mi sento a riguardo. Lui vacilla, non sa bene cosa fare, ora. Lo levo dall'imbarazzo, congedandolo con un sorriso e lui rientra in casa. Io mi appoggio alla balaustra dipinta di celeste e scruto in lontananza il mare. Il sole sta tramontando rendendo il cielo di un colore indescrivibile. Mio padre diceva sempre che i tramonti sono rivelatori: mettono in ombra le nostre ombre e schiariscono le luci delle nostre emozioni. In quel momento comprendo fino in fondo cosa lui intendesse.

<<Ah, sei qui! Dai, mettiamo su qualcosa da mangiare così poi usciamo>>. Giò mi sprona a rientrare, affacciandosi alla porta a vetri, e, quando nota il mio cenno di assenso e il mio viso smarrito, mi sorride comprensivo, e sparisce.

Rivolgo un'ultima occhiata al cielo, dove oramai la luna sta facendo capolino, invitata dal sole ad illuminare la notte, e respiro l'aria salmastra: nonostante il turbinio di sentimenti che ho dentro, sono in pace.


La festa è pura tradizione: bancarelle di ogni tipo animano le strade di Laigueglia fino ad Alassio, sul lungomare e sulle stradine del centro. Striscioni, cartelli e manifesti riguardanti la festa dei lavoratori tappezzano i muri e le case. Uno fra tutti attira la mia attenzione e mi fermo ad osservarlo con interesse. Cita la famosa frase di Confucio "Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita", scritta a caratteri cubitali in un verde acceso: è meravigliosa. Poco più avanti c'è un'eccellente riproduzione del celebre dipinto "Il quarto stato", di Pellizza da Volpedo, realizzato da un simpatico vecchietto che mi sorride notando il mio coinvolgimento. Vorrei fermarmi a parlare con lui, quando vengo strattonata da una del sestetto, che sgarbatamente urla <<rallenti la fila!>>.

Certo, finchè si fermano loro a contemplare scarpe e borse – fatte a mano, per carità – va tutto bene, io che sto ammirando l'arte... le rallento. Sto per ribattere seccamente, e neanche molto elegantemente, quando Marco mi sussurra all'orecchio <<lascia stare>>, portandomi via.

Ci accordiamo per una piccola pausa in riva al mare con birre e bomboloni appena sfornati. Io rinuncio, sia perchè l'alternativa veg non c'era, sia perché, dopo tutto quello che ho ingurgitato per cena, posso decisamente farne a meno, soprattutto perchè alcune del sestetto – e evito di fare i loro nomi, tanto sono fatte con lo stampino, una vale l'altra – hanno i tacchi e i piedi ne soffrono. Non so davvero capacitarmi di come si possa indossare i tacchi in un'occasione del genere. E fino ad Alassio abbiamo dovuto percorrere quattro chilometri! Erano state avvisate, eh...

<<Allora, stavolta non riceverò un no come risposta. A parte il sottoscritto, che infatti non parteciperà, nessuno qui è accoppiato. Possiamo giocare al gioco della bottiglia!>> ripropone Giò con entusiasmo.

La spiaggia, il mare, gli zuccheri, l'alcol, mancano solo un falò e la chitarra e siamo a posto: coroniamo i clichè con il banale e sopravvalutato, a mio parere, gioco della bottiglia, al quale, con mio rammarico, posso partecipare senza problemi dato che Giò ha detto il vero. Nessuna coppia, nessun malinteso. A meno che... Acconsentono tutti, stranamente. Persino Mister Asociale.

<<Chi comincia?>> chiede Sandro, eccitato.

Sono proprio in vena, perciò annuncio <<inizio io. Passami la bottiglia>>.

Ci sistemiamo in cerchio e io avanzo nel mezzo. Faccio roteare la bottiglia meglio che posso, ma lei s'incaglia quasi subito nella sabbia. Alcune risa, ma poi i più convengono con me che va posta sopra un telo, altrimenti non funziona. Posizioniamo allora il pile di Sandro al centro e provo nuovamente a far girare la bottiglia. Lei stavolta gira, gira, gira... e si ferma su Giò. "Glielo darò sulla guancia, ma mi toglierò lo sfizio, eccome" faccio appena in tempo a pensare, prima di ricordare che lui non partecipa. Se dovessero mai condurre un sondaggio sui ragazzi impegnati in una relazione a distanza, che restano fedeli alla loro lei, dubito che potrebbero parteciparne in molti, ma Giò non solo ne farebbe parte, ma sarebbe in cima alla lista, accidenti a lui.

<<Allora, Giò, scansati che falsifichi il risultato! Adesso mi tocca tirare di nuovo>> mi lamento, facendogli la linguaccia.

Per la seconda volta afferro il collo della bottiglia e la faccio ruotare come una trottola. Si ferma su Ale.

Il destino già si fa beffa di me?

Lui sorride e mima <<puoi rinunciare>> ma io mi sono già inginocchiata davanti a lui e, tra le risate e gli urletti di incitamento, faccio la cosa che mi veniva naturale fino a poco prima, anche se nessuno lo sospettava. Il bacio è frettoloso e insignificante, come dev'essere, e sono sorpresa di non essere affatto sorpresa di ciò.

E il gioco di parole non è casuale. "Niente a che vedere con i baci precedenti" mi permetto di ricordare, ma senza rimpianto.

<<Ehm>> si schiarisce la voce Alessandro. <<Ora tocca a me, giusto?>>.

La bottiglia gira vorticosamente e si ferma sulla traiettoria di Giada, o Gaia, mi pare si chiami, comunque una del sestetto. Di nuovo battute stupide e grida di eccitazione mentre Ale, molto più impacciato che con me – e vorrei anche vedere – posa per una frazione di secondo le labbra su quelle di lei, che sembra non aspettare altro.

D'accordo, lo ammetto: un pizzico di gelosia è arrivata a farmi visita in quel momento, ma è stato solo un attimo. Dopotutto, le labbra di Ale fino a qualche ora fa erano sulle mie, appartenevano a me. No?

Ripresasi dallo shock di un bacetto durato pochissimo, ma che evidentemente ha lasciato il segno, Giada, o Gaia, tira a sua volta e la bottiglia torna da me, come una cara amica. Sorrido e scuoto la testa: nessuna esperienza lesbica per me questa sera, grazie. Per fortuna siamo dei bravi ragazzi, che non si prestano a cavolate del genere e, dopo qualche battutina, nessuno insiste per il bacio lesbo. Perciò mi riapproprio della bottiglia e la ruoto con decisione. Seguo con gli occhi tutti i suoi giri e quando noto la direzione che ha preso fermandosi non voglio ricordare a chi appartengano quelle finte Adidas – sia mai che possa omologarsi alla massa acquistandone delle vere – grigio perla: Marco.

<<Posso rifiutare, vero? Facciamo partecipare anche altri... saltiamo un giro e...>> provo a obiettare, ma Giò, che si è autoproclamato giudice del gioco, mi ferma subito.

<<Anche se hai già giocato, hai appena saltato un turno. Stavolta non puoi>> esclama divertito.

Sento gli occhi di tutti addosso, in particolare quelli di Carolina... tra poco sarò carbonizzata, se continua a lanciare fuoco a quel modo. Deglutisco e sono nervosa. Vacillo, ma so che, per evitare sospetti, devo mostrarmi sicura e comportarmi esattamente come poco fa con Ale.

E che problema c'è?

Mi alzo e mi dirigo da Marco velocemente, mi accovaccio subito di fronte a lui e, senza pensarci troppo, gli prendo il viso con le mani e lo bacio. Chiudo istintivamente gli occhi. Limone, bergamotto, gelsomino, un vago sentore di menta m'invadono le narici. Le mie mani non vogliono staccarsi, sembrano incollate al suo volto, mentre le mie labbra quasi si schiudono, per prolungare – in un modo che non voglio nemmeno immaginare – quella sensazione stupenda che mi sta letteralmente devastando ogni cellula del corpo. Le mani di Marco prima poste sui suoi fianchi, vanno sui miei e lui... mi stacca, quasi mi lancia, lontano da sè.

Provo un totale e inaspettato smarrimento. Ma che diavolo?

Grugnisce e si alza, scrollandosi di dosso la sabbia e voltandosi verso il mare. Io resto lì, inebetita, confusa e anche offesa da questa inspiegabile reazione: ma non era ciò che desiderava, in fondo?

Il silenzio generale non fa che peggiorare la situazione. Mi alzo anch'io. <<Ehm... forse l'ho morso>> azzardo ridendo, ma la mia battuta non viene colta.

<<Meglio che ci parlo>> allora aggiungo, seguendo Marco che oramai è arrivato al penultimo bagno.

<<Marco! Aspetta!>>. Ma quanto è veloce?

<<Marco!>> grido ancora di più.

Finalmente si ferma. E' scuro in viso, e tiene gli occhi bassi. Lo raggiungo con un po' di fiatone. Cavolo, se sono fuori forma.

<<Marco...>>.

Ora che gli sono davanti non so bene cosa dire, in realtà.

<<Che cazzo c'è?>> mi domana, a denti stretti.

Non è mai stato così scurrile, lui. Cosa gli prende?

<<Ma cos'hai, perchè mi tratti così?>>.

<<E me lo chiedi anche?>>.

<<Sì, non capisco... prima non mi molli un attimo, dici che ti piaccio, poi hai da disquisire sulla mia relazione non-relazione con Ale che, tanto perchè tu lo sappia, mi ha appena lasciata, poi...>>.

M' interrompe. <<Cos'hai detto?>>.

<<Devo davvero ripeterti tutto?>> sospiro, innervosita da questa richiesta.

<<No, solo di Ale. Che hai detto?>>.

<<Che ci siamo lasciati. Insomma, che è finita, qualunque cosa fosse... è finita>>.

Ammetterlo ad alta voce mi fa un certo effetto, ma lui dovrebbe esserne contento. E invece la sua espressione collerica si fa sempre più evidente. Sogghigna, facendo schioccare la lingua. <<Certo. Gli hai chiesto di uscire allo scoperto e lui si è accorto di non volere in realtà una cosa seria. E quindi tu, da brava stronza egoista quale sei, hai pensato bene di poter baciare me, un povero idiota che tanto non ha sentimenti, giusto?>>.

Un pugno nello stomaco credo faccia meno male.

<<Come ti sei permessa>> continua, infuriato. <<Come ti sei permessa di prendermi così per il culo, fingendo anche che quel bacio ti piacesse?>>.

Sto per scoppiare a piangere. Lo nota. <<Eh no, adesso non mi dirai che piangi pure. Sei veramente una bambina. Torno a casa>>.

Lanciata l'ultima bomba, gira sui tacchi e se ne va, con le mani nelle tasche e il cappuccio del giubbotto in testa. La mia, di testa, gira vorticosamente.

Nessuno mi aveva mai detto quelle cose... in quel modo.

Le sue parole mi risuonano a ripetizione nel cervello e ora capisco: ho ferito i suoi sentimenti, sottovalutando l'effetto di quel bacio su di lui. Sono stata proprio una stronza, egoista e tutte le parole affettuose che mi ha vomitato in faccia: me le merito tutte.

Alzo, per un attimo, lo sguardo, incontrando quello della luna. Le onde del mare cullano il mio pianto, che inizia piano e poi scoppia irrimediabilmente.

Per quanto ancora mi voglio nascondere dietro la bambina che c'è in me? Sono quasi maggiorenne.

Mi volto, osservando il gruppo dei miei amici in lontananza, ma decido di tornare verso casa.

Da Marco.

Marco è entrato in casa grazie al doppio mazzo di chiavi che gli aveva consegnato Dani prima di uscire quella sera, a me tocca suonare. Una, due, tre volte... quando sto per rinunciare, sento scattare il portone d'ingresso: mi avrà vista dalla telecamera del citofono.

In casa è tutto buio e silenzioso. Vado in camera, recupero il pigiama e il beauty case e vado in bagno. Lui è già nel sacco a pelo accanto al mio: li avevamo sistemati prima di uscire così e noto, con piacere, che non l'ha spostato. Pronta per la notte, rimetto i vestiti e il resto delle mie cose a posto e mi accomodo nel mio sacco a pelo. Marco si muove appena, ma sento che è sveglio. Emetto lunghi sospiri, e poi non resisto. <<Hey... so che non dormi>> sussurro, nel silenzio. Nessuna risposta.

<<Marco, vorrei dirti una cosa e ho bisogno che mi ascolti>> affermo, allora, con più decisione e a voce alta.

I suoi occhi si aprono all'istante e posso notarne le sfumature chiare, ora che i miei si sono abituati alla penombra: sono veramente belli. O forse non li vedo così bene...

Persa nei miei pensieri, come al solito, non mi accorgo che Marco è in attesa di una mia parola. Deglutisco a fatica – com'è che l'acqua diventa più indispensabile del normale quando sono in sua presenza? – e parlo lentamente. <<Scusami. Davvero. Sono stata una stronza. Hai... hai ragione>>.

Si solleva, appoggiandosi al gomito. <<Cos' hanno appena sentito le mie orecchie? Mi stai dando ragione? Ti... ti auto definisci una stronza? Unbelievable>>.

International, adesso, anche.

<<Non gongolare troppo>> azzardo, nella speranza che la sua rabbia sia scemata.

Pare essere ancora un po' risentito. Rincaro quindi la dose.

<<E sulla bambina ci sto lavorando...>>.

Eccolo, un sorriso soddisfatto. E anche bello. Stranamente, non mi infastidisce. Anzi, mi rassicura. Pericolo scampato. Pericolo di che, poi? Di essere di nuovo fraintesa? Oramai quello è scongiurato da tempo.

Prendo coraggio e sento essere giusto aggiungere <<e, per onor del vero... non ho finto che il bacio mi piacesse>>.

Ho esagerato?

Marco assume un'espressione imperscrutabile, abbassa il gomito e torna supino, guardando il soffitto.

<<No è che io non so fingere>>. Comincio a parlare a vanvera, in imbarazzo. <<Non è proprio nella mia natura. Sai, poi, si possono fingere un sacco di cose, ma un bacio, beh, è complicato, non saprei nemmeno come fare e...>>.

<<Anna>>. Il mio nome, pronunciato con così determinata dolcezza, nel silenzio, assume un nuovo significato. E anche la successiva ammonizione.

<<Dormi>>. Il tono di Marco è severo, ma lo accompagna un sorriso. Non posso vederlo, ma lo sento.

Quando rincasano gli altri cercano di non fare rumore, ma è pressochè impossibile. Mi sveglio ma non ho voglia di parlare, così fingo di dormire: quello è semplice, basta tenere gli occhi chiusi ed avere un respiro regolare, e riesce pure a me. Evito spiegazioni e sguardi strani, ma, durante la notte, mi sveglio spesso. Voltandomi a destra, posso osservare le linee dolci del viso di Alessandro, che sembra sognare beato. Voltandomi a sinistra, incontro il viso di Marco, duro all'apparenza, con mascella pronunciata e un accenno di barba, ma così morbido, ho avuto modo di appurare.

<<Non ti avevo detto di dormire?>> esclama all'improvviso, senza aprire gli occhi, facendomi sobbalzare per lo spavento.

<<Dici a me di dormire, ma tu non lo fai>>.

Adesso ha spalancato gli occhi e mi guarda. <<Devi bloccare il cervello, Anna. Ti si friggerà prima dei trenta, se vai avanti così>>.

Bell'immagine.

<<Ah ah. A te si è già fritto, invece>>.

<<Banale quanto "tu non ce l'hai il cervello", gne gne gne, quasi mi aspetto ora tu dica incrociando le mani "specchio riflesso buttati nel cesso">> ride, suo malgrado, a quel pensiero, e io, ridendo con lui, ribatto <<no, se mai ti dico "specchio di gomma tutto ti ritorna!">>.

Ci sbellichiamo dalle risate in silenzio, nel buio, come matti.


Ed è già mattina. Sento il profumo del caffè solleticarmi le narici. Oh, chi è il mio salvatore?

<<Ciao, uomo dei miei sogni>> esclamo, estasiata, rivolta a Giò, entrando in cucina.

Lui sorride e mi porge una tazzina di quella magica bevanda marroncina senza la quale sarei perduta. <<Anche tu drogata di caffeina, vedo>>.

<<Mmmh>> mugugno, per confermare la sua tesi: prima del caffè non connetto.

<<Allora, dormito bene?>> chiede a entrambi Dani, arrivando dalla terrazza con addosso una vestaglia verde pisello. Scoppiamo a ridere all'unisono.

<<Beh? Che avete da ridere? Era di mio padre, l'ho trovata nell'armadio. E' molto comoda e molto morbida, senti>>.

Prende un lembo della vestaglia e la strofina sulla mia mano: morbida davvero. Tenta di farlo con quella di Giò, che lo ammonisce <<se ci provi te la brucio>>, così rinuncia.

Si alzano, piano piano, tutti gli altri componenti del gruppo, che iniziano a ricordare episodi della sera prima.

<<Anna ti sei persa Sandro e la tipa rossa, come diavolo si chiama...>> mi racconta Dani <<da paura>>.

<<E Ale...>>.

Ale? Che ha fatto Ale? <<Con Caro. Ci hanno dato dentro>>.

Ecco, questo proprio non posso ascoltarlo. Ne va della mia sanità mentale. Psicologica. Emotiva. Danneggerebbe inesorabilmente quel briciolo di amor proprio che ancora – chissà perché – mi appartiene.

<<Grazie ragazzi, niente dettagli>> cerco di svignarmela, ma in quel momento arriva Carolina, che, invece, è molto loquace stamattina e, curiosamente, interessata ad Ale. Perfida brutta strega.

Quando Marco arriva tutti tacciono, ma lui accenna un sorriso e allora ci rilassiamo. Nessuno chiede cosa sia successo ieri, e meglio così. Finita la colazione, andiamo in spiaggia dove passiamo tutta la giornata, con un sole splendente e incredibilmente caldo.

Quando è ora di partire, un velo di tristezza appare sui nostri volti: l'avventura è già finita.

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