5. Asteroidi e dinosauri

Alla fine, Dolores si era accampata sul divano. Finita la cena, la fata non si era offerta di tornarsene a casa sua - ovunque essa fosse - e Sofia non aveva avuto il coraggio di chiederle di andarsene.

Anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, la ragazza temeva quello che sarebbe potuto succedere nel momento in cui avesse finalmente deciso di andare a letto e di abbandonarsi tra le braccia del sonno. E se il demone fosse tornato? Si chiese, mentre si lavava con cura i denti. Se, come credeva di aver capito, il suo scopo era quello di generare la Figlia delle Tenebre, allora l'avrebbe forse lasciata in pace: dopotutto, Dolores pareva piuttosto convinta che lei fosse incinta.

Ma se, invece, non fossi ancora incinta e quel tipo decidesse di riprovarci stanotte? Il pensiero la riempiva in ugual misura di ansia e di rabbia. Se me lo trovassi davanti, non saprei davvero come reagirei.

Posando lo spazzolino nell'apposito bicchiere, la giovane fissò la propria immagine riflessa nello specchio del bagno. Era così diversa dalla fanciulla-angelo nella quale si era identificata durante il sogno della notte precedente - quello che, a conti fatti, non era affatto un semplice sogno.

Perché il mio aspetto era tanto diverso? Si chiese. C'era qualcosa che non tornava, nella spiegazione di Dolores. È vero che è stata lei la prima ad ammettere che non sa bene come funzioni questo tipo di incantesimo, ma perché sembravo così bella e pura, in quella visione?

La ragazza che la guardava dallo specchio illuminato dalla luce fredda dei led non aveva nulla di particolarmente angelico: la pelle pallida aveva un riflesso quasi verdognolo, curiosamente in tinta con le sfumature che ancora imbrattavano le punte rovinate dei suoi capelli lisci e privi di un taglio riconoscibile. Gli occhi azzurri, seppure gradevoli per colore e forma, erano circondati da profonde occhiaia bluastre, e un paio di brufoli da ciclo imminente facevano bella mostra di sé sulla rotondità del mento.

Sofia sollevò due dita fino a sfiorare il piercing che le perforava il setto nasale, scintillando freddo alla luce dei faretti. Se quello che gli interessava veramente era dare vita a quella cosa, perché si è preoccupato del mio aspetto fisico? Ammesso che sia stato veramente lui a cambiarlo...

C'era poi un'altra questione che la tormentava: perché era stato tanto delicato, con lei? Ho quasi l'impressione che si sia sforzato di rendermi l'esperienza piacevole: perché?

Non appena quel pensiero attraversò la sua mente, la ragazza indietreggiò bruscamente, allontanandosi dal lavandino e dallo specchio che lo sovrastava. No, non si sarebbe persa in quei pensieri. Non cercherò giustificazioni, né attenuanti che rendano meno schifoso quello che ha fatto, decise, strofinando con rabbia le mani nella salvietta rosa.

Chiudendo con decisione la porta del bagno, la ragazza si affacciò sul salotto, dove Dolores sfogliava un vecchio romanzo accoccolata sul divano. "Io vado a letto" le disse. "Buonanotte."

La fata alzò gli occhi dal libro che teneva sulle ginocchia. "Buonanotte" fece di rimando. "E, mi raccomando: se dovessi aver bisogno di aiuto, ricordati che sono qui."

Sofia annuì e abbozzò un sorriso, prima di dirigersi verso la camera da letto. Sperava davvero di non avere bisogno di alcun aiuto, ma il fatto di sapere che la sua fata madrina era lì, a pochi metri da lei, la confortava.

Quando si fu sistemata sotto il lenzuolo leggero, la ragazza rimase immobile per qualche istante, distesa supina sul materasso, e fece un respiro profondo, come per prepararsi ad affrontare una prova impegnativa. Era quasi sicura che il demone si sarebbe ripresentato: non sapeva da dove le arrivasse quella certezza, ma la avvertiva nelle ossa, una vibrazione leggera, ma costante, che le raccomandava di non abbassare la guardia.

Ma questa volta non cederò, si ripromise. Questa volta so che non è solo un sogno, e non mi lascerò prendere in giro. Non era sola, si disse, per farsi coraggio. C'era Dolores, di là, e, anche se non l'aveva vista fare nulla di particolarmente minaccioso, era pur sempre una fata, un essere magico che doveva pur avere qualche potere di una certa utilità. Spero che non sappia fare soltanto inutili trucchetti con l'acqua, però, perché altrimenti potrei anche trovarmi nei guai.

Istintivamente, Sofia allungò una mano e afferrò l'unicorno di peluche che occupava l'altra metà del letto. Era un ricordo che aveva portato con sé quando si era trasferita nel vecchio appartamento di sua nonna, un ricordo infantile che aveva però il potere di confortarla nei momenti in cui si sentiva triste, sola o smarrita. Raggomitolandosi sotto le coperte, la giovane si strinse al petto il pupazzo e chiuse gli occhi, rassegnandosi ad affrontare qualsiasi cosa il sonno avrebbe portato con sé.

L'incoscienza stentò però ad arrivare, quella sera, e la giovane guardò le ore scorrere lente sul display della sveglia senza riuscire veramente ad addormentarsi, rimanendo sospesa in uno stato di dormiveglia nel quale si affacciavano soltanto sogni fugaci, pensieri raminghi e ombre a cui non sapeva dare un nome.

Quando riaprì per l'ennesima volta gli occhi - li aveva chiusi quando la sveglia segnava le 2:46 - sulle prime credette di essere ancora nella sua camera illuminata dalla luce dei lampioni, ma le bastarono pochi secondi per rendersi conto che il locale in cui si trovava era di nuovo mutato. Con un fremito d'angoscia, riconobbe i mobili antichi, le tende di broccato viola, il tappeto pesante e comprese che Lui l'aveva di nuovo portata nella sua dimensione.

Maledetto bastardo, pensò, più per cercare un sostegno nella rabbia, che per altro. Abbassando lo sguardo sulle proprie mani, vide che le unghie erano al loro stato naturale, senza smalto viola: tanto le bastò per capire che anche il suo aspetto era quello angelico della fanciulla della visione e non quello che le apparteneva durante il giorno.

Sofia si mise a sedere e si guardò attorno. Quando scorse la sagoma dietro alla tenda, fu colta da un senso di déjà-vu, ma strinse i denti, impedendo ai ricordi di prendere il controllo della sua mente. Non era vero niente: la dolcezza, le carezze, le parole sussurrate non erano altro che un espediente per conquistare la sua fiducia, per evitare che lei gli si ribellasse e si opponesse a lui.

Senza dire una parola, la ragazza scese dal letto. E adesso cosa vorresti fare? Chiese una vocina sarcastica nella sua testa. Intendeva forse affrontare l'uomo che si nascondeva dietro la tenda? Non è un uomo, è un demone, le ricordò la stessa voce. E tu non sai di cos'è capace.

Quando i piedi nudi della ragazza toccarono il tappeto, la figura affacciata alla finestra ebbe un tremito e Sofia seppe di essere stata scoperta. "Ti sei svegliata, angelo?" le chiese infatti l'uomo un istante più tardi.

La giovane trattenne il fiato. "Non chiamarmi così" disse, con la voce che tremava in maniera quasi impercettibile.

Il demone tacque per qualche secondo, poi Sofia credette di sentirlo sospirare. Prima che potesse decidere quale fosse il modo migliore per affrontare la situazione, l'uomo si allontanò dalla finestra e si mostrò in tutto il suo splendore alla luce tremolante delle lampade a olio che gettavano un bagliore dorato all'interno della camera da letto.

"Perché?" le chiese, avvicinandosi a lei passo dopo passo. "Ai miei occhi tu sei veramente un angelo, Sofia."

Alla ricerca inconscia di un'effimera forma di protezione, la ragazza si abbracciò, affondando le dita nei muscoli delle braccia fino a quando la stretta non divenne quasi dolorosa. L'intera situazione le sembrava ancora più reale di quanto non le fosse sembrata la volta precedente: forse era la consapevolezza che quello che stava vivendo non era un sogno, ma era come se la patina onirica che l'aveva circondata la notte prima si fosse dissolta. I contorni delle cose le sembravano più marcati, più taglienti, e la figura dell'uomo che la sovrastava era ora più tangibile, quasi opprimente. Più di tutto, però, Sofia sentiva la mancanza di quella sorta di stordimento che le faceva credere che sarebbe andato tutto bene, che le diceva che c'era una via d'uscita e che, alla peggio, si sarebbe svegliata e tutto sarebbe stato esattamente come prima.

Non c'è risveglio, comprese, con il cuore in gola. Non c'è nessuna sveglia che può suonare e dirmi che è ora di andare al lavoro.

"Non parli, Sofia?" la incitò l'uomo, che si trovava ora a meno di un metro di distanza da lei.

Con uno scatto istintivo, la ragazza voltò il capo di lato, rifiutandosi di incontrare lo sguardo del demone che incombeva su di lei. "So cosa sei", sputò, cercando disperatamente di ritrovare il proprio coraggio, "e non credo che tu sappia com'è fatto un angelo."

Con la coda dell'occhio, lo vide sorridere. "Non credo che nessuno abbia mai visto un angelo, né abbia la prova della loro effettiva esistenza: ma sono certo che, se esistessero, sarebbero uguali a te."

Sorpresa da quella rivelazione, Sofia tornò a fronteggiare l'uomo. Nei suoi occhi sgranati, quello dovette leggere il suo stupore, perché il suo sorriso si trasformò in un accenno di risata. "Credevi che, dal momento che esistono i demoni, esistessero anche gli angeli? È questo, ciò che ti ha insegnato la tua religione?"

La ragazza esitò. "Io non sono religiosa" ammise. "Però, sì: se esiste il male, esiste anche il bene."

"Io non ho nulla a che fare con quello che ti hanno insegnato" mormorò l'uomo, lasciando scorrere gli occhi di ghiaccio sui lineamenti della giovane. "Non sono uno dei diavoli di cui raccontano i vostri sacerdoti: il mio regno non è un inferno di fiamme e di dannazione."

La giovane si permise di trarre un rapido sospiro di sollievo, ma poi indurì nuovamente la propria espressione."Be', poco cambia, comunque" ribatté. "Mi hanno spiegato chi sei e, soprattutto, che cosa hai fatto... che cosa mi hai fatto!"

"Chi te l'ha raccontato?" chiese il demone, senza distogliere gli occhi da quelli della ragazza. "È stata la tua fata madrina?"

"Sai della sua esistenza?" chiese Sofia, senza riuscire a nascondere il proprio turbamento. "L'hai sempre saputo? Quindi quello che mi ha detto è tutto vero?"

"Non tutto" replicò il demone, ma la ragazza non gli lasciò il tempo di spiegarsi meglio.

Malgrado il timore che l'uomo ancora le incuteva, Sofia sentì crescere in sé la rabbia e l'indignazione. "E quale parte non sarebbe vera?" abbaiò. Per una frazione di secondo, la sfiorò l'idea che, se l'avesse voluto, il demone avrebbe probabilmente potuto ucciderla all'istante, ma quel pensiero non fu sufficiente a spingerla ad adottare un approccio un po' meno aggressivo. Era in ogni caso alla sua mercé: se non altro, avrebbe fatto del suo meglio per dimostrare il proprio valore. "Vediamo: forse Dolores mentiva quando diceva che, per causa tua, potrei anche essere incinta? O forse quando sosteneva che questa cosa che ho nella pancia sarebbe la Figlia delle Tenebre, qualsiasi cosa significhi?"

Per un breve istante, il demone sembrò preso in contropiede da quell'attacco. Socchiuse gli occhi e si ritrasse di qualche centimetro, osservando Sofia come se la stesse studiando. "La tua fata madrina mi ha dipinto come un mostro, immagino" replicò dopo qualche secondo. "Ma io non lo sono. Io non sono nemmeno il male: sono solo il cambiamento, il fuoco che distrugge e purifica, che rade al suolo il vecchio per permettere al nuovo di nascere."

"Non me ne frega un cazzo" sbottò Sofia, senza più curarsi del linguaggio. "L'unica cosa che non deve nascere, per quanto mi riguarda, è questa qui." Così dicendo, si puntò un dito alla pancia e strinse i denti, senza retrocedere di un passo.

Contro ogni sua aspettativa, il demone scoppiò a ridere. "Non mi ero sbagliato, allora. Noi due siamo davvero simili."

La ragazza si rabbuiò e riportò le braccia lungo i fianchi. "Che cosa vorresti dire?"

Facendosi nuovamente serio, l'uomo la raggiunse e le posò una mano sul ventre. Non appena le sue dita la sfiorarono attraverso il cotone della camicia da notte, la giovane sobbalzò e retrocedette di un passo, maledicendo il brivido che le aveva attraversato il corpo a quel semplice contatto. "Hai detto che non ti importa... nulla di quello che potrebbe accadere a questo mondo."

"Non ho detto esattamente così" lo contraddisse prontamente Sofia.

Lui, però, levò una mano come per chiederle di non essere interrotto. "Ti ho detto che affinché il nuovo possa nascere, è necessario distruggere il vecchio: la cosa non ti turba più di tanto, mi pare di capire."

Sofia aprì la bocca per ribattere, ma poi la richiuse. Su quel punto aveva ragione: il vago scenario di morte e distruzione dipinto dalle parole del demone le sembrava qualcosa di estremamente remoto, infinitamente meno reale della prospettiva della sua gravidanza indesiderata.

"Se la cosa non ti disturba", riprese lui, "è perché anche tu sai che questo mondo è ormai esausto, corrotto e senza possibilità di salvezza. Ha bisogno di un nuovo inizio."

La ragazza deglutì, cercando di non perdere il filo del discorso. Non era quello, l'argomento che voleva affrontare: lei voleva parlare della creatura a cui lui aveva dato vita. Eppure, quelle parole avevano fatto scattare un campanello di allarme nella sua testa e Sofia sentiva di non poterlo ignorare.

"Di quale mondo stai parlando?" chiese. "Del tuo o del mio?"

Il demone piegò le labbra eleganti in un piccolo sorriso. "Di entrambi, mia cara, e di tutti gli altri che sono collegati a essi, come facce dello stesso dado."

"E in cosa consisterebbe questo nuovo inizio?" chiese la ragazza, senza riuscire a impedire che la voce le tremasse lievemente. "Cosa comporterebbe per la gente che vive nel mio mondo... e anche nel tuo?"

"Sarà una prova, Sofia" rispose lui. "Sarà una prova dura, difficile, che arrecherà sofferenza, ma che non distruggerà il mondo: esso sopravvivrà e le creature che saranno riuscite a superare il tempo della tribolazione saranno migliori di quelle che conosciamo oggi."

La ragazza sbiancò. "Un evento catastrofico" mormorò. "Come la peste nera..."

"Nemmeno io ho il potere di conoscere con certezza la natura della prova a cui verrà sottoposto il mondo."

"... o come l'asteroide che ha colpito la terra all'epoca dei dinosauri" continuò la ragazza, che sentiva montare dentro di sé un crescente senso d'orrore.

Il demone inclinò leggermente la testa di lato, come per osservarla da un'altra prospettiva. "Forse" concesse. "Ma dall'estinzione dei dinosauri sono venute delle cose buone, se ricordi bene: tu probabilmente non saresti qui, se loro non si fossero estinti. Magari saresti ancora nascosta sotto qualche pietra a dare la caccia a mosche e scarafaggi."

Cogliendo la presa in giro nel suo tono, Sofia gli lanciò un'occhiata di fuoco. "Qualcuno dovrebbe chiederlo ai dinosauri, se l'asteroide è stata una cosa buona o meno. Non vorrei mai che l'umanità si trovasse nella stessa posizione di un triceratopo, comunque."

Il volto del demone si fece di nuovo serio e i suoi occhi divennero freddi come il ghiaccio. "No?" le chiese, quasi sottovoce. "Hai un'opinione così alta dei tuoi simili?"

No, pensò Sofia, ma non lo disse. Quale che fosse il suo pensiero sulla società in cui viveva e sull'essere umano in generale, non si augurava certo che una catastrofe di dimensione mondiale spazzasse via tutto ciò che conosceva. La ragazza fece per dire che lei aveva una grande fiducia nel genere umano, ma la bugia le morì in gola. Con una punta di panico, si rese conto che, in quella strana dimensione in cui era stata trascinata, le era impossibile mentire. 

"Appunto" sorrise il demone, interpretando correttamente il suo silenzio. "Non so cosa accadrà, esattamente, ma nostra figlia farà ciò che è necessario per..."

Bastò quel semplice riferimento alla creatura che portava in grembo per far scattare qualcosa nella testa di Sofia. "Nostra figlia!" sibilò, mentre una fitta bollente di rabbia l'attraversava da parte a parte. "Questa cosa che tu hai creato non è nostra figlia!"

"L'abbiamo creata insieme, angelo" ribatté lui, e in quell'occasione l'appellativo con cui era solito rivolgersi a lei parve quasi una presa in giro. "Io da solo non avrei potuto fare nulla, se tu non fossi stata tanto bendisposta nei miei confronti e nei confronti di ciò che la Figlia delle Tenebre potrebbe essere."

"Tu mi hai ingannata!" ringhiò ancora lei. "Mi hai portata qui senza il mio permesso, al preciso scopo di creare questa cosa! Come hai osato?"

Sul volto del demone passò qualcosa che Sofia non seppe interpretare. "Siamo tutti schiavi del destino, Sofia" mormorò. La sua voce era stanca, ora, come se fosse giunto al termine di una battaglia che l'aveva prosciugato d'ogni forza. "Ho sacrificato molto, per poter dare vita alla Figlia delle Tenebre; e l'ho fatto non perché volevo farlo, ma perché era il mio destino. E lo stesso vale per te, anche se ancora non lo comprendi: tu eri destinata a essere la Madre delle Tenebre, e anche questa tua condizione richiede un sacrificio."

Sofia cercò di ribattere, ma si trovò a corto di parole. Davanti al suo silenzio, il demone si fece di nuovo vicino a lei e le posò una mano sulla guancia, accarezzandola lentamente. Contro ogni suo buon proposito, la ragazza si trovò a chiudere gli occhi, stregata da quel contatto caldo. "Ma non dev'essere tutto sacrificio, angelo" sussurrò il demone, piegandosi su di lei e guardandola con tenerezza. "Ero sincero, quando dicevo che potremmo essere felici. So che possiamo esserlo, Sofia. Devi solo fidarti di me."

L'uomo le si fece ancora più vicino e Sofia vacillò, sentendosi attratta dal calore del suo corpo e dal ricordo delle sue labbra che le sfioravano la pelle. Poi, però, un'ondata di angoscia le riempì il petto e lei si ricordò di essere solo una ragazza qualunque che si era trovata scaraventata in una situazione più grande di lei, il tutto senza che nessuno si prendesse mai il disturbo di chiedere la sua opinione. "Io non ci credo, al destino!" sbottò, sottraendosi di scatto dalla presa del demone e rinculando fino a quando le sue ginocchia non toccarono il letto.

Per una frazione di secondo, negli occhi di lui passò un'ombra di smarrimento, ma fu soltanto un istante fugace. "Dovrai ricrederti" commentò, asciutto. "Il fato esiste e ci governa tutti, dal primo all'ultimo. La Figlia delle Tenebre sta già crescendo dentro di te, Sofia: il destino si sta già compiendo."

"Stai a vedere!" ansimò Sofia, cercando di tenere a bada il panico che quella rivelazione aveva scatenato dentro di lei. A meno che il demone non stesse bluffando, allora era davvero incinta: la situazione rischiava di precipitare da un momento all'altro. "La mia fata madrina mi ha detto che c'è un modo... mi ha detto che posso eliminare la parte malvagia di questa creatura. Posso eliminare te: lei sarà soltanto mia, allora, e potrò farne ciò che desidero."

"Ah, davvero?" commentò serafico il demone. "E ti ha anche spiegato come farlo?"

La ragazza esitò. "No, non ancora" ammise.

"E ti ha detto", continuò lui, "che, se ti sottoporrai a quel processo, potresti anche morire? Ti ha spiegato che separeranno il tuo corpo dalla tua anima? La tua anima viaggerà e affronterà mille pericoli, mentre il tuo corpo rimarrà qui, abbandonato in un letto d'ospedale, senza che nessuno sia in grado di stabilire se in esso ci sia ancora intelligenza e coscienza?"

Sofia si sentì sul punto di svenire, ma strinse i denti. "No, non me l'ha detto. Ma qual è l'alternativa? Io non farò mai nascere quella cosa. Mai!"

Il demone alzò le mani per rabbonirla. "Sofia" la chiamò, come se il suono del suo nome potesse in qualche modo calmarla. "Capisco che tu sia spaventata, ma ti chiedo di ragionarci a mente fredda. Non devi prendere delle decisioni avventate."

Fece ancora per avvicinarsi a lei, ma la ragazza frappose fra di loro le proprie braccia tese. "Stammi lontano!" gli impose.

"Perché?" replicò lui, aggrottando la fronte. "Sai che non ti farei mai del male, vero?"

E, assurdamente, Sofia sapeva che era proprio così. Forse perché aveva sperimentato in prima persona che in quella dimensione era impossibile mentire - sempre che quella restrizione si applicasse anche a lui, ovviamente - ma era ora consapevole che il demone non l'avrebbe mai aggredita. Ma non era quello, il pericolo da cui sentiva di dover guardarsi: era stata a un soffio dal cadere di nuovo tra le sue braccia, prima, quando lui le aveva sfiorato la guancia. E quella cosa non deve accadere mai più! Devo mantenere le distanze da lui.

Egli, però, non sembrava intenzionato ad accontentarla, e i suoi occhi si erano anzi accesi di una luce quasi divertita, come se quel balletto improvvisato gli piacesse. Sentendosi intenta a combattere una battaglia che non aveva alcuna speranza di vincere, Sofia si chiese se ci fosse una via di fuga, magari un modo per svegliarsi alla svelta. Dolores! Ricordò tutto d'un tratto. La fata non le aveva forse detto che, se avesse avuto bisogno di aiuto, avrebbe potuto rivolgersi a lei? Certo, in quel momento stava dormendo sul suo divano, ma chissà se...

Con la coda dell'occhio, la ragazza individuò la pesante porta di noce che sostituiva quella assai più fragile che si trovava nella sua camera da letto. Che ci fosse un salotto - o un salone - là dietro? E chissà che non ci avrebbe trovato una versione onirica della sua fata madrina?

Con una velocità che stupì persino lei, la giovane scattò in avanti, scivolando alla sinistra del demone e gettandosi poi a peso morto sulla maniglia d'ottone che brillava a metà del pannello scuro. "Sofia!" la richiamò lui, ma la ragazza lo ignorò, spalancando la porta e catapultandosi nel locale che si apriva al di là di essa. Nemmeno vide il sontuoso salone che apparve davanti ai suoi occhi, splendido con i suoi stucchi e il suo soffitto a volta: la sua attenzione era tutta concentrata sulla figura distesa sul canapè dorato posto a ridosso della parete più vicina.

A prima vista le parve che Dolores non fosse mutata, ma che, abiti a parte, fosse rimasta la stessa di quella che aveva lasciato a leggere un romanzo nel suo minuscolo salottino. Quando però il demone la seguì nel salone, la fata si mise a sedere e si levò in piedi e solo allora Sofia si avvide di quanto fosse in realtà diversa da quella che ricordava. 

Era più alta, più possente, e sembrava fatta della stessa materia fluida delle correnti marine. La sua pelle s'era fatta più scura, come d'oro brunito, e i suoi occhi erano neri come le profondità dell'oceano. I suoi lunghi capelli castani avevano ora assunto il colore della spuma delle onde, e come onde si muovevano, gonfiandosi e poi appiattendosi come se fossero mossi da una forza selvaggia. Ciò che destò più meraviglia nel cuore di Sofia, però, furono i suoi abiti - se di abiti si trattava: erano fatti d'acqua e stelle marine, e nelle pieghe della gonna nuotavano banchi di pesci minuscoli e v'era un brulichio di granchi e gamberi lì dove le maniche si arricciavano attorno alle mani simili a coralli.

La fata parlò, ma la sua voce era il grido di un gabbiano, il soffio del vento sulla superficie del mare e il rombo della marea che sale: non erano parole che Sofia potesse comprendere.

Il demone dovette però capire ciò che Dolores aveva detto, perché ringhiò a sua volta qualcosa, parole oscure che aprirono degli squarci bui nel cuore della giovane, abissi nei quali poteva intravvedere cosa che non avrebbe mai voluto conoscere.

Poi ci fu un boato e la fata parve crescere, gonfiarsi e farsi più luminosa. Un secondo più tardi, un'immensa onda d'acqua invase l'intero salone e Sofia non seppe più niente. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top