Capitolo 38 (pt. 1)

Io: *piange per un'ora e mezza*

*si blocca*

Ora sono in un mood perfetto per cominciare il capitolo con la Rosiall

Un anno dopo la guerra, 2019

Beacon Hills

ROSE

Lasciai dondolare le gambe piano, con estrema lentezza, mentre rimanevo seduta sul retro del pick-up staccando tutt'altro che piccoli morsi del mio secondo cheeseburger.
Ero ferma nel parcheggio della scuola dove sembravano esserci infinite più persone rispetto ai mezzi di trasporto che potevano condurle a casa, scrutando con un barlume di curiosità ogni studente che si allontanava dall'edificio con quanta più rapidità possibile.
Li riconoscevo a colpo sicuro quelli che avevano appena concluso l'ultimo anno, perché erano gli unici a muoversi con più calma, con un'inconscia nostalgia, consapevoli che da quel momento tutto sarebbe cambiato.
Per questo notai il gruppetto di amici di Thomas prima ancora che percepissi la sua presenza, la quale veniva prepotentemente sovrastata da quella chiassosa di Nate che correva nella mia direzione, con un visibile sollievo sul volto.
Il ragazzo dai capelli biondi rimase a parlare con i suoi compagni sprizzando malinconia e affetto da tutti i pori, a tal punto che ne sentivo l'odore persino da dove stavo io, mentre al contrario il ragazzo dai capelli neri puzzava quasi di gioia pura.

"È finita!" esclamò, gettandosi teatralmente sulla carrozzeria del pick-up. "Porta via il mio corpo esanime, Rose, non ne posso più."

Spinsi l'ultimo boccone del mio panino contro la lingua, gustandomi il sapore degli ultimi cinque dollari del mio stipendio.

"Monta in macchina e smettila di fare il drammatico, tanto fino a quando Thomas non si scolla dal suo gruppetto non ce ne andiamo." bofonchiai, pulendomi gli angoli della bocca con il pollice.

Mi strinsi nella mia t-shirt rossa per poi stiracchiarmi vistosamente, sotto lo sguardo contrariato di un Nate accaldato e affamato.
Percepii che stava per protestare per cui lo osservai con la coda dell'occhio, senza cambiare particolarmente la mia espressione compiaciuta.

"Non protestare." intimai prima ancora che fiatasse, storcendo il naso percependo l'odore che emanava una ragazza avvicinatasi a Thomas. "E già che ci sei, tira fuori dal baule la mia divisa in modo che possa cambiarmi."

Alzò gli occhi al cielo, nonostante le sue iridi si fossero colorate per un momento di giallo, e si diresse verso i sedili posteriori, dove si trovava ciò che gli avevo chiesto.
Dopo la guerra Nate, Thomas e Luke erano tornati a scuola, il biondo con la spiacevole notizia che la gemella e la loro tutrice erano scomparse in un terribile incidente d'auto, lasciando me e Kim quasi disorientati, senza alcuna normalità a cui aggrapparci.
Ora che Cameron non c'era più, nessuno dei due credeva fosse opportuno organizzare retate contro i Cacciatori con così pochi membri all'interno del branco, così avevamo dato veramente importanza all'invito implicitamente fatto dallo sceriffo di Beacon Hills a tutte le creature soprannaturali: unirsi alla polizia per rendere veramente la legge uguale per tutti.
Kim era un poliziotto prima di essere morso, per cui dovette fare solo un corso di aggiornamento prima di essere integrato. Io, al contrario, avevo frequentato l'accademia di polizia fino a quando un mese prima non mi avevano offerto di entrare a tutti gli effetti a far parte degli agenti 'speciali', in quanto ero di gran lunga la migliore di ogni corso.
Notai che Thomas si era finalmente avvicinato a noi e con un balzo scesi dal pick-up, scrutandolo con occhio attento.

"Smettila di farmi il terzo grado, Rose." mi disse non appena fu abbastanza vicino perché non dovessi nemmeno utilizzare il mio udito potenziato. 

"E chi ha chiesto qualcosa?" replicai con un sorriso, dandogli una pacca sulla spalla. "Non ho bisogno di chiedere nulla."

Con uno sbuffo nasale mi fece capire che avevo ragione, poiché sapevo esattamente cosa frullava in quelle piccole testoline. Thomas era preoccupato per il fatto di doversi allontanare da Beacon Hills per frequentare l'università, Nate doveva dare l'esame per farsi ammettere ad aeronautica una volta finito il liceo e Luke era stato ammesso alle scuole superiori con due anni di anticipo, facendogli risultare molto difficile integrarsi.
Avevamo tutti i nostri problemi e di certo non aiutava il ragazzo dai capelli blu che tentava di essere una brava casalinga non avendo mai fatto delle faccende prima di allora. Aveva fatto esplodere il microonde lasciandoci dentro un cucchiaino di metallo giusto qualche giorno prima...

"Vi lascio davanti a casa, controllate che Niall sia lontano da ogni presa elettrica" ordinai loro, salendo in macchina dal posto del volante. "Tornerò tardi stasera, devo coprire un paio di turni".

I due non fiatarono e non dovetti nemmeno chiedermi il motivo, perché il clima si raggelava sempre quando parlavamo del mio ragazzo.
Nessuno sapeva come affrontarmi a riguardo e io non sapevo cosa dire loro, per cui mi bastava affidarmi a questo, affidarmi al fatto che non avremmo dovuto parlarne.

Quando quella sera, però, mi ritrovai con l'ultimo caso della giornata in centrale, desiderai ardentemente essere a casa con quell'incapace di un principe e la mia piccola banda di lupi.

"Fammi capire, il tuo nome è... Juuzou Suzuya?" domandò Ryan, l'ultimo di quelli del turno di giorno rimasto fino a così tardi.

La ragazzina dai capelli bianchi gli rispose affermativamente con un cenno del capo, osservando i miei con interesse.
Abbassai gli occhi sul rapporto che il mio collega stava scrivendo e sospirai, facendogli cenno di cancellare la prima riga.

"Questa ragazzina sta facendo il cosplay di un personaggio fittizio, Laurence." lo informai, ringraziando Luke per avermi riempito la testa di informazioni indesiderate riguardo a Tokyo Ghoul. "Dovresti chiederle il suo vero nome".

Il giovane uomo abbandonò con uno sbadiglio la sua postazione al computer, riservandomi un'affettuosa pacca sulla spalla. Mi disse di occuparmene io stessa dato che lui era troppo vecchio per certe cose ed io mi trattenni dall'osservare che non sarebbero stati quei quattro anni che avevo in meno di lui a rendermi idonea alla situazione. 
Mi piaceva Ryan, con la sua pelle color cioccolato e le sue camicie dal colletto spiegazzato, era quel genere di persona affidabile e non invadente che si preoccupava per te, ma non te lo faceva pesare.
Per molti aspetti mi ricordava Dickie.
Mi lasciai cadere sulla poltroncina girevole e premetti sulla tastiera del computer il tasto cancella.

"Allora ragazzina, vuoi dirmi il tuo nome così posso andarmene a casa?" chiesi.

La ragazza si dondolò sulla sedia, indicandomi gli occhi.

"Prima, quando mi avete presa, avevi le iridi rosse. Anche tu avevi le lenti a contatto colorate?" mi domandò, alludendo alle sue. "Hai pure i capelli bianchi ed hai riconosciuto il mio personaggio. Non è che sei una fan di Tokyo Ghoul?"

"Piantala di fare domande riguardo ai miei capelli e dimmi il tuo nome" le ordinai.

Lei mi rivolse un sorrisetto furbo che mi ricordò tanto un'altra ragazzina, ragazzina che non vedevo da più di un anno ormai. Forse fu questa somiglianza tra la piccola cosplayer e Lemonade che mi addolcì di poco.

"Smettila di chiedermi il mio vero nome e io smetterò di chiederti dei tuoi capelli" mi disse, come se avesse voce in capitolo.

Mi appoggiai stancamente allo schienale della poltroncina e portai l'indice alla tempia destra.

"Devi comunque darmi i tuoi dati, sei stata denunciata per aver rubato un telefono" le feci notare.

"E' stato un incidente!" replicò in sua difesa.

"Quando ti abbiamo perquisita ne abbiamo trovati altri quattro" aggiunsi.

La ragazzina ebbe un attimo di esitazione.

"Sono stati quattro terribili incidenti" si corresse, incrociando le braccia al petto. "Uno di quelli è mio".

"Bene, dirò a Stilinski di far controllare quelli per recuperare i tuoi dati, il mio turno è finito da un pezzo" le dissi, alzandomi. 

La ragazzina mi guardò offesa e anche un po' smarrita.

"Ehi, dove stai andando?" mi chiese, come se la stessi abbandonando da sola nel bosco.

Non sono mai stata una grande fan della storia di Hansel e Gretel, al che le feci un piccolo sorriso incoraggiante.

"A controllare che il mio ragazzo non abbia fatto saltare in aria la casa" le risposi.

Mentre scendevo dal pick-up e chiudevo stancamente la portiera dietro di me, mi chiesi se non sarebbe stato il caso di provare a parlarci un po' di più, con Ryan.
Avrei dovuto cominciare a ricambiare tutti i caffè che mi aveva offerto durante la nostra collaborazione e chiedergli dei suoi, ogni tanto, dato che volevo davvero che diventasse mio amico.
Ma andiamo, come si diventa amici di qualcuno? I miei amici erano diventati tali a causa di una guerra intergalattica, la stessa che aveva finito per dividerci per sempre.
Non sapevo come comportarmi a riguardo e non sapevo perché ne sentissi così tanto il bisogno proprio in quel momento.
Forse perché, effettivamente, avrei davvero tanto voluto parlare con Dickie.
Ma non potevo, non ci sarei riuscita. Non avrei potuto guardarlo negli occhi sapendo che lui aveva ancora tutto e io...
Entrai in casa in punta di piedi, superando il divano dove Kim dormiva, esausto. Mi fermai qualche secondo a osservarlo e mi lasciai andare in un sospiro malinconico.

Ora che Cameron non c'era più non c'era necessità che l'uomo si costringesse a dormire in soggiorno, ma né lui né Nate, che prima condivideva la stanza con l'Alpha, erano riusciti a rimetterci piede.
Thomas aveva ceduto a Nate il suo letto in camera con Luke e si era trasferito nella stanza di Kayla ed Estelle, perché lui affrontava queste difficoltà completamente al contrario.
Camminai piano verso la porta di legno chiaro e mi infilai nella mia stanza, dove lasciai cadere le chiavi dell'auto sul cassettone e dove mi lanciai con noncuranza sul letto, accanto al ragazzo che leggeva un volume dalle dimensioni improponibili.
Niall sollevò lo sguardo dalle pagine del suo libro per osservarmi e mi accarezzò i capelli, mentre rimanevo con il corpo rivolto al materasso.

"Mi pare ti sia divertita al lavoro oggi, Rosie" commentò con quella sua ironia che aleggiava in ogni frase che pronunciava.

"Ho concluso la giornata con l'arresto di una cosplayer" borbottai, sollevando una mano ed appoggiandola sopra alla sua, lasciandomi andare contro il suo tocco gentile.

Il ragazzo posò definitivamente il libro sul comodino e si coricò, avvicinandosi quanto più possibile a me. "Probabilmente era una dei seguaci di Luke su Tumblr, venuta a fare la stalker sotto copertura".

Arricciai le labbra reprimendo un sorriso e mi permisi di studiare i suoi occhi argentati.

"Come si impedisce il rapimento del proprio protetto?" domandai. "Temo che l'aconito non funzionerà per le sue fan scatenate".

Niall sollevò entrambe le sopracciglia, come se qualcosa che lo aveva impressionato gli fosse appena tornato in mente.

"Non mi stupisce abbia così tanti seguaci, ci sa fare con le parole, e se sono io a dirlo significa che è vero" osservò. "Ho idea che le sue fanfiction su Star Wars siano le più rebloggate del web".

"Ma sentiti, parli come se avessi vissuto sulla Terra da sempre" lo schernii, intrecciando le mie dita con le sue.

Mi rivolse il suo sorrisetto da gatto, con una vaga tristezza negli occhi.

"Imparo molto in fretta, lo sai" replicò, con semplicità. "Anche se avrei dovuto venire sulla Terra molto tempo fa, così tu saresti potuta essere felice prima".

Non sapevo cosa rispondergli, così ammutolii e mi portai la sua mano alle labbra, per potergli baciare le nocche.
Mi piaceva osservare il suo viso rilassato, senza crucci riguardanti potenti maledizioni, parassiti magici o battaglie mortali ad increspare la sua espressione serena.
Si era lasciato crescere i capelli durante quei mesi e gli ricadevano sul volto, nonostante non fossero nemmeno lunghi fino alle spalle.

"Ti amo" sussurrai.

La sua espressione si fece triste, rassegnata, e sospirò con rammarico.

"Lo dici perché non sono qui" replicò.

Sentii un nodo alla gola, quando cercai di rispondere a quell'accusa.

"Lo dico perché avrei dovuto dirtelo più spesso quando c'eri" mormorai, perché non ero in grado di utilizzare un tono di voce più alto. "Non mi ricordo come si fa a vivere senza di te".

Avevamo vissuto per dieci mesi a Beacon Hills, mesi durante i quali io ed il mio branco ci siamo impegnati a costruirci un futuro, una speranza per l'avvenire.
Niall, invece, aveva impiegato il suo tempo in videochiamate con Amalia, che lo aggiornava sui progressi di Soraya nel padroneggiare la Forza, e con Raven, che aveva bisogno della sua guida per capire come padroneggiare la magia.
Ma soffriva.
Non emotivamente, in realtà, il che era una piacevole novità per lui, ma fisicamente. Il cancro magico che era radicato in lui lo consumava e c'era poco che potessimo fare.
Avevamo chiesto aiuto a druidi di nostra conoscenza, però nemmeno loro sapevano come impedire l'inevitabile.
Sono stati dieci mesi dolorosi ma indimenticabili.
Sono riuscita ad amarlo senza riserve per dieci mesi, sono riuscita ad essere amata da lui per dieci lunghi mesi.
Aveva promesso che ci sarebbe stato per il diploma di Thomas, in modo da incoraggiarlo come avrebbe voluto, poiché in quei mesi si era avvicinato molto ai ragazzi.
Ma non era resistito fino a quel giorno.

"Hai tante cose per cui vivere, all'infuori di me. Te stessa, per cominciare" mi disse, con dolcezza. "Il tuo branco. E la possibilità di fare pace con Robin".

"Se anche mi avvicinassi a lui di poco, probabilmente poi cercherei di ucciderlo" osservai, con voce leggermente spezzata. "Perché è dovuto succedere a te? Perché non avremmo dovuto meritare di essere felici?"

"Rose, noi siamo stati felici. Adesso forse ti sembra che tutto sia orribile e che nulla abbia senso, ma hai tutta una vita per essere felice di nuovo" bisbigliò, senza aver alcun bisogno di farlo poiché era solo un'allucinazione. "Devi accettare di meritarlo, però".

Sentii che mi veniva da piangere, ma non volevo farlo, non ancora.
Era dal giorno della sua morte che piangevo, la sera, immaginando che lui fosse ancora lì a parlare con me.
Fingevo che ancora ci fosse e i ragazzi non mi assecondavano, ma non tentavano nemmeno di dissuadermi.
Credo che avessero paura di perdere definitivamente il contatto con me, se l'avessero fatto.
E, conseguentemente, di perdermi come avevano perso Cameron.

"Non voglio far pace con Dickie" borbottai. "Voglio che tu sia qui".

"Non posso essere qui, Rosie, non posso. Ma va bene, se non riesci a parlare con lui nessuno ti obbliga a farlo" sospirò, con una sofferenza velata nella voce. "Però potresti cominciare a cercare qualcuno che, come lui, sarebbe riuscito a farti superare questa situazione. Perché domani non offri un caffè a Ryan?"

Non volevo.
Non volevo 'superare questa situazione', non volevo superare lui.
Non volevo perdere ciò che mi rimaneva del dialogo con lui, della sua presenza, di... Non so. Non volevo.
Ma sapevo che prima o poi avrei dovuto farlo, era questo che faceva male.

"Non ho più nemmeno un dollaro" ribattei, pensando ai quarantacinque centesimi nel mio portafogli.

"Kim ha lasciato trenta dollari sul tavolo in cucina, li hai visti quando sei entrata" mi fece notare, facendomi l'occhiolino. "Basta scaricare la colpa su Nate domani mattina".

Mi scappò un sorrisino e lui lo specchiò, lasciandomi andare la mano.

"Lo sai che ti amavo, vero?" mi ricordò.

"Lo so" risposi, piano.

E un secondo dopo, non c'era più.

New Orleans

ROBIN

Avrei potuto liberarmi dalla sedia a cui ero legato, in altre circostanze, forse con estrema facilità e con una grande uscita di stile alla fine, ma non so chi avesse insegnato a fare nodi alla guardia che mi stava controllando, perché il groviglio di corde stretto ai miei polsi e alle mie gambe era indistricabile.
La ragazza davanti a me, una sedicenne parecchio scettica e parecchio silenziosa, mi studiava attentamente soppesando la credibilità del mio racconto.

"Ora ti spiegherò una cosa... Grayson, giusto? Grayson. Hai indagato con sorprendente accanimento sulle mie attività e sulla mia organizzazione, per poi riuscire ad arrivare a me, nel cuore della mia base da supercattivo dei film d'azione" disse, scandendo le parole, con quell'aria di superiorità e arroganza che conoscevo tanto bene. "Sean, ricordami quante persone sono riuscite a fare la stessa cosa?"

Un energumeno con scuri occhiali da sole e completo elegante fece un passo in avanti, da dietro la scrivania della ragazza. "Quattro, signorina".

"E quante di queste sono ancora vive?" domandò, subito dopo.

"Nessuna, signorina" rispose l'uomo, con voce impassibile.

La ragazza annuì, sollevando i piedi e poggiandoli sulla scrivania, mentre si adagiava con la schiena sulla poltrona girevole.

"Perciò capiscimi, Grayson, se mi ha lasciata perplessa sentire che la tua giustificazione per esserti introdotto nella mia proprietà è stata che volevi vedere quanto fossi diversa dalla me stessa di un'altra dimensione" mi disse, schioccando la lingua contro il palato. "Ho apprezzato particolarmente il resoconto della guerra intergalattica, di solito la gente non è così creativa".

Presi un respiro profondo e cercai di non alzare gli occhi al cielo perché aveva quel tono irritante che Elena usava quando voleva dimostrare la propria superiorità rispetto a qualcun altro.

"Vivi in un mondo popolato da supereroi e creature fantascientifiche, perché ti sembra impossibile che quello che dico sia vero?" chiesi.

La castana fece picchiettare le unghie sul bracciolo della poltrona, scrutandomi con quei familiari occhi neri.

"Non credo sia falsa la storia che mi hai raccontato, credo sia falsa la ragione per cui mi hai detto di essere qui" replicò, con semplicità. "Da ciò che mi hai detto, Elena era molto più vicina ad altri tuoi compagni rispetto a te, non penso che tu abbia passato notti insonni a cercare di capire come sarebbe stata la sua versione in questo mondo".

Vederle sollevare le sopracciglia in quel modo mi fece quasi sorridere, per cui mi trattenni.
Era uguale a lei sotto ogni punto di vista, a eccezione della cicatrice sotto il sopracciglio destro e le ciocche di capelli colorate di rosso e blu.
Indossava persino una maglietta di un giallo sgargiante sopra ai pantaloni in jeans, pareva in tutto e per tutto una Elena di due anni più grande a quella che avevamo conosciuto.
E aveva capito che le mie intenzioni non erano sincere, esattamente come avrebbe fatto la giovane Tris.

"Più di un anno fa, a Jump City, Dottor Luce è stato assoldato per tenere occupata la mia squadra mentre delle creature fatte di sale terrorizzavano e rapivano delle persone. Non è mai stato trovato il responsabile né si è mai scoperta la ragione per cui fosse avvenuto ciò" spiegai, anche se ero fermamente convinto che ne fosse al corrente. "I miei ragazzi avrebbero capito, prima o poi, come sconfiggerli, ma Elena ci è arrivata prima. Che, in un certo senso, sapesse come eliminarli perché il suo alter ego li aveva creati?"

"Sono speculazioni, te ne rendi conto?" domandò con sufficienza.

"Lo sembravano anche a me, ma poi ho indagato a fondo. Nessuno ha mai ricondotto alcuna delle tue attività, nemmeno uno dei tuoi colpi più incredibili a te, o almeno, non con prove certe. Ma se sussurri il nome di Allison Stewart alla persona sbagliata, potresti trovarti sul fondo dell'oceano in men che non si dica" continuai, ignorando il prurito che la corda aveva fatto venire alle mie caviglie. "So che sei molto impegnata, per cui te la faccio breve. Ho rintracciato gli scienziati con cui hai lavorato al progetto e mi hanno fatto arrivare qui. Ci sono voluti mesi, ma alla fine ti ho trovata. Per cui dimmi, perché volevi rapire quelle persone?"

Allison mi osservò a labbra strette, al che pensai di averla messa con le spalle al muro.
Ma poi vidi che la bocca ebbe un fremito e capii che si tratteneva dal ridermi in faccia.

"Ora ti faccio vedere una cosa, Grayson" mi disse, aprendo il cassetto della sua scrivania.

Estrasse un paio di guanti di pelle, di quelli che utilizzano gli arcieri, e li indossò con calma, canticchiando quella che sembrava la colonna sonora di uno di quei musical che Beast Boy aveva tentato di farmi guardare.
Si aggiustò i capelli e si voltò verso Sean e gli sorrise con cordialità.

"Sean, scusa se devo chiedertelo, ma avrei bisogno che mi sparassi" fece, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

L'energumeno sbiancò, senza però abbandonare la sua posizione.
Non era l'unica guardia nello studio ed anche tutte le altre trattennero il respiro come se fossero personalmente terrorizzate da ciò.

"Ma signorina, sia ragionevole-" tentò di dissuaderla, ammutolendo sotto il suo sguardo fermo.

"Sean, ti prego, non davanti agli ospiti" lo ammonì.

L'uomo borbottò un paio di imprecazioni ed estrasse la pistola già carica, togliendo la sicura.
Aggrottai le sopracciglia, confuso.
Cosa voleva dimostrare? Cosa voleva ottenere?

"Sarà meglio che si concentri, non ho intenzione di lasciare le mie figlie senza madrina" le disse, terribilmente preoccupato.

Allison quasi rise, ma venne fermata dal rumore dello sparo che scoppiò all'interno della stanza.
La ragazza rimase immobile con lo sguardo fisso nel vuoto per qualche secondo e poi si girò di nuovo verso di me, mostrandomi il proiettile, tenuto tra il pollice e l'indice della mano destra.
Le guardie si lasciarono andare in applausi e sospiri di sollievo, al che il loro capo dovette zittirli con un cenno, anche se stava sorridendo.
Si alzò dalla sedia e fece il giro della scrivania, sedendovicisi sopra e lanciandomi sulle gambe il proiettile.

"Questo è frutto di allenamento, concentrazione e qualche conoscenza avanzata della fisica. Chi lavora con me sa che non è affatto facile uccidermi ed anche se lo fosse, non lo farebbe. Non mi permetto il lusso di allearmi con gente di cui non mi fido, hai visto Sean, a momenti si metteva a piangere" mi fece notare.

L'uomo incrociò stizzito le braccia al petto. "Smetta di usarmi come esempio, allora. Sa che tengo a lei".

Allison lo indicò con l'indice, continuando a guardarmi.

"Ecco qua, questo è quello che faccio. Ho a che fare con persone di ogni tipo tutto il giorno, quelli che lavorano per me non mi farebbero mai del male, mentre gli altri non vivono abbastanza a lungo da pensare di farlo" concluse, unendo le mani davanti a sé. "Questi fantomatici scienziati, se avessero lavorato per me, non mi avrebbero mai tradita, anche perché devo a Joan e Talyn un ingresso a Disneyland. Per cui, per l'ultima volta, vuoi dirmi perché sei qui? Prima che mi annoi e ti uccida?"

Non mi ero reso conto di star trattenendo il fiato fino a quando non dovetti prenderne altro per parlare.
Era una situazione imbarazzante, certo, ma era anche vero che avevo riflettuto per mesi riguardo alla mia decisione.

"Ho bisogno del tuo aiuto" ammisi, rassegnato. "Gestire le minacce criminali sia di Jump City che di Gotham non è affatto semplice, senza contare che io e Kory ci siamo sposati da poco e non vorrei passare così tanto tempo fuori casa".

La ragazza annuì. "Oh sì, ho visto le notizie a riguardo. Il suo vestito era adorabile".

"Vero? Comunque, sono certo che saprai che Batman... Beh, non c'è più. Sono riuscito a tenere segreta la cosa dalla maggior parte delle società malavitose, ma scommetto che tu non avevi bisogno che te lo dicessi io" continuai.

"Già, ne ero al corrente. Senti, tu come stai a riguardo? Con il fatto che era il tuo padre adottivo-" cominciò.

Sean si schiarì la voce attirando la sua attenzione, per farla smettere.
La ragazza allargò le braccia.

"Cosa? Il ragazzo deve aver passato davvero un brutto periodo dopo l'accaduto, non puoi chiedermi di ignorare la cosa" si giustificò.

Abbozzai un sorriso e scossi la testa. Era così tanto simile a Elena, da non credere. Forse venire qui non era stata una scelta tanto folle quanto temevo che fosse.

"Il fatto è che ho bisogno del tuo aiuto per far diventare Damian il nuovo Batman" dichiarai, facendo ammutolire tutti i presenti.

Avevo questa assurda certezza che se mi stavo fidando di Allison, allora potevo fidarmi anche delle sue guardie, per la stessa ragione per cui poteva farlo lei.
Non l'avrebbero mai tradita, quindi se lei avesse deciso di aiutarmi, loro non avrebbero detto una parola a riguardo.
La ragazza sbatté le palpebre piano un paio di volte, per poi passarsi una mano tra i capelli indomabili.

"Stai chiedendo a me, Allison Stewart, una dei più pericolosi criminali del mondo, di crescere il figlio di Bruce Wayne perché diventi un difensore della giustizia?" domandò, quasi per accertarsi di aver sentito correttamente.

Deglutii a fatica, perché sapevo quanto assurdo potesse sembrare.

"So che tu mi hai incontrato da poche ore, ma grazie a Elena io so di conoscerti. So che sei quasi completamente uguale a lei e so che con la sua morale ferrea, con la sua capacità di capire le persone e la sua tendenza a prendersi cura degli altri, lei avrebbe fatto un ottimo lavoro con Damian" cercai di spiegarmi, sotto il suo sguardo incredulo.

Mi fermò con un gesto della mano, scuotendo la testa.

"Grayson, ascoltami, dal tuo racconto mi risulta che Elena fosse fermamente convinta che gli omicidi fossero il male" mi fece notare, portandosi una mano al petto. "Stiamo parlando di una bambina che a quattordici anni si è trovata in mezzo a una guerra dove ha cercato di mantenere gli stessi valori che aveva nella sua esistenza precedente. Il mio vissuto è completamente diverso dal suo, hai idea di cosa mi sia successo per farmi arrivare a dove sono ora a soli sedici anni? A quanto orrore ho assistito?".

Prese un respiro profondo e mi guardò con rammarico. "Io stessa ho ucciso delle persone con le mie mani e non tutto quello che faccio segue i miei ideali, ideali che per puro caso sono quelli che aveva la tua pupilla. Faccio sempre del mio meglio per essere orgogliosa di quello che faccio, ma in questa società sono quella che rappresenta il male, per questo non sono la persona più indicata per plasmare una mente giovane destinata a interpretare la parte dell'eroe".

Era ovvio che non la stessi convincendo, credeva di non essere in grado di fare ciò che le avevo chiesto ed aveva tutte le ragioni per dubitare di se stessa.
Forse avrei dovuto dubitarne anche io, ma non ci riuscivo.
Perché? Perché le guardie nella stanza con noi avrebbero fatto di tutto per lei, si fidavano del suo giudizio e sapevano decisamente come fare un nodo che io non sapessi sciogliere.
Da quello che avevo visto e sentito, aveva instaurato un rapporto con ogni suo sottoposti e li trattava con importanza seppur mantenendo la sua autorità.
In quanto a me...
Mi morsi il labbro inferiore, ricordando con imbarazzo perché non riuscissi a prendermi cura di Damian come avevo promesso che avrei fatto.

Ne avevo già discusso con Jason e la verità era solo una: non riuscivo più ad avere a che fare con Gotham, la Bat Caverna e tutto ciò che questo comportava.
Volevo bene a Damian, ma non riuscivo più a vivere nell'ombra di Batman e quell'incarico mi riportava indietro a momenti dolorosi.
Dopo tutto quello che la guerra aveva fatto passare a me e a chi conoscevo, dopo che aveva avuto una così pesante influenza sul mio rapporto con Bruce ero sicuro di chi fossi e di chi avessi bisogno di diventare.
Rimanere ancorato al passato a causa di tutta la faccenda del 'nuovo Batman', però, avrebbe potuto farmelo dimenticare.
Avevo una squadra formidabile composta da amici stupendi e una moglie meravigliosa che mi avrebbero aiutato a continuare a crescere.
Per questo avevo bisogno di Allison.
Perché sapevo che Damian aveva lo stesso diritto di crescere che avevo io.

"È per questo che sono qui, Allison. Tu sei una brava persona, i tuoi uomini ne sono la conferma. Hai gli stessi valori di Elena, ma come hai detto tu il tuo vissuto è diverso. Sai che nel mondo è una questione di circostanze, non è tutto nero o bianco, e sapresti instillare le stesse cose anche in Damian, proprio come hai fatto con chiunque altro lavori con te" le dissi, cercando di farle capire che credevo veramente in quello che dicevo. "Io so di non essere in grado di fare ciò che dovrei per renderlo un Batman migliore di Bruce... Ma tu puoi farlo. Devi solo dartene l'occasione, sono sicuro che faresti un grande lavoro".

Nella stanza regnò il silenzio per diverso tempo, mentre Allison soppesava le mie parole.
I suoi uomini erano in attesa con la mia stessa apprensione, poiché una scelta del genere avrebbe di certo cambiato molte cose.

"Ci penserò su, te lo prometto, e non ti ucciderò per esserti introdotto in casa mia" acconsentì, con un sorriso, facendo segno a Sean di slegarmi. "Quando esci, però, spiega a Peter, l'addetto alla sicurezza, come hai fatto a entrare. Dovranno essere apportate serie modifiche".

Agitai le mie mani finalmente libere per far riprendere una corretta circolazione del sangue.

"Lo farò" promisi. "Mi dirai anche perché hai mandato quelle creature di sale a Jump City?"

La ragazza mi guardò con aria divertita e sorrise ancora di più.

"No, non credo che lo farò" rispose. "Salutami tua moglie, quando torni a casa".




















WASSUP EVERYBODY

Dovrei giustificare la mia assenza per quelli che sono stati...

...aspettate che sto contando...

...quattro mesi, per cui eccola qui, la verità nuda e cruda.

Sono stati mesi difficili.
Casini con gli amici, con il ragazzo, con la scuola.
Ho perso persone a cui tenevo figurativamente, perché ci siamo allontanati, e letteralmente, perché ai miei cari piace spirare nei mesi estivi e/o autunnali.
Io e Lettore non stiamo più insieme, lo so, è tragico, e siamo a stento amici.

Lettore: Ovviamente sta parlando del me nella vita reale, perché nella dimensione di Wattpad non potremmo mai smettere di essere amici.

Io: ...c'è qualcosa che non va, questa è una frase fin troppo innocua.

Lettore: Vuoi farmi finire? Insomma, questo tuo brutto vizio di interrompere le persone.

Io: Okay, okay, sCuSaMi.

Lettore: bENE. Dicevo: non potremmo mai smettere di essere amici.

Perché non siamo mai stati amici.

Io: Avevo quasi dimenticato quanto puoi essere infame, mi erano mancate le nostre interazioni.

Lettore: Anche a me erano mancate, ma sai, ero leggermente occupato a spacciarmi per te con i tuoi genitori.

Io: Sì, lo so, non hai ricevuto tutti i riconoscimenti che meriti.

*qualcuno sfonda la porta*

Peter: Lui non ha ricevuto tutti i riconoscimenti che merita? E io cosa sono? Un frigorifero?

Io: Ragazzi, ragazzi, siete le mie persone, le mie anime gemelle, i miei migliori amici. Il capitolo 38 sarà diviso in cinque parti, avremo il nostro tempo per dirci addio e ringraziarci a vicenda.

Peter e Lettore: *all'unisono* Per ringraziare me.

Io: Ma per cominciare, un grandissimo grazie ai lettori che sono ancora con noi e a quelli che hanno cominciato da poco nonostante sapessero che la storia era in stand by da parecchio tempo!

Sarò di ritorno prestissimo, croce sul cuore.

Per ora, però, vi saluto, lattine mie.

Al prossimo capitolo.

Lettore: DEVI RIDARMI TUTTE LE MIE FELPE.

Io: DOVEVI PENSARCI PRIMA DI PRESTARMELE.

Peter: Io sono ancora convinto che siano fatti l'una per l'altro.

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