Prologo
Mahatma Gandhi ha detto "la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia".
Sin da quando ero piccola amavo passare ore a leggere nei libri le frasi più poetiche, le annotavo e le rileggevo spesso, pregando di mettere in atto quelle parole un giorno. E' troppo facile pensare che se si cadrà ci si alzerà con la ferocia di uno schiocco di dita, il difficile è capire che ciò non succederà: non possiamo pretendere di rialzarci subito. Siamo così prepotenti che molto spesso neppure ci facciamo caso. Vogliamo tutto e subito. Pretendiamo di essere sempre felici, vogliamo solo la parte migliore, vogliamo che tutto rimanga così com'è, come quando giocavamo a nascondino con nostro fratello, come quando ci raccontavamo le storie dell'orrore, come quando ci promettevamo di rimanere insieme per sempre. Odiamo il punto in cui comprendiamo che i momenti duri sono di più di quelli felici, il momento in cui capiamo che nulla dura per sempre e che le cose cambiamo, come quando vedi il corpo nudo di tuo fratello attraverso un vetro sporco. In quel momento comprendi davvero quanto la vita può farti male.
E' morto il 16 dicembre, in una giornata come tante altre. Si è portato via un pezzo di me, forse la parte migliore, lasciando qui in terra a marcire quella peggiore. Forse è proprio per questo motivo perché ad oggi sono così. Da quando papà ci aveva lasciati e la mamma lavorava per giorni di fila lui era l'unico su cui sapevo di poter contare. Quel tipo di persona che ognuno ha nella propria vita, il pilastro, l'ancora di salvezza che ci permette di stare a galla. Damen è stato questo per me. E quando è morto si è portato via tutto, lasciandomi con i pezzi di me stessa in mano. Ricordo quel periodo così bene; io, Damen, Quentin e sua sorella Lottie avevamo deciso di partire per le vacanze invernali, le nostre prime vacanze insieme. Miami è così bella sotto il periodo natalizio che non saprei neppure descriverlo nel modo opportuno. La mattina in spiaggia, il pomeriggio in sella alle nostre moto: io e Quent e Lottie e Damen. Il vento fra i capelli, le parole sussurrate, i vestiti che svolazzavano di qua e di là. La sera invece eravamo sempre in un locale diverso, dove ci divertivamo a dimenticare anche il nostro nome. La penultima sera avevo alzato un po' troppo il gomito, l'unica cosa che riesco a ricordare e Quentin che tenta di spiegarmi cosa era successo, mentre eravamo in reparto ad aspettare che ci dicessero qualcosa. Quella sera non si sa per quale motivo Damen aveva deciso di bere e di prendere da solo la moto; dopo una curva presa un po' troppo stretta non aveva visto il muro di marmo della galleria e ci si era schiantato contro. Non si sa come, se per qualche grazia divina o per la semplice fortuna, non è morto sul colpo. L'hanno trovato sedici minuti dopo o schianto: era sul ciglio della strada fredda e si stava dissanguando. Lo portarono d'urgenza nell'ospedale più vicino dove è morto successivamente sotto i ferri, mentre i medici hanno provato a rianimarlo più e più volte. Le pareti bianche spoglie mi giravano intorno e lui moriva. Io soffrivo, lui moriva. Io piangevo, lui moriva. Io speravo, lui moriva. Sono tornata a casa fra le braccia del mio migliore amico, Quent, che cercava di trattenere le lacrime.
<<Ti prometto, ti prometto che farò di tutto per renderla felice. Te lo prometto Damen. Allevierò il suo dolore, lo assorbirò tutto e lei sarà felice.>>, ha sussurrato mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, pensando che io stessi dormendo.
Ad oggi, a distanza di quasi un anno piove ancora, c'è una tempesta che spazzerebbe via qualunque cosa, non vedo il sole in lontananza, né l'arcobaleno, ma sono qui, sotto la pioggia , voglio imparare a ballare e Quentin mi sta insegnando.
Piano piano.
Passo per passo.
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