• 𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 11 ~ 𝒜𝓃𝓉𝒽𝑜𝓃𝓎
Oggi ho trascorso la mattinata nella mia stanza, da solo e con un mal di testa che mi lacerava da parte a parte.
Ieri ho risposto male a lady Sophie. In realtà l'ho sempre fatto, ma forse questa è l'unica volta in cui mi sento in colpa. L'ho praticamente cacciata via di casa, quando ha cominciato a leggere quel passo di Ivanhoe. Ho sentito il sangue affluirmi al cervello e ribollire nelle vene... e davanti ai miei occhi spenti ho potuto rivedere le ultime scene di cui io ricordi qualcosa. Mi è tornato alla mente Jeremy, il suo braccio staccato dal resto del corpo in un groviglio di nervi e muscoli lacerati, una serie di bombe che ci ha colpiti, anche se la fregata non è stata affondata grazie alle manovre dettate dalla formazione dell'ammiraglio Nelson.
Ho sentito lo scoppio dei moschetti intorno a me, le grida dei caduti e dei feriti, il fumo che ci annebbiava la vista. Henry e io, che cercavamo di proteggere Jeremy per far sì che si salvasse. Io ero solo un ragazzo. Anche Henry lo era. Jeremy, invece, era il più esperto fra noi e, inspiegabilmente, il primo a cadere. Il suo viso deformato dal dolore e il suo corpo sventrato da uno scoppio di bomba sono state le ultime immagini che i miei occhi hanno visto.
Inspiro ed espiro con estrema lentezza, per cercare di non farmi sopraffare dai ricordi, come accade spesso. E quando succede, il mio torace diventa una gabbia troppo stretta da cui il cuore pretende di uscire. Rivivo ogni singola sensazione, che con prepotenza mi schiaccia a terra e mi fa sentire una nullità. Sono solo in questo dolore, nessuno può capirmi.
Mi dirigo lentamente verso la finestra, che apro per far entrare un po' d'aria a darmi sollievo, quando sento bussare alla porta.
«C'è una visita per voi, milord.» La voce della governante interrompe il mio momento di... ansia? Panico? Terrore? La memoria è davvero una brutta bestia. Avrei voluto perdere quella e non la vista. Almeno non ricorderei cose che mi fanno male, che mi spezzano e mi fanno sentire inadeguato.
Sospiro e faccio un cenno d'assenso con la testa, rimanendo nei pressi della finestra. Le tende sono aperte e posso quasi vedere la luce che entra nella stanza, rischiarandomi perfino le palpebre chiuse. La mia vista, dopotutto, non è persa totalmente... riesco ancora a vedere delle ombre, i movimenti intorno a me. Ma tutto è così triste e malinconico, che ormai non mi sforzo neanche di concentrarmi su ciò che ho intorno. Mi fido dell'udito e dell'olfatto, che sono i miei compagni inseparabili.
Un rumore di passi mi distoglie dai pensieri. Si tratta di movimenti decisi e sicuri, che si avvicinano a me fino a dirmi, con quella voce limpida e familiare: «Come stai, Tony?»
Sento la gamba sana tremare e quasi cedere sotto il mio peso. Menomale che ho il bastone a sostenermi.
«Cazzo, quanto tempo, Henry.»
Ci avviciniamo lentamente, il suo odore di tabacco che mi guida fino alla figura imponente che mi ritrovo a stringere in un mezzo abbraccio. Solo lui, ormai, può chiamarmi in quel modo, con la confidenza che ci siamo dati durante la vita in nave. Siamo praticamente cresciuti insieme, e sono almeno cinque anni che non sento la sua voce calda e accogliente. Per me è stato sempre come un fratello.
«Una vita.» Fa un sospiro ed è come se lo vedessi davanti ai miei occhi.
«Vieni, siediti.» Ci accomodiamo insieme su un divanetto. Fosse stata un'altra persona, l'avrei fatta accomodare in biblioteca, ma lui... lui mi ha visto nei momenti bui. Nell'oscurità che mi avvolgeva tra le sue spire. Con Henry posso essere me stesso.
Poggio la mano sul tessuto morbido che ci divide e lui la poggia sulla mia. Ho un sussulto. Da quanto non avevo un contatto fisico con una persona diversa da Thomas, che mi aiuta nelle attività quotidiane...!
Le sue dita sono solo tre. Ricordo bene il momento in cui ha perso le altre due, prima che Jeremy perdesse la vita.
«Cosa ti porta da queste parti? Hai fatto un lungo viaggio, da Lairg.» Il mio compagno d'armi è scozzese, vive da sempre in un villaggio sulle rive del lago Loch Shin. Dopo la battaglia di Trafalgar e dopo qualche tempo trascorso insieme in ospedale, lui è tornato nel suo paese, dove ha trovato moglie e si è sistemato. Adesso ha due gemelli, una bambina e un bambino di sei anni, Lilias e Gregor. Il viaggio per il suo matrimonio è stato l'ultimo che ho affrontato, prima di tornare a casa definitivamente.
«Maeve è di nuovo incinta.»
«Congratulazioni!» Esclamo, con un risolino divertito. «Ti sei dato da fare, eh? Chissà se saranno ancora due gemelli.»
«Spero di no. Le due pesti mi danno un sacco da fare già così. Non so se sono pronto.»
«Sei nato pronto.»
«Se lo dici tu...!»
Ridacchio, anche se c'è qualcosa che non mi torna. «Non posso credere che tu sia venuto qui solo per dirmi che Maeve è incinta.»
Sento Henry sospirare, e la pausa che si prende prima di parlare mi dà la conferma che aspettavo. «Tracey, la...»
«La moglie di Jeremy.» Concludo io, prima che il presentimento di qualcosa di brutto mi attanagli le viscere.
«Si è tolta la vita una settimana fa.»
Il mio cuore, già spezzato, implode fragorosamente e ne posso udire i frammenti taglienti che mi squarciano dall'interno. Jeremy era il più grande fra noi, si era appena sposato quando ci ritrovammo insieme a far parte della Royal Navy. Era così felice del matrimonio con la ragazza che amava da quando era piccolo. Anche lui era scozzese, Henry e lui non vivevano troppo lontani, quindi lui è rimasto sempre in contatto con Tracey, quando le è stata riportata la notizia della morte del marito. Non avevano fatto in tempo ad avere figli, lei lo aspettava con ansia, ma lui non tornò mai dalla guerra.
«Ho cercato di esserle vicino, di aiutarla come potevo, ma non si è mai più rifatta una vita. Ogni volta che andavamo a trovarla i suoi occhi erano sempre più spenti, il suo corpo sempre più magro. La vicina di casa, con cui avevo contatti perché mi desse notizie sul suo stato di salute, l'ha trovata domenica scorsa impiccata a una trave del soffitto.» Henry sospira, con la voce tremante. «Sono corso appena l'ho saputo, le abbiamo organizzato una cerimonia funebre con pochi intimi. Poi ho pensato di venire qui, volevo che lo sapessi da me.»
Mi alzo dal divanetto e torno alla finestra, dando le spalle al mio amico. Il mio torace torna ad alzarsi e abbassarsi repentinamente.
«Avrei dovuto salvarlo. Ora vivrebbe anche lei e magari avrebbero dei figli.» Sento una lacrima scendere silenziosa lungo la mia guancia, la mia voce traballa e non provo vergogna ad aprirmi con Henry, che è l'unico con cui io abbia condiviso il dolore che nessun altro può comprendere. «Ogni giorno chiedo a Dio perché Jeremy è morto, mentre io sono ancora qui, spezzato e inutile. Dovevo esserci io al suo posto!»
Lascio le lacrime scendere a briglia sciolta, mentre il mio amico si avvicina e poggia una mano sulla mia spalla, sostenendo il dolore che mi sovrasta.
«Non potremo mai comprendere il volere di Dio, Tony.» Scuote il capo, me ne accorgo dal movimento dell'aria alle mie spalle. «Il destino di Jeremy era di morire su quella nave. E di salvarci. Se non fosse stato per lui saremmo morti tutti e tre. Invece io ho dato alla luce due bambini e chissà quante altre vite giungeranno a questo mondo, per il suo sacrificio. E tu non sei da meno. Se sei ancora vivo è solo grazie a lui, rendilo orgoglioso di ciò che ti ha donato. Non sprecare questa possibilità e cerca di essere felice.»
Lascio andare lentamente il pianto, mentre cerco di ricompormi, fino a sospirare pesantemente. «Tracey non meritava di fare questa fine.»
«Nessuno lo meritava. Neanche tutti i morti e feriti a Trafalgar. Eppure è successo e accade ancora, non possiamo farci nulla. Tony, io non voglio che tu faccia la stessa fine. Devi trovare uno scopo di vita, non puoi arrenderti alla sofferenza.»
«La mia vita non ha uno scopo. Mia madre cerca di convincermi ogni giorno a uscire da queste mura, ma non ci riesco. Non ne ho voglia.»
«Non arrenderti, ti prego. Voglio che tu conosca i miei figli, che tu sia lo zio che andrà a trovarli ogni tanto, raccontando loro storie di mare. Io non ne sono capace, sei sempre stato tu quello con la mente creativa.»
Ci abbracciamo come fratelli, stretti per qualche minuto, a trattenere un pianto silenzioso che ci lega con un filo sottile. Poi torniamo a sederci e gli racconto degli ultimi cambiamenti, di lady Sophie e delle sue letture. Non so perché ci sia lei nei miei pensieri, in questo momento, ma Henry mi ascolta con attenzione e mi chiede di lei, dei vari modi in cui l'ho allontanata. So che condividono la stessa provenienza, anche se lei è di Edimburgo, a quanto ho capito, e a quanto pare Henry ha dei ricordi sulla sua famiglia. Erano conosciuti, un tempo, dovevano essere delle brave persone e non so bene cosa sia successo, perché lady Sophie non me ne ha mai parlato... e io non gliel'ho chiesto.
Alla fine della giornata, dopo aver mangiato qualcosa insieme, il mio amico e io ci salutiamo con la promessa d'incontrarci presto, di nuovo, magari sulle rive del suo lago.
Magari, sì. Quando gli incubi del mio passato smetteranno di tormentarmi.
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