Daniel Ricciardo // I'LL TELL YOU A SECRET, ALICE
Il tempismo non è mai stato il suo forte, né tantomeno la sua indole da testa costantemente tra le nuvole le è mai stata d'aiuto, per cui non c'è da sorprendersi se soltanto un'ora prima della festa in maschera organizzata dalla sua migliore amica Ruth si ritrova ad accorgersi malauguratamente di non aver acquistato alcun costume di Carnevale.
Incespica nel suo stesso disordine quando scatta in piedi abbandonando la placida posizione che crea una sagoma infossata nel materasso di camera sua, gettandosi nella ricerca disperata di qualcosa che ricordi anche vagamente il tema della serata nel suo guardaroba pieno zeppo di indumenti piegati alla rinfusa.
L'unica fortuna di cui in quel momento può vantarsi è quella di possedere solo capi estremamente stravaganti, la maggior parte di essi cuciti da lei stessa, seppur con qualche orlo imbastito a rovescio e i bottoni tutti spaiati. Si potrebbe dire che il suo più che un talento è una passione, perché all'infuori della loro creatrice soltanto un folle sceglierebbe di indossarli, non che lei non lo sia.
Il problema però, è che per quanto bizzarri quegli straccetti possano apparire, nessuno di essi si avvicina neppure vagamente ad uno dei protagonisti dei classici Disney. Si molla a gambe incrociate sul pavimento quasi stesse per stramazzare svenuta a terra e uno sbuffo sonoro inonda la stanza.
Si guarda attorno, circondata dal caos nel quale si sente perfettamente a suo agio, ma che spesso si ritrova ad odiare poiché si ritrova a perdere qualsiasi cosa, in continuazione, in maniera particolare la matite, ce ne saranno a bizzeffe sotterrate in mezzo a tutto quel macello.
Proprio mentre si ritrova a pensare che farebbe meglio a dare una ripulita prima che sua zia faccia rientro a casa ecco che i suoi occhi si posano sul bagliore del raso di un abitino celeste un po' sgualcito, abbandonato sul ciglio della tastiera del letto.
Si appresta ad ingegnarsi come meglio può, la lampadina sopra la sua testa brilla di un'idea che non le era neppure balenata per la mente, ma che improvvisamente le pare la più adatta a lei di qualunque altra, un accostamento perfetto persino al ritardo di quella sera.
Dopo aver quasi fatto una serie di capitomboli giù per le scale per colpa del tappeto o della sua eccessiva goffaggine rovista nei cassetti della cucina alla ricerca di quel grazioso grembiule bianco che sua zia aveva vinto con i punti del supermercato qualche mese prima.
Una volta assemblato il tutto, di fronte allo specchio riesce anche a dare una vaga idea della giovane ragazzina della fiaba, in particolare grazie alla cascata di capelli biondi che ondeggia sulle sue spalle, tenuti fermi da un cerchietto nero abbastanza ingombrante e che preme fastidiosamente nei punti dietro alle sue orecchie.
Per completare l'opera prima di calzare un paio di comuni scarpe da ginnastica di colore bianco si infila un paio di parigine grosse righe nere orizzontali e quando crede di potersi ritenere pronta afferra in un ingombrante abbraccio quanta più roba sparsa per il pavimento riesca a stringere e modella il tutto alla bell'e meglio finché non assume la forma di un salsicciotto deformato che infila sotto le coperte del suo letto.
Rimbocca per bene le lenzuola, così che nel complesso appaia quanto di più simile ad un essere umano dormiente e sta attenta a non lasciare traccia del suo passaggio richiudendosi la finestra alle spalle una volta sul cornicione mentre il rumore della porta di ingresso che si apre si fa nitido fino al secondo piano.
Quando la sente richiudersi sul battente accompagnata dal fruscio delle chiavi che ricadono abbandonate sul canterano all'entrata spicca definitivamente un balzo verso il ramo più robusto dell'albero secolare che troneggia nel giardino di casa.
Con non poche difficoltà di cui i graffi sulle sue gambe e gli strappi sulle sue calze portano la testimonianza riesce a cadere accovacciata sul prato senza rompersi alcun osso, il che è già un traguardo bello consistente per un'imbranata del suo livello.
Fa molta attenzione a non pestare le crepe dei marciapiedi mentre percorre la strada verso il locale in cui è diretta, anche se non ha una mamma alla quale potrebbe spezzarsi la schiena se lo facesse.
La sua natura bambinesca le impedisce di formulare un pensiero del genere, o forse semplicemente lo respinge a lungo per tenerlo lontano e non spezzare la serenità di quella notte ancora sul punto di cominciare.
Il buio è l'unico momento in cui uscire non le causa dolore, il Sole le ha sempre fatto una discreta paura. Si è sempre spiegata quella faccenda inculcando a sé stessa di avere una pelle troppo delicata per esporsi ai suoi raggi, che se lo avesse fatto per troppo tempo prima o poi sarebbe venuta via.
La verità è che la sua mente ha inconsciamente rimosso l'abbaglio che travolse lo sguardo di suo padre, incredibilmente simile al suo, facendo sì che in preda allo scompiglio sterzasse dalla parte sbagliata mentre percorrevano la salita verso la cima di quella rupe.
Quel giorno in macchina c'erano i suoi genitori sui sedili davanti, lei e suo fratello ancora nel seggiolino su quelli dietro, di cui lei naturalmente è l'unica superstite, e anche l'unica a non ricordare assolutamente nulla di quanto accaduto quel giorno.
Non desideravano nient'altro che passare un po' di tempo tutti insieme, fare un picnic in montagna e aspettare che il Sole tramontasse prima di tornare a casa, ma il fato ha voluto che non arrivassero mai a destinazione.
Le è sempre stato raccontato che i suoi genitori sono morti in un tragico incidente, ma non ha mai saputo di essere stata coinvolta in prima persona. Sua zia ha sempre desiderato proteggerla dai demoni dei sensi di colpa che l'avrebbero assalita venendo a conoscenza di essere scampata al destino della sua famiglia, e così ha deciso di plasmare una bambina nel corpo di una diciannovenne.
E adesso quella bambina attende il suo turno in fila, puntellandosi le ginocchia strette per via del freddo e si lascia travolgere da un guizzo di gioia quando Jo, la sua migliore amica, sbuca da sotto il braccio del buttafuori facendole cenno di avvicinarsi.
Sommersa dalle lamentele della folla che è costretta a spintonare raggiunge il volto arrossato e ricoperto di lentiggini finte che la squadra sorridente. Joceline Ricciardo sfoggia allegra il suo costume da Jasmine che si intona perfettamente al suo incarnato olivastro carezzato su una sola spalla da una treccia color dell'ebano che si protende quasi fino al fianco.
Le afferra entrambi i polsi con le mani in una stretta leggera così da condurla all'interno del locale illuminato dalle stroboscopiche che riflettono i loro colori accesi in rapide pennellate sulla sua pelle perlacea.
Un odore selvaggio investe i suoi sensi finché le narici non cominciano a pizzicare. Un miscuglio saturo di corpi sudati, alcol e vomito per poco non le provoca un conato. Ci vorrà un po' per abituarsi, si dice, specialmente per lei che raramente ama trovarsi in luoghi chiusi avvolta dalla folla.
<<Ru, ma che mi rappresenti? Alice nel Paese delle Meraviglie dopo la droga?!>> Commenta ironicamente l'altra squadrandola dalla testa ai piedi con la bocca schiusa in un sorriso visibilmente divertito.
Ruth ride di rimando, forzatamente. Sa bene che non era intenzione di Jo metterla a disagio, ma in quel momento, guardandosi intorno, si sente estremamente fuori luogo di fronte ai costumi perfetti degli altri invitati, tutti fedeli alla fiaba di appartenenza, senza sgualciture o strappi, sicuramente non improvvisati all'ultimo minuto con cianfrusaglie trovate in giro per casa.
Non le dà il tempo di ribattere che si volta nella direzione di un gruppetto affiatato di ragazzi che invoca il suo nome. Le rivolge un occhiolino malizioso per poi disperdersi in pochi secondi nella calca.
A differenza sua Jo è molto popolare, il suo carattere solare, sempre in cerca di nuove esperienze e nuove amicizie l'ha resa una fra le ragazze più ambite nel college che frequentano nonostante il suo caratteristico stile da maschiaccio.
La verità è che più che la sua migliore amica è la sua unica amica. L'unica persona che le abbia rivolto la parola dalla prima volta che ha messo piede in quella scuola, quando erano ancora solamente due matricole, probabilmente solo perché il destino ha voluto che condividessero la stessa stanza in dormitorio durante tutto il primo anno.
Assorta nei suoi pensieri si ritrova a dover contare su quel poco equilibrio che possiede per non finire distesa lungo il pavimento quando un trio di ragazze dirette verso la pista da ballo la travolge come se fosse totalmente trasparente.
Quella sensazione di disagio che come un tarlo la divora dall'interno le intima di trovare un posto a sedere dove rimanere per tutta la serata, fin quando non si sarà stancata di stare da sola, giusto il tempo sufficiente per il quale Jo non mediti di chiamarla offesa il giorno dopo rimproverandole di non essere in grado di divertirsi come dovrebbe fare una ragazza della sua età.
Ormai è una routine che si ripete da mesi, alla quale pian piano ha cominciato ad abituarsi dopo che la prima toccata e fuga le è stata rinfacciata per settimane.
Vorrebbe quantomeno non dover mentire a sua zia per andare ad annoiarsi in un luogo che straborda di gente e con la musica a palla, ma data la sua esagerata iperprotettività si ritrova costretta a farlo nonostante in quel momento non desideri altro che sotterrarsi con le proprie lenzuola.
Raggiunge il primo sgabello vuoto di fronte al bancone e prende posto su di esso provando con tutta se stessa a resistere alla sensazione di mettersi a roteare su di esso. Evita con lo sguardo i tacchi vertiginosi delle ragazze che ronzano lì intorno in attesa che qualcuno di facilmente abbordabile offra loro un drink e si concentra sulla circonferenza di un sottobicchiere lercio.
Si sente una bambina ad una festa per adulti. Era convinta che con la scusa dei travestimenti carnevaleschi tutti sarebbero stati in grado di tornare fanciulli ed immedesimarsi nelle creature magiche di cui vestono i panni, ma la verità è che qualunque sia il tema della festa ai ragazzi della sua età non importa assolutamente nulla di tutte quelle fantasie.
Gli sguardi famelici, le labbra che scorrono avide lungo lembi di pelle di sconosciuti e bordi di sottili flute o minuscoli bicchierini, le gonne dalle lunghezze inguinali e quei balletti sconci in cui chiunque non fa altro che strusciarsi con il primo o la prima che passa non lasciano porte aperte al mondo fatato di Ruth, e lei non è nient'altro che una creatura bizzarra come lo era il Bianconiglio all'inizio della favola di Alice.
<<Siete insieme?>> La voce acuta del barman la desta da quella sorta di stato di trance tentando di sovrastare il volume esagerato della musica.
Scatta con il viso nella sua direzione, confusa e a occhi sgranati, pregando di non fare una pessima figura nel caso in cui il ragazzo non si riferisca a lei. Poi ruota il capo nella direzione di qualcuno che deve aver preso posto al suo fianco poco prima.
Per colpa delle luci alterate che infastidiscono notevolmente le sue retine l'unica cosa che riesce a scorgere con chiarezza è un costume da Cappellaio Matto. A quel punto le pare scontato che il barman ce l'abbia proprio con loro, ma quando apre la bocca per dire di no il giovane indaffarato sta già raccogliendo le ordinazioni altrui.
Percepisce uno sguardo bruciare su di lei, audace, irruente. Quasi teme di voltarsi per scoprire a chi appartenga ma quando entra in contatto con un paio di iridi color nocciola scavati da due profonde occhiaie violacee disegnate grottescamente con del trucco si rende conto che si tratta proprio dell'uomo che le siede accanto.
Seppur dovendo sforzare la vista capisce immediatamente che deve essere più grande di lei, e non di poco. Un sorriso sghembo stranamente familiare calza a pennello sul suo volto, facendolo apparire molto più giovane rispetto a quanto in realtà debba essere.
<<Neanche se ci fossimo accordati prima...>> scherza lasciando la frase in sospeso per poi trangugiare un sorso del drink che sostiene nella mano destra.
Forse, pensa Ruth, è la prima volta nell'arco di quel poco tempo in cui ha varcato la soglia di quella discoteca che comincia a sentirsi a suo agio.
Quello sconosciuto dal volto amico la guarda senza l'ombra di pena o compassione per gli straccetti che rivestono il suo corpo, bensì come se avesse finalmente trovato qualcuno immerso nel suo stesso senso di inadeguatezza.
La osserva realmente incantato, come se quella giovane donna fosse una manna dal cielo, quasi per ringraziarla di essere capitata lì in maniera così casuale, immergendosi piacevolmente nella convinzione che si tratti di un segno mandato da qualcuno che volesse aiutarlo a non sentirsi più un pesce fuor d'acqua.
Ruth non l'ha mai visto prima e certamente non può trattarsi di uno studente del college, un professore forse, ma perché mai dovrebbe trovarsi lì allora? La curiosità la divora, è sempre stata una di quelle doti che l'ha condotta a fare le brutte figure peggiori della sua vita, quindi si dice che una in più o una in meno non faranno di certo la differenza.
<<Come ti chiami?>> Chiede adagiando la guancia sul palmo della mano, con il gomito a puntellare il marmo sulla superficie appiccicosa del bancone.
Il modo in cui le si avvicina parlando al suo orecchio provoca una scarica elettrica di brividi che scivolano in caduta libera lungo la sua schiena.
<<Facciamo che tu ti chiami Alice ed io sono solo il Cappellaio Matto>> accenna una risata ed il suo volto si illumina di un sorriso come non ne aveva mai visti prima.
Gli occhi vispi di Ruth, celesti come il cielo terso si accendono di un interesse che non credeva di possedere. E' sempre stata incredibilmente attratta dai misteri, e quell'uomo ne rappresenta l'apoteosi alla perfezione. <<E perché?>>.
Le lancia un'occhiata eloquente. <<Hai diciannove anni, no?>> Domanda retoricamente, come se conoscesse già la risposta, e Ruth si chiede come faccia a saperlo nonostante non si siano mai incontrati prima.
<<Sì, e allora?>> Inarca un sopracciglio confusa.
<<E allora mi piacerebbe continuare a sperimentare la vita fuori dalla galera>>. Le loro risa si mischiano, ma in quel momento Ruth si rende conto che non dovrebbe fidarsi di uno sconosciuto molto più grande di lei.
Non si accettano le caramelle dagli sconosciuti, le diceva sempre sua zia.
Ma in fondo lui non le sta offrendo alcuna caramella, e lei non è più una bambina, non fisicamente quantomeno.
Non lo interroga di rimando sulla sua età, non ha voglia di conoscerla, ha paura che spezzerebbe quell'aura di magia che si è creata in così poco tempo.
Preferisce convincersi che neanche i secoli sarebbero in grado di slabbrare la spirale del tempo in cui è riuscita a sentirsi adeguata anche se totalmente fuori contesto. Speciale, non solamente strana.
Grazie alla vicinanza riesce a tracciare con lo sguardo le radici ondulate dei suoi capelli riccissimi e ribelli, scuri e sicuramente colorati di arancione con una bomboletta spray, la barba ispida che si protende lungo le guance e il naso prominente.
Nonostante il travestimento ingannatore appura di trovarsi di fronte ad un uomo decisamente molto avvenente.
Quasi si sente in colpa dopo un pensiero del genere, come se il suo processo di crescita fosse stato accelerato da una manopola girata d'improvviso, al massimo. Non è pronta, e quell'aria vorace con cui analizzava i suoi tratti fino a poco prima svanisce del tutto.
Quella fastidiosa sensazione di disagio torna ad assalirla, ma quando si accorge che nell'atteggiamento del Cappellaio non vi è traccia di alcuna malignità il suo cuore torna a battere regolarmente.
Farebbe seriamente meglio a smetterla di lasciarsi divorare dalle paranoie così facilmente, non fa che farsi male. Le piacerebbe riuscire a cogliere il bagliore della leggerezza nella sua eterna vita da fanciulla, ma purtroppo è l'unica cosa di cui non è in grado di avvalersi, la facoltà di essere serena.
E' sempre stata un disastro di colori, come quello che si estende lungo la giacca elegante della sua nuova conoscenza, diecimila sfumature amalgamate senza una vera e propria connessione, sempre o troppo sature o troppo scialbe, tanto da risaltare talvolta esageratamente agli occhi di chiunque e altre di passare totalmente inosservata.
Non si sarebbe mai aspettata d'altronde che qualcuno la notasse sul serio e non solo per ridere del suo bizzarro vestiario come accadeva abitualmente, che qualcuno la vedesse anziché limitarsi a guardarla di sbieco con disapprovazione.
Non si tratta di una forma di insicurezza, bensì di quella caratteristica fanciullesca che nutre una certa urgenza verso il diventare grande, che in lei però avviene con il processo inverso, più cresce più desidera di tornare piccina, fino a scomparire.
<<Posso chiederti cosa ci fai qui? Non mi sembri un universitario>> constata guardandosi intorno, captando l'abissale differenza tra i suoi coetanei e il Cappellaio misterioso.
Posando entrambi i gomiti sul bancone e sostenendo il mento con i pugni incrociati lancia un'occhiata in un punto apparentemente casuale del locale, <<Diciamo che tengo d'occhio una persona, mi accerto che non combini guai>> fa spallucce.
<<Sei solo?>> Azzarda lei, finendo per arrovellarsi sulle proprie parole non appena riceve una risposta.
<<Cominci a chiedere troppo, Alice>> incalza il Cappellaio, guardandola da sotto le sopracciglia.
Ruth ingoia a vuoto imbarazzata abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia, ma sentendolo scoppiare in una fragorosa risata appura che si trattasse solamente di uno scherzo.
In fondo al Cappellaio è sempre piaciuto giocare.
Prendono a conversare dal nulla, scoprendo di avere stranamente un sacco di cose in comune. Ruth non si è mai sentita così tanto in sintonia con qualcuno, non ha mai incontrato nessuno con il suo stesso desiderio di tornare bambino.
Non scoprono niente di veramente personale l'uno dell'altra e ad entrambi piace pensare di non averne bisogno, che sia più affascinante immaginare chi hanno davanti anziché ridurre tutto ad una realtà fatta di limiti e confini.
Ridono del tutto e del nulla e i loro sgabelli si ritrovano progressivamente sempre più vicini fino a che le loro ginocchia arrivano a toccarsi.
<<Che ne diresti di andare via?>> Propone d'impeto una volta accantonato il suo drink in un angolo.
Ruth strabuzza gli occhi fuori dalle orbite, frastornata e allo stesso tempo terribilmente attratta da quella proposta, <<Insieme?>>.
Lui ride di rimando della sua incapacità di contenere alcuna reazione in maniera così esplicita.
<<Oh beh, se ti va potremmo anche camminare ai lati opposti della strada>> sorride beffardo, umidificandosi il labbro inferiore passandoci sopra la lingua.
La bocca di Ruth si increspa dalla vergogna, e anche se lui non può vederlo le sue gote si colorano di porpora. <<Non vorrei che la mia amica se la prendesse>>. Intorno non vi è traccia di Jo e lei ormai ha smesso di cercarla, ma l'ultima cosa che vuole è farle percepire la sua scarsa voglia di frequentare i suoi stessi ambienti o le sue stesse compagnie, in maniera particolare di fronte ad un'occasione del genere.
<<Sono certo che ti perdonerà>> si carezza distrattamente la barba prima di porgerle la mano ed invitarla con quel gesto a seguirlo.
Si fanno strada tra la gente, e grazie a quel contatto per Ruth è come se si aprisse un varco che le permette di respirare, che cancella quella sensazione di soffocamento che creava come una bolla di calore attorno al suo viso.
Escono dalla porta sul retro, trovandosi a pochi metri da diversi gruppetti scaglionati di ragazzi intenti chi a fumare chi a prendere una boccata d'aria.
Sembra di essere passati attraverso il portale di uno specchio, catapultati in un altro mondo molto più quieto, nel quale la sua pelle comincia a calzarle più comoda e meno ruvida in confronto a quella degli altri.
Quando si volta verso il Cappellaio è come se lo vedesse per la prima volta, la pelle ambrata coperta dal trucco, il sorriso largo e genuino, le ciglia estremamente lunghe che incorniciano gli occhi scuri talmente profondi da poterci affogare.
Possiede un qualcosa di familiare ma ha un'aria talmente stralunata che non riesce neppure a darci peso.
Si incamminano lungo un viale illuminato dal bagliore dei lampioni, sul marciapiede che costeggia un isolato di villette a schiera tutte molto simili.
Ruth si sente al sicuro, è buio ma non come nei suoi incubi e il Cappellaio non è l'uomo nero di cui sua zia le aveva parlato.
A dir la verità, appare talmente inoffensivo che le si scalda lo stomaco quando di sottecchi gli lancia occhiate fugaci.
Lui si guarda intorno per qualche istante, in silenzio, forse in attesa che lei dica qualcosa.
Sembrano due ragazzini alle prime armi nel nuovo universo in cui sono precipitati, con la piccola eccezione che lei lo è per davvero, lui decisamente no.
<<Allora, Alice>>. Lascia scivolare le mani dentro alle tasche dei pantaloni color bistro attraversati da righe verticali sottilissime spostando di poco la giacca variopinta lungo i fianchi. <<Cosa nasconde il tuo Paese delle Meraviglie?>>.
Quella domanda la destabilizza. Il suo mondo tutto contiene fuorché cose meravigliose, è una montagna russa di tormenti e la costante di sentirsi scomoda nei propri panni e in quelli degli altri.
Sempre troppo grande per sentirsi così piccola, sempre troppo bambina per il mondo dei grandi, proprio come quando nella fiaba Alice beve la pozione lasciata per lei sul tavolo e morde il dolce con su scritto "mangiami".
Preferisce far finta di non capire, mostrarsi più ingenua di quanto in realtà sia, è un meccanismo di difesa che ha imparato col tempo. A volte è meglio sembrare frivola che mettere in mostra le cicatrici.
<<Che intendi?>>. Incrocia le braccia al petto, come per nascondersi il cuore.
Lui però, sembra in grado di riuscire a spogliarla della sua corazza con un solo sguardo. <<Dubito che qualunque ragazza della tua età avrebbe gradito abbandonare una festa del genere per fare due passi di notte con uno sconosciuto>> constata stringendosi nelle spalle.
Un mezzo sorriso furbo le nasce sulle labbra, poi scuote lievemente il capo. <<Non sei uno sconosciuto, sei il Cappellaio Matto, e io non sono qualunque ragazza della mia età>> arcua le sopracciglia.
Di rimando lui ride, cacciando la testa all'indietro e la sua voce risuona talmente limpida da districare budella attorcigliate di Ruth e alleggerirle la mente come una nuvola. <<Me ne sono accorto, sai>>. I loro gomiti si sfiorano accidentalmente e i nervi le si arricciano sotto pelle. <<Non mi sembravi troppo a tuo agio>>.
<<Neanche tu se è per questo>> incalza, lasciandolo per qualche secondo con la bocca semi-aperta.
<<Touché>> risponde il Cappellaio in un pessimo francese contaminato dal suo forte accento australiano che le ricorda tanto quello di Jo. <<Non sono andato al college, prediligo un altro genere di feste in cui c'entrano poco le confraternite>> spiega.
<<Io non prediligo le feste in generale>> subito dopo averlo detto le sue labbra si riducono ad una linea retta da cui non passa alcuno spiffero, teme di apparire come una disadattata sociale ai suoi occhi, non che non lo sia ma di certo non è una buona prima impressione da dare.
Nelle iridi profonde del Cappellaio però, non vi è l'ombra di alcun giudizio.
<<E allora cosa ci facevi lì?>> Aggrotta le sopracciglia con fare indagatore.
Ruth sembra rimuginarci parecchio su prima di rispondere, la verità è che sta solo cercando un modo perché ciò che ha in mente non venga fuori come una cosa poco carina da dire.
<<Non volevo far star male una persona>> confessa poi.
<<La tua migliore amica?>> Ipotizza come se ancora una volta conoscesse già la risposta.
Lei indugia di nuovo, piegando lievemente il capo di lato come per esprimere quasi un dubbio, <<Non è esattamente la mia migliore amica ma sì>> conferma anche se non del tutto convinta.
<<Non dovresti fare cose che non ti piacciono per far stare gli altri in pace con sé stessi>> ribatte, e Ruth non può fare a meno di pensare che parli come se gliene importi davvero qualcosa di lei.
<<E' una vita che tento di fare tutti contenti e finisco sempre per essere una delusione, ormai ci ho fatto l'abitudine>> riflette più tardi su quanto appena uscito dalla sua bocca.
Forse gli ha messo tra le mani un pezzo troppo grande di sé, ed improvvisamente lo sente mancare come un tassello che salta via dal puzzle e teme che una volta condiviso possa non appartenerle più.
<<Sei sempre così sincera?>> Chiede visibilmente colpito dalla sua risposta.
<<Le bugie non sono il mio forte>> sussurra, talmente piano che persino lei ha il dubbio di averlo solamente pensato.
Per qualche istante cala un silenzio che però si rivela non essere né imbarazzante né vuoto. E' piuttosto pieno dei meccanismi che gli ingranaggi nella mente del Cappellaio accendono con lo scopo di interpretare quella frase.
La verità è che quel tassello adesso è in grado di far combaciare entrambi.
Nessuno dei due ha il tempo di metabolizzato però, perché Ruth scatta d'impeto come una scintilla appena appiccata.
<<Guarda!>> Indica puntando il in direzione di qualcosa che si trova più in là del marciapiede, squarciando l'aria con il movimento del suo braccio.
Lui ne segue la traiettoria voltandosi verso la grande piazza al centro della quale si erge un Carosello vecchio stile, con il tetto dalle sembianze dell'elegante tendone di un circo, intarsiato nei dettagli e decorato da figure coloratissime, sostenuto da pilastri color oro dal motivo a spirale e circondato da una staccionata all'interno della quale spiccano cavalli bianchi sellati con finte redini.
Senza neppure dare adito al fatto che sia notte fonda e che la giostra sia chiusa al pubblico Ruth si lancia in una corsa a perdifiato verso di esso, e non le importa di perdere per strada pezzi di sé, non le importa della corrente che le scompiglia i capelli, del cerchietto che si abbatte al suolo liberando le sue orecchie o della stoffa delle sue calze che continua a lacerarsi ad ogni passo.
Con una nonchalance tale da lasciare il Cappellaio tramortito afferra un ciottolo da terra e lo scaglia contro il vetro della cabina di comando sigillata che cade in frantumi, per poi lanciarsi con tutto il busto al suo interno e premere il pulsante di accensione.
Immediatamente i dintorni della piazza vengono inondati dalla melodia ripetitiva che accompagna il lento roteare della piattaforma costellata da riproduzioni fantasiose di unicorni e qualche pegaso oltre che i comuni equini.
Non appena lei, intenta a scavalcare la piccola ringhiera si volta per fargli cenno di raggiungerla non se lo fa ripetere due volte, non ha neppure il tempo di arrivare però che la sua Alice si è già lanciata in sella ad uno di quegli animali, aggrappandosi con le mani all'asta piantata al centro della sella, la schiena tutta protesa all'indietro, le palpebre abbassate e i capelli mossi dalla brezza appena issatasi.
E' una visione eterea, e lo diventa ancor di più quando anche lui riesce ad arrampicarsi fino a raggiungere il destriero dietro al suo. I piedi strusciano sul pavimento di legno per via dell'altezza fuori misura rispetto a quella pensata per una giostra del genere, ma sente di non poter desiderare di meglio.
È il Paese delle Meraviglie di un Daniel Ricciardo travestito da Cappellaio Matto che dalla vita non desidera altro che tornare bambino.
Qualcuno che gli restituisca l'innocenza che i soldi e la fama gli hanno strappato. Qualcuno che gli faccia sorridere il cuore come quella ragazzina fuori dagli schemi che ride gioiosa sul cavallino di una giostra.
La musica culla il movimento dei loro sedili fino a farli sentire come trasportati dalle onde del mare, fino ad estraniarsi da se stessi ed essere scossi da risate che non hanno una vera motivazione all'infuori della felicità e della spensieratezza di un momento del genere.
Almeno fino a quando non vengono scossi dal vocione di un uomo che da un angolo della piazza viene giù da un camper malconcio con in mano un piede di porco. Deve trattarsi certamente del proprietario della giostra, si dicono entrambi.
Si guardano con eloquenza, mentre i battiti accelerati scandiscono il ritmo di ciò che pronunciano all'unisono: <<Scappa!>>.
Saltano giù in preda all'adrenalina e senza ulteriori indugi fuggono a gambe levate. Lui la afferra saldamente per il polso così che non possa rimanere indietro e i loro passi pesanti rimbombano sull'asfalto mentre l'uomo tenta di non perdere le loro tracce.
Imboccano un vicolo pregando che quest'ultimo si sia stancato e che non li abbia visti nascondersi proprio lì.
Solo una volta stemperata ogni scarica di epinefrina presente nei loro corpi si rendono conto di quanto strette siano le mura contro le quali poggiano le loro spalle, tanto da permettere ai loro respiri irregolari e affannati di mischiarsi, ai loro nasi di sfiorarsi, ai vasi sanguigni dei loro polsi ancora attaccati di bramare di legarsi stretti come doppi nodi.
E' a quel punto che al Cappellaio non rimane di far altro che azzerare le distanze, inevitabilmente attratto dal rossore del viso della sua Alice, dalle sue labbra gonfie di sorrisi che tenta fugacemente di baciare prima che lei strabuzzi gli occhi e si scosti da lui.
Ma la verità è che per quanto tentasse di celarlo, quella di Alice era solo paura di svegliarsi da quel sogno ad occhi aperti e tornare sul ramo di quell'albero, piena di qualcosa che non può definirsi amore ma neppure qualcosa di inferiore.
Perché se il Paese delle Meraviglie la attendeva da così tanto allora non può che immaginare di esserci già stata almeno una volta, e di aver di certo lasciato qualcosa di incompleto.
<<E' da matti, neppure ti conosco>> mormora con la voce che trema.
<<Ti svelo un segreto, Alice>> sussurra al suo orecchio sfiorandone il lobo, provocandole un incessante tremolio alle ginocchia. <<Tutti i migliori sono matti>>.
E allora, Ruth o Alice che sia, non può che pensare che se l'orologio del Bianconiglio ha desiderato che lei dimenticasse di comprare un costume per quella sera e se i poteri dello Stregatto hanno portato la sua immaginazione proprio su quel vestito allora non può che essere inevitabilmente finita nel suo posto giusto, nel suo momento giusto.
Nel suo Paese delle Meraviglie.
E finalmente, quando intreccia le dita ai foltissimi capelli ricci del Cappellaio e si abbandona alle sue labbra tinte di rosso smette di sentire quella costante sensazione di precipitare nel vuoto.
Perché se a volte per sempre dura un solo secondo, quella notte è il suo per sempre.
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