Chapter thirty-seven: Nonostante tutto
Consiglio: Ho scritto sulle note di Without me – Halsey, consigliata durante la lettura.
Thinking you could live without me?
P.O.V. Millie
Quel pomeriggio era trascorso lentamente, nell'attesa che mi irrigidiva i polsi, mi stropicciava i pensieri, mentre impaziente aspettavo.
Avevo passato gran parte della giornata a cercare i vestiti adatti: mi ero cambiata e ricambiata così tante volte da aver perso il conto. E adesso me ne stavo lì, le gambe a cavalcioni, seduta in terra, aspettando che la montagnetta di vestiti sul letto iniziasse a librarsi per aria tornando magicamente al suo posto.
<<Che fai seduta lì?>>
Mi voltai di scatto a quella voce per incontrare il volto incuriosito di mia madre, sbirciarmi dall'uscio della porta.
<<Io... stavo... cercando di trovare qualcosa...>> fu la risposta confusa che riuscii a dire; la testa pesante dai pensieri che quella settimana mi avevano intorpidita nei gesti e nelle parole.
Lei mi guardò, un'espressione improvvisamente intenerita sul viso. Senza che dicessi nulla, spinse un po' di più l'anta della porta ed entrò nella stanza.
Silenziosa si sedette accanto a me, a terra, anche le sue gambe adesso incrociate come le mie.
In un primo momento il silenzio aleggiò tra di noi, rimase sospeso nell'aria di quella camera; eppure non fu scomodo, non fu imbarazzante, fu solo... silenzio.
Lei non guardava me, io non guardavo lei: i nostri volti immersi in quei vestiti aggrovigliati sul letto, come dovessimo ricordarli colore per colore.
<<So che forse preferiresti parlarne con Paige...>>
Le sue parole labili mi fecero perdere il respiro per un attimo: lei sapeva– no, lei intuiva.
E in quel momento mi chiesi se ogni madre al mondo ne avesse la sensibilità, l'acutezza di capire nella sensazione. Di percepire come un'aura indefinita i pensieri di un figlio.
Non risposi.
Lei scosse piano la testa, forse di riflesso a un suo pensiero.
<<Non voglio sapere... tutto, sai?>>
<<Io voglio solo sapere se tu... se tu stai bene, bambina mia.>>
E strinsi ancor di più le labbra a quelle parole, le assottigliai in una linea sottile, lasciando che la gola si assecchisse, privata d'aria.
<<Sto bene, mamma.>> buttai fuori in un sospiro.
E fu in quel momento che lei si voltò verso di me, occhi seri mi scrutarono, scannerizzarono ogni mio lineamento.
<<Riguarda lui, vero?>>
Scossi piano la testa: <<No, Finn non...>>
Non c'entra, avrei dovuto dire.
Non mi interessa, avrei dovuto dire.
Ma le parole non mi uscirono, si accavallarono pressanti sulla lingua, in attesa di esser spinte fuori, ma non so perché non ebbi il coraggio di espirarle.
E rimasi così, la bocca aperta nell'intento di parlare; gli occhi aperti in quelli di mia madre.
<<Posso... posso dirti una cosa?>> chiese lei, un timbro gentile a modularle la voce.
Annuii piano.
<<Sai, bambina mia, a volte... a volte è normale sentirsi confusi. È normale non riuscire a capire... cosa è meglio.>> iniziò lei.
Distolse gli occhi da me, ripuntandoli dritti davanti a sé.
<<Un giorno una sembra l'opzione migliore, il giorno dopo, beh, sembra quella peggiore. E allora ti senti in bilico, indecisa su che strada prendere, muovi passi indecisi per poi tornare al punto di partenza.>>
<<E ti struggi, ti dimeni nei pensieri per capire cosa è meglio per te, quale può essere la scelta giusta, solo che a volte... non c'è.>>
Un cipiglio mi irrigidì la fronte, mentre in un attimo di confusione le rivolsi un'occhiata interrogativa.
<<Cosa non c'è, mamma?>>
E lei sorrise. Un sorriso dolce a incunearle le labbra, ad ammorbidirle il taglio degli occhi; e lentamente, piano, voltò il viso verso di me.
<<La scelta giusta, bambina mia. A volte non c'è.>>
<<Ma allora come–>>
<<Allora.>> mi fece eco lei, interrompendomi con aria allusiva.
<<È questo che devi seguire.>> mi poggiò una mano sul cuore.
La sentii, accarezzarmi il tessuto del maglione, calda, ferma, sul mio petto.
<<Anche se pensi possa portarti a uno sbaglio, meglio arrivare a uno sbaglio che a un rimpianto. Perché il rimpianto, bambina mia, è una strada senza uscita, senza rimedio, ma esiste la cura a uno sbaglio, a una delusione.>>
Trattenni il fiato, saturando ogni cellula di quelle parole che sembrarono darmi speranza.
<<Esiste una cura, esiste chi ti curerà, tra carezze d'affetto e gesti sinceri; se non oggi, forse domani.>> mi sorrise in un guizzo di
palpebre.
<<Quindi vivi di cuore, bambina mia, e non di testa. O quantomeno, almeno qualche volta, abbi il coraggio di rischiare d'istinto, metti in gioco te stessa, tesoro. E forse quel broncio ti scomparirà da quel bel musino.>>
Allontanò piano la mano da me, non prima di avermi lasciato una veloce carezza sul viso.
<<E poi... così saprai di averci provato, nonostante tutto.>> allargò il sorriso.
Di riflesso le sorrisi anche io, senza che una parola mi modulasse le labbra.
Ma lei forse, non si aspettava una risposta; di fatto si alzò, lasciandomi lì seduta sul pavimento.
<<Metti la tuta nera, quella col dolcevita bianco... ti dona molto.>> mi suggerì, un attimo prima di uscire a passi lenti dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Ma in verità, passò altro tempo prima che io riuscissi ad alzarmi da lì, i pensieri adesso naufraganti nel mare di parole di mia madre.
•••
<<Sei molto carina, sai?>>
Sorrisi alla mia migliore amica, seduta sull'auto di fianco a me.
<<Grazie, anche tu stai molto bene.>>
Qualcosa nell'espressione di Sadie catturò la mia attenzione, e fu solo un secondo, ma la notai. Quella insicurezza nei suoi lineamenti, come a voler dire qualcosa, ma al contempo volerla tenere per sé.
<<Cosa c'è?>> mi uscii fuori in un sussurro.
Lei temporeggiò un altro po'.
<<So che...>> iniziò, ma poi chiuse gli occhi.
La vidi scuotere la testa in un movimento impercettibile, poi riformulò la frase: <<So che non vuoi parlarne, ma sono curiosa di una cosa...>> confessò cheta.
<<Cosa?>> le chiesi, un sorriso incuriosito.
<<Hai più sentito Josh?>> pronunciò piano, come se dovesse star attenta a non svegliar qualcuno.
La guardai per un attimo prima di annuire.
<<Sì, una volta.>>
La vidi aprir bocca, ma la precedetti in un attimo.
<<Volevo scusarmi con lui. Per il modo in cui l'ho trattato, sai... Ero fuori di me, mi sono rivolta così male l'ultima volta che ci siamo visti...>>
<<Oh.>> fu l'esclamazione sinceramente stupita della mia migliore amica.
<<Beh, sì...>> borbottai un po' imbarazzata, non sapendo bene cosa aggiungere.
Perché la verità era che non c'era niente, niente da aggiungere. Era stata pura cortesia quella che mi aveva spinto a cercare Josh e scusarmi con lui. E dopotutto, lui era stato così gentile da scusarsi a sua volta.
Mi aveva educatamente spiegato che non era sua intenzione intromettersi, semplicemente mi aveva notata così scossa da preoccuparsi.
Ci eravamo lasciati così– io lo avevo lasciato così, solo come un amico.
<<Hai notizie degli altri? Sono già arrivati?>> mi chiese poi Sadie, cambiando completamente discorso, il telefono tra le mani, mentre digitava un messaggio con dita rapide.
<<In verità no.>> confessai, stringendomi piano nelle spalle.
<<Ma almeno questa volta non siamo in ritardo.>>
A quelle parole, Sadie spinse fuori una risata cristallina:<<Hai ragione. Comunque Noah mi ha detto che lui e Gaten sono già lì.>>
Annuii piano, senza rispondere, nonostante un'unica domanda premesse per uscire, la ricacciai indietro più di quante volte mi costi ammettere.
Eppure, Sadie sembrò intuirlo, nella mia rigidità impercettibile, seduta lì, su quel sedile che sentivo spigoloso, in quei vestiti che sentivo pungermi; nella scomodità della mia trepidazione.
<<Lui alla fine viene...>> fu il suo sussurro.
E mi pizzicò i timpani, in uno sfarfallio di battiti che mi fece danzare il cuore.
Lui alla fine viene.
Alla fine viene, Millie! Lui ci sarà!
Ci è arrivato, ha fatto in tempo!
Ero convinta di non aver bisogno– no, di non volere quella certezza, finché finalmente non mi aveva carezzato gli orecchi, facendomi sospirare di conforto.
Perché in realtà io volevo saperlo, volevo sapere se alla fine fosse riuscito a districarsi tra gli impegni, per raggiungerci.
Fino all'ultimo aveva assicurato tutti noi che avrebbe fatto di tutto per non perdersi il wrap party anticipato, ma "non sperateci troppo" aveva detto.
Eppure io ci avevo sperato, troppo. Nonostante avessi cacciato via, nell'ultima settimana, il bisogno di vederlo, di sentirlo accanto ancora per quell'ultima volta, per quell'ultimo periodo, prima che le nostre vite ci separassero definitivamente, che ci surclassassero tra gli impegni così diversi, i luoghi, i paesi, i desideri, i bisogni così diversi, di due persone così diverse.
E ci saremmo persi di vista un'altra volta, separati un'altra volta, in quel mare che era la vita. Avremmo allentato la presa, l'avremmo elasticizzata, pur se nella consapevolezza che mai si sarebbe spezzata.
L'avremmo tesa, sapendo di dover solo riseguire il filato nel momento in cui avremmo avuto bisogno di ritrovarci: anche se sarebbe stato sbrindellato, un po' sfilacciato; magari reso ruvido dal tempo passato.
Sapevamo che sarebbe bastato un tocco di dita, bastava sfiorarsi, per renderlo di nuovo flessibile alla dolcezza del sentimento.
<<Non... non dovevo dirtelo?>> fu la voce turbata di Sadie che mi sollevò dai miei pensieri.
Il volto contrito della mia amica mi studiava, e mi resi conto di non averle risposto, di essermi semplicemente chiusa a riccio nei miei pensieri...
<<Scusami, Sadie.>> mi affrettai a dire.
<<No, no, va bene.>> scossi piano la testa in un sorriso addolcito.
Dopotutto, volevo davvero sapere se lui ci sarebbe stato o no.
<<Siamo arrivati.>> ci avvertì l'autista, nel momento in cui la macchina rallentò piano.
Io e la mia migliore amica ringraziammo all'unisono, prima di scendere dall'auto e dirigerci verso l'entrata del locale.
<<Sembri nervosa.>> mi studiò lei, mentre piano mi camminava di fianco.
Resistetti all'impulso di alzare gli occhi al cielo.
<<Sadie...>> iniziai.
<<No, no.>> mi interruppe quella, scuotendo piano la testa.
<<Non dobbiamo parlarne se non vuoi, Millie. È tutto okay, davvero. Solo...>> tentennò per un attimo.
<<Cerca solo di rilassarti, d'accordo? È uno degli ultimi momenti che possiamo passare tutti insieme, quindi non...>> sembrò non trovare le parole giuste, lei, che sapeva sempre cosa dire.
<<Non pensare troppo.>> esalò infine.
<<Divertiti e basta, d'accordo?>> mi sorrise fiduciosa.
Ricambiai d'istinto: <<Ci proverò.>> la rassicurai, cercando di rilassarmi davvero.
Arrivate all'entrata, la mia migliore amica aprì la porta, indicandomi di entrare per prima con un rapido gesto della capo.
La ringraziai con un sorriso e poi, piano, entrai.
Avanzai solo di qualche passo, lo sguardo perso tra la confusione e gli schiamazzi di quell'immenso posto, quando una guardia della sicurezza mi si piazzò davanti.
<<Siete del cast di Stranger Things?>> ci chiese con tono asciutto.
Io e Sadie ci limitammo ad annuire.
<<Seguitemi. Siete in una zona un po' meno... affollata, nell'area VIP.>> ci informò.
<<Oh, quasi dimenticavo.>> si fermò di colpo.
<<Mettete questi.>> e così dicendo ci consegnò dei braccialetti di colori diversi, con la scritta "VIP" sopra.
Trattenni l'impulso di alzare gli occhi al cielo.
È davvero necessaria tutta questa... cos'è? Precauzione?
Me lo allacciai velocemente al polso e, quando Sadie ebbe fatto lo stesso, finalmente lo seguimmo.
Attraversammo stanze gremite di gente che si divertiva tra il bowling, le varie attrazioni e i giochi di quel posto; c'era chi se ne stava immerso in piscine di gomma, chi cercava di completare circuiti di prove fisiche esilaranti, ma al contempo impossibili ai miei occhi, chi si arrampicava su funi altissime, chi si intratteneva nei tipici giochi che caratterizzavano quei luoghi di svago, tra macchinette, tavoli da biliardo; arrampicate sportive, piccole aree da basket.
<<Ci spezzeremo le ossa, me lo sento.>> fu il risolino della mia migliore amica, anche i suoi occhi persi in quel caos, mentre lo attraversavamo a passo incerto.
Stavo per risponderle, ma il bodyguard mi interruppe.
<<Eccoci qui. Lì c'è qualcun altro dei vostri che è già arrivato.>> ci informò, spostando la mano verso destra.
E i miei occhi lo cercarono, in quel frastuono che divenne come ovattato alle mie orecchie.
Lo cercarono, come sempre facevano, nel bisogno di individuarlo.
Non trovandolo con gli altri, si allontanarono, percorsero vigili l'aria del mio campo visivo.
Eppure, lui non era lì. Non era con tutti gli altri e neanche lontano dagli altri.
Mi strinsi nelle spalle in un sospiro di rassegnazione.
"Arriverà." mi dissi fiduciosa.
<<Andiamo.>> mi incitò Sadie prendendomi per mano e avvicinandosi agli altri.
<<Siete arrivate!>> ci abbracciò David; dolcemente come solo lui sapeva fare.
Salutammo tutti gli altri in abbracci e baci sfuggenti, eppure mi sentivo trasportata in un'altra dimensione, i pensieri saturi di bisogno.
E facevo guizzare gli occhi in sguardi sfuggenti di qua e di là, nell'urgenza di puntargli gli occhi addosso, nell'occorrenza di vedermelo spuntare davanti.
E rispondevo che stavo bene, che la mia giornata andavo bene, declinando inviti di correre di qua e di là a provare giochi di cui a malapena capivo le dinamiche, nella sfocatezza di quegli attimi.
Mi tendevo sui talloni in quella confusione, come se focalizzarlo lì mi potesse infondere una sicurezza inspiegabile: perché lui era sempre il punto da cui partire. Il punto a cui dovevo tendermi, da cui mi sentivo attrarre, tirare forte come un elastico.
E tirava, tirava, tirava il bisogno che avevo di vederlo.
<<Ciao.>> fu la voce calda che mi perforò le vertebre.
Mi si tesero i muscoli, i nervi si contorsero a fior di pelle, mentre con lentezza estenuante voltavo il capo alle mie spalle.
Fu così che lo scorsi, dal profilo della mia spalla, voltata solo per metà verso di lui– no, non verso di lui, no.
Verso quel sorriso.
Quel sorriso che mi investiva come un treno in corsa, sferragliava inarrestabile sulle rotaie ferree del mio cuore, che lo accoglieva, lo abbracciava in quella sferza che lo attraversava; me lo sentivo addosso.
Perché sì, me lo sentivo addosso quello sguardo, quello sguardo che era mio perché era per me. Solo per me.
E lì, inerme, arresa a quelle labbra incuneate verso l'alto, non potei far altro che ricambiare, sentendomi piena– appagata di lui.
Ma le parole che mi uscirono furono diverse, diverse dal semplice saluto che avrei voluto pronunciare.
<<Dov'eri?>> buttai fuori in un refolo di fiato.
Le sue sopracciglia si incunearono in un'espressione incuriosita, divertita; un sorrisetto abbozzato sulle labbra carnose.
<<Già qui.>>
E fece un passo avanti.
<<Già qui?>> gli feci eco.
Lui annuì, sforzandosi di non allargare ancor di più il suo sorriso.
Un altro passo avanti.
<<Sì, Millie. Ti ho vista entrare.>> mi spiegò tranquillo; le mani ancora nelle tasche dei jeans.
<<Ma io non ho visto te.>> risposi, i tendini in tensione. E lui continuava, si avvicinava piano a me, movimenti studiati, passi perfetti.
<<Lo so.>> fu lo schiocco di lingua, l'espressione adesso divertita.
La stessa espressione sul suo viso che dipinse sul mio uno sguardo confuso.
<<Ti stai prendendo gioco di me, vero? Stai... giocando per caso?>> lo sfidai, cercando di trattenere un sorriso.
E lui si avvicinò ancora, adesso il suo corpo a un palmo dal mio; così vicino che riuscivo a percepirne il calore di carne e muscoli, mi scaldava, trapelava dal leggero tessuto dei suoi vestiti.
E lo sentii, l'impulso di fare un passo indietro, per non farmi soggiogare da quei lineamenti avvenenti, quegli occhi curiosi, quasi divertiti.
Lo sentii, eppure rimasi coi piedi ben piantati in terra, come fossi un'estensione di quel pavimento, come avessi fatto radici.
<<Forse.>> fu il soffio divertito; il volto ormai troppo vicino piegato su di me; le sue pupille che cadevano nelle mie.
<<Non avvicinarti così.>> ansimai, il petto che si abbassava e alzava ritmicamente.
<<Così come?>> e piegò il busto su di me.
<<Finn, Millie, ma cosa fate? Andiamo a provare il circuito! Sono tutti lì.>> fu la voce distratta di Noah che ci chiamò da un punto che il mio cervello non riuscì a decifrare.
Finn si raddrizzò in uno scatto; un'espressione rilassata sul viso, come se niente fosse successo.
So esattamente cosa stai cercando di fare, Finn.
Sapevo bene cosa voleva, chi voleva: in quella settimana passata me lo aveva dimostrato in tutti i modi, fatto capire senza mezzi termini: in ogni modo possibile. Dalla dolcezza, alla sfrontatezza, dal degnarmi di mille attenzioni al farmi arrabbiare, non degnandomi di mezza.
Lo avevo sentito sicuro accanto a me, forse come non lo era mai stato. Lo capivo da come si muoveva, come mi parlava, anche solo mi guardava.
Erano quegli occhi sinceri e veri a riempirmi il cuore, come se mi urlassero: "Voglio solo te. So che voglio solo te, adesso."
Era una certezza stringente, che trasudava da ogni suo gesto, da lui intorno a me.
<<Non vieni?>>
E mi accorsi che lui aveva già fatto qualche passo, avanti a me, mentre io ero rimasta ferma, tesa nei miei pensieri.
Scossi piano la testa, come a scrollarmeli via e lui sembrò accorgersene, perché fu uno sguardo attento quello che mi rivolse. Eppure non disse niente, in quel modo silenzioso e riservato che aveva lui di capire le cose, di capire me.
Semplicemente tornò indietro e mi sorprese in un gesto inaspettato, perché... mi prese la mano.
In silenzio, in un movimento dolce delle dita: le districò negli spazi delle mie.
Mi rivolse uno sguardo serio, occhi grandi nei miei. Mi guardò per attimi interminabili, in silenzio, con occhi attenti, coscienziosi.
<<Andiamo a rilassarci un po', forza.>> mi sorrise leggermente; un'occhiata consapevole prima di darmi le spalle e tirarmi con sé.
•••
E ci rilassammo.
Ci divertimmo, mi divertii perdendo l'equilibrio in giochi pressoché impossibili per il mio esile corpo, mentre cadevo in piscine di gomma da altezze discutibili, mentre vedevo Joe e Charlie fare gli stupidi e rischiare di rompersi più volte l'osso del collo o i ragazzi darsi continuamente la rivincita a bowling.
<<Non farmi video, stupida!>> mi minacciò Finn, mentre prendeva nuovamente la palla in mano e con aria concentrata si dirigeva a lanciarla sulla pista.
E risi forte, divertita da come ogni suo tentativo falliva miseramente; il telefono nascosto tra le mani, già pronto a fargli un video.
<<Millie, non ti azzardare.>> mi minacciò un'ultima volta.
<<D'accordo, d'accordo! Non te ne farò!>>
Ma fu quando lui si girò e mi diede le spalle, che alzai il telefono, immortalandolo nelle mie storie di Instagram.
Una risata mi scappò dalle labbra nel momento in cui lo vidi fallire miseramente, mentre la palla andava a finire nell'insenatura a lato della pista.
Staccai il video e risi, in quella leggerezza che aleggiava in quegli attimi spensierati.
<<Ma cosa ridi, sciocca?>> scosse piano la testa lui, avvicinandosi a me.
<<Vediamo se ti prendo, quanta voglia avrai ancora di ridere!>> mi minacciò, facendo un balzo verso di me.
E mi ritrassi per un pelo, iniziando a correre per allontanarmi da lui, pur sapendo che nel giro di qualche secondo mi avrebbe già presa.
<<Fermati, Millie Bobby Brown! Cancella subito quel video, so che l'hai fatto!>>
<<Mai!>> gridai nell'aria, continuando a correre.
Il fiato mi si impigliava in gola, mi affannava il petto, mentre correvo a zig zag tra la gente; eppure non passò troppo tempo, prima che sentii un braccio circondarmi la vita.
E non saremmo caduti, se io non avessi tentato fino all'ultimo di liberarmi. Non saremmo caduti se non mi fossi ribellata alla sua stretta; e Finn non dovette aspettarselo, perché questa volta lui non mi prese, come faceva sempre– no, questa volta lui cadde insieme a me.
E scivolai questa volta, dritta sul pavimento, sentii un tonfo sordo dato dalla mia schiena che batteva forte; una mano dietro la mia testa.
Realizzai dopo qualche secondo che era la sua: l'aveva messa lì in una frazione di secondo durante la caduta, per evitare che la sbattessi.
Sentii il fiato mancarmi per un attimo; un peso che mi arrivò addosso, schiacciandomi il petto e lasciando che buttassi fuori la poca aria rimasta nei polmoni, compressa via da quel corpo improvvisamente caduto sul mio.
E me lo ritrovai lì, il volto a un palmo dal mio: lui che interamente si ergeva su di me.
I suoi ricci che mi accarezzavano piano le tempie, ricadevano sul mio viso; il suo fiato caldo che mi inumidiva il viso. Sul suo volto ancora un'espressione sorpresa dalla caduta.
Le mie pupille annegarono nelle sue, si dispersero in quel nero in cui solo io sapevo davvero nuotare.
<<Non mi hai presa...>> esalai in un soffio, ancora il fiato impigliato in gola.
Lui abbozzò un sorriso, così vicino che se mi fossi sporta solo un po' avrei potuto...
Avrei potuto...
<<No.>> rispose semplicemente.
<<No, ma almeno siamo caduti insieme.>>
E sentii la gola secca, le guance pizzicare.
Ci fu qualcosa, in quelle parole, che raschiò forte contro il mio cervello, stridette su ogni pensiero– lama sottile su intagli di filigrana, li modellò in una consapevolezza logica.
Caduti insieme.
Siamo caduti insieme.
Qualcosa si sbloccò, senti il click, una serratura scattare tra i pensieri di quel frangente; mi pervase una sensazione di torpore, calda sicurezza che mi scaldò gli organi.
Si raggomitolo lì, proprio alla bocca dello stomaco, la percepii sedimentarsi con impeccabile sicurezza.
Lì, con quel corpo ancora sopra di me, quel sorriso a bagnarmi gli occhi.
Per terra, su un pavimento qualunque, in un posto qualunque, in un giorno qualunque, vissi quel frangente di vita che mi stravolse la logicità di ogni stralcio di realtà.
Lì, lo sentii forte e chiaro, il mio cuore battere.
Fu un colpo secco, forte più del rullo di un tamburo.
Lì, lo sentii forte e chiaro.
Spazio autrice
Perché è questo, sapersi afferrare anche quando si ha la certezza di cadere.
È dire: aspetta, se non posso prenderti cado con te, magari attutiamo insieme.
A presto.
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