Chapter 18

Da quella notte si sistemò tutto: io e Jonathan tornammo a parlare normalmente, avevamo in qualche modo stabilito lo stesso rapporto di prima, anche se in fondo - dentro di me - percepivo una strana sensazione di stordimento e pentimento.

Nei tre giorni successivi, inoltre, parlammo gran poco, non solo per la strana stanchezza che sembrava opprimerci ogni giorno, ma anche perché sembrava che non ci fosse niente da dire.

Come mi aveva riferito Ralph, almeno, i vestiti svolgevano un ottimo compito isolante per il vento e il freddo, oltre all'abbondanza di cibo e acqua che ci sarebbe bastata per un lungo periodo.

I nostri incontri con gli Homi erano stati uno il giorno prima e l'altro due, e sembravano diventare sempre un po' più intelligenti. I versi che producevano erano alcuni acuti, come le unghie che graffiano una lavagna, e altri più profondi, gutturali. Se li ascoltavi per un periodo prolungato ti portavano alla pazzia. Il coltello che mi aveva regalato Ralph era fantastico, ogni volta che lottavo con una di quelle creature mi sembrava di avere un enorme artiglio al posto della mano, un'arma innata e appartenente al mio corpo. Queste sensazioni mi facevano paura e piacere allo stesso tempo: quando a scuola dovevamo scegliere i gruppi extrascolastici in cui stare, più volte mi ero iscritta a karate o corsi simili, risultando sempre come la migliore. Rendermi consapevole di questo 'talento', però, mi terrorizzava, perché avevo paura di poter arrivare a fare del male a qualcuno.

Era già passata una settimana, e ancora stavamo cercando qualche forma di vita che non fosse pericolosa; tralasciando Ralph, chiunque avessimo incontrato sul nostro cammino aveva tentato di farci fuori o si erano rilevati poco amichevoli. Eravamo immersi nella natura, quando decisi di porgli una domanda che mi rimbombava nella testa da ormai quattro giorni: "Ti ricordi quando sono uscita di notte per incontrare Ralph?"

Lo vidi sussultare appena con la coda dell'occhio, consapevole di quali strane emozioni gli suscitasse ancora quel nome. Annuì, facendomi segno di andare avanti.

"Ci sono state due cose che mi hanno, diciamo, preoccupata." Cominciai, infilando le mani dentro le tasche. "La prima è il fatto che sapesse entrambi i nostri nomi." Scossi la testa, guardando a terra. "Quando ha pronunciato prima il mio e poi il tuo nome, ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena come acqua gelata."

"Dici che ci stanno seguendo?" Mi domandò Jonathan, mentre io alzavo le spalle.

"Non saprei dirlo con certezza," Incrociai le braccia al petto, alzando lo sguardo e facendolo vagare in mezzo alla natura. "Ma è comunque una cosa che mi ha fatto sentire strana." Evitai di riferirgli il particolare affetto paterno che avevo percepito quando Ralph aveva pronunciato il mio nome, considerandola un'informazione superflua, irrilevante. "Ma ciò che mi ha colpito di più è stato quando ha parlato del mio DNA."

"Che cosa intendi?" Aveva un tono curioso, come se avesse avuto la voglia di analizzarmi per davvero e scoprire la verità.

"Non mi ha detto chissà cosa, semplicemente - quando ho preso il coltello - ha detto che avrei saputo maneggiarlo senza problemi." Tirai fuori l'arnese dalla sua custodia, rigirandomelo fra le dita: la lama affilata e tagliente come un rasoio aveva ancora qualche macchia di sangue rappreso degli Homi che avevamo ucciso il giorno prima, mentre il manico nero come il carbone faceva risaltare ancora di più la lucentezza di tutta l'arma. "E, in effetti, l'ho sentita come un'estensione della mia mano, mi sembrava di combattere con i pugni al posto del coltello." Usai la manica del giubbotto per pulire la lama, rimettendo poi il coltello al suo posto. "Ho paura di esagerare però; sono sempre stata brava a karate o nei combattimenti in generale, ma lì ero controllata. E se diventassi pericolosa anche per te?" Finalmente esternai quella mia preoccupazione, rendendola esplicita. Ci pensavo da quando avevo lottato per la prima volta con il coltello contro gli Homi, ma non avevo avuto il coraggio di riferirglielo.

"Essere bravi a combattere non vuol dire fare del male a chi vuoi bene, Crystal." Tentò di rassicurarmi, avvolgendomi le spalle con il braccio e stringendomi a sé. "Sei un ottima guerriera, su questo non ci sono dubbi, l'hai dimostrato dalla prima volta che abbiamo lottato contro gli Homi." Mi lasciò un bacio sulla testa, poggiandovi poi la testa per un paio di secondi. "Esserlo non ti rende automaticamente un'assassina. Questo non vuol dire che mi ucciderai da un momento all'altro mentre dormo o chissà quando, ma semplicemente che sai difenderti bene e senza problemi."

Mi allungai per lasciargli un bacio sulla guancia, sorridendogli poi in senso di gratitudine.

Camminammo così per quasi tutta la mattinata, fin quando non decidemmo di fermarci per pranzare. Il tratto successivo durò circa un paio d'ore, in cui decidemmo di fare una specie di gara di corsa: vinceva chi arrivava più lontano, e il perdente avrebbe dovuto cedere la cena all'altro quella sera; avevamo abbastanza scorte da poterci permettere il digiuno di uno dei due. Accettai, partendo non appena la mia mano si fu staccata dalla sua, subito dopo la stretta di mano di suggellazione. Riuscii a essere in vantaggio di qualche metro solo per un paio di minuti, prima che lui mi raggiungesse e superasse correndo come una scheggia. Mi fermai e poggiai le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, dato che avevo scattato inizialmente.

"E va bene, hai vinto tu!" Gli urlai, vedendo che si era fermato circa venti metri più avanti, raggiungendolo a passo di marcia.

Quando gli fui vicina provai a scuoterlo per richiamarlo, ma non mi rispose, per questo mi misi al suo fianco e cercai di richiamarlo, capendo finalmente che cos'era l'oggetto della sua attenzione. Davanti a noi si apriva un prato senza alberi, ma con una moltitudine di specie diverse di fiori che emanavano nell'aria un aroma non troppo forte e molto gradevole. Rose, orchidee, papaveri, tulipani e molti altri tipi che non conoscevo ornavano quell'ampio orizzonte in modo colorato. Gli alberi erano terminati con una strana linea dritta, come se qualcuno li avesse tagliati via tutti e al loro posto avesse piantato altri fiori. L'unica pecca era il cielo, che era di un grigio chiaro, come la neve sporca, rendendo di conseguenza tutta l'atmosfera fredda e triste.

"E se ci fosse qualcosa più avanti?" Chiese Jonathan, schermandosi gli occhi con le mani per non farsi accecare dal sole non forte come una settimana prima.

"Scopriamolo." Risposi con una piccola risata, afferrandolo per un braccio e trascinandolo con me.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top