Cora 2 - Il vaso di Pandora

-Ok, lo ammetto, non credevo che sarei arrivata a questo punto. Voglio dire, quante possibilità c'erano che mi rapinassero e che la mia caviglia si gonfiasse come una guancia di Buddha? Sono senza un soldo, lontano da casa, in un ospedale... e lui, prende il treno. C'è da non crederci. Sembra quasi una barzelletta. "Chiama i tuoi genitori" ha detto. Ma siamo pazzi? Non voglio mica morire così giovane. Ho ragione o no signore? Signore?-

Il nonnino che mi stava accanto e che teneva gli occhi leggermente socchiusi, mi fece un cenno un po' sbilenco.

-Esatto, esatto! Signore, scommetto che ai suoi tempi nessuno era così meschino con il prossimo, per di più, non siamo nemmeno estranei! Come può avermi davvero scaricata qui, senza lasciarmi nemmeno un soldo in mano? Credeva forse che non glieli avrei restituiti? Non sono mica una ladra! Ah, nonnino.. non so cosa fare. Se chiamo mia madre, per uscire di nuovo da casa, dovrò inginocchiarmi e toccare il pavimento con la fronte. Posso chiamarla nonnino, vero? Non si offende, vero? Ah, ma perché dovrebbe offendersi poi? I nonnini sono così carini-.

Me ne stavo lì, seduta, a contemplare quanto fosse ingiusta la mia situazione, e intanto il mio povero culo si appiattiva contro la sedia di plastica.

"Maledetta caviglia. Come ho fatto a infilarmi in un guaio simile? Se chiamo a casa sono morta ma se non lo faccio..."

Purtroppo l'altra opzione che avevo era rappresentata da mio fratello. Però contattarlo significava subire una terribile lavata di capo e soprattutto, doverlo disturbare dal suo lavoro.

Da quando si era trasferito a Bologna lo avevo incontrato sì e no un paio di volte e solo per brevi momenti. Certo, ero felicissima per lui, stava realizzando il sogno di una vita... o almeno, della sua.

Qualcuno (tipo me) definirebbe un incubo passare tutto il giorno davanti al microscopio ad osservare una poltiglia verdastra. Ma poi, cosa potevo capirne io? In biologia raschiavo la sufficienza.

Sinceramente, una parte di me voleva chiamarlo anche solo per poterlo rivedere.

Scossi la testa, "no, no, devo trovare un'altra soluzione."

-Oh, Nonnino, cosa devo fare? Nonnino? Diamine, come ha fatto a sparire tanto velocemente?-

Leggermente avvilita, ripresi a tormentare le pellicine attorno all'unghia. Nei miei ricordi Alan era solare, spiritoso, costantemente circondato da una marea di amici e sempre gentile. Evidentemente quest'ultimo pregio gli era stato portato via. O forse lo aveva venduto insieme allo skateboard da cui non si separava mai. Difficile dirlo. Fisicamente invece era sempre lo stesso. Certo, si era alzato, aveva messo su un sacco di muscoli e il suo viso era notevolmente più adulto.. però l'avevo riconosciuto subito. Mi era bastato un attimo. Probabilmente, lo avrei riconosciuto anche in mezzo ad una folla.

Era sempre stato bello e affascinante, il classico tipo che per la strada ti fa voltare la testa come un ebete, quasi senza rendertene conto.

Era il più bello della classe, il più bravo negli sport, intelligente nello studio. Insomma quello che chiunque definirebbe un vincente. Non c'era una sola ragazzina che non sognasse di ricevere un primo bacio da lui e io non facevo eccezioni. Cosa che ovviamente non era mai accaduta.

Ripensare a tutto questo mi fece fremere di rabbia. Dovevo essere impazzita. "Accidenti a me e ai cliché sulle prime cotte. Se i miei gusti in fatto di uomini non miglioreranno prenderò una turma di gatti, li ficcherò in un appartamento, e vivrò la mia vita felicemente, tra i peli felini e il lavoro."

Sospirai per la milionesima volta e quasi senza pensarci, tirai fuori dal sacchetto blu la gamba fasciata. Guardare la mia caviglia gonfia era un buon modo per tornare alla realtà. Mio dio, se aveva un brutto aspetto.

Quando realizzai che non sarei nemmeno stata in grado di pagare il ticket ospedaliero affondai le mani tra i capelli e li scossi.

"Appena torno a casa mi faccio togliere il malocchio".

Con l'andatura di uno stambecco zoppo mi avviai verso il reparto di radiologia. Il ragazzo che mi aveva fatto le lastre era stato molto cordiale. Ero certa che mi avrebbe prestato il cellulare per fare una telefonata.

"Alla fine dovrò chiamare davvero mio fratello..."

Il radiologo mi venne incontro sfoggiando un sorriso paterno. Era giovane e a giudicare dalla sua espressione dovevo stargli simpatica. Esaudì la mia richiesta senza esitare.

-Dunque ti sei arresa-, disse allungandomi il telefono.

Ieri sera mi ero sentita talmente tanto sola e disperata che avevo finito con confidarmi e lamentarmi con tutti i dipendenti e i pazienti del pronto soccorso.

-Qui dentro non puoi chiamare, devi andare verso l'atrio, fai pure con calma.-

Lo ringraziai e zampettando, tornai alla mia solita sedia di plastica. Contai fino a dieci per tre volte di fila, poi composi il numero sul display. Le mani mi tremavano visibilmente ma tentai di non dargli alcun peso. Appoggiai il telefono all'orecchio e aspettai. In quel momento, anche deglutire era difficile. Dopo tre squilli ricevetti una risposta.

-Pronto?-

La voce di mio fratello era alta e chiara. Sentire quel timbro familiare mi destabilizzò. Il groppo che avevo in gola si trasformò in un nodo amaro. Alzai la testa, come a cercare l'aria mentre si è sott'acqua e in quel gesto, come per incanto, mi trovai davanti Alan.

Era in piedi, a un paio di metri dalla mia sedia e mi squadrava con un'espressione truce. Nella mano sinistra teneva un paio d'infradito rosa fluorescenti ancora tutte impacchettate. La sua apparizione mi lasciò senza parole.

-Pronto? C'è nessuno?- La voce di mio fratello mi ridestò. Spensi immediatamente la comunicazione e infilai il telefono in tasca.

"Appena in tempo."

-Cosa...-, iniziai a chiedere.

-Ti ho comprato delle infradito. Indossale e andiamo a Cesena. Poi stasera prenderemo il treno per Milano.-

Il suo tono rude non scalfì la mia felicità. Ero quasi commossa dalla sua apparizione. Aveva il fiatone e non sembrava per nulla contento di essere tornato indietro, però era tornato. In fondo Alan era sempre Alan. Snob, narcisista e un po' sciocco ma sempre e comunque gentile. Ok, forse la sua gentilezza era diminuita di diverse tacche nel corso del tempo... però, grazie a lui, sarei potuta tornare a casa.

-Allora? Avanti, prendile e usciamo da qui-, apostrofò porgendomi le ciabatte con una smania innaturale.

-Grazie ma...-, esitai indecisa su come procedere, -ecco... io ho un piede completamente fasciato quindi magari le infradito non...-

Nel sentire quelle parole si bloccò come una statua di gesso. Rimase immobile per qualche secondo poi, farfugliò qualcosa d'incomprensibile, allungò la mano e con suggestivo slancio buttò le scarpe nel bidone che gli era accanto.

-Devo essere impazzito-, mormorò a se stesso.

-Ma... la ciabatta sinistra magari...- dissi piano.

-Non dire sciocchezze, comprerò delle scarpe che tu possa indossare anche con la fasciatura. Non penserai mica di andare in giro con un sacchetto di plastica vero?-

-Quindi mi presterai i soldi?- chiesi alzandomi dalla sedia.

-Sì, devi comprare qualcosa?-

Annuii con la testa e indicai un signore in stampelle che stava passando vicino a noi.

-Mi servono un paio di quelle, devo restituire una cosa a un dottore e pagare il ticket ospedaliero.-

-D'accordo. Io vado a pagare il ticket, tu invece vai a prendere le stampelle e a restituire quello che devi.-

Un attimo prima di congedarmi mi afferrò il braccio.

-Aspetta, ma hai fatto la denuncia dei documenti dalla polizia?-

Era palesemente preoccupato di doversi occupare di una seccatura in più.

-Si, l'ho fatta ieri sera-, lo rassicurai.

-Ah, bene. Allora vai pure, ci vediamo dopo.-

Mi lasciò più soldi del necessario e si dileguò. Comprai le stampelle e una bibita gasata. Avevo assolutamente bisogno di assimilare zuccheri. Le stampelle erano scomode da utilizzare ma almeno non dovevo zoppicare. Con quelle raggiunsi il gentile radiologo.

Quando ci rincontrammo Alan aveva già pagato il ticket e stavamo per lasciare l'ospedale.

-Adesso andremo a Cesena ma se tutto filerà liscio non ci metterò molto e..-, stava per aggiungere altro ma la mia espressione improvvisamente preoccupata lo fermò. Ad un paio di metri dall'uscita, incrociammo il dottore che mi aveva fasciato la caviglia. Cercai di nascondermi dietro la figura di Alan ma fu un tentativo inutile.

-Signorina, ma lei dove sta andando?- domandò il dottore con aria di rimprovero.

-Ecco... veramente... -,ora ero davvero nei guai.

-Deve ancora finire di fare i controlli e non dovrebbe nemmeno muoversi. Torni subito dentro.- Il vecchio dottore sapeva che non volevo mettermi in contatto con i miei genitori e mi aveva preso di mira controllando le mie mosse già dalla sera prima.

-Devi fare altri controlli? Perché non me lo hai detto?- scattò Alan con voce scioccata.

-No, no, posso farli a Milano. Non devi per forza accompagnarmi. Dammi i soldi per il biglietto e fammi tornare a casa.- Lui però non mi diede ascolto. Si girò verso il dottore e domandò:

-Dove dobbiamo andare per fare i controlli?-

-Vi accompagnerò io, seguitemi pure-, disse il medico sorridendo tutto soddisfatto al mio accompagnatore. Forse il dottore credeva che lui mi fosse amico o addirittura parente, ma io conoscevo la verità. Probabilmente si sarebbe dato alla fuga alla prima occasione.

"Perché dovevamo incrociarlo proprio ora?"

Sottovoce tentai di nuovo di persuadere Alan ad andarcene.

-No, dico davvero, posso farli quando sarò tornata a casa...-

-Smettila. Non dire sciocchezze. Oggi facciamo i controlli, a Cesena possiamo sempre andare domani. Un giorno in più o uno in meno non cambierà le cose.-

"Oddio, e se mi scarica qui mentre faccio gli esami?"

Rientrati al pronto soccorso mi misero su una sedia a rotelle e mi trascinarono in un reparto dalle pareti verde tristezza per farmi una nuova ecografia alla caviglia. "E questo dovrebbe essere un colore rilassante?" Mi ricordava quello dei piselli bolliti. Forse li avevano schiacciati e vi avevano stuccato tutte le pareti. Originale.

La dottoressa che stava nella saletta era una bella donna di mezza età. Preparò tutto diligentemente e quando fummo pronti, il dottore malefico si congedò insieme al mio accompagnatore. Un secondo prima che Alan uscisse dalla stanza, lo bloccai tirandogli la maglietta.

-Alan, no-non puoi andartene. Hai capito? Il karma ti punirà se lo farai, ne sono certa!-

-Cosa?-

-Se mi lasci qui mentre mi fanno gli esami ti maledirò!- sibilai per non farmi sentire da tutti. Alan mi guardò nel silenzio assoluto per un secondo poi la sua espressione si ammorbidì.

-No. Ormai sono sceso dal treno e sono tornato indietro, quindi rimarrò.-

-Davvero?-

-Sì, per cui non maledirmi per favore. Ho decisamente bisogno di fortuna in questi giorni.-

Abbassai la testa e ringraziai debolmente.

-Non fare quella faccia, va bene così. Sono stato io ad aprire il vaso di Pandora, me ne assumerò la responsabilità.-

Detto questo, uscì dalla stanza e io iniziai l'esame.

"Vaso di pandora? E cosa sarebbe? Devo ricordarmi di cercarlo su internet".

La dottoressa m'incitò a rilassarmi per cui incrociai le braccia e respirai piano. Chiusi gli occhi, e come per gioco, confrontai Alan nella sua versione adulta con quello dei miei ricordi.

I capelli biondo scuro erano piuttosto corti, spettinati. Gli davano un'aria infatile del tutto diversa dal volto. Infatti, Il suo principale cambiamento era rappresentato dal suo profilo. Gli zigomi alti, la mascella squadrata... insomma, era diventato una versione perfetta della sua figura di bambino. Però, ciò che più in assoluto mi piaceva di Alan, e che era rimasto immutato, erano i suoi occhi. Occhi dal taglio dolce, lineare. Con un colore dell'iride unico, il colore del grano bagnato alla pioggia. Caldo, e infinitamente intenso. In quasi dieci anni, non avevo mai più rivisto occhi così.

Gli esami risultarono più lunghi e noiosi del previsto ma in compenso le risposte furono tutte positive. Se non avessi sforzato ulteriormente la caviglia, avrebbe smesso di farmi male del tutto nel giro di un paio di settimane.

Usciti dall'ospedale, mi sentii senza peso.

-Forse se ci sbrighiamo, facciamo in tempo a prendere un treno per Cesena. Non è troppo tardi.- dissi dirigendomi verso l'area taxi.

-Lasciamo stare, sono stanco. Andiamo in albergo, ho già prenotato due stanze.-

Alan mi aprì la portiera dell'auto e mi aiutò ad entrare. Nonostante i suoi modi gentili, la sua espressione era sempre seccata. Sembrava che ogni gesto cordiale verso di me gli pesasse dieci chili.

Quello che stava pensando, ce l'aveva scritto sulla fronte: "accidenti a chi me l'ha fatto fare di tornare indietro".

La hall dell'hotel era molto accogliente e luminosa. L'idea di fare una doccia e rifocillarmi mi mandò quasi in estasi. E poi finalmente, pulita e profumata, mi sarei buttata su un letto. Un letto vero! Durante notte trascorsa in ospedale, a causa di tutto il caos che regnava al pronto soccorso, non avevo chiuso occhio. La stanchezza sul mio volto doveva essere evidente, perché persino Alan ne fu preoccupato.

-Hai davvero una pessima cera, io faccio il check-in, tu intanto sali e ordina da mangiare. Prendi pure tutto quello che vuoi e non farti scrupoli, così domani sarai in forze. Ok?-

Non me lo feci ripetere due volte. Mi allungò la chiave della stanza e mi accompagnò fino all'ascensore.

-Più tardi guarderò gli orari dei treni per arrivare a Cesena e ne sceglierò uno. Comunque per ora non mettere sveglie per domani, verrò direttamente io a bussare la mattina.- Appena salii nel piccolo ascensore pieno di specchi ma poco prima che le porte si congiungessero le bloccò con una mano.

-Ah già mi stavo dimenticando queste!- disse passandomi una busta di plastica che teneva nello zaino.

-Sono delle scarpe, un cambio di vestiario e un pigiama. Li ho presi nel negozio dell'ospedale. Forse non sono della tua taglia ma per ora accontentati.-

-Ma quando hai..-, farfugliai prendendo in mano il sacchetto.

-Mentre ti facevano i controlli mi stavo annoiando a morte-, rispose troncando la conversazione con un gesto di noncuranza.

Dopodiché spinse il pulsante del mio piano e attese che le porte tra noi si chiudessero. Un istante prima che il metallo dorato si congiungesse, sul suo volto mi parve quasi di vedere un accenno di sorriso ma scossi subito la testa. Dovevo averlo immaginato.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top