Il triplo nero

Un urlo.
Erwin non se ne stupì. Era abituato alle grida provenienti da qualche piano sotto - terra - mentre lavorava - non che avesse dovuto mai sopportare un fastidio da parte loro, all'inizio.
Ci era talmente abituato, che poteva prevedere in base ad esse cosa succedeva dopo.
E infatti, Hanji si affacciò allo studio, per controllare se non fosse impegnato, senza neanche prendersi la briga di bussare.
«Non parla.» esordì la castana, noncurante dell'eventuale spettacolo raccapricciante che poteva essere per i deboli e sensibili di stomaco - ed Erwin non era nessuno dei due.
I capelli castani legati disordinatamente, gli occhiali sporchi poggiati sulla fronte, il volto schizzato di rosso, i vestiti - soprattutto la camicia bianca - chiazzati di sangue secco e fresco, le mani sporche della sostanza organica, ma Hanji le aveva appoggiate lo stesso una sulla porta, l'altra sulla maniglia - Erwin sentiva già la strigliata che lei avrebbe ricevuto da parte di Levi quando avrebbe scoperto le impronte. Il biondo sorrise, ma solo per una frazione di secondo.
«Il finto tradimento?» chiese, riportando lo sguardo ai documenti che stava esaminando precedentemente.
«Già provato. Non parla comunque.» sbuffò Hanji.
«Capito.»
Posò ordinatamente i documenti sulla scrivania, e si alzò.

In quanto Comandante dei Servizi Segreti di Paradis, un piccolo stato circondato da grandi potenze, Erwin Smith era considerato uno tra gli uomini più letali e spietati dell'esercito. Forse, era l'unico.
Il suo debole per le scommesse, unito alla violenza che usava per raggiungere l'obbiettivo, non faceva altro che accrescere la sua fama oscura di Comandante, e di conseguenza quella del Corpo di Ricerca - nome dato ai Servizi segreti nel tentativo di addolcire e ingentilire quello che accadeva dietro quelle porte, fallendo. Erwin non agiva al riguardo, poiché sarebbe equivalso a nascondere fatti veri.
Sì, torturavano. Sì, usavano metodi poco ortodossi per ottenere le informazioni. Ma i risultati arrivavano. Il processo con cui le si ottenevo passava così in secondo piano, mettendo da parte eventuali scrupoli che si fossero creati.
Sotto il suo comando - neanche troppo tempo che lui fosse subentrato al suo predecessore, né così poco - il Corpo di Ricerca era stato ammantato dal sangue, timbrato come disonorario e infangante, perdendo così il fascino che lo aveva caratterizzato a lungo, smettendo di attirare i giovani e perdendo i suoi stessi agenti.
Ma ad Erwin non era importato. Aveva un obbiettivo, e l'avrebbe raggiunto anche a costo di diventare il burattinaio di sé stesso.

Seguì Hanji verso i piani sotterranei, percorrendo vecchie scale di pietra e tornando a respirare realmente dopo lungo tempo - una volta che l'avevi provata, la goduria nel far del male diventava una dipendenza. Poggiando i piedi su quelle pietre, che ne avevano viste di tutti i colori - sarebbe meglio dire sentite -, percepiva il dolore di cui erano impregnate, a cui portavano. E lo faceva sentire vivo.
  Hanji gli sorrise nel notare il suo rilassamento dei lineamenti del volto. Gli aveva detto molte volte che stava troppo lontano dalla sua linfa vitale - da cui dipendeva da più tempo di lei e Levi - e questo lo danneggiava, ma Erwin le rispondeva che una parte di lui doveva rimanere ancora umana, per lui, per loro. E dunque Levi - che sembrava essere un'ombra, sempre al seguito della castana in tutto - le afferrava un braccio per attirare la sua attenzione, la guardava con gli occhi grigi senza spiaccicare parola. Hanji sbuffava, ma annuiva. E cambiava totalmente discorso. Ma questo non le impediva di trovare stratagemmi per trascinare Erwin con loro, per farlo stare nel suo ambiente naturale. Come in quel momento.
  Mentre percorsero il corridoio, un altro urlò riempì le orecchie di Erwin - non se ne stupì neanche questa volta.
Quando entrarono, Levi stava osservando la punta del dito, il guanto macchiato di sangue - probabilmente quello che si era appena tolto dal volto, vedendo la strisciata rossa sulla guancia -, con un'espressione infastidita - e un po' irritata -. Poi portò lo sguardo all'uomo seduto, di cui era ben visibile il naso sanguinante rotto di fresco, prevalente sugli altri ematomi che deturpavano il suo volto. Sembrò che avesse intenzione di tirargli un manrovescio sulla guancia, ma spostò lo sguardo su Erwin ed Hanji.
  La castana si avvicinò all'uomo, le mani nelle tasche, un sorriso inquietante, rinforzato dagli occhiali che sembravano appannati - in realtà era un semplice scherzo della luce - non permettendo di vedere i suoi occhi castani. Poggiò in maniera decisa un piede sul bordo della sedia in mezzo alle gambe dell'uomo legato e piegò il busto in avanti, a sussurrare al suo orecchio.
«Sicuro di non voler parlare?» l'uomo non accennò a voler fare un singolo movimento.
«Il Comandante è meno gentile di me e del nano, tienilo bene a mente.» aggiunse, prima di allontanarsi e assumere un espressione cosiddetta "normale" - gli occhi non erano più spalancati, accompagnati da un espressione seria che su lei era anormale.
  Erwin si avvicinò a sua volta, finendo di infilarsi i lunghi guanti che arrivavano al gomito, sopra la camicia bianca - la lunga giacca verde l'aveva abbandonata vicino alla porta, dato che nel pomeriggio avrebbe avuto un incontro e il sangue non era una tra le cose più semplici da eliminare da essa. Prese dal tavolo lì a fianco un paio di pinze e ne osservò la punta, come per capire se fossero adatte a quello che aveva intenzione di fare.
«Potrebbe fare un po' male, ti avverto.» disse voltandosi verso l'uomo seduto. «Non ho la stessa precisione di Hanji e Levi, né la stessa praticità. Dunque, mi scuso in principio.» 
Un piccolo sorriso si disegnò sulle sue labbra - niente di umano, niente sentimenti dietro ad esso, solo pura cortesia.
Prima che il torturato se ne potesse rendere conto, gli era stata aperta la bocca a forza dalla mano ferma di Levi e strappato un molare, senza che lui riuscisse a fiatare - e di conseguenza urlare.
  Fu comico da vedere. Sembrava avesse dimenticato l'uso delle corde vocali finché il dente appena estrapolato non gli venne posto davanti al naso. Fu nel momento in cui riuscì a mettere a fuoco quella cosa rossa - sangue - che urlò, raggiungendo un repertorio nuovo a lui. «Ora, risponderesti alle domande o devo toglierne un altro?» chiese Erwin, dando il dente a Hanji - che si premurì di metterlo insieme a tutti gli altri, nella sua "collezione dei dolori" - e le pinze a Levi - va bene fare del male, ma se loro lo facevano in maniera sana.
Il terrore costellava lo sguardo dell'uomo, ma non dette segni di voler parlare. Erwin annuì, comprensivo. E un altro dente si aggiunse alla collezione.

*

«Dunque Marley ne ha infiltrati altri...» commentò Hanji sovrappensiero, poggiando l'indice sul mento e piegando la testa di lato.
Seduta su uno sgabello, un asciugamano a coprire l'essenziale, era persa nei suoi ragionamenti su quello che avevano appena appreso dall'uomo. 
«Stai ferma, quattrocchi.» la rimproverò Levi, afferrandole senza molta delicatezza i capelli e riportando la testa alla posizione precedente.
«Ahi! Okay, okay, sto ferma!» protestò lei.
Il moro borbottò un qualcosa - un insulto quasi affettivo - e riprese ad asciugarle i capelli, in un gesto abituale. 
  Dato che ogni "seduta" - come si divertiva Hanji a chiamare gli interrogatori - poteva durare giorni, e nessuno dei due abbandonava la stanza, neanche per dormire - lui perché così rendeva fruttuose le notti insonni, lei perché non riusciva a spegnere il cervello -, Levi trascinava un Hanji incrostata di sangue e sporcizia a darsi una lavata.
All'inizio, era una lotta costante tra i due - Hanji per orgoglio, Levi perché non sopportava la sporcizia. Ma poi la castana crollava e la stanchezza ne prendeva il controllo, rendendola più docile - la sua valanga di parole si tramutava in mormorii assonnati, se non si addormentava avvolta dal tempore dell'acqua - e facendo finalmente rilassare Levi. 
Col tempo - e l'abitudine - Hanji aveva imparato a lasciar fare Levi, che dal suo canto aveva imparato a fidarsi di lei, a tal punto che si lavavano insieme a vicenda, senza nessun imbarazzo ad ostacolarli.
  «No, ha corrotto dei nostri. L'ultimo era un Paradisiano.» disse Erwin, rispondendo al pensiero espresso prima dalla castana, allacciandosi i polsini della camicia. 
  Si era dato una lavata anche lui - testimoni le punte umide dei capelli -, principalmente per togliersi di dosso l'odore di terrore e dolore che sentiva su di sé. La versione ufficiale, era che lui manovrava i soldati, rendendoli torturatori, non che fosse un torturatore, dunque lasciar sentire quell'odore - che in Hanji e Levi si era mischiato al loro naturale - avrebbe fatto cadere quella fragile, ma utile, maschera.
  Hanji emise un verso di frustrazione. «Dunque stai dicendo che sono riusciti ad avere delle nostre informazioni?»
«Probabilmente sono quelle che erano già nei quartieri generali, prima della Purga.» rispose Erwin, ed un'ombra passò nel suo sguardo azzurro. Erano stati brutti giorni quelli. Brutti anche per lui.
«Come sta?» chiese, distogliendosi da pensieri fatti improvvisamente cupi.
«è sotto le cure di Moblit.... Starà meglio di prima.» rispose Hanji, facendo un cenno vago con la mano, sottolineando che non c'era da preoccuparsi per l'uomo precedentemente interrogato.
Erwin annuì. Poi prese la lunga giacca verde dall'attaccapanni e la indossò.
«Io vado.» scambiò un'occhiata con Levi - stai attento, principalmente, ma c'erano altre cose, altre richieste implicite, tipiche del loro rapporto particolare -, silenzioso come sempre, per poi uscire. 
  «Levi» chiamò la castana, piegando il capo all'indietro, rischiandosi di sbilanciare all'indietro se non ci fosse stato il moro, dato che appoggiò la testa al suo petto.
«Cosa c'è quattr'occhi?» chiese lui, abbassando lo sguardo su di lei.
«L'hai avuta anche tu, vero? La sensazione che stia per succedere qualcosa.»
«Sì.»
«E che Erwin sapesse in cosa stiamo andando, ma che non volesse dircelo? Hai avuto anche quella di sensazione?»
«Sì. Ma mi fido del suo giudizio.»
«Lo so. E io mi fido del tuo.» concluse Hanji, riassumendo una posizione più naturale, solo per poi addormentarsi.
Levi sbuffò. Gli sarebbe toccata portarla a letto.

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