Daniel Ricciardo // HIT THE MARK

Daniel Ricciardo viene spesso contrassegnato dalla sua famiglia come acchiappasogni, e non nel senso che scaccia gli incubi, ma che è in grado di filtrare il male da ogni fantasticheria e trasformarla automaticamente in un'esperienza irripetibile che sarebbe da stupidi lasciarsi scappare.

A Daniel Ricciardo piace acchiappare i sogni degli altri e renderli irrinunciabili, perché lui il suo l'ha inseguito e lo insegue fino all'ultima fetta di cuore, e vuole che chiunque ne abbia uno possa fare lo stesso. Per questo, anche se un po' con l'amaro in bocca, ha convinto l'apprensiva mamma chioccia sorella Michelle a iscrivere Isaac alla dodicesima disciplina di cui quell'anno ha aspirato a diventare campione olimpico.

Di certo tutto può dirsi di suo nipote tranne che sia un bambino con le idee chiare: prima il nuoto, poi l'improvvisa passione per l'equitazione, il judo, il calcio, il basket, il salto in alto, l'hockey su ghiaccio, persino il badminton e chi più ne ha più ne metta. Il tutto dipende in gran parte dall'ultimo film visto, per cui sua sorella ha pensato bene di disdire qualsiasi abbonamento fatto negli ultimi sei anni presso qualunque rete privata.

Ma a quanto pare è servito a poco, perché dopo essere tornato da casa di una sua compagna di scuola con la quale si è rituffato nel magico mondo della Disney grazie a The Brave, adesso Isaac si è messo in testa di voler praticare tiro con l'arco.

Alla trentaquattresima crisi di pianto di sua sorella terrorizzata dall'idea che suo figlio possa tornate a casa con una freccia piantata in fronte Daniel ha deciso di iscriverlo lui stesso, perché aspettando Michelle chiaramente Isaac avrebbe spento la cinquantesima candelina senza aver mai neanche visto un bersaglio.

La verità è che, non avendo bambini suoi, il pilota teneva chiusa in un cassetto la speranza di trasmettere la sua di passione al nipote, che quella scheggia impazzita dalla quantità industriale di capelli biondi un giorno se ne uscisse con <<Uncle Danny, portami ai kart>>, ma dopo quasi sette anni quel momento non è ancora arrivato, perciò dovrà farsene una ragione.

Ed è con questa consapevolezza che parcheggia la sua McLaren dalla sobria tonalità d'arancione nel parcheggio della scuola di tiro con l'arco migliore di tutta l'Australia per riportare a casa il piccolo gnomo dopo la sua prima lezione. <<Tuo il sì, tue le responsabilità>>, parole di mamma chioccia.

Suo cognato naturalmente non pervenuto nelle decisioni familiari perché, da buona discendente di Grace Ricciardo, Michelle ha le stesse capacità di accettare i pareri altrui che aveva Adolf Hitler, per cui toccano a lui accompagnarlo e andare a riprenderlo, comprargli le attrezzature necessarie, controllare periodicamente che la sua assicurazione non sia scaduta nel caso qualche altro bambino lo scambiasse per il bersaglio, cose così.

Sguscia fuori dallo sportello dell'auto sportiva per poi fermarsi per un'istante ad osservare l'enorme struttura che si impone di fronte ai suoi occhi e che all'andata, per la fretta, non aveva avuto il tempo di considerare.

Si tratta di una tenuta mastodontica del tutto immersa nel verde, delimitata da alte staccionate in legno, con tanto di stalle ospitanti gli equini per l'arceria a cavallo. Daniel si addentra oltre il cancello senza pensarci, né tantomeno prestando attenzione al cartello che a caratteri cubitali informa che la struttura non è aperta al pubblico di visitatori e di attendere i bambini soci nell'apposito settore dedicato ai genitori o chi ne fa le veci.

Imbocca il sentiero di breccia che provoca un piacevole trapestìo sotto le suole lisce delle sue scarpe da ginnastica, accostato da entrambi i lati da una scia di alberi secolari che si impongono sulla sua figura. Sembra quasi di star facendo un'escursione verso un castello ottocentesco. Gli sfugge una risata ad immaginare un giovane rampollo in sella al suo destriero che lo saluta chiamandolo Milord.

Oltrepassati i box dai quali si può udire il suono degli zoccoli battere sul terreno si ritrova di fronte ad un vastissimo prato dall'erba rasata dal quale sono ritagliate delle postazioni sulle quali un allievo alla volta si posiziona per tirare.

Daniel individua tre gruppi formati da ragazzini di età diverse in base alle quali le postazioni sono più vicine o lontane al bersaglio e gli archi variano di dimensione. Nel primo gruppo che sembra essere sul punto di terminare trova con lo sguardo suo nipote, che concentrato sull'operato di un ragazzo più grande qualche metro più in là ignora totalmente lo sventolare delle sue mani.

Vista l'assenza di considerazione del nipote nei suoi confronti e l'imminente ritardo per la cena decide di avvicinarsi, chiamandolo ad alta voce, ma non ha il tempo di muovere un altro passo che una freccia si pianta un millimetro sopra la sua testa coperta dal cappellino con il numero tre, dritta nella corteccia dell'albero alle sue spalle.

Ed è nell'arco di un secondo che si vede arrivare in contro una massa inquantificabile di ricci rossi in groppa ad un bestione di almeno trecento chili che si alza su due zampe stridendo in un nitrito che squarcia in mille pezzi la visione della sua intera vita che gli passa davanti.

<<Lontano dai miei bambini>> una voce femminile, forte, decisa, con un marcato accento scozzese, rivela l'amazzone che riporta il maestoso cavallo dal manto nero come la pece con tutte e quattro le zampe a terra, senza neppure sfiorarlo.

Daniel rimane totalmente inebetito da quella visione, forse perché ha ancora il cuore che batte più veloce della sua monoposto ed era a tanto così da farsela nei pantaloni.

Quando la donna dalla lunga e incolta chioma scintillante viene giù dal destriero e avanza a passi pensati nei suoi alti stivali, con gli occhi di smeraldo minacciosamente puntati nei suoi, gli sembra di trovarsi di fronte alla reincarnazione di Merida di The Brave, ma più bella e decisamente più incazzata.

Brandisce ancora l'arco nella mano destra, tenendolo però basso lungo il fianco, mentre legata alla sua spalla sinistra vi è la sacca da cui fuoriescono le code piumate di altre quattro frecce.

<<Come si permette ad entrare in una struttura privata senza alcuna autorizzazione e avvicinarsi ai bambini?>> Starnazza furiosa, senza un velo di incertezza nella voce potente di un'adulta, non di una semplice ragazzina.

<<Come mi permetto io?!>> Daniel si punta il pollice contro il petto strabuzzando gli occhi fuori dalle orbite. <<Stavi per piantarmi una freccia in fronte!>> Apre teatralmente le braccia rendendosi conto che la metà dei presenti comincia ad accorgersi di quel siparietto.

<<Esigo che mi si dia del lei>>. La rossa muove ancora un passo facendo quasi sfiorare la punta delle loro scarpe. <<E soprattutto, esigo di sapere perché un uomo della sua età sia venuto qui ad importunare i bambini>>.

In uno scatto nervoso di pura incredulità Daniel afferra la freccia incastrata sopra la sua testa e la estrae dalla corteccia per poi gettarla senza alcuna delicatezza sull'erba del prato. <<Importunare i bambini? Mi ha preso un per un pedofilo?! Sono venuto a riprendere mio nipote>> si giustifica indicando il gruppo dei più piccoli nel quale ha perso di vista Isaac.

Quella sorta di Valchiria dal volto costellato di lentiggini e le sopracciglia aggrottate ride di scherno. <<Chissà perché dicono tutti così prima di rinchiuderli in qualche cantina>> dovrebbe avere il suono di una domanda retorica, ma qualsiasi cosa dica a Daniel continua a sembrare una minaccia.

Sempre più scioccato rimane per qualche secondo a bocca aperta. <<Spero che si tratti di uno scherzo>> schiocca la lingua contro il palato portandosi le mani sui fianchi.

Ad una di esse però, se ne avvolge una più piccola che in una folata di vento pare materializzarsi come sua salvezza. <<Che scherzo, uncle Danny?>> Chiede il piccolo Isaac tutto contento.

Senza dare una risposta al nipote Daniel indica il bambino con eloquenza, <<Visto?!>>.

Inizialmente un po' sbigottita a Merida mancano le parole, ma quella donna si rivela essere come i gatti, cade sempre in piedi. <<In ogni caso avrebbe dovuto aspettare insieme agli altri genitori, non ha visto il cartello all'entrata?>> Chiede con aria saccente, dall'espressione sostenuta di una che sa di stare dalla parte della ragione.

L'australiano si gratta la nuca, colpevolizzando silenziosamente se stesso per avere sempre la testa tra le nuvole. <<Che cartello?>>. Sorride per smorzare la tensione, in uno di quei sorrisi a cui ogni dente equivale ad un raggio di sole, socchiudendo gli occhi in due mezze lune rivolte all'ingiù.

<<In tal caso siamo entrambi nel torto, con l'unica eccezione che io ho il diritto di proteggere i miei bambini dai malintenzionati>>. Si china per recuperare la freccia da terra per poi riporla nella faretra, senza più degnarlo di uno sguardo.

Decide lei se il discorso è chiuso, e in quel momento, qualunque cosa lui ribatta le sue orecchie non sentiranno altro che il fastidioso brusio di una mosca che ronza intorno al suo orecchio.

<<E io di certo non lo sono>> ci tiene a precisare il pilota. <<E poi i suoi bambini? Cos'è Miss Peregrine?!>> Borbotta ormai tra se e se. Neanche se fosse davvero la tutrice di un orfanotrofio come quella del film potrebbe prendersi la briga di trattare così la gente.

<<No, è la mia istruttrice, uncle Danny>> rivela allora il piccolo Isaac, godendosi di tutto cuore la carezza che la donna fa scorrere sui suoi capelli dorati.

<<Ghylde Doherty, istruttrice nonché proprietaria della tenuta>> gli porge la mano libera così che lui possa stringerla.

E quando lui lo fa si sente come investito da un'energia disumana, come una scarica di brividi che si estende lungo tutto il suo braccio. <<Daniel Ricciardo, mi dispiace per l'inconveniente>> assottiglia le labbra quasi fino a farle sparire, volgendole un'occhiata cordiale.

Ma il volto di Ghylde è solcato da un ghigno furbo mentre le palpebre si affilano fino a creare un'ombra scura sulle iridi brillanti. <<A me dispiace di aver preso male la mira>>.

Subito dopo, dandosi lo slancio dalla staffa, rimonta in sella e al primo colpo di redini di lei non rimane altro che un polverone provocato dalla corsa dell'animale e una macchia quasi arancione che in lontananza si fa sempre più piccola.

A quel punto a Daniel non rimane che incassare il colpo, nonostante non smetta di rimuginarci su per tutto il viaggio di ritorno. Insomma, potrà anche essere la titolare di quel posto ma senza la gente che iscrive lì i suoi figli sarebbe la proprietaria soltanto di una montagna d'erba e legno da ardere, oltre che di una casa che farebbe invidia ad un castello, ma questo è solo un dettaglio.

Non può permettersi di trattare così la gente, si dice.

Daniel è stato educato alla gentilezza da suo padre e alla determinazione da sua madre. Ha plasmato la sua intera vita attorno a questi due principi, e se c'è una cosa che non ha mai sopportato sono i prepotenti, quelli che credono che tutto gli sia dovuto e lo ostentano.

Non ha mai sopportato le persone come lei, che rigirano la frittata per passare dalla parte della ragione, che si nascondo dietro la maschera dell'eroe per camuffare la faccia da cattivo.

Non c'è nulla di male a proteggere i bambini da possibili malintenzionati, anzi, è proprio un suo dovere in quanto in quel lasso di tempo se ne assume la responsabilità, ma una volta scoperto che lui tutto era fuorché uno di questi non ci sarebbe voluto niente a scusarsi, avrebbe fatto anche più figura.

Ma quella donna, dietro una bellezza mozzafiato, cela degli occhi crudeli.
E non crede di esagerare, nonostante ci abbia parlato mezza volta, perché se Daniel Ricciardo ha un talento oltre a correre a trecento all'ora è disegnare le persone nella sua mente al primo sguardo, e mentre le linee delimitano i confini a lui sembra di conoscerle da sempre.

E di lei, anziché un ritratto nitido, è venuto fuori uno scarabocchio, il che non può essere presagio di nulla di buono.

A destarlo dai suoi pensieri è l'invitante profumo del barbecue di Joe, che nel giardino di casa si sventola con un vassoio di plastica per via del caldo emanato dalla griglia. Sorride d'istinto non appena si accorge dell'arrivo del figlio con il nipote a seguito, salutando entrambi con la mano alzando il braccio a mezz'aria.

Prima di introdurre la McLaren in garage Daniel nota con la coda dell'occhio la presenza anche di Grace che scende spedita le scale del portico per portare al marito una scodella piena di costolette ancora crude che presto assumeranno quel perfetto colorito che al solo pensiero gli fa venire l'acquolina in bocca.

E' ora di lasciarsi alle spalle l'inconveniente dell'istruttrice. In fondo il modo migliore per svuotare la testa è riempirsi la pancia.

All'incirca mezz'ora dopo tutti si sono già accomodati al grande tavolo di legno del giardino sul retro, munito di panche la cui scomodità passa in secondo piano di fronte ai piatti che hanno davanti.

Quando anche Joe arriva con in mano il suo, grondante di ogni tipo di salsa piccante esistente al mondo, possono dirsi pronti a consumare l'ennesima cena di famiglia da quando Daniel è tornato, che dopo quasi due anni di lontananza sembra sempre la prima.

Con Michelle che imbocca la piccolina con minuscoli pezzi di carne e suo marito che la incoraggia a lasciarla mangiare da sola, Grace che si siede canonicamente troppo lontana dalla saliera e chiede che le venga passata ogni tre secondi e Joe che mentre addenta una costoletta osserva fiero il suo operato.

E qui non si parla della perfetta doratura dell'agnello o della pellicina che viene via dall'osso come un guanto di velluto sfilato ad una dama dalle mani eleganti. Qui si parla di quel capolavoro di famiglia, con i suoi difetti, le sue stranezze, le bizzarrie di ognuno di loro.

Quel figlio che ha costruito un sogno dal nulla, e a trentadue anni lo insegue come fosse il primo giorno.

Quella figlia che sarebbe capace di far fare retromarcia anche ad un uragano per quanto è combattiva.

Quel genero che credeva non sarebbe mai arrivato per colpa della cocciutaggine di quella ragazzina ai tempi vent'enne che continuava a rifiutarlo.

Quei nipoti che sono la luce dei suoi occhi e sono in grado di farlo tornare bambino.

E quella moglie, che nonostante lo comandi a bacchetta da quasi quarant'anni, gli ha regalato quel miracolo.

E Daniel se ne accorge, se n'è sempre accorto dell'orgoglio di suo padre nel fermarsi ogni giorno a realizzare che non poteva andargli meglio di così. E in fondo quell'orgoglio lo prova anche lui, ogni volta che torna da loro e si rende conto di non essere poi così solo.

Perché sì, ci sono gli amici, c'è Max che è anche più di un fratello. Ma quello, quello non potrà replicarlo mai nessuno, ed è il motivo per cui, ogni volta che qualcuno viene a sapere che viene dall'Australia e gli chiede se non abbia paura dei ragni mostruosi che si trovano nel continente lui risponde che di ragni non ne ha mai visti lì, perché c'è sempre stata la sua famiglia a tenere lontane le ragnatele.

Ciò che però fa tremare Daniel è la domanda, o meglio la serie di domande, che sua sorella pone al figlio maggiore a metà della cena: <<Allora, Isaac, com'è andata oggi? Cosa avete fatto? Non ci racconti nulla?>>.

Mentre il sangue gli si congela nelle vene prega vivamente che la risposta di suo nipote ricordi la più in voga delle sue ai tempi della scuola, ovvero <<Niente>>, ma chiaramente sarebbe troppo bello per essere vero.

<<È andata bene ma zio Daniel ha litigato con l'istruttrice>>. Ed ecco che la magia si spezza, perché spesso e volentieri l'eccessiva sincerità dei bambini può rivelarsi un'arma a doppio taglio, e Isaac l'ha data in mano a Michelle a cui basta un'occhiata per traforargli il petto con una coltellata immaginaria.

<<Che cosa significa, Daniel?>>.
Inarca le sopracciglia, facendo quelli che lui e Joe chiamano gli occhi da pazza, che la rendono incredibilmente somigliante a Grace nonostante sia identica al padre al contrario di Daniel.

<<Non è che ci ho litigato, c'è stato un malinteso>>. Gesticola facendo venir fuori le sue radici italiane, roteando le mani quasi come se ci tenesse in mezzo una palla, per farle capire che le cose non sono andate esattamente così, quando invece è il contrario.

Michelle tende le labbra in un'espressione scettica, molto vicina a spazientirsi. <<Che genere di malinteso?>>. Mette giù la forchetta con la quale stava imboccando la bambina incrociando le braccia sul tavolo, contro ogni regola del galateo che, mangiando tutto con le mani, hanno infranto da un pezzo.

Avendo vissuto insieme a lei metà della sua vita è consapevole che, quando Michelle comincia ad entrare nella parte del poliziotto cattivo durante l'interrogatorio, ci sono solo due cose da fare: mentire o levigare la verità per renderla meno spigolosa.

<<Credeva fossi un pedofilo perché sono entrato senza autorizzazione>> taglia corto, senza arricchire il racconto di futili dettagli come la freccia che stava per trapassargli il cranio.

Batte più volte le palpebre, come se in quel frangente che alterna buio e luce l'affermazione appena fatta dal fratello potesse sparire, cancellandosi definitivamente dai suoi ricordi. <<E precisamente esiste un motivo valido per cui tu l'abbia fatto?>> Scandisce bene ogni sillaba, e ognuna di esse equivale ad un tentativo diverso di omicidio che sta pianificando nella sua mente.

L'altro ingoia a vuoto, stringendosi nelle spalle larghe. <<Non avevo visto il divieto>> ammette la propria distrazione, per la seconda volta quel giorno.

La famiglia li osserva divertiti, sembra di assistere alla litigata tra un barboncino e un alano, in cui chiaramente vincerà il barboncino, di cui naturalmente Michelle indossa le vesti.

La maggiore si spalma le mani sul viso, sfiorando i ricci da poco tagliati sopra le spalle che accentuano ancor più la somiglianza con la razza canina francese. <<Un pilota che non sa leggere i cartelli, la mia vita è una barzelletta!>> Le parole risuonano soffocate, e Daniel sa quanto poco manchi al conto alla rovescia che segna l'arrivo imminente di una crisi di nervi. <<Quantomeno ti sei scusato?>> Sospira lei, cercando di mantenere la calma.

Ed è lì, quando la discussione avrebbe tranquillamente potuto estinguersi come i dinosauri alla fine del Cretaceo, che Isaac interviene nuovamente, aggiungendo una data di morte alla lapide di suo zio. <<Lo ha fatto, ma lei ha detto che avrebbe preferito piantargli una freccia in fronte anziché accettare le scuse>> ride con leggerezza prima di addentare un altro pezzo della sua costoletta.

Daniel lo trucida con lo sguardo nonostante il bambino, troppo impegnato a gustarsi la sua succulenta cena, non lo degni minimamente delle sue attenzioni. <<Oh andiamo, non è andata esattamente così>> tenta di mettere le mani avanti, ma sorprendentemente sua sorella non ha alcuna reazione.

Torna tranquillamente ad imboccare sua figlia, come se non avesse neppure sentito quanto detto dal maggiore dei due. Poi, in tutta tranquillità, esordisce con: <<Comunque sia andata tu domani tornerai lì e ti scuserai nuovamente con lei, in maniera convincente questa volta>>.

Il pilota sbuffa sonoramente, sfiancato al solo pensiero di dover rivedere quella presuntuosa. <<Dimmi che non sei seria>>. Aveva già costruito il suo programma per i prossimi quattro giorni, ovvero finché Isaac non si sarà stancato del tiro con l'arco e improvvisamente appassionato al balletto classico, e il tutto consisteva semplicemente nell'accompagnarlo all'ingresso e tornare a riprenderlo esattamente nello stesso punto.

La forchetta si alza a mezz'aria e lui già prevede una vita da cieco. <<Mio figlio non verrà preso di mira perché mio fratello è un idiota, è chiaro?>> La durezza del suo tono non ammette repliche, ma suo cognato, armatosi di coraggio arriva in sua difesa.

<<Suvvia Mich, non farla così tragica>>. Cerca di tranquillizzare la moglie carezzandole la schiena tesa come una corda di violino, mentre di nascosto rivolge un occhiolino a Daniel.

Immediatamente Michelle si volta esterrefatta verso il suo consorte, già pronta ad attaccare con la sua manfrina pre-scaricabarile. <<Cos'è? Ti stai coalizzando con lui? Vuoi che tuo figlio venga bullizzato? Perché se vuoi che venga bullizzato puoi dirmelo eh>> la voce si fa più acuta, tanto che i timpani di Daniel potrebbero confermare che ha di certo superato il massimo di decibel sopportabili per un essere umano.

E immediatamente il suo plotone di battaglia annuncia l'ammutinamento: <<Facciamo finta che io non abbia mai aperto bocca>> si lascia sfuggire una mezza risatina per via dell'esagerazione della sua sposa, ma quel suono per Daniel equivale ad essere lasciato da solo prima di venire massacrato.

<<Se quella donna non accetterà le tue scuse ritirerò l'iscrizione di Isaac e avrai rovinato il sogno di tuo nipote>> gli punta contro la forchetta, mentre il piccolo esserino seduto di fianco a lei la segue con sguardo incantato, in attesa di essere nuovamente imboccata.

<<Mich->> tenta di replicare ma lei lo interrompe immediatamente.
<<Sono stata abbastanza esaustiva?>> Chiede sbuffando dal naso come un toro inferocito.

<<Decisamente>> mugola incassando ancora una volta il colpo, per poi sfogare tutto nel povero pezzo di carne che suo padre, per pietà, aggiunge al suo piatto.

Il pomeriggio seguente, dopo aver risistemato arco e frecce nel portabagagli Isaac è già appollaiato a gambe incrociate sul sedile anteriore del passeggero intento a finire il suo succo di frutta alla mela nel frattempo che Daniel pensa ad accartocciare la sua dignità tornando da quella donna.

Non appena lo zio lo raggiunge gli carezza la nuca ricoperta da soffici ciuffi biondi, dopodiché i due si gettano nel vivo di una discussione i cui argomenti vertono inizialmente su quale personaggio Marvel sia il più forte fino ad arrivare alla repellenza del bambino per la matematica.

Questo è uno dei tanti motivi per cui ama passare del tempo con suo nipote: per quanto diversi, sono estremamente simili. Hanno interessi differenti, talenti differenti, soprattutto età differenti, ma sarebbero capaci di parlare di qualsiasi cosa in qualsiasi momento, anche quello meno opportuno, e soprattutto di ridere e far ridere chiunque anche quando non dovrebbero.

Quei due anni passati lontani hanno penalizzato tanto il loro rapporto, ma Daniel è stato entusiasta di scoprire che il piccolo Isaac non è dello stesso avviso.

Daniel non lo ha visto crescere, ma per lui non è cambiato niente, per quel ragazzino il pilota rimarrà sempre uncle Danny, e ciò che lo rende ancor più gonfio di orgoglio è che nessuno dei fratelli di suo padre in quell'arco di tempo sia riuscito a prendere il suo posto.

Una volta arrivati alla scuola di tiro con l'arco a Daniel sorge un dubbio: per scusarsi dovrebbe entrare, ed entrare significherebbe violare ancora una volta il cartello, ciò vorrebbe dire essere rimproverato una seconda volta. Ma in fondo qualsiasi cosa è meglio dell'ira di Michelle.

<<Buongiorno>> Saluta non appena in mezzo a decine e decine di bambini scorge la sua figura a fianco di un'altra ragazza, probabilmente un'altra istruttrice.

Quest'ultima, notando l'espressione omicida sul volto di Ghylde che si volta lentamente nella direzione di Daniel, sorride apertamente ad Isaac portandolo via con sé, lanciando uno sguardo compassionevole al pilota prima di defilarsi.

La donna lo punta come un predatore intento a meditare sulla maniera più dolorosa in cui ucciderà la sua preda, e a quel punto Daniel si chiede se non sarebbe stato meglio accompagnare Isaac e andare via, raccontando a Michelle una montagna di frottole per passarla liscia.

<<E' sordo o analfabeta? Che cosa non ha capito di "vietato l'ingresso ai visitatori"?>> Ringhia, già sulla difensiva.

L'australiano alza le mani ai lati del capo come se gli avessero appena puntato contro una pistola, sfoderando uno dei suoi migliori e più ammalianti sorrisi. <<Sono venuto soltanto per scusarmi per il malinteso di ieri, non vorrei che i dissapori che ci sono stati tra di noi influenzino le lezioni di Isaac>> tenta di essere il più cordiale possibile ma l'ultima frase è come fare un capitombolo da decimo piano.

Difatti gli occhi di Ghylde per poco non escono dalle orbite, mostrandosi profondamente offesa. <<Mi sta accusando di fare favoritismi?>>.

I presenti cominciano a notarli come la prima volta, girandosi pian piano ad osservarli di sottecchi, per cui Daniel tenta immediatamente di rimediare.

<<No, assolutamente! Volevo solo dire->> comincia ma viene immediatamente interrotto senza poter terminare la frase.

<<Sta solo peggiorando la situazione, lo sa questo?>> Piega il capo di lato, spazientita.

Al solo pensiero della reazione che potrebbe avere sua sorella Daniel congiunge le mani come un monaco in preghiera. <<Come posso farmi perdonare?>> Chiede tentando di mantenere un minimo di contegno senza mostrarsi disperato.

<<Sparendo dalla mia vista>> ribatte lei piccata. Passano pochi istanti in cui però, nella mente di Ghylde scattano diversi meccanismi in grado di progettare un modo perfetto di approfittare della situazione. <<Anzi, ora che ci penso, ultimamente con tutta questa affluenza mi farebbe comodo un assistente, sa?>>. Sposta il peso da una gamba all'altra poggiando una mano sul fianco mentre lo smeraldo dei suoi occhi brilla di furbizia.

Sbigottito, Daniel per poco non spalanca la bocca. <<Io? Il suo assistente?!>>. Immagina perplesso a quanto assurda potrebbe mai essere quella situazione.

<<Altrimenti può comodamente andare a casa e non tornare mai più>> Ghylde gli offre un'altra soluzione, ma entrambi sanno che si tratta di un tranello. Daniel non ha scelta.

<<No, va bene. Accetto>> fa di mala voglia, passandosi nervosamente una mano tra i folti ricci bruni.

Sul volto della rossa si dipinge un ghigno fiero, e senza degnarlo di ulteriori attenzioni pare tornare a dedicarsi al suo lavoro, non prima però, di essersi nuovamente voltata per precisare: <<Ah, e naturalmente gratis>>.

Non può essere vero, si dice, è per forza un incubo.

Di lì ai giorni seguenti durante gli allenamenti dei ragazzi Daniel ha il compito di trasportare il materiale da una postazione all'altra a seconda degli spostamenti di Ghylde, allontanare o avvicinare i bersagli a seconda dell'allievo, pulire le stalle dei cavalli e ancora mille altri incarichi, compreso riporre tutte le attrezzature una volta terminato.

Quantomeno è riuscito a fare amicizia con gli altri istruttori, che si è scoperto temano Ghylde molto più di lui, e non perché sia la tiranna che lui aveva immaginato, semplicemente perché a detta loro ogni sua mossa è imprevedibile, e anche se può non darlo a vedere è una vera ribelle.

Sarebbe capace di ribaltare tutto in un secondo, licenziarli uno per uno perché il primo pensiero che è accorso nella sua mente al mattino è quello di voler gestire tutto da sola, per conto suo, senza bisogno dell'aiuto di nessuno.

È un grosso blocco di pietra che nasconde al suo interno un meraviglioso cristallo affilato, in grado di tagliare persino l'aria. È un cavallo selvatico addomesticato, prestante, elegante, terribilmente enigmatico, ma in grado di impazzire da un momento all'altro.

E più la guarda da lontano mentre semina la biada nelle mangiatoie più gli viene da ridere, solo ad immaginarla a commettere una follia così composta e calcolatrice come sembra, ma non può che vedercela incredibilmente bene nel ruolo della coraggiosa e indomabile principessa che da un momento all'altro decide di voler stravolgere il suo destino.

È fatto così Daniel, fantastica troppo e idealizza i sogni degli altri, così da intrappolarli nell'intreccio della sua rete ed imporsi di realizzarli.

E in quel lasso di tempo si rende conto che forse il suo sesto senso si sbagliava su Ghylde, che non è così cattiva come sembra. Non è quello il modo in cui una persona cattiva si relazionerebbe a dei bambini, non potrebbe averne cura come ne ha lei.

Così, nel frattempo che suo nipote impara a centrare il segno, lui non smette di osservare il modo in cui lei si muove, la premura con cui tratta i ragazzi e la severità con cui si rivolge ai suoi pari.

Ma i momenti preferiti di Daniel, quelli che rimangono impressi nella sua mente come istantanee, sono le brevi pause in cui quell'enorme groviglio di riccioli rossi sembra scomparire dal campo visivo, ma poi la ritrova lì, ai margini della foresta, che a passo pesante si disperde tra gli alberi e fa ritorno dopo una manciata di minuti.

Il suo volto sembra distendersi in quegli istanti, quel cruccio costante pare scivolare via dalla sua pelle come una cascata d'acqua e quella sua postura marmorea si rilassa, facendole riassumere le sembianze della ragazza stupenda che è anziché di una titanessa pronta a pilotare una battaglia.

Oramai è quasi il tramonto e l'affluire dei ragazzi verso l'uscita gremita di genitori lascia libero il grande prato che Daniel già sa di dover provvedere a pulire.

Mentre avanza nella sua tuta da lavoro gentilmente offerta dal capannone della famiglia di Ghylde si munisce di un sacco per la spazzatura e un bastone appuntito per raccogliere le varie cartacce sparse, punte di frecce scheggiate o spezzate sicuramente irrecuperabili, frutti precipitati da poveri alberi colpiti accidentalmente.

Vista l'immensa vastità di terreno verde sospira pesantemente al solo pensiero di quanto ci vorrà, ma ci ha fatto l'abitudine nonostante preghi ogni giorno di più che suo nipote si stufi di quello sport per darsi al pattinaggio artistico o chissà cos'altro.

Isaac lo aspetta accovacciato tra le radici di un albero a consumare tranquillamente il suo sandwich alla marmellata e burro di arachidi, ma oltre a lui, l'australiano si rende conto di non essere solo.

Difatti, di rimpetto al rossore del cielo se ne presenta uno dagli stessi riflessi arancioni, ma appartiene alla chioma di Ghylde, che all'altro lembo del prato lo aiuta silenziosamente, raccogliendo anche lei ciò che quei caotici ragazzini hanno lasciato al loro seguito.

Non sa se si tratta di un gesto di cortesia o solo di un invito a sparire da lì il prima possibile, e forse neppure gli importa saperlo.

La guarda di sottecchi mentre infilza i rifiuti come se dovesse assassinarli, e ogni tanto solleva il capo verso la sua casa, una finestra in particolare. È la più grande, ma stranamente non l'aveva mai notata prima di allora, ed è in quel momento che voltandosi mette a fuoco dietro quel vetro tre piccole teste rosse.

Tre bambini che potranno ad occhio e croce avere l'età di Isaac si spintonano a vicenda per affacciarsi sul davanzale mentre lei fa loro cenno di scendere. In risposta ottiene una linguaccia dopo l'altra che le fa roteare gli occhi al cielo per poi tornare a lavoro.

A quella ragazza, pensa Daniel, manca solo di vivere nel medioevo ed essere costretta a ribellarsi al suo matrimonio combinato per essere la vera Merida, e quelle coincidenze sono talmente bizzarre che sorge in lui il dubbio che quello che sta vivendo non si tratti di nient'altro che un bizzarro sogno.

All'incirca mezz'ora dopo, quando ormai è quasi buio, senza rivolgersi la parola una singola volta entrambi hanno terminato e mentre chiude il sacco della spazzatura Daniel intravede Ghylde raggiungerlo a grandi falcate con in mano anche il suo.

Quando si piazza di fronte a lui glielo porge, facendogli chiaramente capire che è compito suo andare a buttarli entrambi.

Lo afferra sospirando sommessamente. <<Dopo tutto questo lavoro mi merito almeno una ricompensa>> sorride improvvisamente colpito da un lampo di genio.

È un'idea che gli balena per la mente da un po', o per meglio dire, da quando ha constatato che nel suo lavoro non è così tanto dura come vuole mostrarsi.

<<Avevamo già parlato dell'argomento paga>> tenta di stroncarlo ma Daniel svia totalmente il discorso.

<<Non parlavo di soldi, e comunque ormai potremmo anche darci del tu>> suggerisce per acquietare un po' l'animo combattivo della ragazza.

<<Non è mia abitudine>> taglia corto lei, desiderosa di nient'altro che una lunga doccia calda prima di distendersi sul proprio letto ad oziare per l'intera serata.

<<Oh andiamo, questo lei mi fa sentire come un cinquantenne che attraversa la crisi di mezza età>> si lamenta come un bambino capriccioso, urtando il sistema nervoso di Ghylde solo con il tono cantilenante che usa.

Sembra di stare ad ascoltare un disco lagnoso che si ripete all'infinito, per cui decide di ammorbidirsi per una volta e farlo contento. <<E va bene, si può fare>> si arrende, ma solo per metterlo a tacere.

<<Quindi posso chiamarti Ghylde e non più padrona?>> Ironizza su come lei lo abbia trattato letteralmente come suo mulo da soma in quei giorni.

Inaspettatamente la rossa scoppia in una fragorosa e scomposta risata. Ha avuto il piacere di scoprire quanto sia un vero e proprio maschiaccio in quel periodo, lontana dai comuni canoni di finezza ed eleganza che solitamente contraddistinguono bellezze come la sua.

La verità è che Ghylde è la creatura più bizzarra che si sia mai imbattuta sul cammino di Daniel, è un po' come un cucciolo di volpe diffidente. Può far paura all'inizio, con quel suo atteggiamento sospetto e lo sguardo indagatore, ma finisce per rivelarsi docile come i suoi simili, seppur differente in tutto persino da sé stessa.

<<Sei divertente quando riesci a non essere un idiota, Daniel>> si tiene la pancia con una mano per poi riprendere fiato lentamente. Il suo volto brilla come non l'aveva mai neppure immaginato. <<Era questa la ricompensa a cui agognavi?>>.

Daniel scuote la testa pur non riuscendo a togliersi dalle labbra quel sorriso a trentadue denti. <<No, e anche se potrei dirmi soddisfatto dopo aver ricevuto un complimento da parte tua la rivendico ugualmente>>.

<<E quale sarebbe?>> Domanda allora, già stufa di tutto quel tergiversare.

Ed ecco che finalmente Daniel espone il suo desiderio, covato dagli angoli più impensati di quella tenuta mentre se ne stava fermo ad osservarla anziché lavorare: <<Vorrei prendere lezioni anch'io, da te>>.

Si aspetta già un no categorico come risposta, non ci ha mai sperato in realtà, ma Daniel Ricciardo non morirà tra cent'anni dicendo di non aver provato anche una singola cosa nella sua vita. Fino all'ultima chance, anche quando non ne rimane neanche una.

<<Vieni domani mattina, generalmente è giornata di chiusura ma posso fare un'eccezione>> risponde allora lei piena di sicurezza, quasi come se ne fosse veramente felice, spiazzandolo totalmente.

L' australiano infatti, non perde tempo per scherzarci su. <<Da quanto tutta questa disponibilità, mamma orsa?>>. Può benissimo sentire sulla pelle gli occhi di Ghylde trucidarlo, ma non può di certo dirsi infastidito neppure da quel tipo di attenzione.

<<Evapora>> brontola scorbutica.

<<A domani>> mima un bacio con la bocca senza poterglielo spedire per via delle mani occupate, solo per il puro di piacere di vederla mentre recita un conato di vomito prima di avviarsi verso l'ingresso di casa sua.

La mattina seguente Daniel si sente quasi un avventuriero pronto ad esplorare un nuovo mondo pieno di oscurità, solo che anziché farlo con una corda e un rampino, lo fa in occhiali da Sole e bermuda a fantasia. Sale sulla sua McLaren di un arancione scintillante tutto elettrizzato, tanto che le strade che percorre quasi gli sembrano nuove, come se ci stesse passando per la prima volta.

Per impiegare il tempo del viaggio preme il pulsante dello stereo scorrendo sullo schermo per scegliere una play-list, poi, come sempre, manda tutto in riproduzione casuale, così che nell'abitacolo a distanza di circa tre o quattro minuti l'una si alternino Katy Perry, gli Oasis o le allegre note di musica country che ascolta sempre per tirarsi su.

Il fatto è che tutta quella confusione lo confonde, nonostante sia abituato praticamente a navigare in essa per l'ottanta per cento della sua vita. Lo manda in tilt, e allora comincia a pensare che forse sarebbe meglio tornare a casa, riavvolgere tutto il percorso all'indietro e infilarsi tra le lenzuola.

Tutto perché fino ad allora non aveva veramente realizzato che si sarebbe ritrovato completamente solo con Ghylde, e ciò inaspettatamente provoca in lui un'ansia che non sente neppure prima di salire su una monoposto diretta a più di duecento all'ora.

Perché non si tratta di un comune nodo alla gola, è proprio una morsa alla bocca dello stomaco, un fastidioso solletico che pian piano si accresce in vere e proprie fitte. Daniel non se lo spiega, in fondo è solo una lezione privata mica una medaglia al valore consegnata dal presidente in persona.

La verità, è che quella sensazione chiunque l'avvertirebbe come le cosiddette farfalle, ma all'australiano sembra più che altro che sia una mandria di elefanti a rivoltare la sua pancia e che codesta non sia affatto intenzionata a calmarsi.

Prende un respiro profondo mentre svolta oramai sul punto di addentrarsi nel parcheggio esterno alla tenuta ma non appena si ferma nello spiazzale quasi vuoto impedisce a se stesso di scendere immediatamente dalla macchina.

Continua a fare lunghi sospiri mentre poggia la fronte sulle braccia incrociate attorno al volante, per un istante quando chiude gli occhi ha come la sensazione di precipitare ma si riprende subito scuotendo lievemente il capo. Un brivido scende fluido lungo la spina dorsale, poi volge lo sguardo all'orario sul quadro e si convince a raggiungere Ghylde.

Attraversa il cancello su cui è ancora appeso il cartello che vieta ai visitatori di varcare quella soglia e si addentra lungo il sentiero che adesso conosce come le sue tasche. Il cinguettio degli uccelli è un sottofondo leggero che contribuisce a calmarlo, poi, mentre la luce del Sole riemerge tra i rami oltrepassa il varco che conduce al grande prato rasato.

Solleva gli occhiali sopra la propria testa per far sì che la realtà attorno a se riassuma i suoi colori naturali, ed è in quel momento che i suoi occhi la raggiungono mentre lei sembra non essersi accorta della sua presenza.

Carezza l'elegante muso dello stesso cavallo nero con il quale per poco non l'aveva schiacciato al loro primo spiacevole incontro, mentre con l'altra mano tiene le redini di un secondo cavallo, dal manto color cioccolato e che vanta una chiazza bianca al centro tra un occhio e l'altro, quasi simile alla punta di una freccia.

Abbandonate sul terreno vi sono due faretre e due archi, uno poco più piccolo dell'altro ma apparentemente molto più pesante. Decisamente incuriosito Daniel decide di spezzare il magico silenzio della natura.

<<Buongiorno mia principessa vichinga!>> Esordisce aprendo teatralmente le braccia, per poi essere tentato di mordersi la lingua per l'epocale cazzata appena fuoriuscita dalla sua bocca.

Lei si volta già con un sopracciglio inarcato, fissandolo come se fosse un alieno, ma Daniel ha quasi l'impressione che sul suo volto stia per comparire un sorriso. Probabilmente si tratta solo di un miraggio vista la risposta che arriva immediata: <<Se sei partito così fai prima a fare marcia indietro>>.

Ma l'australiano non si perde d'animo, anzi, si strofina le mani laborioso avvicinandosi a lei e ai due destrieri. <<Da dove cominciamo?>> Si guarda intorno chiedendosi da quale bersaglio lo farà provare per primo.

<<Non da qui>> stronca le sue aspettative prima di porgergli l'arco più leggero e la faretra vicino ad esso e salire agilmente in sella al cavallo nero con in spalla la propria attrezzatura. <<Oggi ti porto dove ho imparato io>>. Con un cenno del capo lo invita a fare lo stesso sull'altro animale.

Daniel ci prova, ma al primo contatto con il suo manto il cavallo sbuffa nervoso per cui Ghylde si avvicina sul suo per carezzargli la criniera <<Lui è Wind Arrow>> glielo presenta mentre Daniel replica i suoi movimenti.

<<Sempre per restare in tema>> la prende in giro dovendo trattenere una risata.

La rossa rotea gli occhi al cielo <<Invece lei è Starlight Glimmer, ti piace di più?>> Chiede ironica riferendosi alla femmina su cui monta lei, fingendosi palesemente scocciata.
Naturalmente non aspetta la sua risposta, semplicemente si dirige in sella al suo destriero verso la boscaglia in cui, Daniel ha il piacere di ricordare, scompariva durante ogni pausa.

Si sente quasi onorato a poter scoprire quel posto insieme a lei, quasi gli stesse volontariamente mettendo in mano uno dei milioni di tasselli mancanti per costruire il puzzle che ritrae la vera Ghylde, quella che a quanto pare nessuno conosce a trecentosessanta gradi.

La cosa che più lo stupisce è che una volta in mezzo agli alberi è come se la maschera di sostenuta superiorità che la rossa indossa costantemente cadesse dal suo volto come intonaco crepato. Comincia a parlare a ruota libera, tanto quanto non le aveva mai sentito fare nel giro di una settimana.

<<In realtà io ho imparato in Scozia, ci siamo trasferiti qui che avevo già dodici anni, ma in questo bosco c'è una quercia molto simile a quella dove mio padre disegnava il bersaglio per insegnarmi a tirare, il che è bizzarro perché qui ce ne sono veramente poche>> racconta, mostrando solo di sfuggita il suo profilo mentre gli da le spalle qualche metro più avanti.

C'è un qualcosa in quella storia, che pur potendo sembrare abbastanza banale, lo affascina in maniera allucinante. <<E' come se il destino l'avesse riportato da te>>, neppure si accorge di dirlo ad alta voce.

Lo sta conducendo in un luogo che le ricorda casa, un luogo che si è fatto trovare per restituirgliela anche lontano da quella vera. Reduce dalle esperienze di Max sa quanto per le persone così caratterialmente schive sia difficile mostrare a qualcuno pezzi di se così significativi, ma non si spiega perché proprio a lui che è praticamente un estraneo.

<<Esatto, e se devo dirti la verità è uno dei motivi per cui abbiamo scelto proprio questo terreno per la tenuta>> continua Ghylde, guardandosi attorno piacevolmente assorta dal musicale fruscio delle foglie misto ai lontani versi degli animali che abitano quel luogo. <<Non siamo sempre stati così ricchi, la casa prima era una comune indipendente su un piano, l'avevano costruita mio padre e i suoi fratelli>>.

Daniel sa cosa voglia dire partire da zero e dover viaggiare lontano per realizzare un sogno nel cassetto. E' su questo che si basa la sua carriera, è così che ha avuto inizio, da ragazzino. Borsone in spalla e tanti sacrifici, specialmente da parte della sua famiglia.

Non era nient'altro che un giovanotto del sud-ovest dell'Australia che si portava appresso un fagotto pieno di desideri per tutti irrealizzabili, e anche se adesso ha raggiunto la categoria più alta a cui potesse ambire non dimenticherà mai le sue radici, per cui capisce perfettamente il velo di malinconia che inquina le parole di Ghylde.

<<E come vi è venuta questa idea delle lezioni?>> Chiede vispo di curiosità.

La rossa esita per qualche istante, probabilmente indecisa se mettere o no così tante informazioni in mano ad un tizio che conosce appena, poi però, qualcosa dentro di lei sussurra che non c'è niente di male a sciogliersi un po' dopo avergli esposto solo il suo lato di ghiaccio. <<E' successo dopo un po' di anni in realtà. Mia madre era un'amazzone, correva a livelli agonistici già da quando era un'adolescente e aveva sempre vissuto in un ranch, per cui l'idea iniziale era quella di dare lezioni di equitazione, infatti dal lato opposto della tenuta c'è il maneggio dove teniamo gli altri cavalli>> Spiega, lasciando Daniel seriamente meravigliato da quanto grande sia l'appezzamento che quella famiglia possiede e che passando di lì non se ne sia mai minimamente accorto. <<Inizialmente fruttavano molto ma non era una novità, non è difficile trovare qualcuno che insegni a cavalcare più vicino a casa per evitare di fare avanti e indietro con i propri figli>>.

Difatti il maneggio in cui Michelle aveva portato Isaac durante il momento della passione per l'equitazione non distava neanche cinque chilometri dalla loro casa in campagna, una soluzione molto più comoda rispetto a quel via vai che per amore di suo nipote lui fa ogni pomeriggio.

<<Così a me e a mio padre è venuta l'idea di insegnare tiro con l'arco, negli anni poi abbiamo anche unito le cose dato che l'arceria a cavallo è veramente poco diffusa ma ci sono molti interessati>> la sua voce ha un falsetto dovuto alla diffidenza dell'equino ad oltrepassare l'ostacolo costituito dall'arbusto precipitato in mezzo al sentiero fittizio, che dopo qualche premurosa carezza si ravvede e lo aggira per non graffiarsi con le sue spine.

Adesso Daniel ha recuperato terreno, potendo starle di fianco e non dovendo più parlare solo alla sua schiena.

<<Avete costruito un piccolo impero dal nulla, praticamente>> si complimenta velatamente per non sembrare troppo inopportuno, ma nutre della sincera ammirazione per ciò che hanno messo in piedi mattone dopo mattone.

Ghylde risponde con un'alzata di spalle. <<A me importa di aver realizzato il sogno di mio padre. Ha tirato per tutta la vita senza mai potersi permettere di partecipare ad una vera competizione, e adesso io prospetto le sue aspirazioni su centinaia di bambini e ragazzi>>.

E Daniel sorride d'istinto, perché forse non è solo suo il talento dell'acchiappasogni. Perché se una come Ghylde ha impiegato tutta la sua adolescenza macchinando idee su idee per rendere quel posto quello che è adesso per il puro desiderio di rendere felice il padre, allora non sono così tanto diversi quanto credono.

<<E tu? Non gareggi?>>. Si volta a guardarla ma il suo volto rimane serio, più rilassato del solito, meno pronto all'attacco, più vero, tanto che quasi non sembra lei.

Vorrebbe scoprirlo davvero quell'animo da ribelle che non lascia trapelare, vorrebbe fare più domande, lasciarla venir fuori come una farfalla dal suo bozzolo. Gli vengono in mente mille quesiti, compreso uno sull'identità di quei bambini alla finestra, ma decide di mantenerli per sé momentaneamente, di lasciarle addosso quel velo di mistero che tanto lo intriga.

<<Per un po' di anni l'ho fatto, poi ho avuto una brutta lussazione alla spalla e la mia mira non è più tornata la stessa, ma la verità che insegnare mi piace molto più di quanto mi sia mai piaciuto gareggiare. So che posso dare un'impressione sbagliata ma amo fare le cose per il puro divertimento di farle, ed essere sempre in competizione con gli altri è un tipo di stress che non fa per me>>.

A sentire quelle parole Daniel sbuffa una risata che le fa girare il capo quasi spaventata da quell'improvviso rumore, di cui scopre però di apprezzare il suono. <<Alla fronte nella quale stavi per piantare una freccia la tua mira non sembra affatto male>> molla le redini del cavallo per indicare la sua testa e le riprende quando si accorge di star traballando un po' troppo.

A quel punto ride anche lei, e gli angoli della sua bocca carnosa si piegano all'insù affilati come coltelli. <<E credi sul serio che io abbia mirato sopra di te?>> Lo guarda di sbieco, da sotto le sopracciglia, senza mai togliersi quel ghigno stampato in volto, lasciandolo a torturarsi dai dubbi mentre con una leggera botta sul fianco indica al suo cavallo di cominciare a correre.

Daniel, incapace di restare indietro per puro orgoglio fa lo stesso, ed entrambi si lanciano in un inseguimento in cui l'uno supera l'altra e poi riperde terreno di continuo, come se quel bosco non avesse mai una fine e la destinazione fosse lontana ancora chissà quanti chilometri, fortuna che Daniel ha imparato a cavalcare da ragazzo, altrimenti sarebbe già rimasto incastrato in qualche cespuglio perdendo il cavallo.

Ghylde tira forte le redini di colpo richiamando Starlight Glimmer che si alza su due zampe come aveva fatto di fronte a lui che può replicare il gesto con più cautela solo qualche metro più in là, costretto poi a tornare indietro su Wind Arrow che continua a scuotere la testa infastidito da una dispettosa farfalla dalle ali bianche.

<<Siamo arrivati>> annuncia lei, cominciando ad avvolgere una lunga corda che teneva nella faretra attorno ad un albero, per poi successivamente legarla ai montanti di entrambi per far in modo che non fuggano al minimo rumore.

Avanza incurante di starsi riempiendo tutte le scarpe di terra e fango e lo raggiunge di fronte all'enorme fusto di una quercia secolare su cui è dipinto un bersaglio formato da cinque cerchi di diversi colori, dall'esterno verso l'interno: bianco, nero, azzurro, rosso e giallo.

<<Come prima cosa dobbiamo determinare qual è il tuo occhio dominante. Con quale mano scrivi?>> Domanda prima di prendergli dalle mani arco e faretra e appoggiarli sul vecchio tronco mozzato di un albero di fianco a loro.

Un po' smarrito dal suo comportamento Daniel risponde: <<La destra>>. Insomma, se sono lì perché lei gli insegni a tirare con l'arco perché mai dovrebbe metterlo via?

<<Allora tendi il braccio destro puntandolo verso il centro del bersaglio e chiudi l'occhio sinistro. Se il dito puntato rimane al centro, significa che sei un arciere destro>> gli ordina, ma in maniera quasi gentile, senza quell'aria da dittatore che la contraddistingue.

Lui ubbidisce, facendo tutto ciò che lei ha detto e inquadrando perfettamente il centro del bersaglio. <<Direi che ci siamo>> proclama fiducioso.

Ghylde sembra entusiasta. Gli consegna arco e freccia spiegando come impugnarli posizionandosi dietro di lui, accostando le mani alle sue braccia perché possa mimare la giusta posizione. <<Questo significa che terrai l'arco con la mano sinistra e tenderai la corda con la destra>>.

<<Ok, fin qui ci sono>> annuncia, colto da una piacevole sensazione di tepore al primo vero contatto dei loro corpi.

Anche le gambe di Ghylde adesso si accostano a quelle di Daniel per illustrargli la posa corretta. << I piedi devono essere posizionati in maniera parallela alla direzione di tiro. Il tiro con l'arco richiede una grande stabilità: per questo, nonostante il peso dell'arco, devi far attenzione a non inclinare all'indietro la schiena. E' importante conservare una buona postura ben dritta, e ripartire il peso in maniera uguale su entrambi i piedi. Ti aiuterà a mantenere la stessa gestualità quando andrai a tendere l'arco e tirare la freccia>>. Spinge la mano contro la sua schiena perché assuma una buona postura e Daniel sente la pelle bruciare in quel punto preciso.

Non può lasciarsi distrarre, non vuole che Ghylde pensi che le abbia chiesto di fargli da istruttrice solo per ritagliarsi un momento più intimo insieme a lei.

<<Adesso vediamo come posizionare la freccia>>. Gliela sistema tra le dita, come farebbe con un bambino a cui insegna le basi. <<Prima di tutto, posizionala sulla corda. Quest'ultima è dotata di tre alette, di cui una con un differente colore, vedi? E' l'aletta indice. È messa in maniera perpendicolare rispetto alla finestra dell'arco, verso l'esterno>>.

Per Daniel è sempre stato semplice imparare in fretta, è un tipo perspicace che non si fa buttare giù in fretta dalle difficoltà, non molla mai. Ma con Ghylde è ancora più facile. Immaginava che fosse una brava maestra osservandola da lontano, ma non pensava lo fosse a tal punto.

È un piacere ascoltarla. In ogni frase, in ogni punto, in ogni virgola, in ogni presa di fiato tra una parola e l'altra si può percepire la passione che ha per quella disciplina e per l'insegnamento di essa.

<<Adesso puoi alzare l'arco dritto davanti a te per mirare il centro del bersaglio, non è importante andare subito a segno, quello si impara con il tempo>> lo incoraggia, azzerando ogni contatto muovendo qualche passo all'indietro così che possa cominciare a prendere la mira.

Si riavvicina solo un altro secondo per correggerlo. <<La corda deve essere all'altezza del mento. Puoi decidere se posizionarla al centro del mento o leggermente al lato della mascella>>. Dopodiché torna alla sua postazione, né troppo vicina, né troppo distante. <<Non avere paura di tenere l'arco vicino a te, in teoria se adotti la giusta impostazione la corda dovrebbe toccare sia il naso che la bocca>>.

Daniel tiene la mente e lo sguardo saldi sul cerchio giallo al centro del bersaglio, respirando lentamente gonfiando e sgonfiando l'addome.

<<E adesso tira, così!>> Lo incita lei, alzando la voce.

Ed ecco che scocca la freccia, squarciando l'aria in mille schegge e piantandosi col suono di uno schiocco nel cerchio rosso, il più vicino al centro.

<<Bravo!>> Batte le mani euforica perdendo totalmente il controllo di sé stessa. Quando se ne rende conto però smette di colpo, prendendo a lisciarsi i vestiti con le mani, come per ricomporsi. <<Pff, la fortuna del principiante>> sbuffa poi, altezzosa.

Daniel abbassa l'arco per poi voltarsi nella sua direzione. Forse involontariamente comincia ad avvicinarsi a lei, fino a far sfiorare le punta delle loro scarpe. <<Mi sa che la vera fortuna è avere una maestra come te>> ammette con il tono di voce che si abbassa fino a diventare ancor più caldo e roco di quanto non sia di solito.

Ghylde inarca un sopracciglio. <<O un allievo leccaculo come te>> sorride, morbida, con quelle labbra che attirano lo sguardo di Daniel in maniera pericolosa.

Tanto che non può fare a meno di chinarsi lentamente per raggiungerle, come fossero dei magneti a cui non può resistere, ma è costretto a farlo poiché lei si sposta, ancora allegra.

<<Non ti bacerò, Daniel Ricciardo>> afferma sicura, compiaciuta. <<Non fino a quando non avrai centrato quel bersaglio>>.

E per Daniel diventa una sfida, e se c'è una cosa che Daniel Ricciardo non sopporta è rinunciare ad una sfida.

Rovista nella faretra e successivamente punta ancora una volta l'arco munito di freccia verso il bersaglio e non appena la punta sta per conficcarsi nel cerchio giallo uno scossone lo attraversa lasciandolo quasi tramortito.

In un momento di buio totale si tira su, madido di sudore, e guardandosi intorno ad occhi strabuzzati si rende conto di essere ancora sul suo letto a due piazze, circondato dalle proprie lenzuola nelle quali sembra averci dormito una mandria di bufali inferociti.

Tasta il materasso più volte per poi riempirsi le braccia di pizzicotti nell'intento di realizzare. Era tutto un sogno, quella costante sensazione di star per cadere, le strade che ogni giorno parevano nuove, le querce in Australia, le coincidenze con il film The Brave che al contrario di come accadeva nel sogno Isaac non ha visto a casa di una compagna di scuola, ma insieme a lui sul divano la sera prima.

Ghylde non esiste. È stato tutto frutto della sua immaginazione e dei meccanismi che il suo cervello ha innescato durante il sonno.

A destarlo dai suoi confusi pensieri è l'ingresso di suo nipote che per poco non si tira dietro anche la porta gettandosi come una trottola sul suo letto.

<<Uncle Danny! Ti prego, convinci la mamma ad iscrivermi a tiro con l'arco>> lo prega gettandogli le braccia attorno al collo e guardandolo con aria pietosa perfettamente consapevole che nessuno, in particolare suo zio, sarebbe in grado di dire no a quelli occhioni.

Incredulo e momentaneamente incapace di rispondere Daniel continua a guardarsi intorno provando ancora una volta a realizzare di aver solamente sognato tutto, almeno fino a quando i suoi occhi non giungono all'oggetto che giace sul suo comodino.

La stessa freccia con la quale stava per tirare a segno.

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