Cora 6 - Senza fiato
-Ha due personalità, ti dico. Ne ha due. Dr Jeckyll e Mr Antipatia. Un momento prima è tutto tranquillo e rilassato e quello dopo mi guarda come se volesse schiacciarmi tra un palmo e l'altro della mano e infilarmi nella buchetta dell'umido. Ti pare normale? Quell'uomo è proprio assurdo. Un po' come Psycho. Non è nemmeno in grado di nascondere la sua totale mancanza di tolleranza. Voglio dire, se dico qualcosa di stupido tu ignorami no? No? Lui invece che fa? Mi guarda come se volesse farmi lo sgambetto alla stampella e usare l'altra come stecca da biliardo sui miei stinchi. A proposito, le stampelle che avevo a casa le ho prestate a te quando l'anno scorso ti sei infortunata agli allenamenti? Non ne sono sicura...-.
Ci pensai su qualche istante.
-O forse le ho messe in cantina? Com'è che non mi ricordo mai dove lascio le cose? Appena torno a casa devo assolutamente trovarle altrimenti mia madre mi farà un mucchio di storie...-
Effettivamente non aveva senso comprarne delle altre.
-Ahhh! Sai una cosa? Non lo so. Ci devo pensare. Comunque ti richiamo. Anzi, richiamami tu quando tornerai dalla Francia. Vai sempre dai maledetti parigini in estate! Traditrice... buonanotte!-
Ero distesa sul letto ma in realtà, anche con la caviglia dolorante, ero totalmente incapace di stare ferma. Stavo impastando il cuscino con una tale devozione che si stava trasformando in una nuvola deforme.
Mi formicolavano le mani, se non mi fossi messa immediatamente a fare qualcosa avrei finito per accartocciare tutti gli oggetti della stanza. Avevo bisogno di parlare con qualcuno.
In verità, in quel momento, volevo parlare con un'unica persona al mondo. Conoscevo il suo numero di cellulare, l'ora per chiamare era quella giusta e avevo di fronte a me il telefono ma... allora perché era così difficile?
Fissai la cornetta così intensamente, che per un attimo mi sembrò di tornare sui banchi di scuola, durante l'ultimo anno, nel giorno in cui la professoressa di greco ci piantò davanti un test a sorpresa e io provai con tutta me stessa ad incenerirlo con lo sguardo. Ovviamente non ebbi successo.. a dirla tutta avrei fatto più figura se avessi consegnato in bianco.
Composi il numero e immediatamente mi rimpicciolii, accovacciandomi come un rospo sul bordo del letto.
Dopo tre squilli la voce calda di mio fratello invase l'apparecchio.
-Pronto?-
-Dario, sono io...-
-Cora! Come stai?-
-È un brutto momento? Posso richiamare...-
-No, no! Non preoccuparti, ho appena finito di cenare. Piuttosto dimmi, cos'è successo? Quando ho chiamato a casa, ieri sera, mi hanno detto che hai perso un altro telefono... Dì un po' Cora stai cercando di far girare l'economia dell'elettronica? Quanti cellulari hai fatto fuori esattamente?-
-Ehi, stavolta non è stata colpa mia.-
-Ma stai bene? Quando ieri sera ho sentito la mamma non mi ha praticamente detto nulla.-
-Ah, lascia stare. Quando l'ho chiamata era così agitata che alla fine non sono nemmeno riuscita a spiegarle la situazione.. Sembrava isterica. Comunque io sto benissimo. Non preoccuparti.-
-La puoi biasimare? Sua figlia non fa che cacciarsi nei guai... e Margherita invece? Stai chiamando dal suo cellulare?-.
Margherita era la mia copertura per poter andare qua e là. Avevamo un accordo per il quale ci guardavamo le spalle a vicenda, anche se in realtà ci vedevamo pochissimo a causa dei vari impegni ci scrivevamo spesso per non perdere i contatti. Avere un'amica così era una benedizione.
-Non mi sono cacciata in nessun guaio. Margherita sta benissimo...-, ovunque sia in questo istante... -Comunque no, ora sto chiamando dal telefono dell'albergo.-
-Insomma, che è successo? Questa volta deve per forza essere accaduto qualcosa.-
Oddio, aveva già scoperto tutto?
-Perché dici così?-
-Perché hai una voce da zombie e parli in modo davvero sospetto. Avanti, sputa il rospo.-
Arricciai il filo del telefono nel dito e lo districai un paio di volte prima di rispondere: -in realtà, mi hanno derubato la borsa. La borsa che mi avevi regalato...-.
-Cora...- la voce di mio fratello ora, era sulla mia stessa onda di tristezza.
-Dentro, c'era la tua Polaroid... Dario, mi dispiace-.
Dall'altra parte della cornetta, nel silenzio più assoluto, riuscii a sentire il dispiacere di mio fratello.
Si schiarì la voce prima di parlare.
-Avanti Cora, non è da te dispiacerti così per un oggetto perduto. Cos'è che dici sempre quando non ritrovi più qualcosa? "Sicuramente sarà in un posto migliore! Amen." Ahahaha, oddio, quando l'hai detto alla mamma dopo aver perso la sua spilla, per poco non ti pelava come una patata.-
Non potevo farci niente, mi ero ripromessa di non farlo, ma stavo piangendo. Non mi affeziono mai alle cose, non attribuisco loro un valore intrinseco. Perché tanto lo so, che prima o poi me le dimenticherò sull'autobus, in un bagno pubblico o nello spogliatoio della piscina. Però, la polaroid...
-Però, era la tua...-
-Ehi, Cora non fare così. Te l'avevo ceduta io stesso ricordi? Non era più mia. E comunque non preoccuparti, tra poco è il tuo compleanno no? Te ne prenderò un'altra. Cercherò lo stesso modello su internet. Uhm, però, in questo modo, non avrai nemmeno una fotografia da appendere al muro quando tornerai...-, Dario fece una piccola pausa finché non sentii un suono familiare. Quando gli veniva in mente qualcosa, schioccava sempre le dita, come i personaggi dei cartoni animati. Era così buffo quando lo faceva, che per un attimo pensavo: "ah... ma allora è vero che siamo fratelli".
Dario era sempre stato il figlio perfetto. Quello devoto, educato e bravo negli studi. Anche il suo carattere era solare, non era un tipo borioso o assillante. Da bambini, copriva sempre tutte le mie marachelle e se ci scoprivano, cercava di prendersene la colpa. Lui è sempre stato così. Forse perché ero la sorella minore, e dunque già partita in ritardo... ma anche con i ruoli invertiti, probabilmente non avrei avuto scampo.
Nella gara che non era ancora cominciata, lui era già al traguardo ad aspettarmi. Vincente sempre e comunque.
Sarebbe andata così in ogni caso.
"È come in The Game. Ti basta pensarci e hai già perso."
-Perché tu e Margherita non andate a fare almeno una fototessera?-
-Una fototessera?-
-Sì, esatto! Ma non come quelle in posa da mummia che hai fatto per il curriculum vitae! Una da film, con le boccacce e pose buffe...-.
-Ahhh! Ho capito cosa vuoi dire. Sai che è una buona idea? Però non saprei proprio dove trovare una macchinetta a quest'ora ..-
-Uhm... a volte ci sono anche nelle sale giochi...-
-Sale giochi? Oh! Ora che ci penso, qui a Rimini nella zona degli hotel ne ho viste un paio...-
-Lì ci sarà sicuramente ma comunque, se non sai come trovarla, chiedi al receptionist dell'hotel. Hanno una mappa per ogni cosa.-
Mi guardai per un momento le unghie mangiucchiate, incapace di dire quello che avrei voluto veramente.
"Torna a casa. Ho bisogno di te. Il mio cervello fa acqua da tutte le parti se non ti ho accanto."
-Con te sono sempre in debito...-
-Torna a Milano sana e salva e saremo pari. Ok?-
-Ok.-
-Prometti con il mignolino!-
-Ma siamo a distanza!-
-Fallo comunque. Le promesse con il mignolino sono le uniche che hai mai portato a termine.. Sei una sorella troppo imprevedibile, quindi fallo!-
Mentre con il mignolo stringevo l'aria un fastidioso sfarfallio allo stomaco mi ricordò che mio fratello era vicino. Più vicino di quanto lo sarebbe stato se fossi stata a Milano. Quanto disteranno Bologna e Rimini? Un'ora di treno? Un'ora e mezza? Se solo gli avessi raccontato tutto... Se gli avessi detto che ero sola, me lo sarei ritrovato davanti in men che non si dica.
Qualche volta ero davvero patetica. Quando si è nei guai, molti hanno bisogno della mamma, altri si sentono più vicino al padre. Io, mi ero aggrappata all'unica persona della nostra famiglia che aveva trovato lavoro altrove e che certamente, non aveva bisogno di ulteriori preoccupazioni.
-Dario, ora torno da Margherita... domani comunque sarò a Milano.-
-Ok, allora mandami un messaggio quando arrivi a casa-.
Appena depositai il ricevitore uscii dalla stanza per bussare a quella di Alan. Mi avrebbe sicuramente odiato ma almeno sarebbe stato l'ultimissimo favore che gli avrei chiesto. Inoltre avevo davvero bisogno di prendere una boccata d'aria ma non mi andava di uscire da sola. Le strade erano piene di gente e con tutte quelle insegne illuminate, le luci artificiali non mancavano, anzi...
Però, con Alan alla porta accanto, non riuscivo a resistere.
Dovevo ammettere che vederlo tormentarsi a causa mia era piuttosto divertente. Quando si stropicciava i capelli e diceva di impazzire, dovevo quasi trattenermi per non ridergli in faccia. Se glie lo avessi confessato, mi avrebbe davvero preso a calci.
Saltellai fino alla sua porta, fatto e considerato tutto, la caviglia non faceva troppo male.
Bussai tre volte, come si fa per Beetlejuice, e aspettai.
Alan mi aprì la porta, aveva addosso quello suo sguardo omicida e inoffensivo che ormai avevo imparato a conoscere. Trascinarlo fuori dalla stanza fu come staccare una grossa ventosa da un vetro perfettamente pulito. Una faticaccia.
Ci metteremo cinque minuti? E in quale pianeta, una volta usciti, si riesce a fare qualcosa in cinque minuti? Pazienza. Ormai avevo i soldi per il biglietto di ritorno, se mi avesse mollato lì, sarei comunque stata in grado di cavarmela.
Al momento, dovevo solo assicurarmi che non fuggisse. Presi il suo braccio e lo trascinai verso l'ascensore. Potendo, lo avrei ripiegato come un giornale e me lo sarei infilato sotto il braccio.
"In una coppia, essere sempre la persona con meno forza fisica è sinceramente stancante. Nella prossima vita, devo assolutamente assicurarmi di nascere uomo."
-Tzs! Certo che sei proprio qualcosa di incredibile.. non mi ringrazi neppure. Sai cosa dovresti fare? L'avvocato dei criminali. Saresti perfetta. Non hai proprio vergogna o peli sulla lingua...-
Per un attimo ebbi un brivido. Lo sapeva? Lo aveva detto apposta? No, doveva essere una coincidenza. Un'altra.
-Alan... pazzesco... devi essere una specie di veggente. .-
-Veggente?-
-Io dalla prossima settimana inizierò davvero giurisprudenza-.
-Cosa??-
Ahhh! Che seccatura. Ma perché reagivano tutti così? È tanto assurdo voler fare l'avvocato? Non ho mica dichiarato di voler andare sulla luna. Milano è piena di avvocati. Anzi, l'Italia è piena di avvocati! Ce ne sono talmente tanti che la metà sono a spasso.
-Voglio sul serio diventare un avvocato... Ma tu, come lo sapevi? Te le sogni la notte queste cose?-
-Farai giurisprudenza... a Milano?-
"No, la farò a Seul ovviamente. In Corea del Sud. Dove tutti gli aspiranti avvocati milanesi vanno... Grrr! Calma Cora, stai calma."
-Sì, alla Bocconi... Oh, le porte sono aperte, entriamo?-
Entrai in ascensore mentre Alan mi seguiva con uno strano scatto alle gambe. Una mucca che passeggia per i tavoli di una Steak House, avrebbe avuto un atteggiamento più disinvolto del suo.
"C'è un'espressione inglese perfetta per descriverlo... Com'era quella parola? Smooth."
-Perché quella faccia? Pensi anche tu che mollerò a metà? Guarda che sono diventata abbastanza brava nello studio! Non sono più una scansafatiche.. E tu invece, che farai? Ti sei già iscritto da qualche parte?-
Niente. Doveva essere andato in corto circuito.
-Alan? Mi senti?-
-Prenderò un anno sabbatico!-
"E adesso perché grida? Non sono mica sorda."
-Sì. Sì, certo che posso farlo! In un anno, potrei andare in Inghilterra a perfezionare la lingua, fare volontariato, scalare l'Everest, salvare le balene dai Giapponesi!-
"Ma a chi sta rispondendo? Io non ho chiesto nulla..."
-Certo, mi sembra un'ottima idea...-, farfugliai annuendo con il capo.
Usciti dall'ascensore, mentre attraversavamo la zona del bar e la hall dell'hotel, Alan tamponò ogni sgabello, porta ombrelli e persona possibile. Sembrava fosse diventato cieco, sordo e muto tutto in una volta sola.
"Forse dovrei legarlo io ad un albero e scappare sul primo treno per Milano."
***
-Quindi, dove stiamo andando?-
La domanda arrivò dopo interi minuti di silenzio tombale, totalmente ingiustificato. Anche il colorito e l'espressione sembrarono tornare normali. "Meglio tardi che mai."
-Siamo quasi arrivati. Voglio solo fare una foto per portarla a casa-, cercai di rassicurarlo mentre scorrevamo lungo la via illuminata dei negozi ancora aperti. In estate la riviera sembrava vivere più intensamente dopo il tramonto. Forse era l'aria fresca a portarli fuori dalle loro stanze o anche solo la voglia di passeggiare.
Che fossero anziani, adulti, ragazzi o bambini non importava. All'improvviso nessuno aveva più un orario stabilito o un coprifuoco. Era il potere delle vacanze estive.
-Una foto?-
-Polaroid. In questo caso una specie... In genere ne scatto sempre almeno una quando vado da qualche parte. Le ho tutte sulla mia parete, sopra la testata del letto e le sposto a seconda dell'umore. A volte le metto in ordine per colore, come una tavolozza, altre volte le uso per creare una forma.. Al momento sono in ordine cronologico con la data di scatto. Sembra la disposizione più sensata ma stranamente mi è venuta in mente solo qualche settimana fa, quando mi ero stufata della vecchia composizione...-
-Quindi ti farai una specie di selfie...-
Detta così suonava proprio da schifo.
-In genere non li faccio mai i selfie, mi piace prendere il paesaggio... Che c'è? Anche questo è assurdo?-
-A dire il vero, questa mi sembra la prima cosa sensata che ho sentito uscire dalla tua bocca-, Alan si fermò un attimo, infilò le mani in tasca e sorridendo continuò: -una parete piena di Polaroid... Sembra figo.-
A Psycho era tornato il buonumore.
-Lo è, infatti. E per favore smettila. Io dico un sacco di cose sensate...-
-Pare vero. Tu non dici solo un sacco di cose insensate, le fai anche.-
Era bravissimo a irritarmi. Un campione. Cercai di frenare la punta del mio piede buono che "accidentalmente" voleva schiacciare la sua.
Se non fosse stato attento l'indomani saremmo andati a comprare due paia di stampelle.
-Certo che se lo dici con quel tono tutto sembra insensato...-
-Ma sentila... Non trovare scuse. Sei tu ad essere irrazionale-.
Irrazionalità. Una parola del vocabolario italiano per lo più inutile. Se la logica sistemasse tutto, i ponti non crollerebbero senza alcun motivo apparente.
-Tu non sei mai irrazionale?-
-No. Se posso evitarlo-.
Bisticciammo ancora, fino alla sala giochi. Pensavo che sarebbe stata una faticaccia arrivarci con quella gamba, invece Alan, nonostante mi stesse più o meno velatamente sbeffeggiando, non smise mai di sorreggermi. Che fosse aiutarmi a districarmi tra i passanti o fermarsi con me per a fare i gradini dei marciapiedi, non smise mai di farlo e non si lamentò neppure. Quello almeno, sembrava venirgli naturale.
-Cosa fai, non entri?- chiesi dopo essermi sistemata oltre la tenda blu della macchinetta automatica.
-Scherzi vero?-
-Nient'affatto. Non posso farla da sola, sembrerà una cavolo di fototessera-.
-Perché è una fototessera. Ah, lascia stare. Falla da sola-.
-Hai riso-.
Alan incrociò le braccia e mi diede le spalle, senza andarsene.
Volutamente, alzai la voce.
-Tu scellerato! Prenditi le responsabilità per quello che mi hai fatto!-
Un paio di teste si voltarono nella nostra direzione.
-Che gridi? La gente penserà male!- Disse con un buffo tono trafelato.
"Ah, il potere della pressione sociale."
-Fare una foto con me non ti ruberà l'anima. Forza entra!-
Strapazzò i capelli per un secondo. Giusto il tempo di esibire la sua esasperazione e con un solo passo, entrò nel gabbiotto. Se aveva tentato di fare un buco nel pavimento e sparire, aveva fallito ma c'era sicuramente andato vicino.
-Vuoi romperlo?-
-Piantala. Fai partire questa cosa-, mi apostrofò indispettito.
Ora che era entrato anche lui insieme a me, la cabina sembrava essersi ristretta, come in quei maledetti film dell'orrore. Forse a questo particolare, avrei dovuto pensare prima. L'atmosfera di nervosismo non era prevista.
Avere Alan così vicino, tra quelle pareti soffocanti, era debilitante. Mi aveva trascinato qui e là tutto il giorno, o forse ero stata io, ma dentro quello spazio angusto, sembrava diverso. Quando mi girai leggermente e me lo ritrovai alle spalle, per poco non scivolai giù dallo sgabello, come burro sulla padella calda.
Aveva l'odore del mare stampato addosso, così come i segni della stanchezza e un'ombra di barba sotto gli zigomi. Era troppo vicino. Sentii il sangue fluirmi sul volto e incendiarmi le guance, mentre il mio stomaco liberava uno stormo di falene impazzite. Mi sentivo in trappola, il che non aveva assolutamente senso, dato che ero stata io a trascinarlo in quel cubicolo. Era così vicino, che temevo di muovere anche solo il minimo muscolo. Stavo davvero sudando anche dalla testa o era solo una mia impressione?
Premetti spasmodicamente tutti i pulsanti della macchinetta, sbagliando più e più volte finché finalmente, i quattro scatti partirono in ripetizione. Ci fu il tempo per scioglierci dal nervosismo iniziale e fare i buffoni ma la mia espressione doveva sembrare di cartongesso. Nella terza Alan mi stropicciava la faccia rendendomi quasi irriconoscibile mentre nell'ultima ridevamo insieme. Tutto sommato, era andata bene.
-Io prendo le prime due, qui hai una faccia strana-, disse facendosi prestare le forbici dal commesso per tagliare la striscia.
-Vuoi tenere quella con la mia faccia strana? Anzi, riformulo. Le vuoi anche tu?-
-No, affatto. Non voglio tenerle ma sono costretto. Lo faccio solo per salvaguardare la mia anima. L'hai detto tu prima no? Terrò due quarti della tua anima per assicurarmi che tu non mi maledica. Sei indubbiamente una donna molto pericolosa, lo sapevi?-
Due quarti di anima... questa non mi andava di fargliela passare liscia.
-Io veramente prima avrei detto il contrar...-
-Quindi ti hanno rubato la Polaroid! Ahhh, che sbadata che sei! Per questo siamo venuti qui. È giusto?-, sembrava una sentenza. Come una stilettata al cuore.
Era indubbiamente bravo a cambiare discorso.
-Sì. Per di più non era nemmeno mia, ma quella di mio fratello.-
Una sensazione acida risalì il mio stomaco e si sbriciolò in bocca. Volevo deglutire e mandarla via ma non ci riuscivo. Anche la lingua sembrava essersi annodata.
Mi dissi che non era niente. Che mi sarebbe passata subito. Poi arrivò. Quel senso di oppressione al petto, sempre pronto a schiacciarmi il cuore fino a stritolarlo. Ero stata così brava, così forte. Le ultime settimane erano andate così bene che ero stata fiduciosa. Non lo avevo sentito arrivare, o forse non me ne ero resa conto, ormai non potevo farci nulla.
Fu tutto velocissimo e al tempo stesso, terribilmente lento. Dapprima erano solo piccoli spasmi che mi facevano sobbalzare il petto ma poi il respiro si fece sempre più corto. I miei passi divennero pesanti, incerti, obliqui. Incapace di proseguire, mi appoggiai al muro e scivolando su di esso, mi inginocchiai a terra. Con le braccia cercavo l'aria che mi sembrava di non respirare.
Nella realtà dei fatti avevo troppo ossigeno.
Disturbo da iperventilazione. Mi aveva spiegato il medico di base, tutto d'un fiato, circa quattro anni fa. L'espressione dei suoi occhi, era ancora impressa nella mia mente e così anche il suo volto. Me lo disse con quel tono calmo, pregno di rassegnazione. Non aveva semplicemente dato un nome al mio disturbo. In quel momento aveva cercato di dirmi qualcos'altro.
"Cosa ci puoi fare? Non sei in pericolo di vita ma se le cose non cambieranno, semplicemente, te lo porterai dietro per sempre."
Non aveva una ricetta da mettermi tra le mani. Non aveva una soluzione al mio problema ma solo una risposta. "Hai questa sindrome qui, si chiama così, ora puoi tornartene a casa."
Ripensandoci adesso, avrebbe dovuto rispondermi un'altra cosa.
"Dottore, che cos'è?"
"Iperventilazione. Amen. Quando esce, chiuda la porta per favore."
Negli ultimi due anni ero diventata brava, avevo imparato a gestire le situazioni abbastanza bene da poterle anticipare. Ormai non mi accadeva più tanto spesso. Solo negli ultimi tre mesi avevo avuto un paio di episodi. Il motivo della loro comparsa, non lo conoscevo nemmeno io.
La risposta che era dentro di me, mi era sconosciuta e così, il mio stesso corpo mi aveva imprigionato in un circolo vizioso di strade senza uscita. Quiete. Stress. Accumulo di tensione. Iperventilazione. E poi di nuovo quiete.
Quel giorno anticiparmi non funzionò, perché non lo sentii arrivare. Piombò su di me come una palla di fuoco che cade dal cielo.
-Cora...-
Alan, incapace di muoversi. Mi guardò accartocciarmi come una foglia. Con il braccio teso. Cercai di indicargli il negozio di alimentari accanto a noi. Dovevo entrare lì, mi serviva solo un sacchetto e tutto sarebbe tornato normale. Dovevo solo respirarci dentro. Solo uno stramaledettissimo e fottutissimo sacchetto.
A causa dello sforzo, avevo le lacrime agli occhi. In quell'opacità luminosa, ripiegata in un'angolatura obliqua, vidi Alan completamente bloccato.
Se ne stava in piedi, a un passo da me, con i pugni stretti, il volto pallido e un lampo di terrore negli occhi. Non riuscì a muovere un solo muscolo. E io non fui in grado di dirgli nulla.
"Non è niente. Non fare così."
Pian piano, mi sentii trascinare in quel buco nero che ad ogni respiro mancato mi risucchiava sempre di più. Quel tunnel liscio, stretto, senza fondo e pieno di liquami, io, non avevo ancora imparato a gestirlo.
Fu una ragazza ad aiutarmi. Si inginocchiò accanto a me, premendo sull'asfalto sporco i suoi jeans chiari. La vidi togliere qualcosa dal sacchetto bianco che teneva in mano e accompagnarlo alla mia bocca. Non me ne ero accorta ma avevo ancora un braccio alzato. Lei, lentamente, lo riportò giù.
-Va tutto bene adesso. Respira qui. Odorerà di buono, dentro c'era un dolce-, disse ridacchiando leggermente e appoggiandomi l'altra mano sulla spalla. Quella ragazza così pacata rassicurò anche Alan.
-Adesso, sono sicura che le passerà.-
Quando finalmente il mio respiro iniziò a stabilizzarsi, Alan si mosse. Fu come veder rompere un vetro che fino a quel momento ci aveva diviso. Crollò accanto a me, come se qualcuno da dietro lo avesse spinto e mi prese per mano.
Tremava. Aveva ancora la faccia sconvolta ma la sua presa era calda. Era confortante, eppure mentre lo sentivo stringere e allentare a ritmo incostante, ebbi la netta sensazione di essere io a tenerlo per mano.
"Va tutto bene Alan. Ora mi passa."
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