• 𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 3 ~ 𝒜𝓃𝓉𝒽𝑜𝓃𝓎

Come ogni mattina Thomas, il mio valletto, irrompe nella stanza con un'allegria che non so proprio dove trovi. Ci è nato? È diventato così per qualche motivo? Non saprei e probabilmente non lo saprò mai. Ha qualche anno meno di me e mi segue da un bel pezzo, tanto che possiamo dire entrambi di conoscerci come fossimo amici. Tuttavia io non sono portato per l'amicizia né per altro genere di sentimenti. Forse una volta, in una vita passata che adesso non mi appartiene più.

La stanza è buia e l'arrivo di Thomas porta con sé anche la flebile luce che subito si affaccia dalla finestra appena apre le tende e il vetro per rischiarare l'ambiente. Se non ci fosse lui vivrei tranquillamente al buio, come ho sempre cercato di spiegare a tutti, anche se a quanto pare nessuno ascolta ciò che dico, men che meno il mio valletto o mia madre, che lo segue come un segugio perché faccia quello che vuole lei.

Attenderò che esca dalla stanza, come ogni giorno, per chiudere di nuovo tutto.

«Avete dormito bene, questa notte?» Mi chiede, porgendomi il catino per sciacquarmi il viso.

«Diciamo di sì.» Mugugno sotto il telo con il quale mi sto asciugando.

«Ancora i vostri incubi?»

«No.» Mento, per poi alzarmi dal letto.

Thomas mi si avvicina e mi aiuta con il vestiario, i capelli e la barba come ogni mattina, anche se oggi l'aria mi sembra diversa e mi porto dietro un amaro in bocca dalla brutta nottata che ho passato. I fantasmi che mi porto dietro si sono fatti vivi più che mai, chiedendo alla mia anima tormentata di non lasciarsi andare al sonno, ma di vegliare e ricordare ogni cosa. Ogni lamento. Ogni ferita. Ogni cicatrice.

Le sento sulla pelle, sulle spalle come pesi, sulla testa come macigni. E non ce la faccio più. Vorrei solo abbandonarle nel passato, ma quando penso di esserci riuscito si riaffacciano. E poi mi sento egoista per averlo fatto. È giusto che io ricordi, che io provi dolore per quello che è stato e per ciò che ho fatto.

«Volete il bastone?» Mi chiede Thomas, ridestandomi dalle riflessioni.

«Sì, grazie. Questa mattina la gamba sembra più rigida del solito.» Allungo la mano e afferro il bastone, sulla cui sommità vi è un pomello in madreperla. Eredità di mio padre, il defunto Duca di Somerset. Ora possiedo io quel titolo, anche se lo rinnego con tutto me stesso: non ho intenzione di sposarmi, né di proseguire la dinastia. Non voglio nessuno vicino a me e prima o poi mia madre lo capirà. È solo testarda e si ostina a volermi sistemare per forza, come se fossi solo un giocattolo da aggiustare. Ma io non posso essere aggiustato. Sono rotto, spezzato. E lo sarò per sempre.

«Vostra madre vi attende di sotto.»

Thomas mi lascia da solo, sa che non amo essere seguito o accompagnato, quindi mi dirigo lentamente fuori dalla stanza e poi giù sulle scale fino al salone, dove l'odore del tè al limone e delle brioches calde mi stuzzica l'appetito. Mia madre fa tintinnare la tazza sul piattino e mi saluta con dolcezza. «Buongiorno, sembra una bella giornata per fare una passeggiata fuori, oggi.»

«Buongiorno, probabilmente sì, ma io resterò in casa.» Replico risoluto.

«Potresti venire con me giusto qui fuori in giardino...» Tenta di nuovo lei, ma la mia voce si fa più ferma.

«Ti prego di non insistere, per favore.»

«Come vuoi.» Sospira con fare rassegnato.

Allungo la mano e afferro una tazza vuota, dove un cameriere mi versa subito del tè nero con tanto limone e senza zucchero. Mi approprio anche di una fetta di pane tostato su cui spalmo una noce di burro.

«Raccontami i programmi della tua giornata.» Prego mia madre, senza alcun imperativo nella voce, voglio solo sapere cosa farà e dove sarà quest'oggi. Dedica gran parte della sua vita al volontariato e cerca sempre di coinvolgere nuove adepte fra le giovani fanciulle che incontra, sperando in cuor suo - ne sono convinto - di trovarne una disposta ad accasarsi con me. Peccato che io non ne abbia minimamente intenzione, ma mia madre è un osso duro e non si arrende facilmente.

«Oggi sarò in ospedale per dare attenzioni e cure insieme alle mie compagne di volontariato. Ce n'è sempre bisogno e sai che amo rendermi utile.»

«Mh-mmmh.» Mugugno in segno d'assenso, mentre mi ripulisco gli angoli della bocca con un tovagliolo.

«Potresti...» Fa una piccola pausa, prima di ripartire alla carica. «Potresti venire con me, un giorno di questi. Magari il dottor Philips potrebbe darti un'occhiata.»

«Il dottor Philips mi ha già dato abbastanza occhiate, madre

E quando la chiamo in questo modo sa che non deve più insistere, che sono giunto al culmine della mia pazienza. A volte è così petulante da non capire quando fermarsi. «Bene, ti auguro una buona giornata allora.» Aggiungo, in tono più calmo.

Mi alzo, ma lo fa anche lei e mi afferra una mano, bisbigliando qualcosa al mio orecchio per non farsi sentire dal cameriere nella stanza. «Permetti a qualcuno di aiutarti, Anthony. Non ti tenere tutto dentro, affronta la vita che hai davanti, anche se dura. Sei ancora giovane e puoi trovare un amore che ti sosterrà e ti comprenderà sempre.»

Lascio andare la mano senza strattonarla, ma devo farlo per non far sentire a mia madre il mio turbamento. Se ne accorgerebbe dal minimo tremolìo. «Non c'è salvezza per le anime dannate. Con permesso.»

«Non essere così duro e crudele, Anthony...»

Ma non la faccio finire di parlare, mi alzo e afferro il bastone, dirigendomi nell'altra ala della dimora, dove il pianoforte arreda la sala da ballo. Mi siedo sullo sgabello e sollevo il coperchio, poi il telo che protegge i tasti. Li sfioro con i polpastrelli ma non metto pressione su alcuno di essi. Non oso udirne il suono, non ho intenzione di farlo né ora né mai. Mi piace solo sedermi qui per lasciarmi andare ai ricordi e all'immagine di una vita diversa, in cui io sono il protagonista e non uno spettatore invisibile.

Rimango nella stessa posizione per diverso tempo, forse delle ore, tanto che nel momento in cui decido di alzarmi sento le giunture intorpidite e devo sostenermi maggiormente sul bastone. Lo odio con tutto me stesso, perché mi ricorda sempre quanto sia miserabile e patetico, ma al contempo non ne posso fare a meno perché... sono spezzato.

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