• 𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 4 ~ 𝒮𝑜𝓅𝒽𝒾𝑒
La giornata è uggiosa, grigia e scura come molte altre durante il mese di marzo. Londra è una città piovosa e umida, ne ho riconosciuto subito le caratteristiche, quando sono arrivata qui, mettendole purtroppo a confronto con la mia vera casa. Non che Edimburgo sia molto diversa, ma la temperatura è più fredda e l'umidità è minore, tanto da non arricciare i capelli e da non infierire sui dolori articolari delle persone più anziane o malate.
Mi manca la mia terra... il mio castello. Il paesaggio verdeggiante che ti sorrideva al mattino, l'aria fresca e pungente che proveniva dalle finestre aperte, la pioggia che rimbombava sul tetto mentre Aaron e io giocavamo a cacciare i fantasmi. Ho nostalgia delle cavalcate lungo la spiaggia, con il mare che sferzava le sue onde salate e feroci mentre il vento ti scompigliava i capelli. I miei genitori avevano delle regole precise per tutto, ma quando prendevo il mio cavallo chiudevano sempre un occhio, raccomandandosi però di stare sempre attenta. La mia cara Krissy... spero che qualcuno si stia prendendo cura del suo bellissimo manto nero.
«Buongiorno, lady Sophie! Da quanto siete sveglia?» La voce di Sarah, come ogni mattina, m'investe con la sua allegria.
«Oh.» Uno sbadiglio mi sfugge dalle labbra, prima di parlare. «Perdonami. In effetti già da un po'. La pioggia mi ha disturbata durante la notte e poi non sono più riuscita a dormire.»
«Anche io, milady. In soffitta il temporale sembrava un concerto in piena regola e ho avuto fatica a mantenere il sonno.»
«Immagino, mi dispiace.» Posso solo empatizzare con lei, perché in questa casa i domestici dormono tutti nel sottotetto, mentre nel nostro castello avevano delle stanze al piano terra, dove di certo non sentivano la pioggia direttamente sulla testa. Spero che quando sarò sposata andremo a vivere in un luogo dove Sarah possa avere una stanza migliore. Sempre che lei venga con me...lo spero tanto. Non vorrei ritrovarmi da sola in una casa dove non conosco nessuno, probabilmente neanche mio marito.
«Vi pettino i capelli. Per la visita in ospedale, che ne dite, preparo l'abito blu notte?»
«Direi di no, in verità. Andiamo a trovare dei bambini malati, non vorrei incutere loro timore. Magari quello verde chiaro?» Propongo, alzandomi dal letto per andarmi a sedere alla toeletta. E così dedichiamo il tempo successivo all'acconciatura e al vestiario, come ogni mattina.
A colazione, la zia Bridget sorseggia come sempre il suo tè, mentre legge la corrispondenza e le cronache di vita mondana alle porte della Stagione che si sta aprendo. La saluto cordialmente, ma lei mi rivolge un sorriso breve e tirato. Forse ha rimuginato sulla mia scelta e su ciò che ci siamo dette ieri.
«Buongiorno, Sophie. Sei pronta per la tua giornata da benefattrice ospedaliera?» Non mi sfugge il suo sottile sarcasmo, nel tono che mi rivolge.
Ma non cadrò nella sua trappola e non gliela darò vinta. «Sì.» Replico solamente, afferrando una brioche in tutta risposta. Noto con la coda dell'occhio che la sta ispezionando mentre me la porto alla bocca e quando mordo la vedo spalancare lo sguardo, oltraggiata dal mio gesto. Di sicuro ai suoi occhi avrò preso già un paio di centimetri nel girovita! Ma io ho la soddisfazione di averla indispettita come ha fatto lei e ciò mi basta. Sia chiaro, devo molto alla zia e a ciò che sta facendo per me, ma non le permetterò di mettermi i bastoni tra le ruote: ho deciso di seguire lady Amelia in ospedale e lo farò, costi quel che costi. Anche vomitare la colazione in un cappello!
Non era un cappello, ma un cestino che mi ha prontamente lanciato contro una suora che ci stava seguendo nel giro delle visite. Ripulisco le labbra con un fazzoletto, ma sento ancora il sudore freddo colarmi lungo la fronte e dietro la schiena, inzuppandola sotto il vestito. Avrei voluto essere più forte, ma non ho retto alla vista di un bambino di circa dieci anni con una sanguisuga attaccata ad ogni braccio e il colorito bianco come un lenzuolo. Mi è quasi sembrato di vederlo esalare l'ultimo respiro proprio di fronte ai miei occhi.
Un nuovo conato mi risale per l'esofago e sono costretta ad uscire dalla stanza portandomi dietro il cestino. Rigetto anche la bile e una fitta di dolore mi trapassa lo stomaco, tanto da farmi piegare su me stessa.
«Mia cara, state bene?» Lady Amelia mi raggiunge a passo svelto e mi sostiene per le spalle, accompagnandomi su una sedia nel corridoio. Mi siedo e annuisco alle sue parole, senza ancora parlare.
«Siete stata molto coraggiosa. Alcune ragazze non hanno resistito quanto voi, sapete?» Mi rivolge un sorriso dolce, allungando la mano per spostare un ciuffo di capelli che mi si è parato sulla fronte. «Purtroppo la vita è anche dolore e se non ci fossero posti come questo saremmo davvero tutti morti.» Fa spallucce.
Ammiro il suo sangue freddo. Se fosse nata uomo sarebbe stata certamente un medico. Io di sicuro no, neanche in un'altra vita.
«Perdonatemi, solo un attimo e sarò di nuovo pronta a fare il giro con voi.» Replico, esausta, stirandomi la fronte con le dita. Credo di potercela fare, anche se il solo pensiero di tornare lì dentro mi fa tremare le gambe, e penso che lady Amelia se ne sia accorta, perché mi avvolge le spalle con un braccio e mi accompagna del tutto fuori dall'edificio. Solo quando ci siamo allontanate abbastanza mi parla.
«Non possiamo pretendere che facciate una cosa per la quale non siete portata. Anche se abbiamo bisogno di volontari, questi devono essere saldi e forti, non possono lasciarsi scoraggiare da ciò che vedono. E, badate, non è un'accusa nei vostri confronti.» Fa scivolare il braccio dalle mie spalle e mi afferra dolcemente un gomito. «Siete forte e piena di volontà, ma non è questa la vostra vocazione, evidentemente.»
Scuoto la testa più volte. «Mi dispiace, pensavo di potercela fare.»
È una sconfitta, questa, per me. Mi sono battuta con la zia Bridget per ottenere questo permesso e, come una bambina, adesso me lo lascio sfuggire per colpa del mio stomaco!
«Non dovete scusarvi, né rammaricarvi per questo. Se fossimo stati tutti in grado di fare certe cose saremmo stati tutti medici...ma non è così. E non vi dovete scoraggiare: probabilmente la vostra indole protende verso qualcosa di diverso.» Una scintilla le passa negli occhi, posso vederla anche dall'esterno, mi guarda con un'espressione diversa e incuriosita. Arriccia le labbra e vi poggia l'indice con fare pensieroso. «Sapete...potrei avere una soluzione diversa per voi.»
«Diversa?»
Annuisce. «Vostra zia mi ha detto che amate leggere e che siete un'abile conversatrice.»
«Sì, beh...» Esito per un secondo. Normalmente la mia passione per i libri non è ben vista dagli altri, poiché in molti sostengono che una donna non debba leggere per non mettersi strane idee in testa. «Sono stata educata a parlare come si conviene.»
«Questo non lo metto in dubbio. Sapete...» Lady Amelia prende a camminare, trascinandomi con sé senza troppi sforzi. «Mio figlio è tornato dalla guerra ormai da un bel pezzo, ma non ha voglia di incontrare altre persone, né di parlare con qualcuno. Si è chiuso in sé stesso e vorrei che vivesse una vita degna al di fuori della sua invalidità.»
«Mi rammarico di ciò che gli è successo.» Porto una mano al petto, all'altezza del cuore, dove percepisco empatia nei confronti di questa donna e della preoccupazione per il proprio figlio infermo.
«Non preoccupatevi, non è certo colpa vostra. Ma forse potete aiutarmi...»
«In che modo?»
La donna sfarfalla le dita della mano a mezz'aria, prima di rispondere. «Vedete...mio figlio amava tanto leggere, ma ora non si cura neanche più dei suoi numerosi libri. Forse potrebbero aiutarlo a superare l'isolamento cui si è costretto. Se voi gli leggeste qualcosa...»
«Certo!» La voce parla ancora prima che io possa fermarla. Non so perché rispondo di getto, ma ormai è andata. «Voglio dire, posso...posso farlo.»
«Oh, bene! Non sapete che gioia sentirvelo dire. Vorrei proporvi di venire a casa mia ogni pomeriggio, un paio d'ore al massimo credo potranno bastare, anche per non inficiare sui vostri impegni da debuttante.»
Il sorriso di lady Amelia mi contagia, ma viene smorzato subito dopo dalle parole che aggiunge.
«In effetti forse dovrei parlarne con la zia Bridget. Non credo mi concederà il permesso di prendere questo impegno, dopo il modo in cui si è conclusa la mia brevissima esperienza in ospedale.» Replico con una smorfia finale.
«Non dobbiamo dirle tutto, giusto?» Mi sorride con fare circospetto. «Credo voi abbiate la giusta determinazione per far valere le vostre opinioni. Ma io vi darò uno spunto: direte a vostra zia che non siete pronta per l'impegno in ospedale, che i bambini malati vi hanno stretto il cuore a tal punto da rimanere segnata a vita da questo episodio.» Lady Amelia si muove in maniera teatrale mentre gesticola, strappandomi un sorriso divertito. «E alla fine direte che vi ho proposto di conversare semplicemente con il mio figlio malato, per fargli trascorrere un po' di tempo con qualcuno, che questo sarà un impegno molto meno invadente rispetto a quello precedente e che darete comunque la priorità ai vostri impegni per la Stagione.»
Non so per quale motivo, ma nella testa mi passa velocemente il sospetto che questo piano possa essere stato pianificato a tavolino dalla sua astuzia già in precedenza, ma poi mi mordo la lingua per il pensiero malvagio che ho avuto: una donna così rispettabile come lei non potrebbe mai fare una cosa del genere. E poi, per quale motivo?
Così annuisco, prendendo accordi per raggiungere la sua abitazione già il pomeriggio seguente.
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