Max Verstappen // DAI, ESPRIMI UN DESIDERIO
Le calde e lampeggianti luci ad intermittenza, i fiocchi dai toni del rosso e dell'oro, le ghirlande di vischio e aghi di pino. Il caldo delle confortevoli sciarpe create da intrecci di fili di lana grezza, con le loro frange che penzolano sui soffici cappotti dai lucidi bottoni. E per finire, decine e decine di metri di carta regalo modellati su scatole di mille forme e misure, pacchi morbidi o rigidi, contenenti i più calorosi doni.
Ovunque avrebbe fantasticato su una veduta del genere, Danielle, fuorché una sudicia stazione ferroviaria. Eppure quell'anno la notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre, che di certo avrebbe gradito passare a vantarsi di non credere più alla leggenda del vecchio Santa Claus con i cugini più piccoli, si ritrova relegata insieme ai suoi genitori ad attendere l'arrivo dello zio Michael da Bruxelles.
Sia mai che dopo essersi separato dalla moglie neanche due giorni prima dell'Immacolata a sua madre non venisse in mente di decidere di invitarlo a passare le feste a casa loro come atto di ineguagliabile carità e bontà d'animo. Altrimenti cosa avrebbe raccontato alle amiche della parrocchia alla messa del mattino seguente?
Per fortuna, ad offrirsi di tenere compagnia ai suoi è stata Sophie, vicina di casa nonché più intima amica, portando con se anche Max, primogenito e fidato compagno di giochi di Danielle sin dai tempi della culla.
Generalmente quest'ultimo passa le festività insieme al padre data la separazione dei genitori, ma quell'anno Victoria, sua sorella minore, ha deciso di voler andare al posto suo, così lui ha potuto allietare la noia in cui Danielle sarebbe sprofondata durante tutta quell'attesa.
Nonostante i dodici anni di entrambi e un mese in più di Max, guardandoli ci si trova di fronte al perfetto ritratto della differenza tra maschi e femmine nel periodo della pre-adolescenza. ovvero l'impressione che si passino l'un l'altro più anni di quanto li separino realmente. Max, a confronto di Danielle che incomincia già a delineare i suoi primi tratti da giovane adulta, sembra infinitamente più piccolo, più bambino.
Malgrado tutto, il cuore e la mente di Danielle sono ancora quelle di una spensierata fanciulla, ai quali istinti non pone chissà quale freno, nonostante la madre la idolatri elogiandola ai quattro venti come la figlia più giudiziosa e responsabile che potesse mai desiderare.
Contraddicendo in pieno il suo decantarla a quella maniera, tediata ai limiti della sonnolenza e mossa dall'eccessiva curiosità di scoprire in lungo e in largo quel luogo che mai le era parso tanto fascinoso come in quell'improvviso momento, afferra la mano di Max alle spalle degli adulti impegnati a conversare del più e del meno, e con uno sguardo furbo in contrapposizione ad un mezzo sorrisetto innocente lo incita a seguirla portandosi un dito al centro delle labbra per intimargli di non fare rumore.
<<Si può sapere dove stiamo andando?>>. la domanda di Max è del tutto lecita visto che appena dieci falcate più tardi si ritrovano a girare un angolo che nessuno dei due ha la più pallida idea di dove conduca.
<<Facciamo solo un giro, torniamo subito, promesso>> lo rassicura lei con aria un po' altezzosa, facendolo sentire un lattante in confronto alla sua emergente spavalderia tirata fuori all'improvviso.
Esattamente, lo stesso Max Verstappen che sulla pista di kart sembra non avere rivali se non Charles Leclerc, affrontandolo solo come uno sfrontato senza vergogna né alcun timore farebbe, è intimidito da una ragazzina con i capelli a caschetto.
Colpito nell'orgoglio il biondo gonfia il petto, mimando un'incurante e dinoccolata alzata di spalle. <<Per me possiamo anche rimanere qui per tutta la notte>>. Infila le mani nelle tasche dei jeans curvandosi di poco in avanti ingobbendosi leggermente, <<e poi tu non eri la figlia modello che non farebbe mai nulla per dar dispiacere ai suoi genitori?>> Chiede ironicamente, sbeffeggiandola con fare saccente.
<<Sarà che per oggi dovremo invertire i ruoli>> ridacchia Danielle, lanciando un'evidente frecciatina riferita al carattere schivo e irascibile del suo migliore amico che spesso e volentieri da alla madre tante di quelle preoccupazioni che gli unici momenti in cui è tranquilla sono quelli in cui il suo primogenito è in compagnia della suddetta giovane.
Un nodo di malinconia e preoccupazione si attorciglia al suo petto, mettendo radici tra le ossa, al pensiero che dopo quella sera probabilmente Sophie perderà tutta la fiducia che aveva nei suoi confronti, ma in fondo, si dice, ne vale la pena.
Ne vale la pena perché non ha mai infranto una regola in vita sua, e perché seppur non ceda ad ammetterlo, mentre si guarda intorno è alla disperata ricerca di un modo impressionare Max, per far in modo che la ammiri, che la veda più adulta rispetto a tutte le sue amiche, che possa piacergli.
Ed ecco che come un colpo di fulmine i suoi occhi si posano su un'imponente figura dalla punta stellata che si erge proprio di fronte a loro, solo qualche metro più in là, un mastodontico concentrato di luci, palline colorate, neve artificiale e filamenti d'oro, ma soprattutto, tetto di una quantità industriale di regali impacchettati a regola d'arte e muniti di targhette scintillanti e variopinte.
L'albero di Natale più bello e più grande che Danielle abbia mai visto.
Una lampadina si accende di colpo nella sua mente. Punta i piedi protetti dagli stivali di camoscio, piantandosi lì davanti in contemplazione attirando l'attenzione del suo accompagnatore.
<<Che ti prende?>> La interroga lui, guardandola scettico e avvolgendosi fino al mento nella sua sciarpona color blu notte che si abbina curiosamente bene alla tonalità di beige del batuffolo peloso sulla punta del cappello di Danielle.
<<Ti sfido>> esordisce gonfiando il petto. Nel frattempo Max può notare il rossore che colora la punta rivolta all'insù del suo naso sicuramente congelato. <<Ruba uno di quei regali>> propone, dando però la cadenza di un imperativo.
Max, che viaggiando tanto per via delle gare di kart che lo reclamano in giro per il mondo, rimane notevolmente sorpreso di quella sua iniziativa, e per niente in modo positivo, dando per scontato che Danielle sappia già quale sia lo scopo di quella raccolta di doni. <<Ma sono per i poveri>> risponde vagamente sbigottito, suscitando in quella che in fondo è ancora una bambina ingenua ed inesperta che vuole sentirsi donna un profondo e radicato senso di colpa.
<<Allora prendilo in prestito>> sintetizza una veloce soluzione, tentando in ogni modo a sua disposizione di farsi scivolare di dosso l'idea di star facendo qualcosa di terribilmente sbagliato.
<<E se io non volessi farlo?>> Max l'esorta a ravvedersi, mostrandosi nonostante tutto parecchio riluttante, ma a quanto pare la piccola Danielle non ha alcuna intenzione di togliersi dalla testa l'idea di fare la ribelle.
<<Significa che te la stai facendo sotto>> si porta le mani sui fianchi serpeggiando con il collo che neanche le peggiori smorfiose dei cartoni animati, dando sui nervi al biondo più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, soprattutto perché un comportamento del genere proviene proprio dalla sua migliore amica, che ha sempre considerato semplice e genuina come poche. Non capisce cosa le sia preso tutto a un tratto.
<<Visto che sei così coraggiosa perché non ci vai tu a prenderlo in prestito?>> Inarca entrambe le sopracciglia vestendo la sua bocca di un ghigno che, Danielle si stupisce, lo fa apparire non solo più grande ma anche molto più astuto di quanto credesse. E per quanto bene possa volergli non può che nutrire una sincera invidia per quella sua aria da adulto che, nel suo essere così circospetto, gli attribuisce tutt'altre sembianze rispetto al bambino viziato che tutti lo accusano di essere.
<<Va bene!>> Tuona allora, cadendo nel tranello della sua stessa voce che in un acuto simili allo squittire di un roditore lascia trasparire quanto sia lei quella a starsela letteralmente facendo sotto.
Lasciando di stucco un Max che evidentemente si aspettava o quantomeno sperava che le fosse rimasto almeno un po' di buonsenso in quella zucca vuota, si allontana a passo pesante nel suo delicato cappottino, fino a raggiungere il grande abete addobbato guardandosi intorno fin troppo circospetta, quasi come se si trovasse in chissà quale missione di spionaggio internazionale.
Lui, che rimane a guardarla da lontano, nel preciso istante in cui afferra il regalo spalanca la bocca per urlarle di fare attenzione al nastro che le si è incastrato sotto la suola della scarpa ma la voce gli muore in gola non appena, ruotando su se stessa per fare ritorno con il bottino, si tira dietro un'intera pila di regali che si schianta per terra provocando un frastuono assordante che attira immediatamente l'attenzione delle guardie.
Gli occhi della ragazzina apparentemente pietrificata si incastrano in quelli di Max in cerca di aiuto un istante prima di scattare in una corsa disperata nella sua direzione, ancora con il pacchetto tra le esili mani. Ed è nel millimetrico frangente in cui a rilento si dirada un attimo che la mano di Danielle scivola nella sua, con la delicatezza di un uragano che lo travolge, trascinandolo con se in quell'inseguimento.
Mentre la guardia alle loro spalle intima ad entrambi di fermarsi il trambusto procurato dalle loro veloci falcate rimbomba in tutta la stazione, come un boomerang che si allontana e poi ritorna abbattendosi sui loro timpani.
E i polmoni bruciano come sottile carta a contatto con una selvaggia ed affamata fiamma per via della fatica, il cuore segue le orme del Big Bang minacciando una repentina esplosione ed una soffocante bolla di calore pare aver inglobato i loro volti facendo sì che ossigeno ed anidride carbonica stentino nell'intraprendere la via giusta litigando su chi debba uscire e chi invece entrare.
Nonostante l'età l'uomo in divisa pare non avere la minima intenzione di demordere, anzi, più le ginocchia di Danielle si stancano minacciando di cedere più lui sembra vicino ad agguantarli. Difatti adesso è quasi completamente di Max il compito di trascinarla in preda all'affanno.
La loro unica eventuale salvezza si palesa di rimpetto alla galleria addobbata che si trovano ad attraversare. Una miriade di gente che si spintona a vicenda per prendere posto in treno, creando un vero e proprio ingorgo.
Il lampo di genio dell'olandese li porta ad infilarcisi in mezzo, stretti come sardine in scatola, e mentre la guardia si erge per intercettarli allungando il suo collo come una giraffa al di sopra della nuca di chi gli ostruisce la vista e il passaggio loro non riescono più a trovare né il modo né la forza di andare contro quella corrente di corpi, avanzando sempre di più verso quelle porte che stanno per chiudersi e che risvegliano in entrambi il panico più paralizzante.
<<Max! Che facciamo?>> L'urlo di Danielle lo terrorizza più della situazione stessa. Sa quanto possa essere ansiosa e tremendamente paranoica e l'ultima cosa che potrebbe essergli utile in quel momento è proprio un suo attacco di panico.
Non ha il tempo di rispondere che il passaggio di un uomo munito di ventiquattrore separa la stretta delle loro mani, facendo sì che il corpo gracile di Danielle venga scaraventato diversi metri più in là, ormai oltre le porte. <<Max!>> Strilla ancora sull'orlo delle lacrime, mentre le sue fragili spalle sembrano quasi rompersi tra le gomitate e gli spintoni.
Non può lasciarla lì, si dice Max, deve assolutamente fare qualcosa per portarla via, o comunque vada per raggiungerla.
Riesce a farsi un varco con le braccia, e anche dovendo stringere i denti per non mollare riesce, non in troppo tempo, ad oltrepassare la soglia delle automatiche.
Danielle nel frattempo si guarda intorno sperduta avendo perso di vista la figura di Max nella calca. I suoi occhi però, si illuminano di una luce così brillante da far invidia alla stella di Betlemme quando percepisce un paio di braccia non troppo sottili che si ancorano alla sua vita, stringendola forte da dietro.
<<Andrà tutto bene>>. Il biondo posa un minuscolo bacio sulla sua nuca. È vero, se non fosse stato per la sua pessima e disastrosa idea non si sarebbero mai ritrovato in quella situazione, ma in quell'istante non riesce neppure a pensarci, il cruccio neppure lo sfiora.
L'unica cosa sulla quale si concentra è trovare un modo per uscire da quel vagone gremito oltretutto di un sacco di bagagli ingombranti a bloccare il transito. Il problema è che il timer del tempo che era ancora a disposizione si è azzerato, perché ormai stracolmo il treno è pronto a partire, le porte si chiudono e i passeggeri cominciano a sistemarsi ognuno nelle proprie cuccette.
Danielle d'impeto si lancia contro il vetro infrangibile cominciando a battere forte i palmi su di esso urlando a squarciagola: <<Fateci scendere! Fateci scendere!>>. Ma Max la trascina via con la forza quando ormai il paesaggio di fronte a loro comincia a muoversi velocemente.
<<Dobbiamo nasconderci, potrebbe passare il controllore e noi non abbiamo neppure uno straccio di biglietto>> sussurra indicando il lungo corridoio che termina con una porta biancastra con si scritto toilette.
Si avviano verso di essa e fanno giusto in tempo a gusciare nel minuscolo ambiente simile ad uno stanzino munito di gabinetto prima di sentire una voce maschile pronunciare: <<Biglietto prego>> in lontananza.
Max non chiude a chiave altrimenti sulla serratura comparirebbe il bollino rosso che indica che il bagno è occupato, per cui la tiene con le mani, sforzandosi di impedirle di traballare contro lo stipite.
Danielle si tortura le unghie con i denti facendo su e giù per quel quarto di metro cubo di spazio che hanno a disposizione. <<I miei genitori mi uccideranno>> mugola non riuscendo a smettere di tremare.
<<Avresti dovuto pensarci un po' prima, non credi?>> Si volta brusco, fulminandola con lo sguardo.
<<E tu avresti dovuto fermarmi>> ribatte lei, pur consapevole di avere torto marcio.
<<Ci ho provato, ma tu dovevi fare la splendida!>> Sbotta, mollando la porta dopo essersi accertato di non sentir più fiatare nessuno in corridoio.
Danielle vorrebbe prendersi a schiaffi. Ha cercato di impressionarlo ma l'unica cosa che ha guadagnato con quel comportamento è il suo astio. Le viene da piangere perché in fondo non ha mai smesso di essere una bambina, ma deve trattenersi, non è di certo il momento adatto per frignare.
Non sentendo arrivare nessuna risposta Max rotea gli occhi mostrandosi visibilmente scocciato. <<Lascia perdere, vieni>> sbuffa intimandole di seguirlo con un cenno del capo.
Seppur di mala voglia Danielle ubbidisce e durante il tragitto osserva Max con il volto chino, da sotto le sopracciglia, mentre lui è intento a cercare una cuccetta rimasta vacante nella quale potersi rifugiare.
<<Qui>>, mormora poi, intrufolandosi in quella minuscola stanzetta con al suo interno quattro lerce brandine sistemate su due piani diversi.
Si siedono lontani, senza più proferire parola. Gli sguardi di entrambi si perdono tra le distese di neve che si impossessano della natura e dei palazzi fuori dal finestrino. Perdono il senso del tempo e il loro unico pensiero, eccetto il desiderio di tornare a casa sani e salvi, è cosa stia balenando nella mente dell'altro.
Sono anime incerte, ancora da plasmare, Danielle e Max, perché in fondo sono solo bambini. Devono costruirsi e sono solo alle fondamenta, vorrebbero volare ma le loro ali stanno appena accennando a crescere.
<<Scusa>> esordisce lei, stringendo nel bavero del suo cappottino. <<È tutta colpa mia>>. Tira su col naso, costringendosi a non guardarlo per non andare incontro alla sua espressione severa.
Ciò che accade però, va contro ogni sua aspettativa. Percepisce la gommapiuma della brandina abbassarsi leggermente vicino a sé, sotto il peso del suo corpo. La pelle gelida della mano di Max sfiora la sua, infonde dole un improvvisa sensazione di calore. Un ossimoro vero e proprio.
<<Sta tranquilla, troveremo il modo di arrivare a casa>>.
Non si sa se siano minuti quelli che seguono oppure ore, perché non vi è alcuna risposta se non la testa di Danielle che si posa sulla sua spalla e un suo sbadiglio che contagia anche lui fino a precipitare in un profondo sonno cullato dai sussulti del treno sulle rotaie.
Gli occhi di Danielle sono ancora pesanti quando riscoprono la luce della lampadina appesa sopra le loro teste, e le sue braccia intrecciate a quelle di Max, ancora assopito, giungono presto in forma di piccoli pugni a sfregarsi le palpebre.
Una voce robotica rompe il tepore di quel silenzio confortante, e nonostante l'illusione che si fosse trattato soltanto di un incubo, non appena essa annuncia l'arrivo all'ultima fermata che ben presto assume i contorni della parola Amsterdam, Danielle si ritrova a dover scuotere Max con una certa veemenza.
<<Max! Siamo arrivati, dobbiamo scendere>> lo chiama con voce prima incerta, poi sempre più bisognosa di incontrare le sue iridi cerulee intente a dare un qualche segno di vita.
<<Eh? Dove siamo?>> Trasalisce il biondo in evidente stato confusionale.
<<Ad Amsterdam>> risponde lei, voltando il capo verso la porta della cuccetta, dietro alla quale si cominciano ad intravederee ombre della gente che si avvia verso l'uscita.
Ben presto anche loro si ritrovano a dover fare lo stesso per passare inosservati e confondersi nella massa, ritrovandosi ben presto, a sera inoltrata, nel bel mezzo di una stazione di una città in cui non hanno mai girato da soli.
La scritta che riporta in diverse lingue l'indicazione per l'uscita sembra tanto una salvezza quanto un calvario, ma cominciano ugualmente a muovere i loro passi in direzione di essa.
Salgono su per le scale mano nella mano fuoriuscendo da quel sorta di sotterraneo per riemergere catapultati dritti nella metropoli.
Fra taxi che sfrecciano come se i loro autisti avessero sette vite come i gatti, Babbi Natale robotici tra le vetrine che emettono diverse versioni di Jingle Bells, ghirlande ad addobbare i portici dei palazzi e la gente che scorrazza qua e là come fosse mezzogiorno i due ragazzini si vedono sperduti.
Nessuno dei due, neppure Max che è abituato a girare per il mondo, ha la più pallida idea di dove debbano andare, perciò cominciano a vagare qua e là, imbattendosi in famiglie appena uscite da ristoranti di lusso per entrare nei quali probabilmente hanno sopportato file chilometriche, ragazzi poco più grandi di loro a bighellonare con bottiglie di birra tra le mani coperte da sacchetti di carta, e poveri mendicanti costretti a passare il Natale dentro ad uno scatolone su un marciapiede senza uno straccio di coperta.
Si guardano più volte, Danielle e Max, e si rendono conto di quanto siano fortunati, ad aversi l'un l'altro in quella notte che avrebbero di gran lunga preferito spendere a mangiare marshmallows affogati nel cioccolato di fronte allo scoppiettante fuoco di un camino.
Si rendono conto di volersi più bene di quanto credono sotto quel cielo stellato la cui vista è offuscata dallo smog. E non importa di chi sia la colpa se adesso sono speduti in una città enorme completamente da soli, importa solo che per Max ci sia Danielle e che per Danielle ci sia Max.
Passeggiano talmente a lungo da poter sentir scoccare la mezzanotte da tutti gli orologi della città, da costeggiare l'Amstel, ma non da rendersi conto di quanto i loro genitori possano essere in pensiero per loro, non fino a quando si ritrovano in prossimità di una cabina telefonica.
<<Max, tu conosci il numero di tua madre a memoria, vero?>>. E non serve aggiungere altro perché entrambi si fiondino al suo interno, con il primo colpo di fortuna di quella sera accompagnato dalla presenza di una monetina rimasta nella tasca del cappottino di Danielle.
Il pilota una cifra dopo l'altra compone il numero, attendendo una serie di squilli prima che la voce tremante di Sophie risuoni oltre la cornetta.
<<Pronto? Pronto, chi è?>> Domanda allarmata. Suo figlio può immaginarsela perfettamente mentre si regge il petto quasi intenzionata a contenere il cuore che pare poter sgusciare fuori da un momento all'altro.
<<Mamma, sono io, Max>> risponde udendo un enorme sospiro di sollievo dall'altra parte.
<<Max!>> Scoppia lei, non si sa se in un misto di gioia e sollievo che precederanno la peggiore delle sue sfuriate. <<Tesoro mio, dove ti trovi?>> La donna deve coprirsi le orecchie per sentire bene cosa lui abbia da dirgli per via del frastuono che inonda la stazione.
<<Ad Amsterdam, mamma. È una storia lunga, vi prego venite a prenderci>> la implora con Danielle ancorata al suo braccio, immaginando già il putiferio che lo aspetta non appena gli starà davanti.
Non impiega molto a rispondere nonostante la batosta data da quella notizia scioccante. <<Prendiamo il primo treno, a casa mi senti!>> E più che come una minaccia, suona come una speranza.
Dal tubare emesso dalla cornetta si evince che il tempo della telefonata sia scaduto, allora Max la ripone, prendendosi un istante di tempo per guardarsi intorno attraverso il vetro protettivo di quella cabina.
Ricambia la stretta di Danielle, intrappolandola in una piacevole gabbia d'abbraccio. Lì dentro, sono solo loro e tutto il mondo fuori.
Chissà quanta gente avrà calpestato i loro stessi passi in quel minuscolo abitacolo, quante impronte avrà addosso quel telefono, quanti pianti, quanti sorrisi, quanti baci mandati al volo a persone troppo lontane per riceverli.
Quante opportunità, quante occasioni sprecate, pensa Max, che con Danielle così vicina ha il cuore talmente caldo da dimenticare totalmente che fino a pochi minuti prima avrebbe desiderato essere ovunque fuorché lì.
Perché adesso, quella cabina, quel minuscolo ritaglio tra loro e la metropoli è l'unico luogo in cui vorrebbe trovarsi la notte della vigilia di Natale.
<<Che cosa ti ha detto?>> È proprio la voce della ragazzina, proveniente dall'incavo tra il suo collo e la spalla, a rompere l'atmosfera, riportandolo con i piedi per terra.
Max delicatamente muove una mano sulla sua schiena, anche se poi alla fine, non si sposta mai veramente dal punto di partenza. È una carezza immobile, di conforto, e Danielle la sente più forte di quanto sentirebbe uno schiaffo. <<Che arrivano, ma probabilmente è l'ultima volta che mi vedi vivo>> ride lui, con quella sua voce un po' rauca.
E allora lei lo fa di rimando, più delicata, solleticandogli lo spigolo della mandibola. <<Credo che valga anche per me>>.
Purtroppo, lo scoccare della mezzanotte che risuona a festa da parte di tutti gli orologi della città provoca un sussulto in entrambi, facendoli distaccare con un po' di imbarazzo.
<<È Natale!>> Constata Danielle, scavando dentro di sé per trovare un po' di entusiasmo che quell'avventura stramante ha prosciugato in lei.
Max però, che non è mai stato un amante delle feste, la stronca ben presto: <<Sarà un buon Natale quando saremo tornati a casa. Dobbiamo andare alla stazione>> risponde spingendo già la porta della cabina verso l'esterno. Notando però, la punta di delusione negli occhi di Danielle non può che pensare che per quanto terribile, quella sarà una notte che non dimenticheranno mai, non può finire così. <<Dai, esprimi un desiderio>>.
Ed è da allora che ogni anno, la notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre, Danielle e Max si incontrano in quella stessa stazione che li ha portati fino ad Amsterdam, dando vita ad una tradizione unica e forse per qualcuno anche un po' stravagante.
Chiedono al bigliettaio un qualsiasi biglietto per un qualsiasi treno, qualsiasi sia la destinazione, poi vi salgono sopra ignari di tutto scoprendo la città verso cui è diretto solo una volta arrivati. Dalla stazione si muovono senza una metà visitando la città, alla ricerca della prima cabina telefonica vuota, all'interno della quale inseriranno una monetina senza comporre alcun numero, esprimendo ognuno il proprio desiderio al telefono allo scoccare della mezzanotte.
E alla veneranda età di venticinque anni Danielle e Max si muovono a braccetto come una anziana coppia sposata - nonostante abbiano sempre sostenuto che tra di loro non ci sia mai stato altro fuorché una fraterna amicizia - in direzione della biglietteria ormai poco affollata per via dell'installazione dei più semplici e moderni apparecchi digitali dai quali si possono tranquillamente acquistare i ticket.
A loro però, quello schermo non suscita alcuna magia. Non riesce neppure ad avvicinarsi lontanamente alla sensazione di lasciar pescare al destino la propria meta e stringerla tra le mani dovendo resistere alla tentazione di guardare.
Dietro alla trasparenza del plexiglass che divide le minuscole postazioni dalla poca fila di fronte ai due un simpatico uomo dall'età avanzata sforza la propria vista per riuscire a leggere la tratta che il giovane dallo zaino in spalla di fronte a lui dovrà percorrere.
Nel frattempo, un piccolo soprammobile raffigurante una sfera piena di neve con al suo interno un tenero pupazzo di neve di fianco ad una slitta dona un po' di atmosfera natalizia a quel turno decisamente fuori luogo per un quasi pensionato.
Finalmente, quando arriva anche il loro turno, Danielle può salutarlo con voce zuccherosa, contaminata forse un po' dalla presenza del suo migliore amico che non vedeva dall'ultima volta che aveva raggiunto la madre per soli due giorni lo scorso agosto. <<Buonasera, Adelbert, e buona vigilia>>. Ormai per loro è consuetudine incontrarsi per quella ricorrenza, dato che, senza nascondere che non si tratti affatto di una casualità, offrono sempre a lui la possibilità di essere la loro ruota della fortuna.
<<Buona vigilia a voi, ragazzi. Anche quest'anno mosca cieca?>> Domanda infatti il vecchietto dalla pronunciata curvatura delle spalle e gli occhiali dalle lenti spesse.
<<Ovvio che si>>A Danielle sfugge una risatina di gioia. Neppure lei capisce perché si senta così su di giri, ma nel dubbio lancia un'occhiata veloce a Max, sperando che non abbia fatto caso al suo stato d'animo.
Fortunatamente il biondo appare totalmente in un'altra dimensione, con lo sguardo perso in un punto casuale di quell'immensa stazione. E nonostante fosse esattamente ciò che desiderava per lei è istintivo rabbuiarsi, notando come il pilota si senta lontano, o desideri esserlo.
Adelbert sospira, lanciando soprattutto a Danielle un finto sguardo severo mentre invece sorride sotto i baffi. <<Ma perché non usate quelli automatici? Ormai con questa tecnologia basta poggiare il dito su uno schermo per avere tutto pronto>> si lamenta cominciando a prepararsi svogliatamente per la veloce procedura che il loro biglietto richiede.
<<Non è la stessa cosa>> risponde lei un po' assente, incerta sul riferirsi solo a quanto consigliato dal bigliettaio o su quella vigilia insieme a Max.
Non è la stessa cosa. Forse non lo è più.
In fondo tutto è cambiato da quella loro prima volta lì, da tutte le candeline spente con la consapevolezza e la voglia di rispettare quella tradizione.
In fondo quello che tiene per il braccio è un due volte campione del mondo, e a Natale avrà di certo di meglio da fare che prendere uno stupido treno a caso e vagare senza meta per una delle tante città del Belgio.
Tutto si trasforma, e chissà, magari il prossimo ventiquattro dicembre loro si saranno trasformati in due sconosciuti.
La gola di Danielle sembra essere stretta da un cappio mentre le sue budella di attorcigliano provocando un fastidioso gorgogliare del suo stomaco. Non riuscirebbe ad immaginare la sua vita senza quel cocciuto energumeno scontroso, è già difficile sopportare la lontananza per così a lungo tra un periodo di pausa e l'altro.
<<Cara vecchia carta! Non passi mai di moda>> quasi canticchia Adelbert, porgendo loro due biglietti ripiegati su se stessi. <<Correte, è in partenza>> li avvisa vedendo la ragazza indugiare sul prenderli oppure no.
A quel punto Danielle non può che afferrarli risvegliandosi da quella sorta di stato di trance e omaggiare dei suoi saluti l'anziano uomo mentre fa per allontanarsi insieme al suo migliore amico.
Quest'ultimo, prima di voltare le spalle al plexiglass pare aver riacquistato l'uso della parola: <<Ancora auguri, Adelbert!>> Pronuncia solo, accogliendo senza particolare sorpresa il mezzo grugnito che ottiene in risposta.
Nessuno dei due ha mai capito perché, ma il bigliettaio ha sempre avuto una sorta di preferenza per Danielle, riservando un comportamento mai scortese ma piuttosto schivo nei confronti di Max.
Che si tratti del fatto che grazie alle esperienze che la vita ha messo sulla sua strada, si sia accorto di qualcosa di cui neppure loro si sono resi conto.
Che abbia visto brillare gli occhi di Danielle e sfuggire quelli di Max per impedire a chiunque di scorgervi un qualunque bagliore.
L'unico stralcio di carta scoperta che hanno tra le mani indica che il loro treno si trova sul binario sei, e non appena sentono richiamare proprio quel numero dalla voce metallica che risuona sopra le loro teste aumentano notevolmente il passo.
Si trovano oramai a pochi metri quando si accorgono delle porte in procinto di chiudersi, e improvvisamente hanno di nuovo dodici anni e le loro gambe fremono, scattando in una corsa legata dalla stretta delle loro mani.
E il cuore di Danielle è più leggero quando Max per il frammento di un istante si volta nella sua direzione mentre quasi se la trascina dietro, rivolgendole un sorriso divertito.
Per un soffio riescono a posare i loro piedi oltre la linea gialla che segna il confine con il binario, infilandosi nel vagone.
Quasi d'impeto senza mai staccare le dita dalle sue Max attira Danielle contro il suo petto, stringendola in un abbraccio di salvezza, come a voler dire "ce l'abbiamo fatta, anche stavolta".
Anche stavolta.
Il su e giù provocato dal respiro lievemente accelerato di Max è una culla per i sensi della ragazza, che abbassa le palpebre come una bambina in procinto di addormentarsi lì.
Il movimento del treno sulle stridenti rotaie è un movente perché quell'abbraccio si sciolga senza imbarazzo. Dopodiché, procedono nello scoprire un altro minuscolo lembo del biglietto per svelare i loro posti.
Anche questa volta è toccato il vagone notturno con all'interno gente che sicuramente proviene da molto lontano ed è in viaggio da ore, per cui si tratterà di una cuccetta.
Ad individuarla per primo è proprio il pilota che si fa carico di aprire la portiera e controllare se abbiano compagnia come per gli ultimi due anni in cui avevano dovuto condividere lo spazio con altri passeggeri. <<Siamo solo noi>> annuncia sollevato.
<<Non succedeva da anni>> constata lei mentre si addentrano nell'abitacolo, abbassando una brandina sulla quale prendono posto seduti l'una accanto all'altro.
<<In realtà l'ultima volta è stata la prima>> la corregge mettendosi comodo e circondandole affettuosamente le spalle con un braccio.
Danielle si porta una mano alla bocca ripercorrendo le vigilie precedenti e realizzando che Max ha ragione. <<Cazzo, è vero>>.
Il sorriso spigoloso di Max, le sue mani gelide, la sciarpa blu che porta al collo. Il cappotto beige di Danielle, il suo sguardo vispo velato di preoccupazione, il naso e le guance imporporati dal freddo.
Tutto ricorda quel giorno. Tutto ricorda ciò che erano, ciò che vorrebbero essere e che forse, ahimè, non sono più.
<<A quest'ora potresti essere dall'altra parte del mondo a bere cocktail da una noce di cocco>> esordisce infatti lei, allusiva, dopo qualche istante di silenzio.
Max le lancia un'occhiata parecchio confusa, non capendo dove sia il punto in quella sua constatazione. <<E allora?>> Chiede mentre percepisce il leggero peso del capo di Danielle adagiarsi sulla sua spalla.
Indugia un po' sulla risposta, non volendo ottenere la parte di quella che fa la vittima in quello spettacolo già abbastanza pietoso e forzato. <<Allora mi dispiace costringerti a mantenere questa stupida tradizione tutti gli anni, tutto qui>>. Fa spallucce.
A Max sfugge lo sbuffo di una risata, inarcando un sopracciglio per quanto bizzarro gli sembri che parole del genere fuoriescano dalla bocca di quella prepotente so tutto io che è la sua migliore amica. <<Non mi ricordo di essere mai stato trascinato con la forza, a parte la prima volta>>.
Lei rotea gli occhi volgendoli al soffitto. <<Hai capito che intendo, non fare il finto tonto>>. Ed ecco che riemerge la maestrina, pensa Max, conosciuta soprattutto per la pazienza, la tranquillità e lo spirito di sopportazione, che non ha.
Allora il pilota, dovendo trattenere un sorrisetto beffardo preme il labbro superiore contro quello inferiore. Danielle in quei momenti somiglia terribilmente ad un nano da giardino arrabbiato convinto che prendendoti a testate con quel suo cappellino rosso l'avrà vinta, e Max, in grado di rispolverare il se stesso bambino solamente con lei non può che divertirsi da morire.
Le sfila giocosamente il copricapo in lana rigorosamente munito di ponpon scombinandole tutti i capelli beccandosi un'occhiata capace di trucidarlo e ridurlo in cenere nell'arco di un secondo. Per farsi perdonare posa con il soffice tocco delle sue labbra un bacio sulla sua tempia, poi la rassicura: <<I cocktail da una noce di cocco posso berli ogni giorno salendo su un jet privato, il Natale con la mia migliore amica capita solo una volta l'anno>>.
Per qualche strano motivo l'intero viso di Danielle si colora di rosso e poi, spontaneamente, un largo sorriso compare a fare da spartitraffico tra le sue guance paffute. <<E pensare che credevo che non mi avresti mai più parlato dopo quella volta>>.
Che poi quell'anno Max sembrava davvero intenzionato a farlo. Dopo aver scontato la punizione più lunga della sua vita non la salutava neanche più, e lei che non aveva ancora capito che fosse tutta una strategia per farla sentire in colpa si era addirittura arrampicata sull'albero del suo giardino, in direzione della sua camera, per farsi trovare sulla sua finestra al rientro dopo una gara andata male.
In fondo è sempre stata così, Danielle, un orgoglio dalla vastità smisurata tanto quanto quella del suo cuore e della maniera in cui lo mette in gioco per le persone a cui tiene.
Il biondo si sposta leggermente solo per avere una migliore visuale su di lei. <<L'anno dopo ti ho aspettato per tre ore sotto due metri di neve di fronte alla porta di casa tua e sono ancora qui, non sarà così facile liberarti di me>> rispolvera quel ricordo che la mente di Danielle aveva volutamente cancellato, principalmente perché le piace essere eroina di se stessa e di tutto ciò che la circonda perciò era più comodo pensare che il recupero della loro amicizia fosse stato solo merito suo, e poi perché si era trattato di un'esperienza a dir poco traumatica.
<<Quella stronza di Ada Bakker, mi aveva chiuso a chiave nello sgabuzzino>>. Batte una mano sul sedile per poi portarla in forma di pugno sulla bocca, ritrovando tra la polvere delle sue memorie tutta la rabbia e la frustrazione che quella sera aveva provato in quel metro quadrato circondata da scope e detersivi.
Per poco gli occhi di Max non fuoriescono dalle orbite. <<Eh? Non me lo avevi mai raccontato, perché lo ha fatto?>> Chiede sbigottito mentre nella sua immaginazione si focalizza l'immagine della ragazzina appena menzionata che ai tempi pareva tanto innocente con quelle sue lunghe trecce bionde.
La mano di Danielle si sposta dalla bocca alla fronte. <<Certo che campione del mondo o no sei rimasto ugualmente rintronato. Non voleva che venissi da te>> spiega come se fosse la cosa più ovvia del mondo, e notando già l'ulteriore confusione che modella il volto di Max decide di andare più nel dettaglio: <<Ada era innamorata di te dalla quinta elementare, e tu non te ne sei mai accorto perché eri troppo occupato a covare il tuo astio per Charles Leclerc, bambino malefico!>>. Lo colpisce sul braccio con un pugno.
<<E perché non me lo hai detto? A quest'ora potrei essere sposato>> la prende in giro notando subito il modo in cui si inasprisce sentendogli dire ciò.
Danielle infatti ritrae le braccia al petto sistemandole conserte, come una primadonna a cui da fastidio che si cerchi di rubarle il posto nonostante sappia già che nessuno ci riuscirà. Perché in fondo è chiaro a tutti, e forse un po' anche a loro due, che per Max ci sarà sempre e solo Danielle e per Danielle ci sarà sempre e solo Max.
<<Non riesci a tenerti due euro in tasca per più di dieci minuti figuriamoci la stessa ragazza per quindici anni>> trattiene il broncio da smorfiosa, poi, senza una precisa motivazione sente il bisogno di dare un continuo a quella frase, forse il peggiore che potesse mai scegliere per la sua dignità. <<E poi non te l'ho detto perché piacevi anche a me>>.
A quel punto Max proprio non ce la fa più, scoppia in una fragorosa risata che avrà raggiunto tutti i vagoni del treno, pensa Danielle. <<Stai scherzando? Mi trattavi come una merda>> la accusa, costretto a tenersi le pancia con le braccia quasi come se le budella potessero schizzargli fuori da un momento all'altro.
Offesa dal suo beffarsi di lei solleva il mento dando l'impressione che la punta del suo naso voglia innalzarsi ancor di più. <<Era il mio modo di dimostrartelo>> confessa sostenuta.
Quel viaggio si trasforma nell'occasione perfetta per destreggiarsi in un vivace dibattito che volge al suo termine solo quando entrambi stremati l'uno dalla presunzione dell'altro finiscono per appisolarsi a metà del tragitto.
D'improvviso, l'annuncio dell'ultima fermata sollecita i loro occhi ad aprirsi, le loro bocche impastate dal sonno a schiudersi e le loro braccia intrecciate dai sogni a sciogliersi come i soffici intrecci del maglione di Max.
La più vispa è sempre e comunque Danielle, che volto uno sguardo al finestrino riconosce immediatamente le luci della città in cui sono giunti ed in preda all'euforia scuote anche Max per renderlo partecipe della sua strepitosa scoperta. <<Max! Non ci credo, siamo ad Amsterdam>> quasi strilla in faccia al suo migliore amico, che seppur sveglio è ancora visibilmente stordito.
<<Eh?>>. Emette una specie di grugnito per poi stropicciandosi il viso spalmandoci su entrambi i palmi delle mani.
Lei scatta in piedi afferrandolo per il polso cercando di tirarlo su. <<Siamo arrivati, Max, siamo ad Amsterdam>> ripete totalmente travolta da come il destino dopo la bellezza di tutti quegli anni li abbia riportati lì.
Forse è proprio quello che si intende con miracolo di Natale, il modo in cui il caso riesce sempre a riallacciare i suoi fili nei punti giusti dopo aver permesso che si slegassero, e ora, in definitiva, manca solo il nodo all'estremità a chiuderli finalmente insieme o a lasciarli separati per sempre.
Sta a loro adesso, capire se stringere o mollare, se tenere duro o lasciare che tutto si sgretoli cadendo nel dimenticatoio di una vecchia amicizia, ammesso e concesso che si sia mai veramente trattato di amicizia.
Da quando avevano dodici anni Amsterdam è cambiata, nuovi palazzi costeggiano le strade, le vetrine adesso sono più moderne e tecnologiche, ma la magia di quella vigilia non è mai svanita, magari perché ai loro occhi quella notte non si è mai dissolta.
Scesi dal treno passeggiano a braccetto come fosse la prima volta che i loro passi solcano quelle strade, come non avessero mai svoltato per tutti quei viottoli e non si fossero mai persi ad osservare il confortevole bagliore delle luci.
Ed eccoli, mentre Max la tiene per le dita e Danielle fa una giravolta tra i fiocchi di neve che cominciano a piovere dal cielo, che si rendono ben presto conto di star passeggiando lungo le sponde dell'Amstel e in cerca di un riparo si imbattono in qualcosa che non dovrebbe, ma li lascia sbalorditi.
<<È la stessa cabina>> esclama Max, affrettandosi ad aprire la porta facendo cenno a Danielle di fare il suo ingresso per prima.
Lei in preda ad un brivido di freddo ci si fionda dentro scaldandosi i palmi delle mani alitandovi sopra più volte per poi strofinarli l'uno contro l'altro. Si spolvera le spalline del cappotto dai residui di neve e solo allora si rende conto di quanto trovarsi rinchiusa in uno spazio così stretto a così pochi centimetri da Max non abbia più lo stesso effetto che ha sempre avuto, o che comunque non riesce più a camuffarlo.
Improvvisamente il suo volto è inglobato in una bolla di calore che le fa mancare il respiro, e lui è lì con quei suoi occhi color del ghiaccio che la guarda dall'alto. Non cade dalle nubi, li ha sempre sentiti scuoterla, quegli occhi, ma non ha mai voluto aprire i suoi per realizzarlo.
E' la prova del nove, non ci sono più opzioni, o parla adesso o le toccherà tacere per sempre, e anche se la scelta è ovviamente la prima, la prende in un modo strano. Ruota leggermente il busto per prendere la cornetta attaccata al cavo a sua volta collegato alla macchinetta nella quale inserire le monete, e come se nulla fosse gliela porge.
<<Dai, esprimi un desiderio>> gli rivolge le stesse identiche parole che alla mezzanotte di quella vigilia aveva sentito uscire dalla sua bocca, e quando lo fa, le campane di tutta la città prendono a suonare a festa per annunciare l'arrivo del Natale.
Max, come se lo spazio non fosse già sufficientemente poco, sente il bisogno di avvicinarsi per afferrare dolcemente l'oggetto e portarselo all'orecchio, facendosi a sua volta sempre meno distante dal lobo di quello di Danielle, in prossimità del quale, accompagnato dalla sinfonia dei bronzi delle chiese, sussurra: <<Vorrei poter riavere dodici anni, quel ventiquattro dicembre>>.
E le labbra di Danielle si increspano di un sorrisetto furbo. <<Per correre da Ada Bakker anziché fare questa follia con me?>>.
<<Per dirti che piacevi anche a me>>.
E la bocca di Max non le lascia il suo scampo.
Perché è sempre stata il suo unico desiderio.
E dopo averlo espresso ogni anno, finalmente si è avverato.
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