23.Amore e... biscotti!

Marinette si svegliò molto lentamente: riaprì gli occhi soltanto nell'udire l'ennesimo fruscio del vento che filtrava attraverso gli spifferi della sua stanza. Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di riuscire a rendersi conto di dove si fosse addormentata. A giudicare dalle fitte che aveva al collo e dall'improvviso senso di rigidità della propria schiena, si trovava sdraiata scompostamente sulla sua chaise-longue a pois. Il libro che aveva continuato a leggere fino ad un attimo prima di crollare invece, adesso giaceva rivoltato all'ingiù sul pavimento. Il suo primo pensiero fu quello di alzarsi per andare a raccoglierlo e per rimetterlo a posto ma, proprio quando si sporse in avanti e mise un piede per terra, ecco che quel toc-toc a lei oramai diventato familiare risuonò per tutta la camera. Così, con un nuovo sorriso ad incresparle le labbra, si passò una mano tra i capelli, giusto per sembrare un minimo più presentabile, e salì la piccola scala che dava sulla botola della sua cameretta. - Alla buon'ora. - esclamò, a mo' di saluto. Adrien le si fece più vicino e le regalò un tenero bacio a fior di labbra. - Scusa per il ritardo, ma riuscire a sfuggire alle grinfie di Nathalie e di mio padre si è rivelata una vera impresa questa volta. - alzò gli occhi al cielo, pur continuando a mantenere invariato il suo sorriso. - Non fa niente. Ti avrei aspettato anche per tutto il giorno. - mormorò lei, passandogli una mano sulla guancia con fare dolce. Era passata solo all'incirca una settimana da quando entrambi avevano deciso di dare una seconda chance al loro amore, e pareva ne fosse valsa davvero la pena, tanto le cose andavano bene. Che fossero a casa, a scuola, al cinema o al ristorante non aveva alcuna importanza: le loro mani erano sempre intrecciate e i loro occhi non smettevano mai di cercarsi. Non potevano fare a meno di incontrarsi, di sentirsi, di pensarsi... Erano praticamente diventati inseparabili: a tratti forse così tanto da apparire anche piuttosto fastidiosi agli occhi degli altri. Ma per loro non aveva nessuna importanza il loro giudizio perché, finché fossero stati insieme, avrebbero dato retta soltanto al proprio cuore. Alle parole della corvina, gli occhi verde smeraldo del biondo si illuminarono di gioia, e lui non riuscì a trattenersi: la baciò ancora, questa volta con molto più trasporto. Le passò una mano dietro al collo, poi sulla schiena, e infine l'attirò a sé, facendo scontrare lievemente i loro bacini. - Adrien... - cominciò la corvina, allontanandosi dalle sue labbra di qualche centimetro. La sua voce era affannata: il contatto così ravvicinato con il suo ragazzo continuava a mandarle il cervello in tilt come se fosse ancora il primo giorno. - N-non sarebbe meglio mettersi a studiare? - fece non poca fatica a deglutire il groppo che le bloccava la gola e che le impediva di respirare regolarmente. Abbassò poi lo sguardo sui propri piedi scalzi, e non osò alzarlo neanche per un secondo, timorosa di incrociare quello dell'altro. Ma ormai era troppo tardi: quel semplicissimo contatto che aveva avuto con il corpo di Adrien era bastato a farla invadere da mille brividi d'eccitazione pura, che non facevano altro che metterla in agitazione ancor di più. Insomma, non c'era niente di male, non é vero? Stava a significare che stava crescendo, che i suoi ormoni stavano cominciando a farsi sentire. Eppure, perché continuava ad avere la sensazione che fosse tutto così sbagliato? A dire il vero, quella non era la prima volta che le capitasse una cosa del genere. In passato infatti, in un atto che avrebbe di certo definito di completa e incosciente follia, si era fatta prendere dalla passione e ne aveva pagato le conseguenze subito dopo, venendo sorpresa niente poco di meno che dalla madre stessa. Inutile dire che avessero dato di matto tutte e due: la prima per la rabbia e la delusione, la seconda in gran parte per la vergogna. E nonostante oramai la vicenda fosse ben più che risolta, non erano poche le notti in cui Marinette rimaneva sveglia a pensarci, e i sensi di colpa continuavano a riaffiorare in superficie. Così, poiché non era ancora stata in grado di fare mente locale e di capire quale tipo di ansia l'affliggesse, per il momento cercava di evitare con tutta se stessa che la situazione cominciasse a scaldarsi anche solo un pochettino. Il sorriso che campeggiava sul volto di Adrien parve spegnersi tutto d'un tratto. - Oh, si. Certo. - rispose, palesemente deluso. Senza proferire poi altra parola, scese giù e si andò a sedere sul letto della fidanzata. Quest'ultima invece, dovette trattenere l'impulso che aveva di corrergli dietro e di riprendere le stesse posizioni di qualche secondo prima come se non fosse successo nulla. Piuttosto però, si morse il labbro inferiore e raggiunse la sedia della propria scrivania per cominciare a scrivere la relazione di scienze che doveva consegnare il giorno dopo. Nessuno dei due aprì bocca per almeno una ventina di minuti. Anzi, mentre Marinette cercava di rimanere concentrata più che poteva sul foglio bianco che aveva davanti a sé, non riuscì a fare a meno di notare quanto il silenzio che li avvolgeva stesse cominciando a diventare via via sempre più pesante. Forse non era stata una buona mossa quella di allontanarglisi con così tanta facilità... Che si fosse offeso? Non poteva rischiare di rovinare tutto a causa di una sua stupidissima paura, così, in preda al rimorso per ciò che aveva fatto, si girò verso di lui per cercare di rimediare. - Perdonami, Adrien. È solo che io... - iniziò. "... Non credo di essere ancora pronta a farlo." avrebbe voluto dire, e invece: - ... Tra qualche giorno iniziano le interrogazioni e... Sì, insomma... Non voglio andarci male, ecco. - mentì, sentendosi ancora più in colpa di prima. Rivelandogli le proprie insicurezze avrebbe fatto la cosa giusta, ma sarebbe stato anche fin troppo difficile. In compenso, si ripromise di affrontare l'argomento alla prima buona occasione, così da liberarsi per sempre di quel suo sassolino nella scarpa. Adrien non rispose, annuì soltanto con la testa, facendole segno che fosse tutto a posto. Ma, una volta arrivata a quel punto, quando ormai la sua concentrazione e la sua voglia di studiare erano andate a farsi benedire, la ragazza decise di alzarsi e di fare una piccola pausa. - Vieni con me. - esclamò, afferrandolo per un polso ed invitandolo a seguirla. Lui la guardò con tanto d'occhi, neanche fosse completamente impazzita. - Cosa? - Marinette rise. - Coraggio, fidati. - e si mise in piedi anche lui, seppur non molto convinto. Attraversarono la cameretta a grandi falcate e, una volta arrivati in corridoio, scesero le scale per andare in cucina. - Ma che ci facciamo qui? - proruppe il ragazzo, mentre si guardava attorno con stampata in faccia un'espressione degna di un pesce lesso. - Ma é ovvio, no? Prepariamo i biscotti! -

"I dolci sono la soluzione a tutto", le aveva spiegato, un giorno, un piccolo saggio dalla vocetta stridula e dal corpicino rosso e nero di nome Tikki. In particolar modo, era alla vista di croccanti biscotti appena sfornati che le iniziava seriamente a brontolare il pancino per la fame. Perciò, non appena venne a sapere delle intenzioni della sua portatrice, provocò un trambusto fatto di grida di felicità e zampettii di soddisfazione così grande da svegliare persino Plagg dal suo sonnellino pomeridiano. Quest'ultimo, al contrario, andava ghiottissimo di camembert, un formaggio d'origine francese dall'odore non proprio gradevole all'olfatto. - Ma che avete da strillare tanto? - esordì, in un primo momento, super infastidito. Tikki lo raggiunse e gli strinse le zampette attorno al corpo. - Prepariamo i biscotti! - ripetè, e lui fu preso da un improvviso senso di curiosità. Infatti, non fece neanche in tempo ad accorgersene, che il minuto seguente stava già svolazzando da un bancone della cucina all'altro tutto ricoperto di farina e di glassa al cioccolato. - Hey Tikki, guardami! Assomiglio ad un omino di marzapane! - ridacchiò, correndole incontro. - Mmmh... sembri talmente buono che ti mangerei! - ed incominciarono a inseguirsi a vicenda per tutta la stanza. Intanto: - Sei proprio sicura che i tuoi siano fuori per una consegna? - domandò il biondo, continuando a mescolare l'impasto appena preparato. - Sì, ma certo che ne sono sicura. Non torneranno prima di cena. - gli sorrise, cercando di rassicurarlo. - E comunque - iniziò - non c'é niente di cui aver paura: sono due pezzi di pane. - - Lo so, ma... È se a loro non piacessi? - il biondo si grattò la nuca con fare insicuro e imbarazzato allo stesso tempo. La verità era che, per quanto le parole della sua ragazza fossero rassicuranti, lui continuava ad essere del tutto in ansia per l'incontro con i suoi genitori. - Cosa dici! Gli piacerai subito, ne sono più che certa. - si sporse verso di lui e posò le labbra sulla sua guancia. - Coraggio, adesso torniamo a pensare al nostro impasto, ché qui non c'é davvero nulla per cui agitarsi. - le sorrise. - D'accordo, allora... Ci mancano soltanto le gocce di cioccolato. - esclamò, dopo aver consultato il quadernetto di ricette del grande Tom Dupain. - Le vado a prendere. - Marinette aprì l'anta del freezer con una mano, mentre con l'altra afferrò la ciotola che conteneva l'ingrediente mancante. Nel decifrare la scrittura di suo padre, anni prima aveva scoperto questo suo metodo segreto che consisteva nel riporre le gocce di cioccolato dentro al freezer per circa una trentina di minuti, così da evitare che andassero a finire tutte sul fondo del dolce durante la sua cottura. Prima di tornare da Adrien però, afferrò anche la confezione di farina che si trovava sul bancone accanto al frigo, perché le gocce avevano bisogno di esservi amalgamate bene bene prima di essere aggiunte al composto. Ma, sfortunatamente, non essendosi accorta che il pavimento fosse diventato scivoloso a causa di un po' d'olio di semi che vi si era versato, mise male un piede e precipitò col sedere per terra nell'arco di pochissimi secondi. Inutile dire che si ritrovò tutto il corpo ricoperto di farina per dolci e che le gocce di cioccolato finirono irrimediabilmente sparse sull'intera superficie del pavimento che la circondava. Adrien si voltò nella sua direzione fin troppo tardi: lei oramai sedeva a terra con una gamba distesa in avanti e l'altra piegata sotto al ginocchio di quest'ultima. - Marinette! - le corse incontro e le pose due braccia sotto le ascelle per riuscire a tirarla su. Lei tossì: gran parte della farina contenuta nella busta le era andata a finire sulla faccia. - Ti sei fatta male? - domandò lui, apprensivo, mentre le scostava i capelli dalla fronte. Marinette scosse la testa, issandosi e spolverandosi un po' i vestiti. - Oh, no! Guarda cosa ho combinato! - si rese conto della situazione solo a scoppio ritardato. Sbuffò, infastidita, e si abbassò sulle ginocchia per raccogliere ciò che rimaneva di quei due ingredienti. - Non credi sarebbe meglio usare una scopa? - propose il biondo, mentre accorreva subito in suo aiuto. Lei non rispose: lo spreco di cibo era un qualcosa che non riusciva a tollerare per nessuna ragione al mondo, e si sentiva uno schifo anche senza che fosse stata colpa sua. In quel momento però, un problema ben più grosso stava per affacciarsi alla porta della cucina: - Ti avevo detto che le sarebbe piaciuta: mai una volta che mi dai retta! - d'un tratto, una voce maschile parlò, bloccandoli sul posto e facendoli scattare subito sull'attenti. - No, non é possibile... - mormorò la corvina, già in preda al panico. - Presto, presto! Aiutami a mettere tutto a posto! - esclamò, tutta trafelata. Ma la risposta della madre arrivò fin troppo forte e chiara alle loro orecchie: - D'accordo, d'accordo. Avevi ragione tu, contento? - a quel punto infatti, i genitori della ragazza entrarono nella stanza. Lei e Adrien si voltarono giusto in tempo per scoprire le loro bocche spalancate ed i loro sguardi confusi che perlustravano l'intera cucina. - Marinette, ma che diavolo avete combinato qui? -

Serena

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