Cora 20 - Sincere bugie (parte seconda)

Mi ero imbattuta in una di quelle situazioni in cui non sai quello che stai facendo, perché lo stai facendo e con ogni probabilità, lo stai facendo pure male. Eppure quel senso di inadeguatezza era durato non più di una manciata di minuti. Così come quando non ci si accorge di un dolore che improvvisamente passa, perché tutto è stato semplicemente ripristinato nella norma, il senso di turbamento che funestava le viscere e comprimeva il petto era sfumato, in un ripristino di me stessa, in una sbuffo di calore nelle giornate invernali. Difficile dire se l'effetto terapeutico fosse da attribuire al baseball, all'adrenalina o al fatto stesso di compiere un gesto del tutto nuovo. In un mondo dove la mescolanza delle cose non è ammessa, sarei stata propensa per credere all'ultima. Il senso di benessere che percepivo diffondersi in una parata di endorfine lungo le vene era molto simile alla sensazione che provavo quando tiravo una riga sull'elenco della bucket list. Ogni volta che mi capitava di farlo, poche volte a dire il vero, sentivo non solo di aver realizzato qualcosa di nuovo e di aver raggiunto un obbiettivo, ma di aver creato qualcosa per me stessa, sentivo di essermi avvicinata, un poco di più, all'essere umano cui aspiravo a diventare.

Per questo motivo, quando uscimmo dallo stadio, un sorrisetto ebete che metteva in mostra i denti luminosi, si era materializzato sulla mia bocca e non voleva scivolare più via. Con i vestiti decorati di limacciose medaglie al valore, che mi ero conquistata in misura direttamente proporzionale all'entusiasmo che avevo manifestato, marciai verso la vettura abbandonata nel parcheggio con aria tronfia. Eravamo inverosimilmente sporchi. Gli scivoloni per raggiungere le mete si erano protratti a ripetizione finché Seb non si è arreso allo sforzo per quieta disperazione.

-Non ti facevo così competitiva- ammise con tono provato, guardando dritto davanti a sé.

-Evidentemente, mi hai ispirata.-

Ci scambiammo uno sguardo complice mentre ognuno di noi prendeva posto davanti alla propria portiera, non più di un secondo.

Aprendo lo sportello della vettura fui colta da un timore reverenziale, davanti a quegli interni immacolati, tentennai con la maniglia stretta tra le dita.

-Sbrigati, Cora, sali in macchina, dobbiamo fare l'ultimo step.- Mi incitò Seb.

-Step?-

-Entra!- sentenziò lui girando le chiavi nel quadrante.

-Domando scusa- sussurrai, sedendomi con accortezza.

-Perché mi chiedi scusa?-

-Non a te, alla macchina.-

-E chiedere scusa alla macchina ti sembra forse più sensato?-

-È la macchina di tuo padre... faccio pratica per quando busserà alla porta del nostro ufficio e domanderà spiegazioni.-

Seb, alla sola idea, scoppiò a ridere.

-Non dirà nulla, non è particolarmente geloso delle sue cose, mio padre.-

La frase lasciava intendere che lui la pensava diversamente ma preferii lasciar cadere l'argomento. Anche io sapevo attaccarmi a degli oggetti, a volte in maniera quasi immotivata, ma a differenza di molte altre persone cercavo sempre di minimizzare questo tipo di legame.

-Cosa stavi dicendo prima?- chiesi mentre mi aggiustavo la cintura di sicurezza.

-A proposito di cosa?-

-Hai parlato di step...-

-Ah, giusto. Andiamo a fare l'ultimo step contro la tristezza.-

-Gli altri due erano...-

-Giocare a baseball e correre.-

-Quindi l'ultimo quale sarebbe?-

-Mangiare, ovviamente.-

-Vuoi andare a mangiare adesso?

-Sì.

-Ma è ancora presto per cenare.-

-E chi ha detto che ceneremo?-

Mi buttai indietro sullo schienale guardando dritto davanti a me con un piccolo sbuffo.

-Non sono in vena di spuntini in questo momento.-

-Ne sei certa? Sappi che stiamo andando a mangiare le cose più buone che potrai mai assaggiare in tutta Milano.-

Mi ritrovai a guardarlo di sottecchi, involontariamente incuriosita e preoccupata.

-Sei fastidiosamente sicuro di te.-

-In effetti sembra che la cosa ti infastidisca, sinceramente anche.-

-È così, infatti.-

-Dovrei porvi rimedio?- chiese con una palese nota sarcastica.

-Certo, perché non ci pensi su.-

Con la coda dell'occhio lo vidi sorridere mentre prestava attenzione alla strada senza mai farsi distrarre dai nostri discorsi. Perlomeno era un guidatore coscienzioso. Abbassai lo sguardo verso le mie mani le cui unghie avevano conquistato un piccolo strato di terra.

-Non devi pensarci, mi infastidisce solo perché ti invidio.-

Seb si fermò ad un semaforo e si voltò per guardarmi dritto negli occhi.

-Lo so.-

Nel puro blu dei delle sue iridi non c'era traccia di derisione o condiscendenza, solo comprensione. E poi ci fu qualcos'altro, qualcosa di indecifrabile che mi incendiò le guance e annodò la lingua. La sottile intimità creatasi nell'abitacolo saettava tra i nostri corpi in uno sciame di comunicazioni non verbali che sapevano di elettricità. In cuor mio ringraziai la buona sorte per avermi donato una pelle che non si imporpora facilmente al minimo imbarazzo, le mie emozioni erano di per sé già abbastanza esplicite, un ulteriore conferma non avrebbe fatto altro che accostare alla parola pensiero privato ad eufemismo.

Mi schiarii la gola e con più prontezza di quanto avrei mai sperato riattivai il cervello.

-Sai, qualcuno potrebbe notare i nostri ornamenti di terra e sabbia e mostrarci cortesemente l'uscita prima ancora di aprir bocca-, in vero non mi avrebbe scandalizzato essere accompagnata alla porta, ma ritenevo corretto ricordare a Seb che lui non era me.

-Oh, non preoccuparti, ci daremo una sistemata nella toilette della hall.-

-Hall?-

-Sei mai stata allo Chateau Monfort?-

-Chat...-, un ricordo baluginò nel buio, -Stai scherzando, vero?-

L'hotel cinque stelle Chateau Monfort era tanto maestoso fuori quanto l'interno surreale.

-Cielo... sembra di essere ad Hogwarts-, mi ritrovai a sussurrare con il naso per aria.

I soffitti a volta, la pietra serena intagliata a vista e gli enormi candelabri di luce calda, rendevano riduttiva la parola hotel. Quelle cinque lettere si perdevano nei fregi, nei tappeti persiani dai ricami suntuosi e nel legno caldo del mobilio che avvolgeva la stanza in un abbraccio di nodi, venature e profumo di chalet di montagna. Lo Chateau, agli occhi di chiunque, sarebbe potuto sembrare un casa museo aperta al pubblico, tanto appariva preziosa.

Immergendomi in quel paradiso non potei fare a meno dare un'occhiata, un'altra volta ancora, ai nostri vestiti formali palesemente nuovi e accuratamente inzaccherati. Mi ritrovai a compiere quel gesto più volte, solo per il gusto di rialzare lo sguardo e sentire il contrasto che regalava.

Al nostro ingresso un cameriere ci fece un cenno amichevole che dapprima credetti casuale ma che mi fu chiaro quando il receptionist ci venne incontro con un largo sorriso e i palmi delle mani ben aperti.

-Signor Melis, bentornato. Suo padre sta bene?-

-Perfettamente, la ringrazio.-

L'uomo rivestito in prezioso completo blu, che calzava come un guanto, ci offrì immediatamente, e con il dovuto tatto, delle giacche da sostituire alle nostre e asciugamani con cui poterci pulire nelle toilette. Ci propose anche una quantità di oggetti e servizi, per lo più incredibilmente utili o inutili a seconda del punto di vista, che mi azzittirono per lo stupore. Sembrava che all'interno dell'hotel stesso vi fosse tutto un piccolo mondo in cui bastava schioccare le dita per far apparire un parrucchiere o un'estetista pronti a realizzare ogni desiderio.

In vero Seb lo fermò a metà del suo lavoro e, affabilmente, gli domandò se il suo solito tavolo era disponibile. Non contento chiese anche la disponibilità di un certo cameriere Vattelapesca da cui desiderava prendere le ordinazioni. Avrei tanto voluto far presente al principe William italiano che dal canto mio potevamo prendere da asporto e scappare ma, con il chiaro intento di ignorarmi, Seb non si girò nemmeno quando le gomitate che gli rifilavo iniziarono a farsi pesanti.

Fummo trasportati, quasi cullati, dalle toilette in cui ci sistemammo ad una sala da pranzo all'ultimo piano. Mentre cercavo di catturare con lo sguardo ogni più piccolo delizioso dettaglio della sala, il maitre ci accompagnò al nostro tavolo. Era, chiaramente, sito nell'angolo più remoto, in un incastro decorato con piante tropicali che davano quasi l'illusione di un separé. Sembrava il luogo perfetto per spiare qualcuno senza essere spiati. Osservai per un secondo il mio accompagnatore e poi il nostro rifugio.

Il maitre, dopo averci accompagnato, tornò immediatamente e ci riempì i bicchieri di acqua prima di sparire nuovamente nella sua postazione.

-Non è molto carino- dissi, non appena non fummo più a portata di orecchi.

-A cosa ti riferisci?-

-Oh, andiamo... Prendiamo in prestito dei vestiti, chiediamo il tavolo migliore e ora vuoi che venga un certo Ralf...-

-Rodolfo-, puntualizzò, come se quello fosse il punto focale del discorso.

-Rodolfo, certo, a servirci.-

-Mio padre è socio del Rotaract che si riunisce qui la domenica, è normale che si comportino così con me. Se all'improvviso non accettassi il loro servizio di benvenuto lo riterrebbero offensivo o penserebbero di avermi indispettito. O peggio, di aver indispettito mio padre.-

-Che diamine, tuo padre possiede forse mezza Milano?-

-No, è amico di mezza Milano-, Seb si portò il bicchiere alle labbra con tutta calma prima di continuare. -Mio padre è una persona integerrima, umile e anche carismatica, non ha mai sfruttato i suoi soldi per arrivare alle persone, chiunque esse siano, ma solo le capacità innate che derivano dal suo carattere. La verità è che tutti lo adorano, è paziente, leale e sensibile, sai che persino i bambini lo adorano?-

Non ero stata abbastanza in contatto con Marco Melis per esprimermi, ma il suo discorso sembrava verosimile alla figura che scorgevo dal mio piccolo ufficio e con cui di fatto interagivo poco.

-In effetti... tuo padre da proprio questa impressione.-

-È così, il suo buon carattere, collimando con i soldi ereditati da mio nonno, ha prodotto le fortune di cui godiamo oggi.-

-Devi sentirti molto fortunato.-

-Sì e no, ritengo una maledizione non aver ereditato la sua estroversione ed empatia.-

-Non penso che tu sia timido.-

-No, ma sono troppo riservato per entrare davvero in contatto con le persone e far sì che loro si fidino ciecamente di me. Le doti comunicative possono rivelarsi molto utili negli affari.-

-Accidenti, e io che mi vanto sempre di saper parlare con gli animali.-

Seb ridacchiò appena con il bicchiere appoggiato alle labbra.

-Non è colpa mia. I discorsi prosaici mi fanno sempre questo effetto.-

-Ok, ok, la smetto- disse alzando le mani in segno di resa.

Non mi sarei mai sentita a mio agio nel silenzio reciproco, almeno non oggi, per cui, guardandomi attorno chiesi: -Quindi cosa mangeremo?-

-Dolci.-

-Diamine, e abbiamo finito per scomodare tante persone per una torta?-

Seb inclinò la testa e mi guardò benevolo. Aveva un'aria rilassata e, francamente, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Era come osservare un animale esotico. Una pantera nera immersa nel suo habitat con gli occhi ambrati rivolti verso di te, così raffinata e intrigante pur nel suo essere animalesca e pericolosa. Decisamente pericolosa.

-Queste non sono semplici torte. Qui non esistono carte o menù. Il cameriere viene al tavolo ordina i tuoi gusti e il pasticcere, in base a ciò di cui dispone, si giostrerà su quelli.-

-Vuoi dire che mi porteranno un dolce basandosi solo sui miei gusti personali?-

-Esatto. Loro ti presenteranno piccoli assaggi di diversi dolci e insieme, questi, diventano il tuo dessert.-

-Sai davvero giocare bene le tue carte.-

-Non ti penti più di essere venuta qui-

-Vedremo.-

-Vedremo?-

-Dopo il dessert.-

Seb spostò millimetricamente la posata in argento davanti a sé e senza alzare lo sguardo disse: -Sai, te la cavi piuttosto bene con le pratiche dello studio.-

-E tu sembri molto sorpreso mentre lo dici.-

L'espressione stessa di Seb era un'ammissione alle mie parole ma preferì non approfondire. Anzi, cambiò posizione come per aggiustare il tiro delle sue parole.

-Lo dico solo perché sei una matricola universitaria. Il fatto è che per quanto io ci pensi, non capisco come sia possibile che mio padre abbia accettato di assumerti come tirocinante. Tutti gli altri candidati sono sempre stati laureati e neolaureati con o senza esperienza. Per questo motivo mi domandavo come mai...-

-Perché non lo chiedi direttamente a tuo padre?- dissi, nel tentativo di cambiare discorso.

-Ecco... è parecchio elusivo sull'argomento. Stranamente elusivo, anzi.-

Strinsi le spalle stropicciando appena il tovagliolo di stoffa elegantemente ripiegato.

-Probabilmente lo ha fatto per fare un favore ad un vecchio amico. I nostri genitori hanno frequentato le stesse scuole.-

-Sì, lo so, ma non credo che sia questo il motivo. Non l'ho mai visto fare favoritismi di questo genere in tutta la mia vita.

-Allora sarò speciale io.-

-Già...- ammise pensieroso e per nulla convinto -Cora, come mai hai deciso di diventare avvocato? Hai una predilezione per... la giustizia?-

Eravamo sul precipizio di un interrogatorio. Era tanto palpabile che cominciavo a credere che il dolce non fosse altro che un blando tentativo di corruzione.

-Non proprio-, asserii guardandomi intorno senza davvero osservare nulla. -Questo è semplicemente quello che voglio fare, e lo farò.-

Con la coda dell'occhio notai un figura muoversi verso di noi con passo deciso, appena mi voltai mi trovai davanti un giovane ragazzo che non doveva avere più di venticinque anni. Aveva la tipica carnagione del mediterraneo del sud e per contrasto, i suoi denti brillavano come diamanti.

-Sebastiano, bentornato in Italia!-

-Grazie, Rod, sembri davvero in forma, sai?-

-Si vede?- Il ragazzo sfoggiò orgoglioso il suo profilo davanti a noi prima di aggiungere: -Ho aumentato i pesi del bilanciere nell'ultimo anno, tornerai ad iscriverti da noi, vero?-

-Sì, lo farò appena avrò sistemato un po' di cose. Traslocare è una seccatura.-

-Me lo immagino.- A quel punto Rod si voltò completamente verso di me e senza smettere di sorridere disse: -Buonasera, signorina, mi chiamo Rodolfo e stasera avrò l'onore di essere il suo cameriere.-

Se qualcuno mi avesse pungolato con un bastoncino mi sarei accasciata al suolo tramortita dall'imbarazzo. Questo ambiente era decisamente troppo formale per me.

-Ah, eh... io...-

-Sebastiano le ha già spiegato come funziona il nostro servizio?-

Per ovviare il problema della mia lingua arrotolata annuii con rapido un cenno della testa.

-Perfetto, allora mi permetta di domandarle i suoi gusti.-

Forse ero io, anzi, sicuramente ero io, ma la conversazione che si stava sviluppando, e dunque la scena stessa, sembrava quasi aver preso una piega pornografica. A volte cibo e modi di fare affabili hanno il potere di sfociare in un tripudio di doppi sensi non troppo distanti dall'erotismo un po' retrò. "Preferisce che il cioccolato le si sciolga in bocca o che sia solido e da addentare?" "La crema dovrebbe essere cosparsa su tutto il brownie o accostata a parte?" "Preferisce i sapori freschi e vigorosi come la menta o più caldi e avvolgenti come la cannella?"

Inutile dire che Sebastiano sembrava divertirsi come un matto mentre mi guardava annaspare come un naufrago in un mare di possibili figure di merda.

-Perché a te non ha chiesto niente?- domandai al mio accompagnatore appena Rodolfo si dileguò con le nostre "ordinazioni".

-Mi conosce anche troppo bene, Cora. Non ha bisogno di farmi certe domande. Ma lo devo ammettere, è stato dannatamente divertente.-

-Da quando ti conosco direi che ti diverti un po' troppo alle mie spalle.-

-Non esagerare.-

-Già, come no, anche solo per tutta la faccenda con Alan mi giudicherai una sciocca.-

-Sì, sei una sciocca.- disse, accompagnando le parole ad eloquente cenno del capo, -ma sei sicura di voler accettare consigli di chi non ha mai avuto una ragazza?-

Involontariamente mi ritrovai a ridere della situazione.

-Diamine, sai persino fare dell'autoironia. Non me lo aspettavo.-

Approfittai dell'attimo di silenzio che si era creato tra noi per domandargli qualcosa che mi frullava nella testa da tutto il pomeriggio.

-Come ti è venuta l'idea degli step come rimedio contro la tristezza? Lo hai letto su internet? Nell'oroscopo? Su Facebook?-

Seb sorrise e abbassò lo sguardo.

-Niente di tutto questo. In verità l'idea del baseball, di correre, sfogarsi e dei dolci non è mia, ma di Emma. Era lei quella che faceva tutte queste cose per me. Quando mi incupivo e qualcosa non andava prendeva le chiavi della macchina e mi trascinava fuori di casa. Lei diceva sempre che la tristezza non è mai il vero problema, ma la noia. Che nulla ti uccide più di quanto lo faccia annoiarsi e che finché la tristezza è fine a se stessa allora significa che va tutto bene.- Abbassò un attimo lo sguardo prima di continuare, -Sai, all'inizio, quando ero a New York, sembrava tutto diverso e sentivo che fosse strano vivere in una realtà così diversa. In realtà mi abituai presto a viverci. Più me ne stavo all'estero e più mi rendevo conto che ciò che era strano non era dipeso dalla città in cui vivevo, lo era perché non potevo vedere Emma.-

Ero sinceramente senza parole. L'ombra di Emma sembrava quasi perseguitarmi, in un certo senso, ma più Seb me ne parlava, e più desideravo conoscerla.

Rodolfo tornò al nostro tavolo con in mano un voluminoso vassoio argentato. Ci servì piatti tra loro coordinati ma opposti, i miei erano tutti sulla base del cioccolato mentre quelli di Seb sembravano opere d'arte in millefoglie.

Nella mia porcellana di Limoges vi erano tre dolci simili a sfere, due di queste erano splendidamente decorate con granella di pistacchio e mandorle mentre in una vi erano perfino minuscoli fiorellini blu che Rodolfo aveva confermato essere commestibili, l'ultima era scura, inverosimilmente perfetta ed emanava una leggera condensa.

-Deve essere mangiato caldo, inizia da quello- mi istruì Seb mentre con la sua forchetta raccoglieva una piccola fragola che stava sul bordo del suo piatto.

Scelsi il cucchiaino tra le piccole tre posate che mi erano state offerte e con esso affondai il nucleo di cioccolato. Il primo strato di cioccolato era sottile e croccante, sotto, invece, vi rivelava un pan di spagna al cioccolato. Appena tirai fuori quella minuscola porzione di crosta, uno zampillio di cioccolato lucido uscì come lava da quella piccola breccia, emettendo dolci vapori che odoravano di spezie. Avrei potuto passare tutto il pomeriggio alla ricerca di un difetto di quel meraviglioso dolce, ma non lo avrei trovato.

-È delizioso- ammisi, raccogliendo il cioccolato fumante che fuoriusciva.

La crosta di cioccolato fondente, unita al cuore caldo del cioccolato al latte, mi fece tornare in mente una parola a cui non pensavo ormai da un po' di tempo.

Tsundere.

La parola, utilizzata solo in Giappone, sta ad indicare una persona arrogante, apparentemente spinosa e fredda, che poi si rivela essere di animo dolce e premuroso solo con chi ha il coraggio di rompere la sua dura scorza.

In vita mia non avevo mai conosciuto uno Tsundere. Dopotutto, doveva esserci un motivo se quella parola esisteva solo in Giappone. Eppure, ora, alzando gli occhi, mi ritrovai a pensare di aver trovato la rappresentazione del mio dessert in forma umana.

-Dovrebbe sempre essere tutto come questo tortino al cuore caldo-, dissi, preda di una tempesta da cui non riuscivo a sottrarmi.

I miei occhi erano asciutti ma avevo voglia di piangere, avevo voglia di lasciarmi andare e anche di fermare il tempo. Quel dolce delizioso non lo avrei mai più dimenticato, perché aveva il sapore della fatalità.

-Cora?-

Avevo bisogno di pensare.

-Sembri quasi in tranche.-

Avevo bisogno di schiarirmi le idee.

-Dovrei chiamare il 118?-

Qualcosa, decisamente, non andava.

-Cora?-

-Ah, taci, per favore. Sto solo pensando! Tieni, assaggia questo e lasciami un attimo con i miei pensieri-, dissi, allungandomi verso di lui e infilando nella sua bocca il cucchiaino pieno di torta che avevo appena riempito.

Seb rise del mio gesto ma non più di un secondo, giusto il tempo mandar giù il piccolo boccone che gli avevo imposto.

-Cora?- domandò rabbuiandosi.

-Sì?-

-C'erano le arachidi in quella torta?


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SPAZIO AUTRICE

Nell'ultimo capitolo non l'ho scritto ma sia il campo da baseball che l'hotel esistono veramente! (a Milano intendo).

In entrambi i casi ho romanzato un po' le situazioni (il campo da baseball non è messo così male, anzi, ci gioca la squadra nazionale, mentre l'hotel è sicuramente favoloso... ma ho decisamente calcato la mano).

Spero che il capitolo vi abbia divertito e nel frattempo preparatevi, nel prossimo ritroveremo la "pazzia" di Cora :D

BACI.SARANGHEO.SWAG

Sofia

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