|Chapter 2|
Quando rinvenni percepii sotto di me qualcosa di piccolo e granuloso, oltre a un leggero venticello che mi sollecitava il viso; una voce maschile mi stava chiamando in modo disperato, cercando in me qualche segno vitale. Aprii gli occhi lentamente e voltai il viso verso il proprietario della voce, trovandovi di conseguenza su quel volto familiare un sorriso di sollievo.
"Grazie a Dio sei viva Crystal, stavo perdendo le speranze ormai." Disse Jonathan sollevato, spostandomi i capelli umidi che avevo incollati sul viso.
"Dove siamo?" Domandai provando a mettermi seduta; non potei fare scelta più sbagliata: non appena provai a raddrizzarmi, percepii una fitta acuta colpirmi il fianco, come se qualcuno mi stesse pugnalando con un coltello affilato. Caddi all'indietro non potendo sopportare il dolore, mentre Jonathan mi aiutava a poggiarmi dolcemente al suolo.
"Non muoverti, sei ferita." Mi avvertì, poggiandomi una mano sulla fronte; mi accorsi solo in quel momento che una sua mano stava premendo sul mio fianco destro, facendomi ricordare il momento in cui mi ero accorta della ferita sull'aereo. "Tu rimani qui, vado a cercare un medikit di pronto soccorso." Mi avvertì Jonathan, poggiando una mia mano sulla ferita e spingendo un po', per poi allontanarsi verso il mare; probabilmente stava andando verso i resti del veicolo precipitato prima che affondasse del tutto, cercando il necessario per curare la ferita. Inoltre mi accorsi della presenza di un pezzo del relitto, fatalità, approdato sulla riva della spiaggia.
Mi guardai intorno, cercando di capire un po' il posto in cui mi trovavo: era una spiaggia abbastanza grande e larga, con la sabbia bianca e fine che ti scivolava tra le mani come sale. Fu proprio il colore di quest'ultima che attirò di più la mia attenzione: era di un bianco intenso, quasi accecante, fatto che non avevo mai visto in vita mia. Mille domande cominciarono a riempirmi la testa, facendola appena dolere sotto la loro potenza:
In che isola ci trovavamo?
Dato che eravamo precipitati nel bel mezzo dell'Atlantico doveva essere per forza un'isola. Non l'avevo vista né su qualche mappa e né nei libri di geografia, non mi veniva in mente nessuna isola con la particolarità di avere la sabbia del colore del latte.
Come ci ero finita sulla spiaggia?
L'ultimo ricordo che avevo era che mi trovavo ancora sull'aereo quando avevo ripreso conoscenza la prima volta, con la distruzione intorno a me; ma la cosa che più mi aveva spaventato non era stata né la consapevolezza di star sanguinando e né quella che tutta la mia famiglia - apparentemente e molto probabilmente - fosse morta, ma il tizio vestito di nero che si era avvicinato a me, facendomi segno di stare in silenzio.
Chi era? Che cosa voleva da me?
Non avevo una risposta a queste domande, ma non ero neanche così sicura di volerla sapere. Avrebbe potuto uccidermi, non avevo molte vie di scampo, eppure non l'aveva fatto.
Che cosa voleva fare, allora?
"Ho trovato il medikit di pronto soccorso Crystal!" Sentii la voce di Jonathan gridare da lontano, vedendolo un attimo dopo sopra di me, nel frattempo che poggiava una scatoletta rossa e di metallo di fianco a sé. "Adesso posso medicarti." Tentò di rassicurarmi, alzandomi la maglia e facendo una smorfia alla vista della ferita. "È un brutto taglio, ma non dovrebbe essere grave; è la perdita di sangue che mi preoccupa." Tirò fuori dalla cassetta di metallo del cotone e una boccetta di un qualche liquido, molto probabilmente disinfettante.
"Sei proprio un esperto di queste cose." Scherzai, stringendo i denti e facendo una smorfia per il dolore non appena il cotone impregnato di disinfettante entrò in contatto con la pelle lacerata.
"Scusa." Disse Jonathan, notando la mia reazione e cercando di tamponare nel modo più delicato possibile. "Mio padre è un dottore, ho imparato qualcosa negli anni." Mi spiegò, abbozzando un sorriso rassicurante.
Una volta che ebbe pulito il taglio mi fasciò - anche se con fatica - la ferita con garze e bende, dandomi poi una mano ad alzarmi lentamente in piedi. Rivolsi lo sguardo verso il cielo non appena fui in piedi con un braccio sulle spalle di Jonathan, il quale mi stava sorreggendo, prendendosi la maggior parte del mio peso; il cielo stava diventando man mano sempre più scuro, con il sole che tramontava all'orizzonte dietro al mare.
"Si sta facendo buio, dovremmo trovare un posto in cui stare per la notte." Dissi ad alta voce, anche se a nessuno in particolare.
"Già, non sappiamo chi o cosa abiti quest'isola." Mi diede ragione lui, girandosi in cerca di un posto sicuro all'interno del bosco di fronte al mare. "Forse ci sarà una grotta in cui stare." Tentò di rassicurarmi, camminando lentamente per fare in modo di aiutarmi e farmi il meno male possibile. Ero talmente presa dalla stanchezza e dal brutto taglio sul fianco che l'idea di che fine avesse potuto fare la mia famiglia non mi sfiorò nemmeno, come se fossi sicura che in qualche modo fossero ancora vivi e che mi stessero aspettando da qualche parte al sicuro.
Non dovemmo fare molta strada prima di trovare un riparo, perché dopo circa venti minuti scorgemmo una piccola casetta tra gli alberi; sembrava stabile, le pareti composte da assi di legno e il tetto apparentemente di paglia. Era il luogo più bizzarro che io avessi mai visto, un misto tra moderno e primitivo; ma se era abbastanza largo da poterci stare tranquillamente seduti, ci saremmo accontentati. Attraversammo la piccola porticina, entrando in un quadrato che sarà stato tre metri sia di lunghezza che di larghezza.
"Qua dovrebbe andare." Commentò Jonathan posandomi delicatamente a terra contro una parete, in modo che rimanessi seduta.
Incrociai le braccia al petto come se mi stessi abbracciando da sola, strofinandomi le mani sulle braccia a causa del freddo pungente che si stava diffondendo nell'aria; mille brividi mi percorrevano la schiena, mentre i denti cominciavano a battere.
"Hey, ma tu stai gelando." Constatò lui appena mi vide, inginocchiandosi vicino a me e sentendo con una mano il freddo della mia pelle. "Prendi la mia felpa." Si levò l'indumento che aveva addosso, rimanendo solo con una maglietta a maniche corte bianca.
"Tu non hai freddo?" Gli chiesi, mettendo una mano avanti e bloccandolo nel suo intento.
"Io sto bene così, non preoccuparti." Insistette lui, non lasciandomi altra scelta che accettare la sua offerta; afferrai la felpa infilandomela con il suo aiuto, dato che la ferita non mi lasciava muovere così liberamente come avrei voluto.
"Grazie." Dissi, rivolgendogli un sorriso sincero e debitore.
"Figurati, almeno adesso starai più al caldo." Contraccambiò il mio sorriso, alzandosi poi lentamente in piedi, pulendosi dallo sporco e dalla polvere. "Vado a cercare della legna, almeno potremmo accendere un fuoco e rimanere al caldo per la notte." Si offrì, avviandosi verso la porta.
"Tornerai vero?" Quella domanda mi uscii fuori di bocca prima che potessi fermarla, facendomi diventare rossa per l'imbarazzo causato dalla velocità con cui avevo pronunciato quella frase.
Lui sembrò non notarlo, anzi, allargò il sorriso che aveva in volto e rispose: "Tranquilla tornerò; non ho intenzione di lasciarti morire così." E detto questo uscì dalla porta, scomparendo nell'oscurità che stava man mano crescendo fuori.
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