|Chapter 4|
Quando mi svegliai ero sola dentro al piccolo riparo, con il focolare ormai spento davanti ai miei piedi. Sentivo la ferita bruciarmi sul fianco, eppure non percepivo la vita scivolarmi via dalle dita come avrei immaginato, sembrava più che altro che dentro al mio corpo qualcosa stesse agendo velocemente; era come se un calore intenso partisse dal petto e si espandesse per tutto il corpo, come quando si beve una bevanda calda in una gelida giornata d'inverno. Pure la stanchezza era passata completamente dopo quella dormita.
Mi guardai intorno non vedendo alcun segno di Jonathan, il quale con molta probabilità era andato a esplorare i rottami dell'aereo; come se avesse sentito qualcuno chiamare il suo nome il ragazzo entrò dalla porta della piccola casupola, con uno sguardo soddisfatto a dipingergli il volto.
"Oh, sei sveglia." Disse sorpreso, avvicinandosi a me con in mano ciò che riconobbi come ago e filo. "Ho trovato qualcosa con cui ricucirti la ferita, anche se prima dovrò scaldarlo con il fuoco." Mi avvertì, tirando fuori da uno zaino - molto probabilmente trovato tra i rottami del relitto - una boccetta di un qualche liquido e del cotone, aggiungendo: "Per fortuna ho trovato dell'anestetizzante, così non soffrirai troppo." Tentò di rassicurarmi, sforzando un sorriso incoraggiante che io ricambiai.
Accese un fuoco con l'accendino del giorno prima, incendiando un bastoncino e avvicinandogli il piccolo ago, solo dopo aver passato nel piccolo buchetto il filo. Si posizionò in ginocchio vicino a me, alzandomi la maglietta per poi lentamente togliermi la medicazione. L'espressione che comparve sul suo viso una volta che la ferita fu liberata dal bendaggio fu un misto tra il sorpreso e il disgustato, ma stentò lo stesso un sorriso per cercare di rassicurarmi.
"Che cosa sta succedendo?" Gli chiesi con un filo di voce, la preoccupazione sovrastata dal dolore.
"Il taglio è arrossato e comincia a essere gonfio, segno di una possibile infezione;" mi poggiò una mano sulla fronte, ritirandola qualche secondo dopo come se fosse stato scottato. "Inoltre sei caldissima, quindi probabilmente hai anche la febbre. Devo cucirtelo subito, o potresti rischiare di peggiorare." Mise del liquido sul cotone, per poi passarmelo sul taglio; sussultai tutto il tempo che mi premette l'anestetizzante sulla ferita, sentendola bruciare in un modo assurdo.
"Guarda da un'altra parte ora, magari non vedendo proverai meno il dolore." Mi suggerì Jonathan e io obbedii.
Non percepii quasi niente durante la piccola 'operazione' improvvisata: sentii solamente un piccolo pizzico all'inizio, seguito da altri a distanza di qualche secondo, mentre la pelle veniva tirata ai lati della ferita dove l'anestetizzante non faceva effetto. Riuscivo a percepire la sua delicatezza attraverso i gesti gentili con cui cuciva la ferita, oltre al silenzio quasi tombale che impregnava l'aria della sua presenza. Non seppi quanto tempo passò, l'unica cosa certa fu che tutto fu finito quando vidi il viso di Jonathan di fronte al mio, il quale aveva spostato dolcemente per fare in modo di guardarlo negli occhi.
"Ora dovrebbe andare tutto meglio, ti ho anche bendato di nuovo la ferita." Mi rassicurò Jonathan, sforzando un sorriso che però tradiva una nota di sollievo. "Dovresti riprenderti tra oggi e domani; hai sentito dolore?" Mi domandò, ritornando serio in viso. Scossi la testa, assicurandogli che non avevo percepito niente ma anzi, mi sentivo già decisamente meglio.
"Anzi, dammi una mano ad alzarmi." Gli domandai, anche se lui esitò all'inizio. Dopo varie mie richieste e proteste, finalmente decise di accontentarmi, anche se si lamentò più volte del fatto che non era per niente d'accordo con la mia idea. Mi passò le braccia sotto alle ascelle mentre io mi aggrappavo a lui per rimettermi in piedi; gli scappai un paio di volte, durante le quali scoppiammo a ridere entrambi.
Quando fui finalmente sulle mie gambe - anche se non troppo salde -, Jonathan provò a lasciarmi andare, per vedere se riuscivo a rimanere da sola in piedi. Miracolosamente ci riuscii, nonostante fossi stata a un passo dal rischiare la morte.
"Niente male, soprattutto dopo che sei quasi morta." Disse infatti lui.
Mi sfoggiò uno dei suoi sorrisi: non di quelli che mi aveva rivolto da quando mi aveva ritrovato fuori dall'aereo sulla spiaggia, pieno di preoccupazione e paura e che aveva tentato di nascondere con la rassicurazione e l'incoraggiamento; ma uno sincero e pieno di voglia di vivere, come quello che gli aveva increspato le labbra sull'aereo quando aveva scoperto di avere il posto accanto a me, la ragazza a cui era finito addosso in aeroporto.
"Riesco anche a camminare, guarda." Dissi sicura di me, lanciandogli uno sguardo di sfida che lui accolse a testa alta.
Feci qualche passo contro ogni aspettativa, anche se i primi furono incerti e traballanti; feci un paio di volte la stanza avanti e indietro, sorprendendo in primis me stessa dato che non mi ero aspettata di riuscirci subito, e anche Jonathan che mi batté le mani non appena mi fermai, facendomi ridere.
"Vedo che non può fermarti niente." Si complimentò, avvicinandosi a me.
Mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio guardandomi intensamente negli occhi, mentre un'espressione indecifrabile gli deformava la faccia. Sembrava... Ammirazione? O forse era qualcos'altro? Non avrei saputo dirlo.
"Forse questi occhi scuri nascondono più segreti di quanto mi sarei mai potuto aspettare." Mi disse, accarezzandomi la guancia e poi poggiando la mano su di essa in modo tenero.
Sentii il cuore cominciare a battere forte e all'impazzata, nel frattempo che una scossa di brividi mi percorreva la schiena. All'improvviso sentimmo dei rumori all'esterno che ci fecero allertare immediatamente; lui si staccò subito da me mentre io sobbalzai. Non seppi perché, però, provai una strana sensazione di vuoto quando lui indietreggiò. Ci aveva colto di sorpresa quel rumore perché credevamo di essere soli sull'isola, che nessun altro essere vivente - tranne le piante - potesse popolare quel luogo sconosciuto. Jonathan mi fece segno di stare indietro, nel mentre che lui si avvicinava alla porta e spiava da uno dei tanti spiragli causati dall'abbandono della piccola struttura. I suoni esterni ricordavano, oltre che uno strascico di piedi, foglie secche e rametti rotti e calpestati, anche dei continui e appena udibili mugolii. A un certo punto il ragazzo mi fece segno di avvicinarmi. Ciò che vidi mi tolse l'aria dai polmoni, facendomi sentire le vertigini nonostante mi trovassi a terra.
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