|Chapter 10|

Mi svegliai di colpo, sentendo che qualcosa non andava. Molto probabilmente fuori era ancora notte e a causa del freddo che entrava dagli spifferi e il fuoco che si era spento, l'intero abitacolo era diventato congelato. Ciò che mi preoccupò di più però fu l'assenza del corpo di Jonathan contro il mio, che percepivo non essere più lì vicino. Aprii gli occhi e mi alzai sui gomiti, cercandolo nell'oscurità; nonostante fossi al buio riuscivo in qualche modo a distinguere le forme che avevo intorno. Lo individuai poco più distante da me, poggiato contro i due muri che formavano l'angolo con le braccia che circondavano le gambe portate verso il petto.

"Jonathan cosa fai sveglio?" Gli domandai, non ricevendo alcuna risposta da parte sua. Effettivamente non sapevo con certezza se stesse dormendo oppure fosse sveglio, dato che la testa era poggiata contro il muro alla sua sinistra. Rimasi immobile e in silenzio per qualche secondo, e non appena percepii dei lievi rumori da parte sua decisi che non era decisamente addormentato come credevo.

"Jonathan che cos'hai?" Mi alzai e mi sedetti di fianco a lui, cercando di guardarlo in viso nonostante il buio circostante. "Avanti parlami, so che sei sveglio, non sono stupida." Tentai di convincerlo scuotendolo.

"Lasciami in pace, ti prego Crystal." Mi supplicò lui con la voce spezzata e tremolante.

All'inizio rimasi immobile stupita: stava piangendo, lo capivo dal tono che aveva assunto la sua voce e dal singhiozzo che gli aveva scosso il corpo subito dopo aver pronunciato la frase.

"Jonathan, ma stai piangendo..." Nonostante sapessi che la frase che avevo appena pronunciato non avesse un senso ben preciso, ma che anzi sembrava quasi una presa in giro nei suoi confronti, non potei trattenermi dal dirla, dato che sembrava qualcosa di talmente straordinario dal non riuscire a tenerlo nascosto. "Che cosa ti sta succedendo? Non me ne vado fin quando non lo so." Mi impuntai, poggiandogli una mano sul braccio per tentare di consolarlo.

"Non potevi rimanere muta come quando siamo partiti da Londra?" Mi chiese retoricamente, senza aspettarsi una vera e propria risposta da me, non potendo però trattenere una piccola risata.

"Mi dispiace ma non posso lasciarti qua così adesso; sono una testa dura se voglio e qua non vedo nessun finestrino da guardare fuori per imbambolarmi." Risposi, dandogli una piccola spinta e ridendo; ritornai seria dopo un paio di minuti, guardandolo preoccupata e dicendo, provando ancora: "Allora, mi vuoi dire che cos'hai?"

Lui rimase all'inizio in silenzio, il sorriso scomparve e indirizzò lo sguardo per terra, aspettando qualche secondo in silenzio prima di rispondere, probabilmente per convincersi o accertarsi che volevo effettivamente sapere perché stesse così male.

"Ho paura." Disse alla fine mentre io lasciavo andare il respiro, rendendomi conto solo in quel momento di averlo trattenuto. "Paura di non rivedere più la mia famiglia, paura di ciò che potrebbe accadere, paura di rincontrare le creature che abbiamo visto stamattina. Paura del domani." Continuò, guardandomi negli occhi che trovai lucidi come i miei, due stelle brillanti e particolari nell'oscurità. Stava pronunciando a voce alta tutte le paure che io stavo portando inconsciamente dentro di me, oltre al lutto della mia famiglia. Sentivo una strana mano fredda afferrarmi lo stomaco facendomi quasi vomitare, mischiato con un'ansia che preferivo evitare piuttosto che affrontare. Sapevo benissimo che emozioni stava provando perché le provavo anch'io, ma l'unica cosa a cui non avevo pensato era come le stava affrontando lui: durante il giorno si era dimostrato una figura stabile, sicura e protettiva, per poi crollare durante la notte, dove tutti i segreti, anche i più infidi, venivano protetti e celati dal buio e dalle tenebre. Mi accoccolai a lui cercando di fargli capire che, nonostante la situazione, non era solo; sapevo che non era una grande rassicurazione, ma era meglio di niente. Quando lui l'aveva fatto con me il giorno prima aveva funzionato.

"Come sono?" Gli domandai all'improvviso, cogliendolo di sorpresa.

"Come sono cosa?" Ribatté infatti subito dopo, alzando un sopracciglio.

"I tuoi genitori, come sono? E sei figlio unico?" Specificai, sforzando un sorriso.
Jonathan all'inizio fece una piccola risata scuotendo la testa; aveva intuito che stavo trasformando tutta quella situazione in un'esperienza normalissima come il campeggio, tentando di farci dimenticare anche per un secondo l'accaduto.

"Mia madre è psicologa, mentre mio padre è un dottore; i colori dei miei occhi derivano dall'unione dei loro: mia madre li ha azzurri e mio padre verdi." Rispose finalmente, circondandomi le spalle con un braccio e poggiando la sua testa sulla mia, nel frattempo che io la posavo sulla sua spalla. "E ho un fratellino più piccolo, ha quattro anni, degli occhi talmente grandi e azzurri da fare quasi paura. L'unico istinto che ho nei suoi confronti è quello di proteggerlo dal mondo e dalle cattiverie, nient'altro." Per un attimo mi strinse un po' più forte, facendomi capire inconsciamente che in quel momento ero io il fratellino che sentiva di dover proteggere. Percepii un tuffo al cuore che però decisi d'ignorare, non conoscendone bene le cause.

"E i tuoi come sono? È il tuo fidanzato quello che era con voi?" Mi alzai un attimo dalla posizione in cui eravamo, increspando le sopracciglia e guardandolo confusa.

"Il mio fidanzato?" Ripetei, non capendo bene a chi si stesse riferendo.

"Il ragazzo che era davanti a te al check in: alto, biondo..." Cercò di spiegarmi, capendo alla fine a chi si stesse riferendo.

"Ah, intendi Jason, mio fratello!" Ritornai con la testa sulla sua spalla ridendo. "Non è il mio fidanzato, ad avercene uno almeno! Sono una giovane zitella con un gatto a casa che mi aspetta." Risposi scuotendo la testa.

"Scusa, non lo sapevo;" si giustificò lui, ridendo per l'imbarazzo. "Solo che non vi assomigliate per niente e credevo che una ragazza bella come te ce l'avesse un uomo nella sua vita." Arrossii a quelle parole e per fortuna il buio mi nascose dal suo sguardo; nessuno mi aveva mai fatto un complimento così solo perché lo pensava, e riceverne uno da Jonathan che, oggettivamente, era anche carino, mi aveva infuso una strana sensazione di gioia e calore.

"Gli unici uomini nella mia vita sono mio padre e mio fratello, e te al momento." Apprezzavo il fatto che avesse iniziato a parlare dei miei genitori e di mio fratello al presente, nonostante sapessimo benissimo che non erano sopravvissuti allo schianto. "Sarà meglio dormire ora, non è neanche l'alba." Dissi chiudendo gli occhi, sentendo la stanchezza chiamarmi a sé. "Buonanotte Jonathan."

"Buonanotte Crystal e grazie." Mi lasciò un bacio tra i capelli, il quale mi fece automaticamente sorridere, facendomi sentire in un modo in cui non mi ero mai sentita prima d'ora.

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