Chapter thirty-three (part I): Coraggio

Avvertenza: Essendo che questa settimana sto ritardando con la pubblicazione, per non lasciarvi completamente senza niente, ho deciso di dividere il capitolo a metà e pubblicare stasera la prima parte. La seconda probabilmente arriverà domani, o comunque entro questa settimana.

Consiglio: Ho scritto sulle note di Don't wanna leave you - Ben Woodward. È una canzone bellissima, ve la consiglio durante la lettura.
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I hold you, just like it's our very last night
Can't help but feeling like we're out of time
I don't wanna leave but you know that I have to
I don't wanna speak 'cause I know my words won't do
I'm hurting like hell 'cause you know that I want you
I want you, don't wanna leave you
I don't wanna leave but you know that I have to
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P.O.V. Millie

<<Quindi tornerai con me o no?>> fu la voce interdetta della mia migliore amica, mentre mi guardava con aria interrogativa, un sopracciglio alzato.

Sospirai, cercando di trattenere il respiro regolare, mentre ancora il cuore mi batteva gagliardo nel petto, più forte della musica intorno a me, più forte delle chiacchiere, delle risate che sentivo, più forte di ogni suono, ogni sensazione.
Lo sentivo contro il torace, anestetizzare ogni cosa che non fosse quel suono che solo io potevo udire, lo sentivo riempirmi le orecchie, rimbalzarmi nel corpo coi suoi colpi secchi.

Devo calmarmi, devo calmarmi.

<<Io... Io non lo so, Sadie.>> risposi, portandomi una mano al viso e premendo i polpastrelli delle dita contro le palpebre chiuse, cercando per un attimo di concentrarmi.

<<Millie che vuol dire che non lo sai? Mi hai appena detto che– >>

<<Lo so cosa ti ho appena detto!>> risposi secca, precedendo le sue parole e non riuscendo più a contenere l'agitazione.

<<Io davvero non lo capisco...>> rispose piano Sadie, scuotendo la chioma di capelli rossi che adesso le sfiorava gli zigomi ritmicamente, a tempo dei suoi movimenti lenti.

<<Tu?>> ribattei, non riuscendo a contenere l'ironia.
<<Tu non lo capisci?>> chiesi con un sorriso amaro, scuotendo anch'io la testa.

<<Mills.>> mi apostrofò lei, non facendo caso alla mia battuta di cattivo gusto e comprendendo quanto mi sentissi incasinata in quella situazione che io stesso avevo creato.

<<Mills, trovalo.>>

A quelle parole sgranai gli occhi.
<<C-cosa? Sadie ma hai capito che ho detto, mi stavi ascoltando per caso?>> le chiesi ironica.
<<Lui se n'è andato. Mi ha lasciato lì come una sciocca... non si è disturbato neanche di rispondermi. Mi ha fissato per secondi interminabili e poi mi ha voltato le spalle e se n'è andato.>> ripetei trattenendo un ringhio di frustrazione, sperando che quella fosse l'ultima volta che avrei dovuto spiegarlo alla mia migliore amica.

Era già frustrante pensarci, dirlo ad alta voce era... un'agonia.

<<Non ti sembra già una risposta questa?>> esalai in un sussurro, forse più a me stessa che a lei, mentre tenevo gli occhi bassi dalla... cos'era? Cos'era che sentivo crescermi nel petto?

Vergogna? Delusione? Per essere stata... rifiutata?
O forse un mix di tutte queste cose...

La mia migliore amica mi fissò sotto le lunghe ciglia per secondi che parvero interminabili, poi mi stupì.
<<Sinceramente, Millie? No.>> pronunciò decisa.

<<No, non mi sembra neanche lontanamente una risposta.>> ripeté lentamente, come per assicurarsi che imprimessi bene le sue parole nel cervello, che le comprendessi fino all'ultima sfumatura.

I miei occhi si sgranarono, aspettando cauti e attenti che lei continuasse, mentre una parte di me non voleva più saperne e lottava con l'altra, l'altra parte di me, quella che voleva vincere a tutti i costi, quella a cui bastava un solo stupido motivo, anche il più debole, il più fragile per ricorrere da lui, per avere la forza di trovarlo.

Sadie sospirò:<<Millie, Finn non ha... detto niente. Ergo, non ha dato una risposta, okay? Anzi dovresti arrabbiarti con lui– >>

<<Oh, credimi, lo sono già.>> la interruppi mentre un sorriso irridente mi si allargava sul volto e l'impazienza si arrampicava lungo le dita, poi sulle braccia, sin dentro il petto: la sentivo pizzicarmi la pelle.

<<Ma allora che cosa stai aspettando?>> mi chiese con ovvietà, allargando piano le braccia lungo i fianchi come segno di impazienza.

Ma prima che potessi aprire bocca, lei mi precedette di nuovo.
<<Trovalo, Millie. Trovarlo e digliene quattro, per l'amor di Dio. Digliene quattro per averti baciata e poi lasciata lì. Digliene quattro perché anche se non vuole tornare con te stasera, potrebbe trovare le palle per dirtelo in faccia. E non lasciarti in balia del niente, perché tu non te lo meriti, hai capito?>>

Non riuscii a rispondere subito, mentre metabolizzato a pieno le sue parole, così lei continuò.

<<La serata ormai sta finendo, ho già visto sgattaiolare via qualche celebrità. La maggior parte sono troppo ubriache, l'altra metà beve e mangia non facendo caso a niente.>> notò, guardandosi intorno.
Poi, i suoi occhi tornarono su di me.

<<Trovalo, Millie. Ti... vi copro io con gli altri, se lui dovesse... accettare.>> disse con una sicurezza che riscontrai nei suoi occhi nel momento in cui si posarono fermi nei miei.

Annuii piano, mentre una scarica di adrenalina mi percorreva la schiena e le sue parole rimbombavano nei miei timpani rimasti come incantati da quelle parole.

Trovalo, Millie.

Sadie aveva ragione: ormai non aveva più senso. Non aveva senso continuare a giocare al "tira e molla", non aveva senso offendersi, non aveva senso l'orgoglio: niente aveva più senso, perché io lo volevo, lo avrei voluto sempre.
E quindi nascondersi a che scopo? Che senso aveva lasciare le cose in balia del niente, in balia de tempo, quando avrei potuto decidere io?

E in quel preciso istante, decisi.

Se lui non avrebbe avuto il coraggio, quella sera, beh, vorrà dire che io lo avrei avuto per entrambi.

<<Ci vediamo, Sadie.>> la salutai senza aspettare una sua risposta e scattando in avanti, superandola.
Ma potrei scommetterci di averla vista sorridere con la coda dell'occhio, quando il mio corpo aveva superato il suo.

I miei piedi si muovevano svelte sull'erba, esattamente come i miei occhi si muovevano svelti, scivolando prudenti su ogni volto, ogni persona; alla ricerca disperata di boccoli neri, di un profilo che già conoscevo, una schiena dalle spalle larghe, un busto slanciato e magro, un naso, uno zigomo di cui già conoscevo i lineamenti alla perfezione.

Mi bastava solo uno scorcio di lui per riuscire a individuarlo tra la folla. Mi bastava anche la parte più insignificante, che insignificante poi non era mai,  anche quel particolare che mai nessuno nota. Mi bastava il niente di lui per capire che fosse davvero lui.

Trovalo, Millie.

Lo cercavo, lo cercavo disperatamente, sbracciandomi dove c'era più confusione, alzando il collo alla ricerca di qualcuno di troppo alto per me.
Lo cercavo negli angoli più bui e poi nelle zone illuminate dai grandi lampioni del giardino, tra le luci appese agli alberi.

Trovalo, Millie.

Lo cercavo tra i sorrisi, le risate troppo forti, le parole confuse di qualche conversazione inutile, tra gli sguardi che incrociavo, che non erano mai i suoi.

Un senso di frustrazione si annidò nel mio petto, iniziò a covarmi dentro, mentre il dubbio iniziava a insinuarsi tra le crepe della mia tenacia.

E se se ne fosse già andato, stupida sciocca? fu la vocina che mi invase lentamente i pensieri.

La schiacciai via nel momento in cui la avvertii.
No, non stasera. Stasera nessuno sarebbe scappato via, stasera nessuno doveva scappare.

Le gambe iniziarono a bruciarmi, mentre già per la seconda volta incontravo qualche volto già visto, già studiato, mentre ripercorrevo a ritroso il perimetro del giardino, ma le ignorai. Ignorai il bruciore, ignorai il sentore di inanità, di inutilità che mi cresceva dentro, facendomi sentire ogni passo come una causa persa.

Trovalo, Millie.
Troval–

<<Oh, cazzo.>> fu l'imprecazione che mi sfuggii dalle labbra in un lamento, mentre un dolore pungente mi attraversò il viso.

Strizzai gli occhi dallo stupore, mentre istintivamente mi portavo una mano sul naso, coprendomelo e sfregandolo piano, mentre il male della fitta che sentivo stringermi le narici si irradiava ogni secondo di più, pizzicandomi gli occhi e rendendoli lucidi.

Ci misi un attimo di troppo per realizzare che ero andata a sbattere contro qualcuno.

La schiena snella davanti a me si girò verso di me, con un movimento lento del busto.
<<Ma cosa...>>

A quella voce, mi paralizzai all'istante.
I miei occhi scattarono repentini in avanti, si alzarono verso quella voce, come attirati dal canto di una sirena.

Incrociarono uno sguardo intricato: due sopracciglia nere stropicciate e incurvate in un'espressione di confusione, due occhi neri, di quel nero che conoscevo bene, perché era la sua sfumatura.

Dimenticai il dolore, dimenticai la fretta, mentre la sensazione di impotenza che mi aveva perversa fino a quel momento adesso diluiva fuori da me, lentamente, esattamente come era arrivata.

Abbassai piano la mano, mentre i miei occhi restarono imbrigliati in quello sguardo.

Provai ad aprire la bocca, ma la richiusi nel momento in cui mi accorsi che non riuscii a emettere alcun suono.

<<Millie.>> fu la voce bassa di Finn, mentre una nota di insicurezza, o forse sorpresa, traspariva in quel tono deciso, tra quello sguardo ancora corrucciato.

Mi scrutò meglio, e dovette notare il mio naso arrossato e i miei occhi lucidi che cercavano disperatamene di ricacciare via le lacrime di dolore che minacciavano di scendere.

Dovette accorgersene, perché istintivamente la sua mano scattò sul mio viso, stringendo il mento tra l'indice e il pollice e alzandolo delicatamente verso il suo viso, mentre gli occhi vagavano attenti su di me.

<<Ti sei fatta male, vero?>> chiese in un moto di gentilezza inconsapevole, schivando i miei occhi e tenendo fermi i suoi sul mio viso, facendoli girovagare tra i miei lineamenti come a voler mappare ogni centimetro di pelle, ricordarsi ogni tratto.

I suoi cambiamenti di umore mi facevano girare la testa, confondevano i miei pensieri non facendomi più riconoscere cosa fosse giusto tra di noi e cosa invece non lo fosse.

Perdevo il filo della logicità che teneva insieme le mie azioni, le sensazioni, i pensieri, quando c'era lui.
Mi disperdevo nel caos del mio cuore, abbandonandomi completamene a ogni suo tocco.

Perché lui mi sapeva guardare, mi sapeva toccare, cose che gli altri non erano capaci di fare.

<<S-sto bene.>> farfugliai, nel momento in cui mi resi conto dei suoi occhi taciturni su di me, colmi di una certa tranquillità, mentre aspettava che io rispondessi.

<<Ma dove guardavi?>> chiese, non riuscendo a nascondere un sorriso divertito.

Sì, perché io lo facevo ridere, giusto?
Io con la mia goffaggine, col mio essere perennemente sgraziata e distratta. Io, che per quanto volessi sembrare sicura di me, per quanto avrei voluto 'dirgliene quattro', come mi aveva invitato a fare Sadie, adesso me ne stavo lì, a farmi prendere in giro da lui.

Scattai, facendo un passo indietro, mentre la sua mano scivolava dal mio mento e un'espressione di smarrimento gli si dipingeva sul volto.

E fu la riprovazione che mi ridusse gli occhi a due fessure, fu la riprovazione che mi fece alzare il mento verso di lui, che mi dipinse quell'espressione di ostentata sicurezza sul volto.
Fu la riprovazione, che diede finalmente fiato ai miei pensieri.
<<Veramente cercavo te.>>

Lo vidi, tendere i muscoli e irrigidire il corpo sotto la maglietta bianca, le spalle inflessibili sotto la giacca nera.
Lo vidi, serrare la mascella e indurire lo sguardo.

<<Perché?>> si limitò a chiedere, con tono freddamente neutro.

E io mi sorpresi nel chiedermi come... fossimo arrivati a quel punto.
Come eravamo arrivati lì? A lui che mi evitava in ogni modo, che mi allontanava in ogni occasione e a me che non smettevo di rincorrerlo, che non smettevo di cercare un contatto, di qualsiasi tipo, purché fosse un contatto.

Presi coraggio.
<<Beh...>> tentennai, solo per un attimo.
<<Perché non mi hai risposto.>> conclusi, racimolando ogni briciola di coraggio per non abbassare gli occhi dalla vergogna.

No, non se lo aspettava, dedussi, quando le sue labbra si schiusero impercettibilmente dalla sorpresa.

<<Sai essere... tenace, quando vuoi. Lo sai?>> fu la sua risposta inespressiva, mentre incrociava piano le braccia sul petto.

Alzai le sopracciglia, aggrottando la fronte.
<<La cosa ti sorprende?>> chiesi sardonica.

<<Onestamente .>> rispose lui, dischiudendo le labbra in un sorriso sghembo.

No, quel sorriso no, per favore...

Chiusi gli occhi, stringendoli e costringendo a non guardarlo; no, non m'importava di sembrare ridicola.
Volevo solo avere quello per cui ero venuta. Quello per cui lo avevo cercato per minuti interminabili tra la folla.

Volevo una risposta.

<<Torni con me, Finn?>>

Alla mia domanda improvvisa e così diretta, il suo sorriso si indebolì, fino a scomparire del tutto.

Le mani gli ricaddero lentamente lungo i fianchi e non potei fare a meno di notare le dita strette, avviluppate in pugni dalle nocche bianche; e per la milionesima volta quella sera mi chiesi perché– perché quella rabbia repressa, perché quell'indecisione costante quando si trattava di me.

<<Millie non... non credo sia una buona idea.>> rispose piano, abbassando gli occhi, bloccandoli su un punto impreciso ai miei piedi.

<<Perché?>> chiesi a brucia pelo, quasi parlandogli di sopra, impaziente di sapere, di capire.

La rabbia mi ribollì dentro, incendiando ogni vena del corpo, ogni flusso di sangue; la sentivo fluire piano, avvolgermi nel suo calore impaziente, nella frustrazione.

Così, quando Finn aprì la bocca per rispondere, lo fece troppo lentamente e io lo precedetti.

<<E perché? Perché cazzo mi hai baciata?>> insinuai trattenendo il grido che avrei voluto sputargli addosso, mantenendo un tono di voce basso che fece suonare la mia voce ancora più minacciosa.

Feci inconsapevolmente un passo avanti, verso di lui.
Poi un altro.

<<Mi hai baciata per scappare un attimo dopo? Mi hai baciata perché non hai avuto le palle di spingermi via?>>

Un altro passo avanti.

<<È così vero?>> chiesi nel momento in cui mi accorsi che lui non rispondeva.
E allora cercai di nascondere il dolore nel mio tono aspro, cercai di nascondere i miei battiti accelerati nel mio sguardo mordace.

Lui aprii la bocca in uno scatto, pronto a replicare, ma ancora una volta la mia rabbia fu più veloce.

E adesso, fui abbastanza vicina da puntargli un dito sul petto, mentre gli sputavo addosso il mio veleno.

<<È così. È così perché sei un vigliacco. Non avevi le palle di dirmi di no, vero? E allora avrai pensato "Adesso me ne vado, perché la piccola Millie non avrà il coraggio di seguirmi, tanto si sentirà umiliata", vero?>>

Fino a quel momento ero stata troppo impegnata a vomitargli addosso ogni mio pensiero, per accorgermi della sua espressione.
E adesso lo vidi, lo vidi quello sguardo arrabbiato– no, non arrabbiato, era... furioso.

I suoi occhi lampeggiavano, spalancati su di me, senza nessuna cortesia, senza nessuna gentilezza, grondavano rabbia, mentre le mie pupille si perdevano con un brivido in quel nero glaciale.
La mascella era tesa, il viso immobile, come pietrificato, adesso a un palmo dal mio; le labbra arricciate dal disappunto.

Nonostante ciò, nonostante il suo sguardo intimidatorio che mi sfidava ad aprir bocca una seconda volta, nonostante ogni logica, feci per replicare.
Ma non ebbi il tempo, perché appena schiusi le labbra sentii una presa ferrea, una mano fredda stringermi il polso.

Sentii il mio corpo avvicinarsi bruscamente a lui, sbattere contro il suo petto in una frazione di secondo.

Il mio respiro accelerato si scontrò nella leggera camicia che gli aderiva al torace; a quel refolo caldo che gli sbatté addosso potei notare i muscoli delle spalle irrigidirsi in un istante, tendersi sotto la pelle. Improvvisamente, con lentezza disarmante, alzai il viso, puntando i miei occhi nei suoi.

Nel momento in cui le nostre pupille si trovarono, mi sentii inghiottire da quello sguardo gelido.

<<Sei una stupida.>> mi ringhiò addosso, avvicinando pericolosamente le sue labbra alle mie.

Non lo avevo mai, mai visto così, così... fuori di sé. Mai, non era da lui, non sembrava lui.

Le mie sicurezze si frantumarono sotto il peso dei suoi occhi, la sua figura si stagliava sopra la mia, inghiottendomi nella più insignificante delle ombre.

Le mie labbra si schiusero dalla sorpresa a quella sua reazione, mentre lui non sembrava intenzionato ad allontanarsi, né tantomeno a lasciarmi andare.

<<Io, io sarei il vigliacco, dici?>> mi schernì con un freddo sorriso che mi fece rabbrividire.
<<Ma ti sei sentita? Ti sei vista?>>

Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, cacciai dentro le lacrime.
<<N-non lo dici davvero...>> sussurrai con l'ultima briciola di coraggio che mi era rimasta.

<<Oh sì.>> replicò lui, facendomi ancora più vicino.
<<Sì, lo dico davvero. Tu sei una ipocrita, Millie Bobby Brown.>> mi sputò addosso con voce simulata, in cui traspariva come carta vetrata l'odio che cercava di inghiottire.

Cercava di non farlo trapelare, ma io lo vedevo, lo sentivo nel disprezzo della sua voce, lo percepivo da come mi guardava, lo sentivo come uno schiaffo in pieno viso.

<<Sei un'ipocrita, perché pensi solo a te stessa.>>

A quelle parole abbassai gli occhi, incapace di reggere il suo sguardo, mentre le lacrime iniziavano a scendere calde sul mio viso, mentre un pensiero mi attraversava la mente, fendeva i miei pensieri, pulsava contro ogni nervo, sempre più forte:

Non te lo meriti. Tu non te lo meriti, Millie.

Non fiatai, non ne avevo il coraggio, mentre sentivo ancora la sua voce melliflua contro il mio secchio: bassa, suadente, pungente come chiodi, la sentivo farmi sanguinare il cuore.

<<Ricordi tutte le cose che ti ho detto quella notte, quando sei venuta da me alle cinque del mattino? Ricordi le mie parole?>>

Nessuna risposta.

<<Quello è ciò che io penso di te. Che sei un'egoista, tu schiocchi le dita e aspetti che la gente caschi ai tuoi piedi, che faccia quello che tu vuoi. Che ti ascolti, che ti dia ragione, che ti perdoni...>>

Che mi... perdoni? Ma cosa...?

<<... Ma io non sono fatto così, Millie. Oh, no.>> lo sentii schioccare la lingua con disapprovazione.

E fu un brivido sul pelo dei muscoli, fu il suono della sua voce che stridette contro il mio timpano, raggelandomi.
<<Non siamo... compatibili. Hai detto così l'ultima volta, giusto?>>

A quelle parole, i miei occhi scattarono su di lui.

Non te lo meriti, Millie.

E li incontrai subito, quegli occhi privi di compassione, privi di pentimento, solo pieni di... rabbia.

Glielo leggevo in quelle pupille, glielo vedevo cucito addosso, quel dolore a cui non sapevo dare una spiegazione.
La sentivo irradiarmi, raggiungermi la sua insoddisfazione, una frustrazione più profonda della mia; potevo quasi vederla covargli dentro al petto.

La vedevo, oh, se la vedevo, in quello sguardo carico d'odio, scorgevo la scintilla tristezza, quasi... sofferenza.

E allora lo feci: per quella che mi parve la milionesima volta quella sera presi coraggio, non so bene da quale parte del mio corpo.

Presi coraggio, come quando quella sera lo avevo cercato la prima volta.
Presi coraggio, come quando lo avevo baciato quasi contro la sua volontà.
Presi coraggio, come quando gli avevo chiesto di venire via con me, quella notte.
Presi coraggio, come quando non ero scoppiata in lacrime nel momento in cui lui mi aveva voltato le spalle senza degnarmi di una risposta.
E infine presi coraggio, come quando pochi minuti prima avevo deciso di calpestare l'orgoglio per corrergli dietro ancora una volta.

Presi coraggio, perché ormai non avevo più niente da perdere.

Ormai ho già perso. L'ho già perso.

Presi coraggio e senza vergogna alzai gli occhi rossi e pieni di lacrime, incrociando finalmente i nostri sguardi.

Lo guardai candidamente e sinceramene, senza malizia, senza presunzione. Lo guardai con tutto l'amore che puoi trasmettere con due occhi verie quanto, quanto se ne può trasmettere, credetemi.

Mi mostrai a lui, in tutta la mia sincera fragilità e per la prima volta quella sera, una pace silenziosa mi pervase, si posò tra le crepe del mio cuore, riempiendole di una consapevolezza.

L'unica consapevolezza, l'unica cosa che non era una bugia.

<<No.>> pronunciai dolcemente, mentre sentivo una calda lacrima accarezzarmi la guancia.

Nel momento in cui avevo alzato lo sguardo, Finn mi aveva immediatamente lasciato il polso.
Un'espressione stupita si era fatta spazio sul suo volto, mentre adesso schiudeva le labbra dalla sorpresa.

Lo vidi alzare di nuovo la mano con la coda dell'occhio, e una parte irrazionale di me dedusse, non so come, che l'avrebbe poggiata sul mio viso, ma lui, comunque, la ritrasse molto prima che questo potesse accadere, facendola scivolare nuovamente lungo il fianco.

<<No, Finn.>> ripetei piano.
<<L'ultima volta ho detto che ti amo.>> dissi piano, in un sorriso amaro ma sincero, inumidito dalle mie lacrime.

Lui sgranò gli occhi e spalancò completamente la bocca, pietrificandosi alla delicatezza e alla verità delle mie parole.

Perché non serve a niente, non serve a niente mostrarsi una roccia, non serve a niente farsi la guerra, a volte non serve proprio a niente.
A volte si deve solo... essere sinceri.

A volte bisogna mostrarsi con tutte le proprie debolezze, bisogna mostrarsi per ciò che si è, bisogna mostrarsi veri, in questo mondo di finzione.

<<Buona serata, allora.>> lo salutai piano, accennando un ultimo sorriso.

Lui non si mosse: non parlò, non ricambiò il saluto, non un cenno del capo, non un gesto per farmi capire che avesse capito, non una mano per fermarmi... niente.
Resto così, pietrificato, con i suoi occhi ancora su di me, la bocca semiaperta.

Lentamente mi voltai, dandogli le spalle e iniziando a camminare a passi lenti, misurati, come se avessi paura di cadere da un momento all'altro.
E mentre mi allontanavo, lo sentivo pungente, il suo sguardo perforarmi la schiena.

Ma non sentii nessun suono di passi raggiungermi, non sentii nessuno a gridarmi di aspettare, non c'era nessuno a rincorrermi, quella sera.

E un pensiero mi attraversò la mente, bruciandomi e facendo scendere nuove silenziose lacrime, un pensiero che mai avevo sentito così vero.

L'hai perso, Millie. Stavolta l'hai perso davvero.

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