Solo un diamante può lucidarne un altro
«Il reverendo Nick..... è morto.» sentenziò Hanji, entrando nello studio. «L'hanno ucciso questa mattina, nel distretto di Trost.»
Non è che l'avesse saputo da qualcuno. Si era svegliata che era ancora notte, con un brutto presentimento. Aveva indossato la prima cosa che le era capitata a portata di mano - il camice da laboratorio -, inforcato gli occhiali, e messo la giacca della divisa dei SS. Aveva attraversato la propria stanza e quella di Moblit - già sveglio e ben vestito -, trovandolo con la sua solita aria preoccupata nei suoi confronti.
«Cosa sta succedendo, caposquadra?» aveva chiesto.
«Ho una brutta sensazione.» aveva risposto lei sbrigativa, quasi correndo nel percorrere il corridoio.
E infatti, davanti alla porta c'erano due soldati della polizia.
«Ehi, volete contaminare la scena del crimine? State indietro!» disse uno dei due uomini, mettendo una mano sulla pistola che portava alla cintura.
Hanji riuscì comunque a vedere oltre alle sue spalle, e i suoi timori ebbero conferma.
Di cadaveri ne aveva visti molti, il sangue non la disgustava, ma nel vedere quel corpo morto i suoi occhi si spalancarono.
«Si tratta di una delle tante rapine finite in omicidio che avvengono di recente.» spiegò il secondo soldato, chiudendo la porta.
«Gli hanno strappato tutte le unghie della mano, non è possibile che sia un semplice omicidio!» contestò Hanji, facendo un passo avanti verso il soldato che aveva appena parlato.
Venne afferrata per il colletto della giacca e si ritrovò il volto di quest'ultimo troppo vicino.
«Anche se sei un pezzo grosso, il Corpo a cui appartieni non vale un bel niente.» mormorò l'uomo, pieno di odio, per poi lasciarla velocemente, rischiandole di far perdere l'equilibrio.
«Intendiamoci. Si tratta di una rapina finita male, non di casini politici. Quindi questi non sono affari vostri.»
L'occhio di Hanji venne attirato dalla scritta sopra lo stemma del Corpo di Gendarmeria sulla giacca dell'uomo.
«La prima squadra centrale della polizia... Cosa ci fa qui a Trost, distretto di confine?»
«Al momento siamo carichi di lavoro. Lo trovate così strano?» disse acido l'uomo, non riuscendo a dissimulare completamente la sorpresa dell'essere stato scoperto.
Oh certo, quella era la conferma che serviva ad Hanji.
«Ora è tutto più chiaro! Mi scuso per la mia impudenza, ma essendo una semplice spia vedere un soldato della polizia mi ha messo in soggezione..... Ma mi dica, Nick possedeva veramente qualcosa che valeva pena di essere rubato?» chiese, un po' civettuola e con finta aria pentita, prendendo la mano del soldato.
L'uomo la guardò corrugando le sopracciglia.
«Mi pare ovvio. Tutto gli uomini del Culto posseggono oggetti in metallo prezioso.»
Finto stupore si disegnò sul volto della castana.
«Nick era un reverendo? Io e lui eravamo molto amici, ma mi ha sempre detto di essere un semplice operaio.» spiegò, abbassando lo sguardo.
Le nocche.
«Ehi, lasciami andare!» ordinò l'uomo, improvvisamente in soggezione - ma che ovviamente non lasciava trasparire.
«Chiedo scusa!» disse Hanji, indietreggiando con aria sottomessa.
«Vi chiedo solo un favore, in nome di quella che consideravo una forte amicizia con Nick.» portò la mano chiusa a pugno sul cuore, nel tipico saluto militare. «Quando catturerete i ladri, riferitegli queste parole: "che voi l'abbiate ucciso per fare giustizia o per un po' di lealtà, voi sappiate, che a me, di tutto questo non importa proprio un bel niente.» una strana luce attraverso i suoi occhi. «Voi proverete sulla vostra pelle sofferenze peggiori di quelle che avete inferto al mio amico, perché siete soltanto delle inutili canaglie. Certo, provo pena per voi!". Con permesso.»
girò i tacchi, e se ne andò, seguita da Moblit.
«Era Sannes, della prima squadra della Gendarmeria centrale. Aveva le nocche sbucciate. Sono stati loro.» concluse Hanji, dopo aver raccontato i fatti ad Erwin.
«Hanno scoperto dunque che era diventato un nostro informatore.» decretò il biondo, poggiando i gomiti sulla scrivania.
«Per questo avevo mentito sulla sua identità quando ho fatto la richiesta perché avesse una stanza nel quartiere militare. Sarebbe stato più facile per noi avere controllo su di lui. Ma sono stata una stupida a non pensare che avrebbero potuto usare i soldati per ucciderlo.»
«Quante unghie hanno strappato via a Nick?» chiese Levi, posando la tazza di tè.
Quando Hanji era entrata, lui era lì, una presenza silenziosa nella stanza, ma che a quanto pareva aveva appena avutouna conversazione con il Comandante.
«L'ho visto solo per un istante, ma mi sembra tutte.»
«Chi parla lo fa alla prima unghia.» spiegò Levi, rivolgendosi ad Erwin «Ma se uno non vuole parlare, resiste fino alla fine.»
«Le sue convinzioni sono rimaste salde fino all'ultimo, dunque. Non ha rivelato i nostri movimenti.» Erwin poggiò il mento sulle mani congiunte.
«Bene. Questo ci dà una scelta.»
*
Paradis era stato a lungo ignorato dai giochi di potere degli imperi che nel corso della storia si erano succeduti intorno ad esso. Nessun tentativo di conquista, come se temessero di trovare qualcosa che avrebbe portato alla rovina.
Per questo, Paradis aveva avuto un lungo periodo medioevale - le innovazioni tecnologiche risalivano a meno di un secolo fa, quando Paradis era finalmente stato incluso nel commercio mondiale - che aveva portato tutta la popolazione a concentrarsi in un unico luogo, protetto da alte mura.
Divise in tre cerchie concentriche, portavano il nome di Maria, Rose, Sina, tre regine che si erano succedute al trono nel periodo di un anno, sorelle, morte tragicamente, nonostante il popolo fosse assai contento dei loro metodi di governo - ma il Governo non aveva un burattino tra le mani, dunque erano inutili.
Era su una di queste - Maria, la cerchia più esterna - che Erwin era salito, in quel tardo pomeriggio.
Lasciò scivolare lo sguardo - c'era del calore in esso -, andando ad abbracciare i boschi e gli spazi aperti, seguendo la linea dei binari che arrivava fino al mare, una linea azzurra all'orizzonte.
«È stupendo, vero?»
Sorpresa si dipinse sul suo volto - le sopracciglia dalle proporzioni innaturali si arcuarono verso l'alto, gli occhi si spalancarono e dilatarono di poco, le labbra si schiusero - nel sentire quella voce e mentre si voltava verso la sua origine, per poi sfumare in uno dei suoi rari sorrisi.
«Sì.»
Una lieve risata provenne dall'uomo seduto poco più in là, i piedi a penzoloni nel vuoto, che spostò le braccia appoggiate dalle cosce alle sue spalle, ma il suo sguardo rimase fisso davanti a lui, i capelli biondi a nascondere il suo profilo, rivelando solo la mandibola coperta da una leggera barba.
«La fuori è un inferno.» disse, quasi sbuffando l'ultima parola.
«Lo immaginavo.» commentò Erwin, distogliendo lo sguardo dalla sua figura - si era concesso di indugiare su di essa, con la scusa che era tanto tempo che non lo vedeva, ma la realtà era che ne sentiva tremendamente la mancanza - e riportandolo sull'orizzonte, tinto di sfumature arancioni e rosse. «Sei entrato in contatto con chi ti avevo detto?»
«Jeager? Sì. Sono riuscito a diventare uno dei suoi assistenti.» un'altra risata provenne da lui, anche se molto più leggera, come un sorriso rumoroso. «Secondo me andreste d'accordo. Siete entrambi due menti geniali.»
Fu il turno di Erwin di sorridere.
«In un altro tempo e in un altro contesto, sicuramente, Mike.» disse Erwin, riportando il suo sguardo verso il compagno, che a sua volta si era voltato verso di lui.
Gli occhi verde-azzurri, la palpebre bassa, che sembrava conoscere nient'altro che la stanchezza, il naso aquilino, famoso per il suo fiuto fine, i baffi appena accennati.
Erwin Smith non si definiva una persona con legami - l'unico che affermava di avere avuto era quello con suo padre, ma lui era stato arrestato e giustiziato quando non aveva neanche dieci anni -. Per lui erano fili, e se non erano utili per la scommessa - una tra le tante, ma la più importante a cui convergevano tutte le altre - li recideva, con un gesto secco.
Solo che del filo di Mike aveva perso il controllo. Si era fatto spesso, solido - troppo rispetto agli altri, simile ad un cavo di acciaio -, gli si era avvolto attorno al braccio, quasi scavando nella carne, e lui se ne era accorto troppo tardi, rassicurato da quel sorriso e dallo sguardo stanco.
Mike era Mike. Lo conosceva - come nessun'altro -. Conosceva la sua scommessa. Era stato il primo ad essere utile - ad offrirsi - per essa. Ed Erwin - egoisticamente - si era fatto avvolgere ulteriormente da quel filo, minacciosamente legato intorno alla sua gola.
Mike era stato via a lungo - anni, ma non si ricordava con precisione quanti. Era stato per via dei un suo ordine: vai a conoscere l'esterno - o qualcosa di simile -, e lui era perfetto per questo. Malleabile, praticamente invisibile, non attirava l'attenzione se non per la sua altezza - ma era un fattore del tutto trascurabile -. Ed ora era tornato, nella sua abituale maniera schiva e silenziosa.
«La prima condizione.... è praticamente soddisfatta.» disse Erwin, sedendosi finalmente, praticamente spalla contro spalla con l'altro biondo.
Una risata amara provenne da Mike, che sembrò incassare la testa tra le spalle.
«Dunque non ne rimarranno fuori, loro.»
«Sono stati scelti apposta, Mike.»
L'altro uomo spostò in avanti il proprio peso, ripoggiando i gomiti sulle cosce. Con quel gesto, il volto tornò a nascondersi alla vista di Erwin, che venne colpito da una sensazione di tristezza.
«Volevi che si salvassero?» chiese, in un tono da cui non si capiva se fosse irritato o perso.
«Loro.... hanno il compito di andare avanti, di dar vita alla rinascita. Avrei preferito che fossero coinvolti il meno possibile.»
«Sono forti.»
Mike sospirò. Si rivoltò, e legò il suo sguardo a quello azzurro e limpido di Erwin, per la prima volta in quel giorno.
«Pensi che non l'abbia capito?»
Dopo un attimo di esitazione, Erwin rispose. «Ci ho sperato.»
«E' qui il problema. per quanto forti siano, ho dei dubbi sul fatto che lo supereranno.»
«Ci sarai tu con loro.»
A quella frase, Mike distolse lo sguardo.
«Come tu hai i tuoi piani, io ho i miei.»
Dopo un attimo, Erwin annuì. Se lo aspettava, infatti ne aveva tenuto conto. C'era un'alta probabilità che accadesse. Ma nonostante questo, non si sentì comunque meglio. Il dolore al petto si era fatto più persistente, facendoglielo finalmente percepire.
Sentì un braccio caldo passare sulle sue spalle, quasi strisciando, poi la mano, con presa leggera, obbligarlo ad assecondarla, ritrovandosi con la guancia appoggiata al petto di Mike.
«Scusa.» mormorò quest'ultimo, ad un tono così basso che quasi Erwin non lo sentì «Non volevo farti preoccupare.» Sentì chiaramente il naso di Mike sfiorare i suoi capelli, vibranti delle parole che erano state sussurrate tra essi.
Quel gesto - seppur lieve - rilassò completamente Erwin, che si lasciò andare, appoggiando totalmente il suo peso sul compagno.
«Hai un alloggio per la notte?» chiese poi, le palpebre semichiuse, beandosi del contatto.
«Speravo di scroccare il letto almeno per sta notte a te.» commentò l'altro biondo, alzando le spalle.
Erwin alzò le sguardo verso di lui, per poi scoppiare a ridere, a pieni polmoni.
Mike spalancò gli occhi stupito - era tanto che non sentiva il compagno ridere in quella maniera - e si unì alla risata.
«Ci puoi scommettere.»
*
Lo sguardo azzurro di Erwin si piantò quasi letteralmente su Hanji.
«Lo sai che quello non mi lascia alcuna possibilità in caso di processo?»
«Sì, lo so. Appunto per questo te ne ho parlato.» rispose Hanji, incrociando le braccia al petto, dopo aver allontanato le mani precedentemente poggiate alla scrivania.
Erwin doveva ammettere che non se l'era aspettata. Hanji che entrava nel suo studio, che sembrava voler parlare di qualche risultato o oggetto che avesse bisogno, ma che invece gli faceva quella proposta. Una proposta che avrebbe dovuto fare lui.
Rifacendo due calcoli, era quasi più vantaggiosa dell'alternativa precedente. Doveva solo tenere d'occhio quella nuova sete, una di quelle che una volta iniziata non si riesce più a soddisfare totalmente, e lascia scontento. Una sete che si sarebbe potuta rivelare pericolosa - ma Hanji non era il tipo che perdesse il controllo.
Erwin sospirò.
«Va bene. Ma sarai affiancata da Levi.»
La castana corrugò le sopracciglia.
«Non ha una squadra, lui?»
«Anche se ce l'avesse avuta, sono morti.» rispose il biondo, riportando lo sguardo sui documenti, implicitamente dicendo che non voleva continuare la conversazione.
«Shingashina.»
Suo malgrado, Erwin annuì. Era una ferita recente, di cui il Corpo portava ancora i bendaggi.
Erano morte così tante persone..... L'elenco dei loro nomi si fece strada nella sua mente, ma lui lo rispinse indietro, nel cassetto in cui era chiuso.
«Capisco.» disse Hanji. Sembrò sul punto di aggiungere altro, ma fece il saluto ed uscì.
*
«Vedi di fare un po' di silenzio, quattrocchi.» intimò Levi, infilandosi i lunghi guanti neri che arrivavano oltre al gomito - detestava lo sporco, e sapeva per esperienza quanto il sangue fosse difficile da lavare -, e lanciando un'occhiata minacciosa alla castana.
«Vuoi goderti le sue urla?» commentò provocante Hanji, un sorrisetto divertito sulle labbra, avvolgendosi le maniche della camicia fino al gomito.
«Sempre meglio che ascoltare te.» commentò acido lui, precedendola.
Tre giorni.
Tre giorni da quando Erwin gli aveva lasciato campo libero - Hanji era stata per tutto il tempo precedente scalpitante come un cane da caccia che tira il guinzaglio poiché ha individuato le tracce della volpe, e a tenere il guinzaglio era Erwin, alternato a Levi in qualche occasione -, tre giorni passati fianco a fianco senza un'ora di sonno - solo teina e caffeina che circolava a braccetto con i globuli rossi -, tre giorni passati ad analizzare, pianificare, discutere - anche accesamente -, a mettere in atto il piano.
Tre giorni di tensione crescente, sempre più alta, solo per poi riversarsi completamente - una cascata di acqua fredda - quando Levi aprì la porta del sotterraneo.
«Buondì Sannes!» salutò allegra Hanji, avvicinandosi all'uomo, che alzò il capo, per quanto gli permettessero le cinghie che lo bloccavano alla sedia.
«Hai riposato bene? Qualcosa da ridire sul servizio ricevuto?» continuò la castana. La mano scivolò lungo il tavolo, fermandosi su un paio di pinze, adatte ai suoi piani. Un piccolo sorriso le si disegnò sulle labbra - impercettibile agli altri nella stanza se non a lei.
«Come sai, non ho esperienza nella tortura, dunque ti chiedo scusa in principio se ti farò male.»
Piegò la testa di lato, con aria innocente, ma terrificante.
L'uomo strattonò le cinghie, in un vano tentativo di fuga.
«Chi diavolo è che tortura senza fare domande?» protestò.
Ricevette un pugno in faccia - che lo fece voltare violentemente dall'altra - e venne strattonato violentemente per il colletto, ritrovandosi, bruciato dallo sguardo freddo di due occhi grigi.
«Non hai alcun diritto di fare domande, stronzo.» ringhiò Levi, ad un soffio dal suo naso. Lo fissò, penetrante, insinuando il terrore in lui. Una volta sicuro che avesse messo radici, si allontanò, rimettendosi al fianco della castana, che aveva seguito tutta la scena nella più totale assenza di emozioni e pensieri.
«Vuoi una domanda? Eccotela.» Senza alcun movimento che anticipasse le sue intenzioni, Hanji strappò a bruciapelo un'unghia. «Perché avete ucciso Nick?»
La testa piegata di lato, gli occhi dilatati, le labbra leggermente dischiuse.
Levi non era una persona che si spaventava - non ricordava di essersi mai spaventato, in effetti - o provava emozioni legate alla paura. Ma guardando la compagna - partner, doveva iniziare a pensare con quel nome a quel tornado vivente, poiché Erwin non l'aveva detto, ma era rimasto molto sottinteso - la trovò intimidatoria, senza la sua solita aria giovale. E provò quasi pietà per Sannes.
«No? Non vuoi rispondermi?» Hanji strappò un'altra unghia, e questa volta l'urlo fu chiaro, neanche tentato di essere soffocato dall'ufficiale di polizia.
«Non c'è nessun problema. Abbiamo tempo.» Strappò la terza unghia, e si chinò per parlare al suo orecchio.
«Sappi che una volta finite le unghie passeremo ad altro.»
Un sorriso divertito si disegnò sulle sue labbra, mentre si rialzava.
«Vuoi provare, Levi?» chiese poi, con la più naturale noncuranza che lui le avesse mai sentito, voltandosi verso di lui.
Vuoi vendicare i tuoi compagni, Levi?
La mano tesa con le pinze in essa, quel sorriso. Quel dannato sorriso. Caldo, avvolgente, come l'abbraccio di una madre. E in quel contesto era totalmente fuori luogo - non era come quando l'aveva visto rivolto ad Isabel, lì era perfetto - per dare quel senso di sicurezza, di pace.
Dannata quattrocchi.
Non poteva chiedergli di fare una cosa che aveva rinnegato per anni - Kenny l'aveva chiamato "l'istinto Ackerman", che li portava a non essere troppo lontani dal campo di battaglia - e che aveva evitato nonostante sarebbe sembrata la cosa più naturale da fare - uccidere.
Dannato Erwin.
Gli venne voglia di ridere - una quelle di risate nervose, che di divertito non hanno proprio niente -. Era stato l'ultimo a capirlo - Erwin l'aveva capito già tempo addietro, e Hanji un attimo dopo a quando il biondo le aveva detto che avrebbe lavorato con Levi -, nonostante fosse nel suo pieno interesse. L'aveva ignorato solamente perché lui rinnegava sé stesso, rifiutando quella parte violenta di lui. Peccato che era una parte piuttosto grande - e le perdite, ogni singola perdita aveva contribuito ad accrescerla.
Dannazione, quattrocchi. Non puoi chiedermi una cosa del genere in quella maniera. Non puoi darmi la speranza.
Afferrò le pinze tese verso di lui e si voltò a guardare Sannes, con lo stesso sguardo di quando trovava della polvere.
Infastidito.
Disgustato.
*
Era da poco passato il tramonto, quando Erwin scese nei sotterranei.
Levi ed Hanji non si erano più fatti vivi da quando avevano iniziato. Urli occasionali, intervallati da lunghe pause, erano stati gli unici segni della loro presenza al Quartier Generale. Non erano usciti dai sotterranei neanche una volta - o così aveva detto Moblit, che periodicamente andava a controllare e a riferire ad Erwin.
Attraversò il corridoio freddo, mal illuminato, accompagnato dallo sfrigolio delle lampade e superando le varie porte uguali - custodivano I loro segreti, come l'intero sotterraneo, ma si perdevano nel tempo - raggiungendo la più lontana, al fondo del percorso.
Quando aprì la porta, venne accolto da un urlo, che lo attraversò da capo a piedi.
Vecchie sensazioni, vecchi suoni, vecchie percezioni.
Affollarono tutte quante i suoi sensi - era giusto sentirsi così, per qualcosa di estremamente sbagliato a livello morale? Così vivo, tanto da aver la sensazione di aver dormito dall'ultima volta che le aveva sentite? Vivo, nonostante la consapevolezza che il dolore e il sangue che sembravano monopolizzarlo fossero causati da lui?
«No no, non ci siamo Sannes.» esclamò Hanji scuotendo il capo. «Se ti fai infliggere solo dolore non sei più utile.»
L'ufficiale di polizia non aveva più un apparenza umana quando Erwin lo mise a fuoco. Il volto tumefatto, il naso rotto, l'occhio destro gonfio, a stento sembrava in grado di parlare.
«È l'ultima volta che te lo chiedo. Perché la gendarmeria è stata incaricata di uccidere un prete?»
Nel tono di Levi c'era solo noia. Nient'altro che noia. La palpebra era bassa, rendendo lo sguardo ancora più tagliente, e la penombra in cui era la stanza lo rendeva ulteriormente minaccioso.
«Vuoi perdere un altro dito?» canticchiò Hanji.
Sannes alzò il capo - senza comunque l'intenzione di parlare -, e nel farlo vide Erwin, fermo sulla porta. L'occhio pesto si aprì un po' più rispetto al solito, stupito - e impanicato, una terza persona voleva dire tutto più in fretta -, facendo voltare i due.
Erwin avanzò, volutamente a passo lento e a braccia incrociate.
«E' un piacere rivederti, Sannes.» un sorriso di cortesia si formò sul volto, mentre lo guardava, penetrante con il suo sguardo azzurro.
«Vedo che avete fatto un buon lavoro.» commentò, osservando i monconi di dita - alcune a cui mancava una falange, un paio che mancavano del tutto - e le unghie assenti su tutte. Le mani avevano lasciato grandi macchie scure di sangue, in alcuni punti già coagulato. L'uomo sembrava estremamente debole, sul punto di addormentarsi.
Hanji se ne accorse e lo toccò su una ferita aperta, facendolo sobbalzare.
«Forse è ora di parlare, Sannes.» continuò Erwin, sempre senza perdere la cortesia e il tono paterno.
L'uomo - finalmente, dopo ore di urla e dolore aveva raggiunto il suo limite - annuì.
«Perché avete ucciso il Reverendo Nick?»
«Marley.» un colpo di tosse per niente promettente «Ce l'ha ordinato Marley.»
*
«Capisco.» disse Mike, abbassando il capo. Appoggiato al muro, le mani in tasca, in abiti comodi e non la solita divisa indosso. «Questo spiega diverse cose.»
Erwin annuì. Seduto sul letto, le mani congiunte, i gomiti appoggiati alle cosce, indossava ancora la divisa, la giacca al suo posto sull'attaccapanni.
«Si tratta solo di capire fino a che punto si sono infiltrati. Ma se la prima squadra della Polizia Militare è sotto il controllo, potrebbero essere anche al Governo.»
Mike sospirò, e i capelli che gli coprivano buona parte del volto si spostarono di poco, riscivolando nella posizione precedente.
«Devo tornare a Marley dunque.»
«Sarebbe molto inutile. Inoltre sei riuscito ad entrare nella squadra di Jeager, il principale soggetto da tenere d'occhio, e che potrebbe rivelarsi utile.»
Con una leggera spinta delle spalle, il più grande si staccò dal muro.
«Tanto sarei comunque partito per Marley domani.» tirò fuori dalla tasca una lettera che diede al compagno da leggere. «Il nostro gesto non è passato inosservato.»
Un piccolo sorriso si formò sulle labbra di Erwin, e il suo sguardo si illuminò - seppur di poco, ma Mike lo vide, chiaro.
«È iniziata.» sollevò il volto verso il compagno - era un bambino felice - «Con l'apertura del caso, Jeager ha mosso il suo primo pezzo sulla scacchiera.»
Proprio in quell'istante, dalla stanza a fianco giunse il rumore di una colluttazione insieme a delle urla.
«Devi lavarti quattrocchi! Puzzi peggio di un cadavere!»
«Devo andare in laboratorio, non ho tempo per lavarmi!»
Il rumore di un oggetto infranto.
«Ma porca puttana, stai ferma!»
Questa volta fu il rumore di corpi che cadono nell'acqua.
«La nostra mossa?» chiese Mike, una volta assicuratosi che nel bagno la situazione fosse non mortale.
«L'abbiamo già fatta.» Erwin fece cenno con il capo verso la parete, riferendosi ad Hanji e Levi.
«Sarebbero il nostro pedone?»
«No, sono tutti i pezzi bianchi.» si alzò, e con un tono tranquillo assolutamente non suo tipico, disse:«Conosci il detto, Mike. "Solo un diamante può lucidarne un altro."»
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