CAPITOLO TREDICESIMO - parte 2

Adrian silenziò sempre più il suo pianto, fino a smettere del tutto. Rimase immobile a fissare il ragazzo, che ora con le ginocchia sul pavimento e la testa bassa se ne stava in silenzio. Il suo comportamento era strano, e non era facile capire che cosa stesse provando.
Dopo diverse manciate di secondi, Jack sollevò la testa lentamente. -Scusami- ripeté ancora. Davvero non sapeva che altro dire. Insomma, non c'era molto da spiegare; aveva appena ucciso suo padre. Che aveva da spiegare? "Scusami, sono un mostro immondo?". No. Questo Adrian lo sapeva già.
Il bambino rimase in silenzio ancora per diversi secondi, con lo sguardo basso e la fronte aggrottata. Sembrava pensare; più volte la sua bocca si piegò all'ingiù nell'intento di piangere, ma non lo fece. Poi, finalmente, riuscì a parlare.
-Ha sofferto?- chiese con voce traballante.
Jack scosse la testa. -No, non penso- rispose. La verità era che non ne aveva idea, ma non poteva certo rispondere questo. Ad ogni modo, era morto velocemente, quindi non doveva aver sofferto granché.
Adrian annuì stancamente. -E ora cosa faccio..?- chiese pianiucolando.
-Stai tranquillo. Penso a tutto io- disse il ragazzo alzandosi in piedi e recuperando la maschera adagiata a terra. -Aspettami qui-.
-Ma...-.
-Non muoverti da quì- ripeté interrompendolo.
Uscì dalla porta che dava suo corridoio e si diresse nel salotto. Il cadavere dell'uomo giaceva a terra silenzioso, ed una pozza di sangue scarlatto si era allargata sul pavimento sotto al suo corpo. Il ragazzo cercò un sacco per la spazzatura sufficentemente grande, poi si avvicinò, lo sollevò e ce lo infilò dentro piegando la bocca in una smorfia di disgusto.
Con poco sforzo lo caricò sulle sue spalle e uscì dal retro della casa, che grazie al giardino circondato da alberi rimaneva piuttosto nascosto dalla vista dei passanti sulla strada. Percorse il prato a passo svelto, sperando di non essere visto, e vagò quà e là con lo sguardo alla ricerca di un posto ove poteva nasconderlo; si ritrovò davanti ad un canale, che sembrava attraversare la città per poi gettarsi in mare, anche se quest'ultimo doveva essere piuttosto lontano. Senza pensarci troppo lo buttò giù, ed il corpo emise un tonfo a contatto con l'acqua. La corrente iniziò subito a portarlo via, proprio come il ragazzo sperava. Presto sarebbe stato sufficientemente lontano da non causargli problemi, e se anche la polizia avesse riconosciuto il cadavere non avrebbe potuto risalire a lui.
Il ragazzo si mise le mani ai fianchi. E Adrian? Lui sì che avrebbe avuto problemi. La sua vita era rovinata, per sempre, a causa di questo suo stupidissimo errore. Che senso aveva avuto giocare a fare l'eroe, se era proprio lui il mostro più pericoloso?
Scosse la testa e strinse i pugni, mentre tornava sui suoi passi. Non poteva più rimediare al casino che aveva fatto. Adrian l'avrebbe odiato per sempre, ed era esattamente quello che meritava.
Entrò e richiuse la porta d'ingresso, per poi tornare nella camera da letto ove aveva chiesto al bambino di aspettarlo; e lui era ancora lì, con la testa tra le mani e lo sguardo basso.
-È... È tutto apposto- balbettò il ragazzo. "Tutto apposto?" pensò tra sé e sé subito dopo "Che cosa, esattamente, sarebbe apposto?".
-Lui... Era cattivo ma.. Non volevo che...- disse Adrian, che riusciva a malapena a creare una frase di senso compiuto.
Jack si avvicinò e si mise a sedere sul letto accanto a lui. Posò una mano sulla sua spalla e strinse le dita. -Non ho modo di rimediare a quello che ho fatto, e so che chiederti scusa non risolverà mai niente... Ma... Voglio che tu sappia che seppur io non sia l'eroe che avevi immaginato, tu per me lo sei. Sei il mio piccolo eroe, perché mi stai dando uno straccio di motivo per vivere-.

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