Alan 11 - Sotto lo sguardo attento delle giraffe


"Io e Cora, nella stessa facoltà."

Come un tormentone estivo, che ti sfinisce già a metà luglio, Cora non ne voleva sapere di uscire dalla mia testa. 

L'idea di rivederla in facoltà, anzi, di rivederla ovunque, si era conficcata nella mia mente. Era diventato un appuntamento fisso dei miei pensieri. Come il postino nei giorni pari o le emicranie serali di mia madre.

Cora, un avvocato. Era forse impazzita? La stilista estrosa o la pittrice sregolata forse, ma certo, non un avvocato. D'ora in poi cosa sarebbe successo? Ci saremmo incontrati nei bar del centro? La sera, sui Navigli, ci saremmo ritrovati seduti a qualche tavolo di distanza? No, almeno questo lo escludevo. Io e Cora non frequentavamo gli stessi ambienti.

Mentre vegetavo sul divano del salotto, troppo nuovo per essere comodo, Luca brontolò ancora una volta sottovoce. Aveva un'aria esasperata, non avevo bisogno di voltarmi per capirlo, mi bastava percepire il suo sguardo burbero. 

Da vecchio, pensai, sarà un perfetto vicino rompiscatole. Era arrivato a casa mia da quasi venti minuti, ma più la nostra conversazione languiva, e più lui affilava lo sguardo omicida.

-Terra chiama Alan. Terra chiama Alan-, scherzò simulando la voce di un automa. Mio malgrado, non risposi.

-Cielo Alan, cos'hai? Stai pensando a lei?-

Annuii inconsciamente con la testa, privo di qualsivoglia vitalità.

-Vorrei tanto sapere perché ti sei fissato con quella donna.-

-Vorrei saperlo anch'io-, biascicai, masticando bene le sillabe una per una.

-Questa situazione sta raggiungendo i limiti del grottesco, sembravi migliorato ultimamente.-

Cosa stava dicendo? Le onde sonore parevano rimbalzare via appena prima di arrivare al mio orecchio. La mia bocca parve aprirsi da sola e lo fece solo per lasciare spazio a pensieri ingombranti.

-Non mi ha aspettato nemmeno per cinque minuti. Quando sono uscito dall'ospedale se n'era già andata-, borbottai.

-Cosa stai farfugliando? Sono mesi che insegui quella donna. Smettila per favore. Esci di casa. Vivi e trovati una nuova ragazza!-, ordinò indicando con enfasi la porta che dava all'ingresso.

-Mesi? Ma se l'ho rivista appena una setti...-, mi bloccai. Il mio cervello finalmente collegò le sue parole. Luca stava parlando di Emma.

Con il brio di chi riceve una scossa tremenda, mi alzai di scatto dal divano. Erano giorni che quella pazza irrompeva nella mia mente. Senza invito e senza senso, lei era lì. Occupava talmente tanto spazio che Emma era rannicchiata in un angolo buio. Come un bimbo che ancora convinto di essere nella pancia si ristringe su se stesso.

-Aspetta... stavi parlando di Cora?-

Anche Luca aveva collegato. Era frivolo, non scemo. Incrociai il suo sguardo sbigottito e abbassai subito la testa.

-No, io...-

-No? Mi prendi in giro? Si vede lontano un miglio che ho indovinato.- Tornai a distendermi sul divano e con una mossa da quinta elementare, gli diedi le spalle. Stavo sfruttando la tecnica "facciamo finta di niente".

-Mi stai facendo impazzire, dico sul serio! Non mi hai raccontato quasi nulla di quei due giorni, hai anche ignorato le mie chiamate... è successo qualcosa tra voi?-

-No.- il mio diniego fu secco e repentino. Forse troppo.

-Alan, qualcosa deve essere successo per forza...-

Optando per una mezza verità gli raccontai della scelta di Cora per il suo futuro. Stranamente lui non parve perplesso. Si poneva anzi un altro problema a riguardo.

-Quindi, quando ti ha chiesto quale facoltà volevi frequentare tu le hai mentito.-

Disse fra l'incredulo e il rimprovero. Tra le righe voleva dirmi: amico, quanto sei idiota?

-No. Non le ho mentito. Non direttamente... diciamo che non le ho dato una risposta chiara.-

-Ma perché? È questo che non capisco.-

Era chiaro che non lo capisse. Come poteva afferrare qualcosa che nemmeno io comprendevo? Quello sgomento che mi aveva tormentato mandando in tilt tutte le funzioni vitali del mio corpo senza che me ne accorgessi, senza che potessi contrattaccare in qualche modo. Cora si era stretta alla vita una fune, e correndo con le sue stampelle blu, si era trascinata via tutte le mie certezze. Loro sbattevano, strisciando e rotolando ovunque, mentre lei mulinava senza toccare mai i piedi a terra. Troppo presa dal suo mondo e dai suoi sorrisi, pieni denti brillanti e labbra naturalmente vermiglie.

-Ma perché era troppo assurdo in quel momento! Non capisci? Quel viaggio a Rimini è stato come un treno di coincidenze improbabili e io... Andiamo, lo sai cosa pensano le ragazze in questi casi.-

Luca aprì la bocca e poi la richiuse..

-No-, rispose su due piedi rimanendo in attesa. Leggendo lo sgomento sul mio viso continuò: -No, davvero non lo so. Cosa pensano?-

-Pensano al destino Luca! Al destino! Il destino con la "D" maiuscola e le stelle filanti attorno.-

-Ahhh! Ok, credo di aver capito ciò che intendi. Però, non penso che questo sia il caso di Cora. La Cora dei miei ricordi è priva di malizia o qual si voglia furbizia, se capisci cosa intendo...-

Mi mangiucchiai il labbro inferiore. Luca usava il cervello solo per due cose nella vita: lo studio e il gossip. Accidenti a me.

-Non lo so, ok? Ho dato di matto...-, cercai di spiegarmi elusivo.

-Sai, per come la vedo io-, continuò lui ignorando il mio scherno, -sei un po' troppo sconvolto da questo viaggio. Non è da te. Sul serio non è successo nulla?-, domandò sibillino.

Ero sull'orlo di un precipizio e non avevo la forza di tirarmi indietro.

-Beh, forse qualcosa...-

-Qualcosa? Qualcosa tipo... un bacio?-

-L'intenzione.-

-L'intenzione? Che intenzione?-

-L'intenzione... di un bacio.-

Alle mie parole la mascella di Luca raggiunse il tappeto di damasco che stava ai suoi piedi.

-Che diavolo sarebbe l'intenzione di un bacio?-, il suo tono stridulo mi fece quasi sorridere. Non risposi ma lui continuò per entrambi.

-Ti sei bevuto il cervello? Hai iniziato a frequentare gli spacciatori di via Gorizia? Mi preoccupi. Alan Ferrari che ci prova con Cora d'Alessandro... Anzi, Alan Ferrari che si tormenta per lei! Se ti vedessero i nostri vecchi compagni sarebbero scioccati quanto me.-

Sbuffai stanco delle sue cavolate.

-Non è andata proprio così.-

-Quindi com'è andata?-, il suo tono traboccante curiosità mi bloccò. Non mi andava più di parlarne, specialmente non con lui. Quando capì che non ero dell'umore, finalmente tornò serio.

-Alan non fraintendere. Sono felicissimo che tu ti stia guardando attorno ma lascia perdere Cora, non è il tipo adatto a te. Lo sai anche tu. Secondo me dovresti tornare insieme a Elena o magari farti presentare una delle sue amiche. Sai che l'altro giorno l'ho incontrata per caso in centro mentre faceva shopping? Mio dio, è ancora più stratosferica di prima.-

Elena aveva fatto insieme a noi sia le scuole medie sia le superiori. Al secondo anno di liceo abbiamo iniziato a fare coppia fissa. Ma la nostra relazione burrascosa durò solo un anno. Se fossi stato insieme a lei un giorno in più l'avrei strozzata. Bella ma vanitosa da morire. Intelligente ma perfida fino al midollo. Gentile e generosa ma solo con chi le andava a genio. Tutti i suoi pregi riusciva a tramutarli in difetti. Sembrava lo facesse apposta.

-Piuttosto che tornare con quell'arpia prendo i voti insieme alle suore-, mugugnai indignato dalla sua proposta.

-Ora che ci penso, presto faranno una cena di classe con sole ragazze. Lo sapevi? Chissà se ci andrà anche Cora... secondo me no.-

Mi rigirai nuovamente sul divano improvvisamente interessato alla conversazione.

-Perché di sole ragazze?-, alla mia domanda Luca sorrise del mio tono.

-È una storia lunga. All'inizio doveva essere una semplice rimpatriata comune ma Laura Nardi, non so se te la ricordi... quella che stava con Matteo Fazi. Insomma, Matteo poi si è messo con Giada, la migliore amica di Elena. Quindi Laura e Giada hanno litigato per colpa di Matteo. E dato che è stata Elena a organizzare tutto, intendo la cena, ed è amica di entrambe, ha deciso di non invitare i ragazzi per evitare ulteriori danni. Però, so per certo che Elena era un sacco arrabbiata per questa storia. In realtà con questa cena sperava di rivederti. Almeno questo è quello che mi ha detto Alberto...-

-Ok, basta così-, il suo racconto mi aveva stremato. -Dovrebbero iscriversi all'asilo e non all'università.-

-Comunque secondo me Cora non andrà a quella cena-, riaffermò lui convinto.

-E perché pensi questo?-

-Forse tu non te ne ricorderai, ma Cora non aveva amiche nella nostra classe. Soprattutto non andava d'accordo con Elena e le sue scagnozze. Erano davvero perfide.-

Pensandoci bene, capii che aveva ragione Luca. Nemmeno io sarei andato a quella serata nei panni di Cora.

-Bene, ora vado che ho gli allenamenti. Per colpa tua sono già stanco. Parlare con i cadaveri è terribilmente faticoso lo sai?-

Detto questo Luca raccolse la sua giacca e senza che lo accompagnassi alla porta mi lasciò solo. Ancora spalmato sul divano tornai ai miei pensieri. "Perché mi sono fissato in questo modo?" I ricordi della vacanza appena passata continuavano a riavvolgersi nella mia mente. Ero un disco rotto. "Così non risolverò nulla." Mi alzai e presi la repentina decisione di andare a casa di Cora. Non mi guardai neppure allo specchio prima di uscire. Infilai il cappotto e mi precipitai fuori. Mi conoscevo, se mi fossi fermato un secondo in più avrei cambiato idea. Gli unici momenti in cui riuscivo a fare ciò che desideravo veramente erano dettati dai miei attimi impulsivi. Era terribilmente triste ma vero.

Conoscevo bene la zona in cui Cora abitava, dato che avevo vissuto in quel quartiere per tanti anni. Appena sul viale costellato di tigli, riconobbi l'asilo giallo, parcheggiai l'auto e scesi. La casa di Cora faceva da angolo sulla via. La villetta bianca si ergeva attorno a un piccolo giardino ben curato con il prato all'inglese. A delineare la proprietà vi era un muretto in mattoni rossi alto quasi due metri e due cancellate di ferro battuto che lasciavano trasparire una striscia di cortile interno. Nervoso, passeggiai come il peggiore degli stalker davanti all'ingresso, incapace di fermarmi o di prendere una decisione. Ero quasi deciso a tornarmene sui miei passi quando una signora dall'aria curiosa aprì il cancello di scatto spaventandomi a morte.

Il suo fisico era una versione più vecchia di Cora. Stessi occhi, stessa bocca e stessa corporatura.

-Ciao, cerchi qualcuno?- chiese lei inclinando di lato la testa.

-No, cioè sì. Mi dispiace aver guardato dentro il giardino.-

-Oh, non preoccuparti caro. Io ti fissavo dalla finestra già da un po'.-

-A ecco, meglio così allora...-

"Almeno credo."

-Per caso, Cora è in casa?

La donna mi guardò con espressione divertita.

-Al momento no, ma sta arrivando. Mi ha appena mandato un messaggio dicendomi che sarebbe tornata a casa prima. Vieni pure dentro intanto.- Dopo un veloce scambio di convenevoli accettai l'invito. Appena misi piede nel giardinetto vidi subito qualcosa di interessante. Nell'angolo più esterno del giardino, nascosto sotto un arco di rose, vi era una siepe artistica. Era una grossa giraffa, con enormi e surreali corna decorate.

-Oh, quella!-, esclamò la madre di Cora prima ancora che potessi chiedere spiegazioni, -l'ha richiesta specificatamente mia figlia. Come regalo di compleanno per i suoi undici anni è stata irremovibile. Voleva una giraffa in giardino. Lei le adora. Quando è giù di morale parla con quella siepe...-, spiegò sorridendo. -Cora è un po' bizzarra, ma se sei suo amico sicuramente lo saprai già.- La mia risposta alla sua affermazione fu semplicemente un sorriso sincero.

Quella donna tranquilla e allo stesso tempo energica guardava la giraffa con sincero sentimento nostalgico.

L'interno invece era sorprendentemente normale. Quasi tutti gli spazi comuni erano aperti, collegati da grandi archi di legno bianco. Anche le scalinate che davano al piano di sopra erano esposte e rivolte verso l'ingresso. Con i mobili in legno chiaro e i colori pastello alle pareti, la casa appariva luminosa e accogliente.

La madre di Cora mi condusse di sopra e si fermò davanti a una porta chiusa.

-Non sei mai stato qui?- chiese indicando con un cenno del capo l'entrata bianca.

-No...-

Lei parve soddisfatta della mia risposta.

-Allora ti lascio divertire, intanto vado a preparare del te.- Così dicendo scese le scale e si diresse in cucina.

"Divertire?"

Girai il pomello e feci scattare la serratura. Fu come aprire l'armadio per Narnia. La camera di Cora era più pazzesca di quanto avessi immaginato. Ogni parete era colorata con una tinta diversa. Una gialla, una azzurra, una fuxia e una lillà. Il soffitto invece era color carta da zucchero. Il letto, attaccato alla parete turchese, era enorme e campeggiava in mezzo alla stanza riempiendola quasi completamente. La testata era ornata di nuvole lattee e circondata da lucine gialle, come quelle degli alberi di Natale. Nelle altre pareti c'erano i soliti oggetti che si possono trovare in una camera da letto, ma erano tutti personalizzati. Mi spostai verso la parete sinistra e osservai la scrivania. C'era un disegno arzigogolato che ricordava un murales. "Come farà a studiare su una cosa simile?" Sul lato sinistro, nell'angolo opposto rispetto al letto, vi erano due poltroncine rivestite in patchwork. Tra loro campeggiava un piccolo tavolino rotondo dall'aspetto antico. Infine, non vi era un vero armadio. La stanza stessa era una specie di cabina armadio. I vestiti erano disposti su delle aste in ferro battuto e le scarpe stavano dentro a cubi di vetro colorati che erano qua e la attaccati alla parte senza una vera disposizione logica. Anche i libri non avevano una loro collocazione ma si ammucchiavano in pile scomposte negli angoli della stanza.

Più mi guardavo attorno e più mi veniva il mal di testa. Era molto peggio di quanto l'avessi immaginata. Dovunque guardassi incrociavo stranezze di ogni sorta. Poi, ad un certo punto, rigirandomi trovai una costante. Non era ovvia, sembrava quasi nascosta, ma allo stesso tempo era impossibile non notarla. Sparse per tutta la camera, sulle mensole, appese, raffigurate in quadri, sopra la scrivania e foderate sul letto, vi erano una moltitudine incalcolabile di giraffe. Peluche, statue, stampe, figure stilizzate. Erano ovunque. Mi circondavano, mi controllavano, erano totem rappresentativi. Perché proprio le giraffe? mi chiesi. Tra tutti gli animali. Perché loro?

Sulle note di quella domanda la porta si aprì. La madre di Cora reggeva un vassoio scuro con due tazzine fumanti.

-Allora Alan, è di tuo gusto la stanza?-

Sgranai gli occhi.

-Mi aveva riconosciuto?-

-Beh, certo sei diventato grande, ma il tuo aspetto è rimasto quasi immutato. Inoltre, somigli troppo a tua madre. Ti ho riconosciuto immediatamente-, disse disponendo le tazzine sul tavolino in mezzo alle due poltrone.

-Lei conosce mia madre?-

-Io, lei, tuo padre, tuo zio Marco e mio marito eravamo nello stesso liceo. Non lo sapevi? Io e tua madre eravamo nella stessa classe, mentre invece Marco, tuo padre e mio marito, che hanno tre anni in più, in un'altra.-

Ero completamente esterrefatto.

-Pazzesco...-

Lei assunse nuovamente un'espressione nostalgica. -Già, è passato tanto tempo.-

Raccolsi la tazzina di porcellana fine, il colore intenso dell'infuso e il suo profumo mi ricordarono qualcosa.

-È te verde alla menta?-

-Esatto! Oh, forse non ti piace? Non ti ho nemmeno chiesto cosa desiderassi.-

-No, no, va benissimo.-

In quella sentimmo il cancello di casa sbattere un paio di volte.

-Dev'essere Cora, vado all'ingresso ad accoglierla-, disse dileguandosi. Solo allora mi accorsi che, probabilmente, l'altra tazzina non era per lei ma per sua figlia.

Cora varcò la soglia della stanza e per poco non inciampò sui suoi stessi passi. Sembrava non volesse crederci. Come non capirla? Nemmeno io comprendevo bene il motivo della mia presenza nella sua camera.

-Cosa ci fai qui?-

Nella mia mente cominciarono a fioccare tutta una serie di risposte imbarazzanti, come: "mi mancavano le tue stramberie" oppure, "non ho smesso un attimo di pensarti."

"Restituiscimi la mia quiete quotidiana donna pazza che non sei altro! La tua caviglia sta bene ora?"

Il bipolarismo mi stava uccidendo.

-Oh certo, scusami-, disse lei battendo le mani, -ti devo restituire i soldi!-

Alla sua affermazione colsi la palla al balzo.

-Sì, si esatto-, annuii energicamente infilando le mani in tasca. Avevo il timore di usarle. Usarle per fare qualcosa di cui mi sarei certamente pentito. Cora non si prese nemmeno la briga di sfilarsi il cappotto nero. Superandomi, si diresse verso la scrivania posizionata alle mie spalle.

-Guardo quanti soldi ho nel salvadanaio.- Prima che potesse sfuggirmi, la bloccai afferrandole un braccio.

-Aspetta, puoi farlo dopo. Il te si sta raffreddando.- Cora notò le tazzine fumanti davanti alle poltrone in patchwork. Squadrò per qualche secondo le tazzine, come se fossero colpevoli di un efferato crimine, poi si voltò verso di me. Da quando era entrata, aveva accuratamente schivato i miei occhi e anche ora, mi accorsi che il suo sguardo era puntato altrove. Voleva liberarsi di me quanto prima. Era evidente.

-D'accordo-, rispose secca come l'aria del deserto. Ci sedemmo sulle poltrone e lei afferrò subito la tazza rivolta nella sua direzione. Il te era ancora troppo caldo ma lei se lo portò comunque alla bocca. Dopo un primo sorso strinse le labbra, che probabilmente le bruciavano, e con ridicolo vigore prese a soffiare sulla bevanda. Il suo atteggiamento mi innervosì terribilmente.

-Sembra che tu abbia fretta-, il mio tono era talmente amaro che nemmeno tutta la zuccheriera sul tavolino avrebbe potuto porvi rimedio. Fingere disinteresse era faticoso.

-No, è che... non voglio trattenerti. Avrai da fare.-

-In realtà sono liberissimo-, ribattei veloce. Lei fece un sorriso tirato, falso come le mie scuse, e non disse più nulla. Riuscì a trangugiare il suo te in tempi record. Con uno scatto felino, si drizzò e andò verso un salvadanaio.

-Solo un secondo, controllo quanti soldi ho in casa-, disse svitando il tappo nero sotto la pancia della giraffa di porcellana.

A quel punto non resistetti più. Mi alzai dalla sedia e senza preoccuparmi di strattonarla le afferrai il polso. Avevo bisogno di chiarire. Non sapevo nemmeno io di cosa, però avevo bisogno di discutere con lei. Di percepire i suoi pensieri. Di ascoltarla nel suo flusso indistinto di scemenze. Ne avevo bisogno.

-Potresti smetterla? Non puoi parlare con me nemmeno per cinque minuti?- Lei esaminò la mia presa, poi spostò lo gli occhi oltre la mia spalla.

-Cora?-

-Non abbiamo niente da dirci.-

Il suo tono era diventato strano. Era come se la sua voce provenisse da un pozzo profondo e non dalle sue grandi labbra rosse. La sua risposta bruciava come pelle nuda sui carboni ardenti. Dopotutto, anche se non mi piaceva, era la verità. Non avevamo proprio niente da dirci. Già quando eravamo a Rimini mi aveva avvertito che mi avrebbe pagato alla fine del mese. La mia era una scusa. Una palese idiozia.

Aprii piano le dita della mano destra restituendole il braccio sottile. Appena fu libera tornò a contare i soldi. Con le mani raccolse una manciata di monete e banconote e me le passò.

-Scusami, sono solo una parte. A breve ti restituirò il resto sul conto. Non dovrei metterci più di una settimana.- Guardai la manciata di soldi che tenevo tra le mani. Avevo una gran voglia di scagliarli sul pavimento ma mi trattenni e invece, li buttai nelle tasche.

-Ho cambiato il numero di conto e non ricordo quello nuovo-, mentii apertamente, -quindi, per ora, lasciami il tuo numero di telefono.-

-Beh, se hai il portafogli con te..-

-Ho anche dimenticato il portafogli a casa.- La mia sfacciataggine iniziò ad irritarla. Ero terribilmente contento di averla scossa. Volevo che si arrabbiasse. Volevo sentirla urlare. Perché non mi chiedeva niente? Perché non era curiosa?

Non disse nulla ma mi guardò. Finalmente le iridi calde color noce incrociarono le mie. Era un progresso, giusto?

-Lasciami il tuo numero di telefono-, le proposi nuovamente. -Così potremo decidere quando rivederci per restituirmi il resto dei soldi.- Lei incrociò le braccia e abbassò la testa adirata dalla mia disinvoltura. Passò qualche secondo a ragionarci. Forse per sfuggire alla situazione. Quando stabilii che ci stava pensando troppo giocai l'ultima carta.-

-Beh, potrei sempre tornare qui ogni giorno e farmi pagare in tazzine da te...-

-346..-, la sua riposta fu fulminea.

-Aspetta, aspetta, prendo il telefono e me lo segno.- Dopo aver digitato il numero controllai che fosse effettivamente corretto e le feci subito uno squillo. Quando dalla tasca, tirò fuori una sottospecie di mattone nero, non riuscii a trattenermi.

-Quel coso si è mangiato il tuo cellulare?- Lei sbuffò peggio di una vecchia locomotiva. Forse aveva sentito questa frecciatina troppe volte.

-Sono distratta quindi perdo spesso il cellulare. Ergo: non ne compro di costosi.-

-Ma dai, guarda qua, ne devi sovrapporre tre del mio modello per raggiungere lo spessore del tuo.-

-Si, lo so. Questo mondo sta diventando piatto quanto i suoi cellulari e i suoi abitanti. Vuoi sovrapporre anche loro?-, commentò lanciandomi uno sguardo significativo.

-Cosa vorresti dire?-

-Perché non ti guardi allo specchio?- Il fatto che fosse proprio Cora a pronunciare quella domanda retorica mi fece ridere. Ma non dissi nulla, appoggiai le mani sui fianchi e la guardai incuriosito.

Lei indicandomi continuò: -tutto quello che stai indossando non è altro che una somma della moda del momento. Sembri un manichino scappato dai negozi di via Monte Napoleone.-

La sua aria di superiorità riuscì a innervosirmi.

-Quindi saresti migliore di me perché non segui le mode.-

-Sono migliore di te perché scelgo le cose con la mia testa e non con quelle degli altri.-

Dalla bocca mi uscì un riso perfido. -Certo. Sempre meglio che andare in giro come uno spaventapasseri e dormire in una stanza degli orrori.- Appena pronunciai quelle parole me ne pentii. In parte perché non le pensavo e in parte perché vedere l'espressione ferita sul suo volto fu come ricevere un pugno allo stomaco. Mi sentii sporco come non lo ero mai stato.

-Esci-, sibilò tenendo i denti stretti e guardando il pavimento. Tentennai qualche secondo, pensando a come rimediare ma lei non me ne diede il tempo.

-Ho detto esci!-, il suo tono non ammetteva repliche. Dovevo prendere la porta, dovevo voltarmi e uscire da quella maledetta stanza, ma non lo feci.

Mi avvicinai a lei, pericolosamente, inesorabilmente, fino a sovrastarla. La vidi indietreggiare al ritmo dei miei passi fino a quando la scrivania non la bloccò del tutto. In un movimento fluido la chiusi con il mio corpo. Impedendole di fuggire da me facilmente.

Mosso più dall'istinto che dalla ragione, raccolsi entrambi i suoi polsi, li appoggiai sulle mie spalle, e feci l'unica cosa che la mia mente riuscì a metabolizzare. L'afferrai per la vita e senza sforzi la sollevai, appoggiando il suo sedere sullo scrittoio e facendovi scorrere le mani. A quel contatto schivo mi lasciai sfuggire un respiro strozzato. Sentivo i palmi delle mani scottare, era quasi doloroso. Le passai sulla sua schiena fino a trovare la cascata di capelli morbidi, dove affondai il viso, un momento prima di cercare i suoi occhi.

Stringendola tra le braccia, facendo aderire il suo corpo sul mio, portai i nostri volti a pochi centimetri l'uno dall'altro. Mi inebriai gli occhi, osservando con cura i suoi dolci tratti. La guardai per riempire quel vuoto che mi aveva scavato lo stomaco per giorni. Era una liberazione. Era ossigeno. Era il respiro di Cora, che ansante, si confondeva con il mio.

Lasciai vagare la mia mente. Le lasciai percorrere strade lungo cui incontrai immagini nitide, quasi reali. Immagini tutt'altro che caste, dove Cora era in ogni dove. Dove la sua pelle nuda era a contatto con la mia. Dove i vestiti erano stati strappati perché troppo ingombranti.

Il calore del suo sguardo, così profondo e perso nei miei occhi, era turbato, impaurito, estasiato, incredulo. Era un fotogramma veloce. Un lampo di luce che cambiava costantemente, con i battiti di ciglia.

Sfiorai il dorso del suo naso con il mio, inalando un profumo che ricordava l'estate. Con un impulso disperato, senza più resistere, avvicinai le nostre labbra fino a sfiorarle. Quando si accarezzarono, un brivido lungo la schiena mi sciolse. Quel breve contatto mi inebriò, come il vino dolce a stomaco vuoto. Senza più alcun indugio, affondai la mia bocca in quella morbidezza. In quelle labbra scarlatte, terribilmente dolci e sensuali, persi me stesso.

La veemenza dei suoi respiri sui miei mi riempirono il cuore, tanto, che lo sentii esplodere. Cercai di schiuderle le labbra passandovi lentamente la lingua. Lei ansimò leggermente contro la mia bocca. Potevo sentire il suo shock, la sua eccitazione, le sue incertezze. Era le mie stesse paure, lanciate sul ciglio del burrone, destinate a cedere.

Spinto dall'eccitazione totale del corpo, feci congiungere il suo bacino con il mio per sentirla più stretta a me. Era doloroso e liberatorio. Quando lei si contorse appena, capii che provava lo stesso. Cora, tra le mie braccia, era diventata un libro aperto. Tutto intorno a noi era diventato più chiaro e più vivido. In quel momento, ogni parte di noi brillava, come il big bang quattro miliardi di anni fa. Senza accorgermene ero finito su un'altra galassia.

Era la galassia di Cora.







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Spazio Autrice

Oggi ho dato un filino di matto

Ma che ci volete fare, anche io ho i miei momenti.

Lo giuro, proverò a non scrivere mai più 4000 parole in una botta sola.

In futuro, a mente fresca (o meglio: lucida) taglierò il superfluo e il ripetitivo.

Baci. Sarangheo. Swag.

Sofia

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