Alone Together

Peter non se ne capacitava. Non riusciva più a capirsi e a capire il mondo. Non perché si sentisse inadeguato, ma perché dopotutto il suo, di mondo, era troppo diverso da ciò che gli altri vivevano, giorno per giorno. Andava a scuola, aveva amici, una zia a cui voleva un bene inverecondo ma, dall'altra parte, dietro la barricata di quella vita, c'era Spider-Man. L'eroe, quello celato dietro ad una maschera di ironia pungente e una forza disumana. Qualcosa di così diverso da Peter, che risultava dannatamente difficile credere che Spider-Man fosse davvero parte di lui, di quell'esistenza.

Peter non poteva pretendere di avere una vita normale; nemmeno un percorso di crescita normale; nemmeno un amore normale. Laddove i suoi coetanei trovavano sollievo in leggere storie che poi magari si trasformavano in qualcosa di più profondo, lui sapeva di non poter avere lo stesso. Troppe responsabilità, che non si limitavano a dover prendere il massimo dei voti al compito di chimica o guidare la macchina senza fare incidenti. Essere Spider-Man significava mettere in pericolo la propria vita e quella di chi, per puro caso, conosceva la sua identità – come Ned, MJ o zia May. E quindi l'unica cosa che poteva fare, era concedersi di amare qualcuno come lui, qualcuno che non correva pericoli per colpa sua, ma che di fronte ad un nemico avrebbe combattuto al suo fianco. Difendendosi a vicenda. Rischiando la vita per lo stesso scopo e non facendola rischiare agli altri.

Amava Tony Stark e Tony Stark amava lui. Non c'era niente di sbagliato in questo e Peter era convinto che anche per Tony, quel ragionamento sull'amare qualcuno che avesse stesse responsabilità, fosse il motivo per cui la loro storia stava funzionando così bene. O almeno questo pensava. Non era certo che Tony e lui provassero davvero lo stesso, ma almeno cooperavano. Questo era il reale problema. La tristezza di quel pensiero lo stava logorando profondamente; così tanto che Peter aveva deciso che, ogni contatto fisico, ogni palmo posato sulla sua pelle, era di troppo. Si sentiva a disagio perché lui non era lui e Spider-Man era una parte della medaglia che gli apparteneva in parte, che prendeva iniziative, che agiva con la propria testa, pur usando il suo corpo. Questo lo faceva sentire niente. Niente di niente. Ned gli posava le mani sulle spalle e lui si scansava malamente. May gli dava baci sulle guance e lui scappava via. Mj gli dava pugni sul petto per scherzare, e lui si rabbuiava e si isolava. Tony cercava di dargli calore umano, e lui lo freddava sul nascere.

Così Tony aveva semplicemente smesso di toccarlo e, infine, di cercarlo.

«Mi odia.»

«No che non ti odia», gli disse Ned, lapidario, alzando istintivamente una mano per posargliela sulla spalla, ma poi la ritrasse. Peter si sentì sollevato che non lo avesse toccato e, allo stesso tempo, si sentì morire. «Non ti ha chiesto che succede?»

«Un milione di volte», rispose, sospirando. Poggiò una mano a terra. Erano seduti sul pavimento della palestra, mentre la classe si dedicava a giocare a palla o a chiacchierare in giardino per l'intervallo di scuola.

«E tu?»

«Io ho risposto che non c'è niente che non va. Che è tutto come prima e che ho solo... solo bisogno di capire delle cose.»

«Peter... devi dirgli cosa ti preme. Non siamo io o MJ o tua zia o Happy a doverti aiutare a risolverlo. Ma il signor Stark. Hai bisogno di lui e anche se pensi che proviate questo sentimento solo perché siete entrambi nel giro dei supereroi non significa che non sia un sentimento forte.»

«Da parte mia è vero», rispose, aspro, quasi arrabbiato, «Ma non lui. Sono un ragazzino bisognoso d'affetto, a quanto pare. Forse non mi ama, ci tiene sicuramente molto a me, ma non più di quello.»

«Perché devi dire così? Ho avuto modo di vedervi insieme, e a me non sembra c-»

«Perché altrimenti non avrebbe smesso di cercarmi e chiedermi cosa accidenti mi è preso!», esclamò, ed era in collera con se stesso. Si odiava perché sapeva benissimo che Tony ci aveva provato, era sempre tornato, aveva sempre tentato un approccio, soprattutto a parole, quando aveva visto che ogni tocco, ogni carezza, ogni bacio era velato di un veleno letale, dalla quale Peter fuggiva. Lo sapeva che, se Tony aveva smesso di provarci, era per due motivazioni. La prima era che non avendo alcun confronto col problema, si era sentito inutile; il secondo era che, probabilmente, non aveva voglia di perdere tempo con un ragazzino afefobico. Dopotutto Tony Stark aveva problemi ben peggiori e gravi a cui pensare e Peter non se la sentiva nemmeno di biasimarlo.

«Scrivigli», sbottò Ned, e lui si risvegliò da quei pensieri, scuotendo la testa.

«No, non servirà a niente.» Reclinò la testa all'indietro e incontrò il muro. Alzò lo sguardo verso il soffitto e, sbuffando, chiuse gli occhi. Si odiava e se anche Tony provava lo stesso, aveva ragione. Pensava con estrema dolcezza e malinconia a tutte le volte in cui avevano passato pomeriggi interi solo a guardare film sul divano, abbracciati, scambiandosi baci innocenti che poi diventavano altro. Le notti passate a fare l'amore, dove ogni polpastrello di Tony che incontrava il suo corpo, era un brivido acuto che gli martellava la testa come una melodia struggente. Come quando un violino stride, ma è infinitamente dolce. Ecco cos'era Tony: un insieme di arroganza e malizia, capace di mostrare cose migliori di gesti discutibili e frasi pungenti. Tony era anche premura e dolcezza, goffa sì, ma dannatamente efficace, su uno come lui. Peter sapeva benissimo che non era innamorato di lui solo perché non si mettevano in pericolo ma lo affrontavano insieme o perché con lui poteva essere sia Peter che Spider-Man, rimanendo la stessa persona – una cosa che, comunque, succedeva solo con lui – ma perché Tony lo aveva preso per mano, quella volta a casa sua, quando si erano conosciuti, e gli aveva insegnato a non scindersi del tutto, a rimanere sia l'uno che l'altro e, soprattutto, non lo aveva lasciato solo e Peter, prima di quel giorno, ci si era sentito anche troppo.

E ora... ora era di nuovo in quel limbo, solo che era arrabbiato perché non era più abituato, a sentirsi così.

«Dovresti. Ti manca e sei insopportabile, per questo. Sono certo che capirà, se glielo spiegherai. Ne sono sicuro. Ma tu non lo sarai mai, se non ci proverai nemmeno, a parlarci.»

Rimase in silenzio e si guardò le scarpe. Ned non si aspettava una risposta, sicuramente, ma Peter era certo di aver capito che, dopotutto, aveva centrato il punto. Lasciare così le cose significava perdere ogni occasione di chiarire, nel bene e nel male, con Tony. Così, invece, era solo un ripieno di congetture e paure. Nulla più di quello. Nulla più che un ragazzino impaurito dal mondo circostante.

«Ti lascio solo. So che vuoi stare solo.» Peter annuì e Ned si alzò in piedi, reprimendo visibilmente l'impulso di dargli una pacca sulla spalla. Lo vide arricciare le labbra e stringere una mano alla spallina dello zaino, poi se ne andò. Era più di un amico. Peter ne poteva contare pochi, di amici, ma Ned era come un fratello, e gli era grato per la pazienza infinita che gli dedicava. Senza sforzo, senza farglielo pesare, senza farlo sentire diverso, emarginato, come invece lui si sentiva, costantemente. Si strinse le ginocchia al petto. Guardava i suoi compagni giocare a palla nella palestra; i ragazzi che facevano gli scemi con le ragazze, che le prendevano per i fianchi e loro fingevano di non apprezzare. Vedeva quella spensieratezza alla quale lui aveva rinunciato da tempo e che, a volte, gli faceva una rabbia infinita, non poterne godere come tutti. Vedeva coppie appena nate, di ragazzi coetanei che non avevano altri problemi oltre quelli di dover superare l'anno e preservarsi un futuro. Un futuro che, per Peter, era sempre incerto. Vedeva i suoi coetanei vivere la vita al passo con i tempi, e lui aveva già bruciato le tappe. Amava un uomo, per giunta più grande, che lo faceva sentire diverso, ma mai inadeguato e lui... e lui l'aveva scansato, e Tony non l'aveva più tollerato. Perché Tony non poteva tollerarlo, se lo teneva fermo in un punto, statico, senza andare avanti. Non riusciva a stargli dietro, certe volte.

Non mi ama più. Forse non mi ha mai amato.

Infilò la testa fra le ginocchia e sospirò. Tony gli aveva dato mille possibilità, e avrebbe dovuto sentirsi fortunato di quel fatto, siccome era raro, per uno come lui, concederne così tante. Sì sentiva amato, e allo stesso tempo non più. Si sentiva capito, ma anche incompreso. Aveva bisogno di un abbraccio, ma l'idea di riceverne uno lo spaventava a morte. Era un guscio semivuoto; e, quella semivita vissuta sul filo della paura e dell'illogicità, era quanto di più umiliante potesse provare. Si chiuse di più e, da lontano, sentì una catena strisciare sul pavimento, pronta ad imprigionarlo per sempre in quella gabbia.

Doveva reagire. Ora o mai più.

...

«Ciao.» Pigiò velocemente quelle quattro parole sulla tastiera del telefono. C'era voluto meno di un secondo, a scriverle e c'erano volute quattro ore, per decidersi ad inviarle. Gli sussultò il cuore, quando lo vide in linea sulla chat e, soprattutto, quando vide che stava scrivendo. Si pentì di aver fatto quel passo.

«Temo tu abbia sbagliato numero.» Terribile. Tony arrabbiato era sempre terribile. Un'affilata lama conficcata nel cervello, pronta a tagliarlo in due e ucciderlo ogni volta. Qualcosa che Peter aveva accettato, quando aveva scelto di diventare il suo compagno, quel giorno in cui si erano promessi che, dopotutto, l'uno per l'altro ci sarebbero sempre stati. Anche se era stata una promessa non detta, Peter sapeva che era così. Ora non ne era più così certo.

«Non mi vuoi sentire?»

«No, Peter. Quello sei tu. Sei tu che non vuoi sentire me.» Era vero, forse. In parte era così. Poggiò la schiena al muro della sua stanza, passandosi la mano libera tra i capelli, poi fissò la finestra, senza realmente vederla. Davanti agli occhi gli passarono tante di quelle immagini, tanti di quei ricordi frammentati di lui e Tony insieme, che dovette domandarsi, stupidamente, se fossero reali oppure no. Se quelle cose fossero accadute mai, per davvero, o solo nella sua testa. Era talmente a disagio, al sol pensiero di ricevere qualunque contatto fisico, che sembrava assurdo avesse vissuto davvero quegli istanti.

«Mi dispiace.»

Non riuscì ad aggiungere altro, perché effettivamente non aveva scusanti. Non sapeva cosa accidenti gli fosse preso, non riusciva a dare una spiegazione a quella improvvisa – no, non era stata improvvisa... – repulsione nei riguardi anche di un solo, semplice tocco. Guardò lo schermo, e Tony era solo in linea. Non scriveva e nemmeno si scollegava. Era lì, ad aspettare lui, di nuovo. Ad attendere che si prendesse una sola, cazzo di responsabilità e che gli dimostrasse, finalmente, di possedere un briciolo di buonsenso e di aver posato, di nuovo, i piedi per terra. No, Peter fluttuava nell'aria, evitando un immaginario pavimento di lava incandescente. Qualcosa che non esisteva e che vedeva solo lui.

Mi manchi; non lasciami, Tony. Aiutami. Non lasciarmi solo. Ho bisogno di te. Solo di te. Di te, e nessun altro. Avrebbe voluto scriverglielo, ma non lo fece. Non sei tu il problema, ma io...

Bloccò il telefono e lo lanciò sul letto. Si prese la testa tra le mani e si lasciò scivolare con la schiena lungo il muro, per poi sedersi a terra e chiudersi ancora nelle ginocchia; il rumore delle catene che strisciavano sul pavimento, sempre più forti e vicine. Pronte a rinchiuderlo per sempre, di nuovo in quello stato di apatia e mutismo, dalla quale tempo prima era proprio sfuggito grazie a Tony Stark. Vedeva già nero, e il petto si infiammò. Una sensazione orribile, già provata, che non avrebbe voluto più ospitare nel suo cuore.

Well, your left hand's free, and your right's in a grip. With another left hand, watch his right hand slip. Towards his gun!¹

Alzò di scatto la testa, e il buio non lo colse. Era il suo cellulare – la sua suoneria. Si alzò in piedi di scatto e recuperò il telefono. Lo strinse tra le dita, inginocchiato a terra con i gomiti appoggiati al materasso, poi rispose.

«Pronto?»

«Cosa ti dispiace, esattamente?» Era sempre andata così, tra di loro. Sempre. Non c'erano mai stati saluti, sempre e solo dritti al punto. Tony Stark non perdeva tempo e a Peter, dopotutto, andava bene così.

Prese un lungo respiro. «Di averti dato modo di allontanarti.»

«No. No, no. Tu ti sei allontanato. Tu hai deciso di mettere un muro. Sei tu che non mi vuoi dire che cosa accidenti ti sta succedendo.»

«E questo non è di certo il modo migliore per fartelo dire», gli rispose, accigliandosi. La sensazione di aver appena perso parte del proprio controllo; una sensazione orribile e ingestibile, che ricollegava sempre al fatto che stesse vivendo l'adolescenza. No... lui non stava vivendo proprio un bel niente. Quella non era adolescenza. Quella era un inferno di responsabilità e paure. Le stesse che solo chi combatteva il crimine e il male, poteva capire.

«E quale sarebbe, il modo migliore, andiamo? Visto che non sono in grado di tirarti fuori mezza parola, dimmelo tu come devo approcciarmi, per capirci qualcosa perché sarò quello che sono, Peter, ma le ho provate tutte. Ora sta a te.»

Calò il silenzio, sebbene nella testa di Peter fosse appena crollato un muro; quello delle scuse, delle accuse, delle convinzioni. Consapevolizzò e si sentì morire. Non aveva fatto altro che incolpare Tony per averlo allontanato e lasciato solo quando, più che legittimamente, quell'uomo non aveva fatto altro che mettersi da parte, dopo aver provato ogni cosa pur di aiutarlo. Lo aveva scansato perché lui non gli aveva permesso di farsi dare una mano e, dopotutto, forse era stato davvero così. Forse non lo aveva voluto davvero, l'aiuto di Tony. Annaspò aria; si posò una mano spalancata sul petto e si schifò persino del proprio tocco. Boccheggiò, e non riuscì a formulare un solo concetto coerente. Semplicemente non ne era in grado. Aveva paura perché lo stava perdendo, ed era tutta colpa sua.

«Peter?», lo chiamò Tony, e se non lo avesse conosciuto bene, avrebbe detto che quel tono di voce che aveva usato era stato neutro. No, non era stato così. Aveva vibrato di una vena di preoccupazione. Una di quelle sfumature che Peter riusciva ancora a carpire, siccome lo conosceva meglio di chiunque altro; persino più di quanto conoscesse se stesso.

«Ho bisogno di vederti.» Ho bisogno di te.

Tony tacque solo una manciata di secondi, dove lo immaginò arricciare le labbra e cercare la risposta più crudele possibile che, inaspettatamente – e forse non così tanto, non arrivò.

«Anch'io.»

---

Quando Peter raggiunse casa di Tony, si sentiva con un peso oltremodo insopportabile nel petto. Aveva passato l'intero tragitto che lo avrebbe portato a destinazione a chiedersi se avrebbe dovuto girare i tacchi e andare via, tornare da dove era venuto, dirgli che non ce la faceva ad affrontare quel problema e a dimenticarlo. Sì, avrebbe voluto, ma il peso di quella separazione lo stava logorando. Tony era la sua unica ragione che lo spingeva a dare il massimo in qualsiasi cosa, perché quell'enorme differenza d'età, lo faceva sentire sempre dieci passi dietro all'uomo. Lo faceva sentire sempre inferiore e la domanda che si poneva in continuazione era: perché pur essendo così indietro, tu continui a starmi accanto? Cos'ho io, che altri non hanno? Perché, fra tutti, hai deciso di amare me, che sono un disastro?

Domande che si era posto sempre e che avrebbe voluto fargli, ma che non aveva mai avuto il coraggio di esternare. Per paura di essere lasciato, di far consapevolizzare Tony che sì, stava perdendo tempo dietro ad un ragazzino colmo di paure e insicurezza nei riguardi del futuro. Di un futuro che non vedeva più così nitido come una volta. Si sentiva invecchiato di dieci anni e, allo stesso tempo, regredito all'età infantile di un ragazzino. Tirò un grosso respiro, quando si ritrovò di fronte alla porta e quando Tony aprì, trattenne il fiato, arricciando le labbra. Aveva paura di tutto, di ogni conseguenza, di ogni sguardo, di ogni tocco. Di lui. Di loro.

Cosa stavano diventando?

«Ciao», mormorò, e Tony gli fece spazio per entrare, facendogli un cenno con la testa.

«Pensavo non venissi.» Ed era esattamente l'idea di Peter, quella di fuggire. Assurdo, quando profondamente lo conoscesse. «Come stai?», gli chiese poi, quando si chiuse la porta dietro le spalle. Lo spiazzò.

«Confuso. Diviso. Non lo so nemmeno io. Tu come stai?», gli domandò, e fu felice di aver almeno espresso con sincerità il suo reale stato d'animo.

«Confuso e diviso. Arrabbiato, anche. Non ho ancora capito cosa ti ho fatto e perché sei arrivato a tanto.»

«Non è stata una scelta voluta, Tony. Proprio come quella volta²», sospirò, e quando l'uomo gli fece cenno di sedersi sul divano, lui non obbedì, ma rimase in piedi, comunque lontano, di fronte a lui. Incapace di fare un solo passo in più, di accorciare quella distanza che tanto aveva desiderato annullare, quando non erano ancora niente. Ed ora che erano tutto, lui non sapeva più cosa sentiva. «Non... non è colpa tua, comunque.»

«E allora di chi è la colpa? Il giorno prima sei appiccicoso come la colla, il giorno dopo non vuoi nemmeno che ti sfiori un capello. È ovvio che, il primo pensiero, ricada su di me e sul fatto che possa aver fatto qualcosa di male. Lo sai meglio di me che sono capace di fare del male senza volerlo, certe volte», ammise Tony, ma la sua voce aveva una vena ostica, che Peter sapeva di dover attribuire ad un tentativo di difendersi, in qualche modo, dalle accuse che mai gli avrebbe inferto. Ma Tony sapeva di poter fare del male ed era già successo tante volte, che lo avesse ferito, ma il pensiero di perderlo era peggio di qualunque frase tagliente, pronunciata da quella bocca che non voleva più baciare.

«Ho solo bisogno di riordinare le idee. Non sto bene con me stesso e di conseguenza non sto bene con gli altri. Immagino che sia passeggero, prima o poi me ne libererò», cercò di rassicurarlo e Tony si esibì in una risata senza entusiasmo.

«Non è semplice come pensi tu, Peter. Un problema così andrebbe affrontato con una certa delicatezza e non aspettando che passi e basta. Stai evitando il contatto fisico delle persone, una cosa impensabile se si pensa a una persona come te.»

«Tony, lo so già da me che è un problema enorme e che non è semplice, ma intendevo dire che ci lavorerò sopra, ma tu...», si interruppe; si morse il labbro inferiore e poi sospirò, cercando di alleggerirsi il cuore e l'anima, perché in quel momento pesavano entrambi come macigni.

«Io?»

«Se non vuoi vedermi, se vuoi liberarti di me, lo capirò. Dopotutto hai altri problemi a cui pensare, invece di star dietro a un ragazzino con un problema psicosomatico che non riesce a gestire», gli disse, e abbozzò un sorriso doloroso come la morte. Dentro marciva di paura, e fuori cercava di mostrarsi coraggioso e maturo. Non lo era. Non era pronto a niente. Voleva che Tony capisse e che gli dicesse che, pure avesse voluto evitare ogni tocco per il resto della vita, lui gli sarebbe rimasto vicino. Una cosa impensabile, una condanna. Avrebbe compreso il suo desiderio di libertà, ma a che prezzo?

«Dio, Peter. Mi hai chiesto di vederci, ti ho detto di venire qui e parlare. Se non me ne fosse fregato niente ti avrei detto di lasciar perdere. Sei qui, stiamo parlando e tu mi sbatti davanti la soluzione più idiota che io abbia mai sentito in vita mia: smettere di vederti, per stare meglio io. Buon dio, che accidenti passa per la testa, a voi adolescenti, quando cercate una soluzione ai problemi?», gli domandò, e per quanto quel discorso quasi gli diede una speranza, lo ferì comunque a morte. Odiava quando Tony sottolineava in quel modo la loro differenza d'età e, di conseguenza, il fatto che lui fosse ancora troppo acerbo e lui un uomo maturo e navigato. Lo faceva sentire come se quell'uomo stesse con lui solo per pietà. Come se quel rapporto valesse solo per lui e non per Tony. Gli faceva una rabbia...

«Sei sparito. Ho pensato non volessi più vedermi», gli buttò lì, e distolse lo sguardo, accigliandosi.

«E io ti ho detto che sei tu, che non volevi vedermi. Me lo hai fatto capire in tutti i modi. Ho pensato che allontanarmi ti avrebbe aiutato a chiarire le idee. Ovvio che non abbia giovato, ed eccoci qui. Cosa credevi? Che sarei sparito per sempre? Che non sarei spuntato fuori di nuovo, prima o poi, e cercare un altro modo per tirarti fuori dalla bocca qual è il vero problema? Andiamo, sai quanto so essere petulante, se voglio ottenere qualcosa.» Sempre così incapace di armarsi di tatto e gentilezza, in certi casi, solo perché non era bravo a fare la parte del buono e comprensivo, eppure, per quanto quelle parole lo colpirono in piena faccia come una secchiata d'acqua gelida, Peter dovette ammettere che sì, la schiettezza era qualcosa che aveva sempre apprezzato e amato, in Tony. Feriva, ma almeno era sincero. Non sempre, ma quando era necessario. Quando a Peter serviva, per aprire gli occhi.

«Peter, qual è il problema? Pensi davvero che ti lascerei solo in un momento come questo? Non me ne frega un accidenti se non posso sfiorarti; sono disposto ad aspettare anche una vita, se ti serve tutto questo tempo per sbloccarti, ma è il problema, che voglio capire. È il motivo, perché se non lo risolvi, non vai da nessuna parte.»

«Sono io, ovvio che sono io!», sbottò, e Tony allargò le braccia, spazientito. Si tolse gli occhiali da vista e si prese la pelle tra le sopracciglia con due dita. Sfiancato. Stanco. Lo avrebbe lasciato, lo sapeva. Lo avrebbe cacciato via malamente. A Peter tremò un ginocchio e ci mise tutto se stesso per non crollare a terra e rimanere vigile.

"Amo un uomo più grande», disse e gli vibrò la voce. Deglutì. Tony lo guardò e serrò la mascella. Lo stava ascoltando. Aveva appena catalizzato tutta la sua attenzione su di lui. Non seppe se esserne spaventato o compiaciuto. «Perché? Perché mi è mancata una figura paterna? Perché zio Ben è morto? Perché?»

"E anche fosse?"

Peter rise senza entusiasmo. «Temo sia difficile mettersi nei miei panni, siccome a te non importa se qualcuno viene a sapere che stai con un ragazzino di diciotto anni.»

«No, non mi importa, effettivamente. Male o bene ne parleranno sempre, Peter. Preoccuparsi anche del giudizio della gente è una gran bella perdita di tempo. Non ho un compagno della mia età? Sto ferendo la sensibilità di altri, ma non quella della persona che ho vicino? Okay, va bene. Finché entrambi stiamo bene, di cosa dovrei preoccuparmi?»

«Che questo qualcuno sta con te per colmare un vuoto, Tony!»

«Oh, che vergogna! Che oscenità!»

Peter digrignò i denti. Fece un passo avanti, nella più totale e spaventosa consapevolezza che se non avesse trattenuto la rabbia, avrebbe potuto seriamente fargli del male. Lo stava canzonando; stava prendendo sottogamba quel problema, quel disagio, quella situazione che lo faceva sentire inadeguato, diverso, lontano da qualsiasi suo coetaneo e che, ne era cosciente, non avrebbe mai potuto né capire né essere capito da loro a sua volta. Nessuno capiva Peter Parker. Lo strambo, il mostro, il malato. Quello che aveva bisogno di una persona matura vicino, perché da solo non riusciva a sopravvivere. Perché aveva il costante bisogno di essere preso per mano e portato dritto alla meta, senza fare un solo, cazzo di sforzo per riuscirci da solo. Gli si riempirono gli occhi di lacrime colleriche, prive di tristezza ma piene di odio. Verso se stesso e verso quell'incomprensione che Tony proprio non riusciva a non vomitargli addosso.

«Dio, non ti sopporto quando fai così! Non ti sopporto quando cerchi di alleggerire i problemi, aggredendomi, sperano che questo mi svegli e mi sblocchi. Non è sempre così, che funziona!»

«Non ti sto aggredendo! Voglio che tu reagisca e mi dica quale cazzo è il problema che ti attanaglia, Peter, perché se non lo conosco non posso fare niente per aiutarti. Perché se non me lo dici tu, è come cercare di buttare giù un muro soffiandoci sopra. Ho bisogno di sapere cosa non va e mi serve saperlo ora! Perciò spremi quelle tue geniali meningi e trovalo, perché non sopporto l'idea di non poter fare niente. E lo sai meglio di me che è così. Chiamalo egoismo, ego spropositato, filantropia, demenze; dagli la definizione che ti pare, ma per l'amor di dio, dimmi che ti sta succedendo!»

Calò il silenzio. Si guardarono fissi negli occhi, alla ricerca ognuno di una risposta. Laddove Tony cercava il problema, Peter cercava il modo per spiegarglielo senza sembrare un idiota, un ragazzino. Senza dargli modo di credere che stavano solo perdendo un mucchio di tempo, a cercare la soluzione a qualcosa che non esisteva davvero e che era solo nella sua testa.

Gli scese una lacrima sulla guancia, per quanto avesse tentato in tutti i modi di ricacciarle tutte da dove erano venute. «Vorrei essere come tutti. Vorrei divertirmi come fanno tutti. Vorrei andare alle feste senza sentirmi inadeguato. Vorrei la stessa medesima spensieratezza che vedo negli occhi dei miei compagni di scuola. Vorrei pensare solo alle stupidaggini a cui pensa chiunque ha la mia età, e invece non posso... perché il destino ha voluto che quel ragno mi mordesse e che decidessi di mettermi al servizio del mondo. Perché non farlo mi farebbe sentire dannatamente in colpa.»

«Però puoi scegliere. Niente ti vieta di scegliere, fingere che non sia mai successo, dimenticare quel qualcosa in più che hai, e vivere una vita normale.»

«Non ci riesco. Non riuscirei mai ad accantonare quello che sono... ma sto perdendo tanto, e la vita è una sola. Una, Tony.» Abbassò lo sguardo, e si fissò le scarpe da ginnastica consumate dal tempo. Consumate come lui, che aveva bruciato le tappe ed era arrivato ad un punto di non ritorno, dove solo contemplare l'idea di fingere che non fosse stato Spider-Man, faceva quasi ridere. Lo era stato, lo era ancora e lo sarebbe stato per sempre. Era il suo destino. Se era successo a lui, c'era un motivo. Voleva solo capire perché proprio lui, tra tanti...

Tony fece un passo avanti. Peter represse l'istinto di farne uno indietro e quando l'altro tentò di posargli una mano sulla spalla, si scansò. Si sentì un mostro. Tony non lo meritava. Non meritava uno come lui.

«Non siamo tutti uguali. Prima di essere Spider-Man ti sentivi comunque inadeguato. Me lo hai detto tu.»

«Chi dice che le cose non potevano cambiare, se avessi deciso di non esserlo? Se quel ragno non mi avesse maledetto con questi stupidi poteri?», domandò, rabbioso, digrignando i denti e stringendo i pugni lungo i fianchi.

«Lo dici tu. Lo dice quello che sei. Lo dice Peter Parker. Hai qualcosa in più rispetto agli altri e, se non l'avessi avuta, saresti rimasto il ragazzino emarginato che non ama comunque andare alle feste e che fa fatica ad integrarsi. Peter, ognuno ha bisogno di trovare un posto nel mondo, tu l'hai trovato, ma hai paura di aver perso altro. Non lo hai perso; quello che pensi di volere non fa per te e da qualche parte, dentro di te, lo sai benissimo che è così.»

Alzò lo sguardo sul suo. Si asciugò le lacrime e inarcò le sopracciglia. «E quel mondo – quello dove ci sei anche tu, e gli Avengers, e il crimine da combattere e il mondo da salvare, mi vuole a sua volta?»

«Immagino di sì. Io, per lo meno, ti ci voglio dentro. O non ti avrei mai cercato.»

«Non eravamo ancora niente, a quel tempo.»

«E io non mi pento un solo giorno di averti tirato nel mezzo. Poi quello che è venuto dopo, è un'altra storia.» Tony sorrise. Si vedeva che avrebbe voluto abbracciarlo, regalargli un gesto, anche minimo, ma non lo stava facendo con un goffo e tenero rispetto. Qualcosa che, di solito, non contemplava nemmeno. Peter si sentì importante, per un secondo, che svanì subito dopo.

«Tony... stiamo insieme solo perché siamo quello che siamo, al di fuori delle nostre vite normali?»

«No», rispose l'uomo con un diniego della testa «Stiamo insieme perché, malgrado tutto, colmiamo l'uno il vuoto dell'altro. Perché tu sei abbastanza maturo da tenermi testa e io abbastanza immaturo da assecondarti.»

«Mi... tu mi... insomma...»

«Con ogni singola cellula del mio corpo, ma non lo ammetterò mai, anche se è palese quindi non sentirai mai uscire dalla mia bocca quelle due parole, Peter... lo sai. È più forte di me, ma è ovvio che sia così.»

Lo aveva ammesso, alla fine. A modo suo, ma Tony lo aveva fatto. Peter non aveva mai preteso di sentirgli dire quelle esatte parole – ti amo, ma questo era decisamente meglio di niente. Anzi, era tutto. Tutto ciò che gli serviva per sentire quel chiavistello attaccato al cuore aprirsi e le catene della prigionia slegarsi e lasciarlo finalmente libero. Gli strinse tremando una mano intorno al polso e, lentamente, lo guidò verso la sua guancia. Accorciò le distanze e si fece carezzare. Chiuse gli occhi, assecondando quel movimento muovendo la testa, e cercando di sorridere, mentre quel senso di inadeguatezza e di paura pian piano lo abbandonava. Di nuovo erano lì, ad aiutarsi a vicenda, nel tentativo di risolvere quelle lacune che, paradossalmente, erano meno invasive di molte altre. Di quelle che molte altre coppie non riuscivano a valicare, e poi si perdevano e infine si spaccavano. Loro no.

Tony azzardò ad alzare anche l'altra mano; gli prese il viso tra le mani e Peter aprì gli occhi. Si perse a contemplare i suoi, e inclinò la testa di lato, in attesa di quel bacio che attendevano da troppo, che non si scambiavano da giorni, mesi; un tempo che, a pensarlo ora, sembrava l'eternità. Tony si avvicinò lentamente; accorciò quelle distanze, poi gli pizzicò le labbra con le sue. Peter gli strinse le braccia intorno alla vita, e si fece baciare. Labbra, saliva e sapori si fusero; le anime, il cuore e i suoi battiti pure. L'amore esplose, e tutto fu chiaro.

Se Peter non fosse stato Spider-Man, non avrebbe comunque avuto la vita che fino a un secondo prima aveva bramato, osservando i suoi compagni spensierati e vivaci. Avrebbe vissuto un'esistenza nel tentativo di essere come loro, fallendo perché di fatto non lo era e non voleva esserlo. Però Peter era Spider-Man, ora. Aveva conosciuto Tony, che lo aveva salvato da un'esistenza uguale, ma senza di lui. Gli era grato per tutto, ma soprattutto gli era grato per l'amore che era capace di dimostrare così bene con i gesti, ma mai con le parole. Meglio. I gesti erano decisamente più sinceri.

Si staccarono lentamente. Le labbra si separarono come due fogli di carta sottili e fragili. Si regalarono un sorriso a vicenda. «È davvero giusto riuscire ad andare avanti solo con l'aiuto di qualcuno accanto?», gli chiese, e si sentì stupido.

Tony gli regalò un fugace bacio sulle labbra, che gli provocò un brivido, poi sorrise arrogante, e gli fece dimenticare ogni paura. «Peter, nessuno si salva da solo.»

No, era vero. Lui più che mai, ed era dannatamente contento che quel qualcuno che lo aveva appena salvato di nuovo, continuava ad essere Tony Stark.

Fine

¹ La canzone è «Left Hand Free», iconica canzone che ha presentato il personaggio di Spider-Man in Captain America: Civil War, nonché mia suoneria da quel dì.

² Questa storia si può leggere tranquillamente senza aver letto l'altra, ma è il seguito di un'altra mia storia che si chiama «The Silence Remains», dove Peter dopo un grave incidente causato da lui stesso, cade nel mutismo selettivo.

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Salve a tutti!

Torno a pubblicare una nuova raccolta, nata grazie ai prompt che mi sono stati gentilmente proposti dagli utenti del gruppo Facebook "Hurt/Comfort - Italia", grazie alla Challenge Hurt/Comfort Bingo.

Il Prompt proposto, che ho usato, era quello di , il numero 32 - Carezze: Tony o Peter, a scelta vedi tu, non riescono più a tollerare alcun contatto umano, ma... ed è la diretta continuazione di un'altra mia storia intitolata "The Silence Remains", ma che può essere letta senza conoscere l'altra opera. Spero che vi sia piaciuta ♥

Ringrazio tutti per essere arrivati fin qui, ringrazio Shilyss per il prompt spero di rivederci la prossima settimana ♥.

Un abbraccio,

Miry

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