SHINHWA SCHOOL «!»

Capitolo 1 parte I

"Lo ShinHwa Group è stato scelto come uno dei maggiori sponsor per le Olimpiadi di Londra del 2012, nel bel mezzo di una crisi finanziaria globale e bla bla bla".
Solita storia ai telegiornali, ogni notizia riferisce la maestosità e grandezza dello ShinHwa, ma qui quelli a non saperlo siete voi. Ve lo spiegherò in breve prima di fare la mia consegna.
Ogni coreano -anche se non è mai entrato in uno dei grandi edifici dello ShinHwa- ne avrà già sicuramente sentito parlare. Contiene negozi di abbigliamento che superano i 2.000 dollari -per essere internazionali-, cariche di benzina che si sono stanziate per la Corea e, almeno una volta nella vita, ti imbatti in quel gigantesco logo 'SH' che risalta più delle ragazze, poste accanto al benzinaio, ad inchinarsi e gridare «Benvenuti nello ShinHwa Group!» ad ogni macchina, ma ciò che aspirano di più i ragazzi e i loro genitori è la ShinHwa School.
No, niente strane idee, io non posso entrarci.
Si tratta di un istituto che comprende la scuola d'infanzia, le elementari, le medie, il liceo e l'università, ma, come ogni cosa appertenente a questa compagnia, devi essere di famiglia agiata per poterci entrare.
Mi risvegliai dai miei pensieri appena mio padre mi passò gli abiti ben custoditi nell'apposito involucro e, emozionato per il mio viaggio verso quella grandiosa scuola, posai i vestiti sulla bicicletta, saltando in sella pronto a sfrecciare verso la struttura.
La mia euforia sarebbe cessata non molto tempo dopo essere giunto alla scuola, ma io questo non lo sapevo. Nel frattempo che pedalavo, in quella struttura accadevano le peggio cose. Un ragazzo, dai capelli scuri che ricadevano sulla fronte e ai lati del viso, comprendo le orecchie, tremava davanti al foglietto trovato nell'armadietto: teschio senza mandibola e due ossa incrociate poste dietro, il cartellino era del tutto rosso, escluso il teschio e una fantomatica scritta 'F4'.
Compagni con cui aveva percorso la sua carriera tra i banchi di scuola e persone che non aveva neanche mai visto -ma che erano comunque parte dell'istituto-, iniziarono ad assalirlo. Calci, pugni, schiaffi e cose ben peggiori con l'intento di farlo collassare, senza un minimo di buon senso che placasse le loro azioni.
Intanto io, ignaro della situazione, mi facevo avanti, fino ad esserci dentro. Scesi dalla bicicletta ed entrai nell'edificio osservando quella che doveva essere una mensa. C'era una scalinata che collegava la mensa al piano superiore, lunghi tavoli in legno dove gli alunni sedevano a mangiare dal loro vassoio il pranzo che quei chef -probabilmente, anzi, sicuramente professionisti- preparavano ogni giorno, lampadari enormi che ricadevano dal soffitto e grandi finestre a dare una vista mozzafiato.
Proprio da quelle scale scese veloce un ragazzo annunciando «Lee MinHa è sul cornicione del tetto, vuole buttarsi!».
Lee MinHa? È il ragazzo a cui devo fare la consegna!
Corsi assieme agli altri, io in bicicletta così da preservare la divisa intatta e, arrivato sotto il cornicione, mi feci strada tra la massa con l'abito in mano.
Possibile che in una situazione del genere se ne stiano a guardare con il telefono puntato verso il mal capitato?
Salì anche io sul tetto urlando «ASPETTA! Lee MinHa, sono qui per la tua consegna» lo vidi girarsi verso di me e gli rivolsi un sorriso venendo interrotto dalle risate che volutamente ignorai. «Sono 30 dollari.. facciamo 25» seguitai la mia proposta con un due e un cinque delle dita.
«Chiedi i soldi alla mia famiglia una volta che sarò deceduto» mi suggerì.
«Con la tuta posso far-... m-morto?» spalancai gli occhi e solo allora mi resi conto del suo viso insanguinato, compreso di tuta e ferite varie sul viso, probabilmente anche sul corpo. Inconsapevolmente devo averglielo fatto capire perché gli indicavo il volto. Ero incredulo «Perché vorresti morire se vai in una scuola così bella?».
«Questa non è una scuola, questo è l'Inferno».
«Ti sbagli l'Inferno è lì fuori, hai mai provato la vita lavorativa? -feci un enorme falciata con le braccia, per far intendere il mondo circostante- Sai cosa bisogna passare per dare un esame all'università?».
«Hai mai sentito parlare degli F4?».
«F..F..cosa? F4?».
«Quando ricevi il loro cartellino rosso, tutta la scuola ti viene contro finché non abbandoni la scuola e se non lo fai rischi anche la morte».
«Ma che assurdità sono queste? Se succedesse nella mia scuola io li prenderei..» e iniziai a gesticolare mosse di combattimento, rischiando quasi di mordere l'appendiabiti che teneva la divisa.
«Devono essere molto fortunati i tuoi amici, ad averti».
«Ahah -feci una risatina leggera, quasi nervosa, smettendo di agitarmi come un'anguilla fuor d'acqua- non proprio..».
Abbassai lo sguardo per quelli che possono essere stati pochi minuti e quando lo rialzai lui piegò le gambe e con un balzo si gettò. Preso dal momento gettai a terra la veste urlando un «NOO!» a gran voce e corsi verso il cornicione.
Direte che quella mossa fosse stupida, ma non potevo permettere la morte di un giovane per gli stupidi capricci di quattro bambini viziati. Se mi conosceste sapreste che sono alto poco più di 1,72cm e peso attorno ai 57kg. Una mossa del tutto idiota considerando la grandezza del ragazzo in questione.

Da quel giorno iniziai ad apparire su tutti i giornali, tutti i telegiornali soprannominato come 'Il Superman che salvò il ragazzo emarginato'.
«Yah, KiBum, sono davvero così belli i Flowers 4?» mi chiese il mio amico, migliore per correttezza, nonché anche il ragazzo con cui lavoravo al ristorante di porridge.
«Flowers 4? -mi girai a fulminarlo con lo sguardo- Fly 4 vorresti direi. Il volo di quattro stupide mosche fastidiose. Aish!» imprecai spegnendo il televisore che caricava l'ennesima notizia su di me e il mio salvataggio e non feci in tempo a caricare le buste da asporto che venni assalito dai paparazzi che iniziarono con fastidiosissime domande:
-Come ti chiami?
-Come ti trovavi lì?
-Conoscevi quel ragazzo?
E tanto tanto altro.
Lontano da lì, mentre io venivo assalito dai paparazzi, la direttrice dello ShinHwa ricevette gli articoli con il mio volto e alcune fandonie dei giornalisti. «Come osano nominare JongHyun?» alterata ordinò un qualcosa alla sua persona fidata.

Ah, che sbadato vi dò una mia piccola presentazione:

Questo sono io.
Mi chiamo Kim KiBum, ho 18 anni, lavoro nella lavanderia di mio padre e dopo scuola al ristorante di porridge con il mio amico. Non ho molti abiti e mi accontento di quei pochi portando a casa ciò che basta per aiutare economicamente (per quanto poco guadagni) i miei genitori con il necessario per due pasti.
Ho un fratello di 12 anni, KangSan, di mentalità penso sia come i miei genitori (non è positivo), per quanto voglia bene a tutti e tre, sono ingenui e sciocchi.

Già che ci sono vi presento anche il mio amico:

Lui è Lee Taemin.
Suo padre lavora in un'azienda e non è economicamente agiato, ma a differenza mia ha abbastanza soldi.
Siamo coetanei e ci conosciamo da tantissimo tempo che anche senza parlare ci capiamo.

Ma tornando a noi.
La sera tardi arrivai a casa passando dalla lavanderia essendo che stavo al piano superiore come appartamento.
«Sono a casa» uscì come un sussurrò sforzato mentre lanciavo quasi le scarpe da ginnastica a terra. Mia madre mi venne incontro, correndo: i capelli ricchi e castano chiaro le ondeggiavano davanti al viso, mentre mi si stanziava dinnanzi. Mi afferrò il braccio e mi tirò fino a farmi capitare davanti ad un uomo, sarà stato sulla cinquantina, volto lungo, pelle ambrata e capelli leggermente corti.
«Ciao, tu devi essere Kim KiBum» mi fece un piccolo inchino che io ricambiai. Deve essere un uomo molto importante a causa dello smoking che contornava la sua figura, per questo mi incuriosì quel segno di rispetto.
«Salve, con chi ho piacere di parlare?».
«Sono venuto dallo ShinHwa Group. Le abbiamo fornito una divisa in quanto la vorremmo nella nostra scuola».
Il mio guardo passò veloce dall'uomo alla mia famiglia che mi sorrideva annuendo felice, con la divisa tra le mani. Mi venne spontanea una risatina divertita.
«Non intendo entrare in quella scuola, grazie comunque, ma non si disturbi».
«KiBum! Ha la febbre, non sa quello che dice signore, lui sì che accetta» urlò mia madre sovrastando il mio rifiuto.
«YAH!-» venni interrotto da mio padre e mio fratello che, tappandomi la bocca, mi tirarono nella stanza chiudendomi dentro finché mia madre non tornò dall'aver accompagnato quei signori alle loro auto.

Strano che, dopo le mie continue lamentele, ora sia davanti alla scuola vestito con la divisa, vero? Eppure mia madre riuscii a convincermi a causa della sua scusa 'C'è una fantastica piscina', come potei non arrendermi? Nuotare è sempre stato il mio sogno, il mio antistress, l'unica cosa di cui ero e sono capace.
Aprii il depliant e iniziai a girare per la scuola, i cortili erano enormi costeggiati da alberi che seguivano il sentiero solenni, senza intralciare il cammino degli studenti. Mentre camminavo, cercando di comprendere la cartina che mi indicava la via per la piscina, fui costretto a bloccarmi. Un dolce suono, quasi etereo, guidava il mio sguardo al di là degli alberi. Lì, davanti ad una panchina in legno, si trovava alzato un ragazzo: mento appoggiato sul fondo in cuoio del violino dal legno lucidato, occhi chiusi, naso leggermente largo, ma stranamente adorabile, e le labbra strette, ma comunque carnose. Devo averlo fissato così intensamente che aprì gli occhi e cessò i delicati movimenti dell'archetto sulle corde.
Spalancai gli occhi e smisi di sorridere, riprendendomi dal dolce mondo in cui ero capitato, passando lo sguardo sul suo vestito bianco di seta -un angelo niente da obbiettare- come a cercare le giuste parole per non apparire uno stupido.
«E-Ecco.. dov'è la piscina?».
Con l'archetto mi indicò di continuare il mio cammino, rimanendo in silenzio.
«Oh... grazie -feci un inchino- comunque puoi riprendere a suonare» feci un passo avanti e ci ripensai tornato indietro «Ciao!».
Gli sorrisi e iniziai a correre verso la piscina, pensando a quanto fosse bello quel ragazzo dai capelli di un marroncino così chiari e gli abiti bianchi, ribadisco, un angelo.
Sentii il suo sguardo per pochi secondi sulla mia figura e poi di nuovo la dolce melodia. Devo essergli sembrato strano.
Come avrete già capito, la mia attrazione sessuale supera di gran lunga l'etero sessualità.

Entrai nella scuola pronto per le lezioni mattutine e, mentre salivo una delle due scalinate, -poste parallelamente, ma disposte in modo da giungere allo stesso piano- sentii urlare «Gli F4!».
Urla di ragazzine stridule e fastidiose. Guardavo tutti gli alunni, indipendentemente dal sesso, correre e qualcuno anche scontrarsi con me sulle scale dicendomi un acido «Levati».
Alla fine, spinto dalla mi innata curiosità, tornai sui miei passi e, in fondo al gruppetto creatosi attorno alla porta, mi misi a guardare l'entrata dei fantomatici quattro ragazzi, rimanendo paralizzato alla vista di lui.

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