Chapter thirty-eight: Colonna sonora

Consiglio: Umbrella (Acoustic Version) — The Mayries.
Attenzione: per chi volesse ascoltarla non è Rihanna, è una versione molto più dolce e lenta, perfetta per questo capitolo, a cui io sono molto affezionata. Ve la lascio qui sopra.


When the sun shines, we'll shine together
Told you I'll be here forever
That I'll always be your friend
Took an oath I'm a stick it out 'till the end
Now that it's raining more than ever
Know that we'll still have each other
You can stand under my umbrella

P.O.V. Millie

Mettevo un passo davanti all'altro con estrema precisione, come se ogni metro che compiessi ne valesse della mia vita.

E forse, quel giorno, era inevitabilmente un po' così. Forse quel giorno di un po' della mia vita valeva ogni passo che facevo: ne sentivo quasi il rumore, ne percepivo l'odore.

Avete presente, quando voltate l'ultima pagina di un libro e sapete che quelle che andrete a leggere saranno le ultime parole, l'epilogo di una storia che vi ha tenuti incagliati tra le parole incalzanti e i refoli di sorpresa?
E allora voi sapete che quella che andrete a leggere è l'ultima pagina, e la girate lentamente: vi prendete tutto il tempo, per assaporarla piano. Per imprimerla meglio nella mente.

Era esattamente quello che stavo facendo anch'io in quel momento, mentre camminavo piano per il desiderio di non voler arrivare mai, per il desiderio di arrivare in ritardo, per una volta, per davvero quel giorno.

Era quello che stavo facendo io, girando l'ultima pagina del copione.

I miei occhi si persero nel dedalo di parole che già conoscevo, in quell'ultima scena che già sapevo a memoria, ma che rileggevo facendo finta che non fosse così.

E la rileggevo, ancora e ancora, come fosse la
prima volta che ci posassi sopra gli occhi, come a volermi illudere di scoprirla adesso per la prima volta, e che ancora dovesse passare tanto tempo, prima di poter dar voce a quelle parole che risaltavano sul bianco del foglio.

Ma non era così, no: era sul set che stavo andando, quella mattina.
Sul set, a girare la mia ultima scena.

Sul set, in quella mattina che sembrava come le altre, ma la cui aria mi lasciava un sapore aspro in gola, diverso.

Come a volermi ricordare anche lei le lacrime che quel giorno avrei versato, quel cerotto che avrei sentito strappare via, come ogni volta, come ad ogni addio.

E sapevo che gli addii con lui, con loro, avevano più il tono di un arrivederci. Di "ci vediamo presto", ma era quel presto che spesso tardava ad arrivare, per tanto, troppo tempo.

Allora un po' ci si perdeva inevitabilmente, così poco e così piano, come in una sfumatura di un colore troppo chiaro, che a stento te ne accorgevi. E anche se poi bastava vedersi una volta, telefonarsi una volta, per far disperdere ogni distanza come polvere nel vento, era la consapevolezza stringente di quella lontananza a spiegazzarti il cuore...

<<Pronta per l'ultimo giorno?>>

Alzai gli occhi dal copione, per perderli in quelli di un David sorridente.

Ricambiai con un sorriso a fior di labbra, incapace di nascondere la mia amarezza.

<<Sono preoccupata.>> fu un sussurro che lasciai disperdere nell'aria frizzante di quella mattina; gli occhi bassi dall'imbarazzo di quella piccola confessione.

<<Tieni.>> fu il bicchiere di cartone che mi porse in un sorriso mielato.

Incrociai il suo sguardo con un'espressione interrogativa.

<<Non ti drogo, Millie, tranquilla.>> buttò fuori in una risata.

E scossi la testa a quella battuta così stupida, alzai gli occhi al cielo, mentre il cuore mi si scaldava, consapevole che certe cose non sarebbero mai cambiate, neanche tra un milione di anni.

<<È caffè.>> fece spallucce David, ancora un sorriso sornione sul viso luminoso; il bicchiere a mezz'aria tra di noi.

Finalmente lo afferrai, attenta che non bruciasse troppo.

<<Grazie...>> dissi, quasi in un sussurro.

Lo portai alle labbra un attimo in ritardo, mentre già il mio cervello mi rimproverava della mia poca cortezza.

<<Oh, ma David era... era per te? Scusami davvero, ho accettato senza pensarci e– >>

Ma lui mi interruppe in una risata leggera, mentre un leggero rossore gli scaldava le guance.

David che... arrossiva?
No, no, impossibile.

<<Veramente io l'ho già bevuto stamattina.>>

Un'espressione curiosa mi si dipinse sul viso: <<Ma allora per chi...>>

Ma lasciai la frase a metà, ne feci ricadere in gola le parole, le inghiottii nella consapevolezza che mi saettò tra i pensieri.

<<Oh.>> esclamai, rivolgendogli uno sguardo di sottecchi.

<<Niente commenti Millie Bobby Brown.>> mi ammonì lui, non riuscendo comunque a trattenere un piccolo sorriso all'angolo della bocca.

E avrei voluto dirglielo.
Avrei voluto dirgli: "Ti vedo sorridere, David! Ti vedo sorridere e te lo meriti."
Eppure stetti in silenzio, tenni per me quel pensiero, seppur dolce, seppur vero. Lo custodii nel cuore, tra la stima e l'affetto che provavo per quell'uomo, gli feci uno spazio silenzioso.
Perché proprio quell'anno, avevo imparato che c'erano cose a cui non importava d'esser pronunciate. C'erano cose a cui bastava restar lì, tra i solchi del muscolo più dolce.

Eppure sorprendendomi fu lui che parlò, fu lui che si voltò verso di me e con occhi curiosi mi chiese: <<Tu... lo avevi capito?>>

E ricambiai quello sguardo dai toni caldi, sfumature curiose a disegnargli i lineamenti del viso.

<<Io... no, no, non lo avevo capito, ma...>> mi bloccai, sperando di non osare troppo.

<<Ma?>> mi incalzò lui, la fronte aggrottata nell'attesa di sentire il resto.

<<Ma... beh...>> tentai, cercando di trovare le parole giuste.
<<Io lo avevo... intuito, diciamo. Sai, quando ci siamo incontrati ad aprile per le letture del copione, era stata solo una... sensazione.>> arricciai il naso, lievemente divertita al ricordo.

<<Eravamo soltanto all'inizio in quel periodo, ci stavamo conoscendo, mentre adesso...>>

Trattenni tra le labbra l'impulso di invitarlo a continuare.

<<Adesso Winona mi piace davvero.>> confessò tutto d'un fiato.

E sorrisi, gli sorrisi, sinceramente felice per lui, per loro.

La dimostrazione che l'amore non ha età, non ha regole di gioco, non ha carte da rischiare, da conservare, carte che valgono più di altre.
L'amore non ha spazio, non ha tempo; può nascere dovunque, dove non lo aspetti, dove non lo cerchi, dove non pensi possa crescere. Può appassire per rifiorire più bello, oppure può sbocciare quando già ti sembrava troppo tardi... quando pensavi che il bulbo mai avrebbe fiorito.
Ma ci vuole tempo, ci vuole pazienza, ci vuole coraggio, per amare.

E sorrideva la parte più vera di me, nel sapere che un caro amico come David avesse appena scoperto, o riscoperto, un tesoro che a volte si pensa di aver perso, di cui si crede troppo spesso di aver smarrito la mappa, di cui si dimenticano le coordinate.

<<Sembra passato poco tempo, eh?>> mi strappò lui ai miei pensieri, mentre il silenzio dei nostri passi ci inghiottiva in quella calma cheta, nell'aria leggera di quella mattina– e camminavo, camminavo piano, ritardavo ogni secondo, lo stiravo nelle logiche del tempo.

<<Mhh?>> gli rivolsi un'occhiata interdetta.

<<Da quando abbiamo cominciato, dal primo giorno, ricordi?>>

<<Sembra ieri...>> sospirai.
E sembrava ieri davvero. Ieri che Finn mi avesse consolato fuori le porte del locale perché avevo litigato con Jacob, ieri che inginocchiato a me, mi aveva pulito il viso, levando via il trucco bagnato dalle lacrime. Ieri che avesse sopportato i miei silenzi, le parole non dette. Sembrava ieri che mi avesse baciata per la prima volta nel nostro trailer, che si fosse poi scusato nel bagno di casa di Caleb, con me in asciugamano. Ieri che lo avessimo fatto, che mi avesse amata, poi odiata, poi perdonato, prima schivato, poi avvicinata.

Mi colpì dritto al petto, il tempo che era passato.

E mi sorpresi, di come ogni ricordo fosse corso a lui, attirato dalla residenza fissa che lui aveva nei miei pensieri. Mi sorpreso come ogni istante del mio tempo si modellasse a lui, lo avesse come punto di riferimento, sempre. Come fosse lui, il secondo netto a scandire la mia vita, attimo dopo attimo.

E un pensiero, uno solo, si perse nella mia mente, punzecchiandomi con l'idea che forse è così, quando tieni a qualcuno in modo inspiegabile e quando la paura di perderlo è sempre dietro l'angolo...

<<Ehi, tutto bene?>> fu lo schiocco di dita davanti ai miei occhi.

Sbattei le palpebre più volte, cercando di orientarmi, di rifocalizzare gli occhi sulla realtà, strappandoli via dal retro dei miei pensieri più contorti.

E ci misero un po', a uscir fuori da quel groviglio di confusione, per incontrare poi, due occhi che la confusione di un attimo prima me la fecero rimpiangere; perché fu smarrimento, perdersi nel nero di iridi che in realtà brillavano.

<<Tutto bene?>> ripeté di nuovo Finn, un espressione tra confusione e curiosità dipinta sul volto.

Distolsi gli occhi da lui, cercando disperatamente di concentrarmi, di cacciar via la sorpresa di averlo lì, davanti a me.

<<Sì io... mi sono solo persa tra i pensieri e, beh, non mi ero accorta di essere arrivata.>>  spiegai, guardandomi intorno e realizzando che ero arrivata sul set, di fronte le porte dello Starcout Mall.

E che fine aveva fatto David?
Sperai di non esser apparsa una svitata anche a lui, forse nell'inconscio dei pensieri lo avevo salutato, quando si era allontanato...

<<Pensierosa, quindi?>>

I miei occhi scattarono su di lui, in un guizzo di palpebre e le mie iridi si fissarono nelle sue; il mio sguardo lo investii in pieno, lì, di fronte a me. E fu un attimo che percepii– qualcosa di arreso che mi restituì nel modo in cui i suoi occhi si appesero ai miei, mentre un sospiro gli sfuggiva dalle labbra.

Realizzai, nel silenzio rumoroso che incatenava i nostri occhi, che mi era mancato: che in realtà lui mi mancava, sempre.

Era una nota costante di un pentagramma infinito, le cui canzoni che si creavano avrebbero avuto sempre la stessa melodia, la sua.
Il collante di suoni e pensieri che teneva insieme la mia vita, che ne componeva la colonna sonora.

<<Quanto basta...>> mi strinsi nelle spalle.

E gli mentii, perché no. Non ero pensierosa quanto basta: la mia mente era un turbinio di pensieri, così fastidiosi da aver la percezione di sentirli quasi sbattere– sfarfallio contro la pelle.

E lui sembrò capirlo, come faceva sempre, eppure non ribatté, semplicemente si strinse nelle spalle anche lui.
<<Vedrai che andrà bene.>> mi rassicurò in un sorriso.

Rimasi sospesa a quelle parole, non sapendo come interpretarle. E avrei voluto chiedere, quasi con irruenza, precisamente cosa sarebbe dovuto andare bene?

Le riprese?
Noi?
La vita?
E come doveva essere questa vita: con lui, senza di lui?

E non parlai, ma non potei non alzare gli occhi al cielo alla frustrazione di quei pensieri; fu un movimento impercettibile, eppure non gli sfuggì.

Fece un passo verso di me, avvicinandosi piano:<<Dimmi a cosa stai pensando.>>

Ma a sorprendermi non fu la sua improvvisa vicinanza, non furono quegli occhi che mi incatenarono senza esitazione, e non furono nemmeno le sue dita che sentii sfiorarmi il palmo nudo della mano, no.
A sorprendermi fu il tono, bisognoso stringente, urgente, quasi un lamento sussurrato a stento.

E questa volta, con il viso a un palmo dal suo, mi ritrovai ad alzare gli occhi di nuovo.
Per trattenere le lacrime.

Questa volta li tenni così, verso il cielo, mentre li sentivo inumidirsi; le labbra strette tra i denti.

Fu in quel momento che sentii il palmo riempirsi. Le sue dita si incastrarono perfettamente negli spazi delle mie.

<<Ho paura, Finn.>>

Lo dissi, lo dissi finalmente ad alta voce, così che lui poté sentirlo. Lo dissi piano, così adagio che non mi sarei sorpresa se lui non mi avesse sentito. Eppure, fu la sua presa che sentii diventare ancora più stretta, fu la sua mano che strinse forte la mia.

Ho paura di rovinare ogni cosa, paura che tutto possa sgretolarsi, perché siamo bravi a buttar giù i muri che ci dividono, ma sappiamo anche come costruirli.
Io, dal canto mio, sapevo farlo bene: mettevo i mattoni uno ad uno, con estrema precisione, meticolosa  cura, attenta che nessuno potesse scalfirli via.

Ma Finn... Finn era come la luce che entrava dalle crepe. Ed era quel calore che mi scaldava il cuore, quello che solo lui sapeva irradiare.

<<Lo so.>> fu la risposta strozzata.

E fu quella voce, che mi fece abbassare gli occhi su di lui.

Occhi sgranati si aprirono nei miei, ancora lucidi.

<<Millie, io– >>

<<Ragazzi, che cazzo, vi muovete a entrare?! Mancate solo voi!>> fu la voce arrabbiata di Shawn che interruppe Finn.

Lui strinse le palpebre, voltandosi verso Shawn, qualche metro più avanti a noi, davanti le porte dello Starcout.

<<Adesso arriviamo!>> fu la sua risposta secca, ancor di più però lo fu quella di Shawn.

<<Adesso significa adesso!>> esclamò, prima di rientrare velocemente dentro.

Sentii Finn sospirare di fronte a me, mentre piano faceva scivolare la mano via dalla mia.

<<Andiamo.>> e fece per muovere un passo avanti.

<<No.>> schioccai con aria sicura, mentre con una mano lo afferravo per il gomito, facendolo fermare.

<<Che stavi dicendo?>> lo incoraggiai a continuare, ma lui scosse i ricci neri; un sorriso tirato sul viso.

<<Ne parliamo poi, d'accordo?>>

Non era la risposta che volevo sentire, ma sapevo che non avrei ottenuto nulla in quel momento, così mi limitai a scrollare le spalle, ma non prima di rivolgergli un'ultima occhiata decisa: "Sì, ma lo ricordo: ne parliamo."

Lui annuì, come se mi avesse letto nel pensiero.

<<So già che piangerò.>> sospirai, mentre velocemente anche noi entravamo ufficialmente sul set.

<<Lo so, piangi sempre, a ogni fine.>> abbozzò un sorriso il ragazzo accanto a me, scuotendo piano la testa a quei ricordi.

Annuii imbarazzata.

<<Ma poi ci sei sempre tu, a ogni fine.>>  fu l'occhiata imbarazzata che gli rivolsi.

E non mi curai di concludere la frase, perché lui già sapeva.

Ci sei sempre tu, a ogni fine, ad asciugarmele via.

•••

<<E... STOP!>>

Rimasi cristallizzata, ferma come se rischiassi di rompermi al più piccolo movimento, neanche fossi fatta di vetro.

Ci volle meno di un secondo, perché gli occhi mi si appannassero.

<<Complimenti a tutti ragazzi! Abbiamo... abbiamo finito!>> fu la voce emozionata di Ross.

E boato di applausi, scoppiarono come fuochi d'artificio intorno a noi, esplosero in un mare di schiamazzi, urla, grida di gioia, di tristezza.

Esplosero così, nel silenzio di un attimo prima: i cameramen ancora con le attrezzature tra le mani, Ross e Matt ancora con i copioni tra le mani, tutti noi ancora fermi, immobili, con la paura di infrangere quella magia se ci fossimo mossi di un passo.

Eppure furono delle braccia sentii avvolgermi, calde, confortevoli, mi accolsero da dietro; ciocche rosse si dispersero sulle mie spalle.

Mi voltai in uno scatto, sapendo già che avrei trovato. Senza guardarla in viso, gettai il viso nell'incavo del suo collo, ricambiai l'abbraccio della mia migliore amica. E finalmente, piansi.

Piansi davvero, in silenzio, dispersa in quelle braccia, tra la confusione che si disperde a macchia d'olio su quel set.

Piansi lacrime che si persero sul tessuto della giacca di Sadie, le bagnarono del tutto. Eppure lei non disse niente, semplicemente mi strinse a sé.

Poi le sentii.

Altre braccia a circondarmi. Prima da un lato. Poi anche dall'altro. Percepii pesi sulla schiena, ancora e ancora di più.

<<Ci siamo anche noi, stronzette.>> fu il risolino di Noah che mi riempii le orecchie; e seppi di averlo alle mie spalle– no, di averli tutti alle spalle.

Gaten, Noah e Finn ci avevano circondate, ci avevano avvolte nelle loro braccia, come a formare una corazza di protezione; ed io e Sadie eravamo al centro di quell'abbraccio, strette forte, i volti nascosti l'una nelle spalle dell'altra.

E a sentirli tutti lì, stretti a me, sorrisi forte, assaporando ogni lacrima, accogliendola sulle labbra come pegno di tristezza, e anche di gioia.

<<Vi voglio bene, ragazzi.>> sussurrai con voce sfibrata, debole.

Ma loro mi sentirono, si strinsero a me, mi risposero all'unisono; e furono delle dita che sentii tra i miei capelli, lasciarmi una leggera carezza, perdendosi per un secondo tra le ciocche.

E non ebbi bisogno di alzare lo sguardo, per sapere chi era stato.

<<Cos'è vi abbracciate tutti senza di noi?>> fu la voce che sentii non poco distante da me.

<<Joe non addosso! Non– >> sentii gridare Gaten, che però non finì mai la frase.

Sentii mani più grandi sopra la mia testa, risate divertite che mi fecero alzare la testa nella curiosità; e lì, trovai Joe e David, a stritolarci come sardine.

<<Vi uccido!>>

<<Lasciateci subito!>>

<<Ehi, non... non respiro ragazzi! Dio che idioti che siete!>>

E se non avessi avuto la gabbia toracica talmente schiacciata, avrei avuto la forza di ridere, ancora stretta alla mia migliore amica, che intanto riempiva di insulti Joe che, probabilmente, le stava tirando i capelli proprio in quel momento.

<<Che state facendo senza di noi? Ehi!>> fu il rimprovero divertito di Charlie, accompagnato dalla risata di Natalia.

Sadie mi guardò negli occhi: <<Non ho intenzione di morire schiacciata. Siamo al centro: al mio tre spingiamo all'esterno,
okay?>>

Annuii trattenendo una risata: come pensava che ce l'avremmo fatta?

<<Okay, Millie. Uno...>>

<<Due...>> continuai.

<<Tre!>> gridammo insieme, prima di spingerci forte contemporaneamente, sbattendo contro le schiene dietro di noi.

Eppure bastò per far sì che queste sobbalzassero, sbattendo con quelle dietro. Così gli spazi tra noi si allargarono, giusto il tempo per poter muovere le braccia e spingere via chiunque fosse addosso a noi.

<<Cos'è? Passate dagli abbracci alle botte?>>

<<Sta zitto Joe e... ma levati di dosso!>>

Passò oltre un minuto, eppure tutti riuscimmo a districarci, tra braccia e capelli, ci liberammo, ritrovandoci quasi in una sorta di cerchio, uno accanto all'altro.

<<E anche per quest'anno...>> sospirò Gaten, accanto a me.

<<Abbiamo finito.>> sussurrai, cercando di asciugare via le lacrime che però continuavano insistentemente a scendere, fregandomene delle mie dita pronte a cacciarle via.

David si avvicinò a me, abbracciandomi piano.
<<Non piangere Millie... ci vedremo comunque! Tutti quanti!>>

<<Lo s-so. Ma non... non è la stessa co-cosa.>> singhiozzai tra le sue braccia, e lo sentii ridere un po'.

<<Beh, allora pensa che... il tempo passa in fretta. Ci rivedremo tutti presto e... l'anno prossimo ricominceremo!>> mi consolò lui, accarezzandomi piano la testa.

E sentii voci disperdersi intorno a me, tra i ragazzi che si abbracciavano, parlavano emozionati tra di loro. E già udivo sfumature di nuovi progetti, nuovi impegni che si districavano tra "Ma che fai domani amico?", "Adesso quando ci vediamo?", "Questo weekend sei libero?" e... "Vado in tour."

Mi pietrificai lì, ferma immobile.

E non me ne accorsi, quando David si allontanò da me, sciogliendosi dall'abbraccio. Non lo sentii il vento accarezzarmi la pelle, segno che nessuno ci fosse più davanti a me.
Non percepii più parole e risate; i sorrisi e le lacrime degli altri mi si sfocarono davanti.

Accettai abbracci senza capire, ricambiai meccanicamente i sorrisi e le parole, senza sentire davvero, mentre i miei amici ancora erano lì, lì proprio davanti a me.

A risvegliarmi da quella trance fu un contatto inaspettato; pelle che sentii sul viso, un tocco leggero.

Abbassai le palpebre, sforzandomi di mettere a fuoco la mano che avevo sul viso: polpastrelli delicati che raccoglievano le mie lacrime, una ad una.

Alzai gli occhi di scatto, per incontrare i suoi.

<<Che cosa... cosa fai?>> lo guardai con occhi sgranati, persa nel suo sorriso leggero, così naturale, così sereno.

<<Quello che faccio sempre da tre anni a questa parte.>>

<<No, no.>> scossi la testa, lasciando che le ciocche gli sfiorassero le dita, il dorso della mano.

<<Non intendo questo...>>

Fu un'espressione incuriosita quella che ricevetti, un sorriso abbozzato su uno sguardo interrogativo.

<<Intendo tu... tu parti?>> lo guardai assorta, come se della sua risposta ne valessero tutte le mie, di risposte.

<<Sì, sì, me ne starò in giro... per un po'.>> e continuò a sorridere, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Ma si accorse della mia espressione  concentrata, così assorta, mentre io, io cercavo risposte che non arrivavano, segni che non c'erano, e mi perdevo... mi dimenavo nel vuoto della confusione, aggrappando il nulla.

<<Cosa c'è? Sei così... pensierosa... da tutta la mattina. Possiamo... vuoi parlarne?>> fu il sussurro a fior di labbra, mentre piano si sporgeva verso di me.

Mi ritrovai ad annuire ancor prima che potessi accorgermene.

<<Ok.>> annuì anche lui in risposta, mentre fece per prendermi la mano.
<<Andiamo.>>

Ma le sue dita non strinsero mai le mie, non in quel momento.

<<Ragazzi entrate dentro! Facciamo qualche foto, io e Ross dobbiamo parlarvi delle ultime cose.>> ci richiamò Matt; la sua testa che faceva capolino dalle porte dello Starcout.

Finn trattenne uno sbruffo; me ne accorsi, lo vidi dal modo flemmatico in cui strinse le labbra tra i denti.

Trattenni un risolino, mentre istintivamente gli posi una mano sul braccio; a quel contatto lui si voltò verso di me.

<<Poi.>> ci dicemmo all'unisono, ridendo entrambi per quella coincidenza.

Eppure mi si oscurarono gli occhi, mi si adombrò il viso, nel farmi scappare una frase che avrei dovuto tenere per me e i miei pensieri, ma che premeva così tanto per esser sputata fuori.

<<Non sembra mai tempo per noi...>>

Lui si voltò sorpreso verso di me, le labbra schiuse e la fronte aggrottata, forse persa nel pensiero contorto che avevo appena pronunciato.

Aprì la bocca, fece per rispondermi, ma ancora una volta sentii quelle parole essere vere, mentre una voce lo interrompeva, proprio mentre stava per parlare.

<<Chi vuole giocare nello Starcout? Ho visto uno scivolo prima!>>

<<Non c'è nessuno scivolo dentro, Noah!>> fu la risposta scettica della mia migliore amica, che sentii accanto a me.

Chissà se aveva ascoltato tutto...

<<Venite con me.>> sorrise Noah, mentre per primo si avviava all'entrata dello Starcout.

Così rientrammo tutti, passando quasi due ore lì dentro, a giocare, parlare, scattare qualche ultima foto... ed era bello, era bello anche semplicemente starcene seduti vicini a raccontare qualcosa, a raccontarci, con la consapevolezza che sarebbe passato un po' di tempo, per avere l'occasione di rifarlo.

E allora mi rimbalzò in testa il paradosso di come l'ultimo giorno di riprese potesse essere così simile al primo: stessa emozione, stessa trepidazione, stessi abbracci. Stessa voglia di continuare, di vedersi ancora. Stessi sorrisi e aspettative. Stessa voglia di non andare più via, quel giorno.

Il tempo passò così, tra addii e arrivederci che ricordavano i buongiorno di ogni mattina, i caffè offerti nelle giornate più pesanti, tra sguardi d'intesa, a volte carichi di voglia di fare, altre volte solo stanchi.
Ricordavano le chiacchierate tra una ripresa e un'altra, i giorni in cui ci ritrovavamo sul set anche senza dover girare nulla, solo per far compagnia a chi era di lavoro, quel giorno.

Ed era bello, come i colleghi diventavano amici di cui non potevi più fare a meno, chi solo di passaggio, chi compagno di vita.

<<Sto uscendo. Seguimi tra cinque minuti, ci vediamo al trailer.>> fu il sussurro che sentii scaldarmi l'orecchio.

Mi irrigidii a quel suono così lento e mimato a fior di labbra; un attimo dopo vidi Finn superarmi, dirigersi verso l'uscita del set per scomparire dalla mia vista pochi secondi dopo.

Mi dondolai sui talloni per quelli che dovettero essere meno di due minuti, prima di arrendermi alla voglia di raggiungerlo e iniziare a camminare ancor prima di esserne consapevole.

Per mia fortuna, nessuno sembrò notarmi, o se qualcuno lo fece, ebbe il buon senso di non fermarmi.

Mi accorsi di camminare velocemente, a un passo sostenuto, verso la mia roulotte. Avevo perso la cognizione del tempo quel giorno, ma dedussi che dovesse essere pomeriggio inoltrato, dato il sole già più leggero sulla pelle, rispetto a qualche ora prima.

Mettevo un passo davanti all'altro, reprimendo l'impulso di mettermi a correre, comunque non passò molto prima che spalancassi la porta della roulotte.

Un volto stupito fu la prima cosa che incontrai: <<Non ti avevo detto cinque minuti?>>

Mi strinsi nelle spalle con aria colpevole: <<Ops.>>

Finn spinse fuori una risata, mentre piano si avvicinava a me. E mi aspettavo si fermasse a un certo punto, ma lui no, continuava a camminare.

Un passo.

Poi un altro ancora.

Adesso a un palmo da me: il tessuto della sua maglietta a pungere la mia camicia leggera; poi, con lentezza estenuante, alzò un braccio.

Ma cosa...

Proprio nell'istante in cui pensai che su di me avrebbe posato quella mano lui... andò oltre. Tese il braccio, spingendo la porta ancora aperta alle mie spalle: ne afferrò l'anta, cacciandola indietro.

Fu la chiusura secca della serratura che sentii alle mie spalle.
E fu quel rumore che mi fece deglutire, fu lui così vicino; inghiottii il niente, mentre con occhi sbarrati lo catturavo in ogni suo movimento.

<<Scusa...>> fu la voce vellutata, le palpebre che piano si abbassarono su di me; due iridi nere, calde, mi accolsero nella mia irrequietezza.

<<Dovevo solo... chiudere la porta.>>

Annuii, forse con troppa enfasi: <<Non... non preoccuparti.>>

Lui si allontanò da me, dandomi le spalle e mettendo distanza tra di noi, ed io mi ritrovai ad alzare il braccio, per volerlo trattenere, per volerlo tenere lì, vicino a me.
Lo riabbassai subito, prima di sfiorare il contorno delle sue spalle; strinsi le palpebre nella speranza di concentrarmi.

No, nessuna distrazione.

<<Millie?>>

Aprii gli occhi a quel richiamo, non potendo fare a meno di quanto il mio nome non stonasse di una virgola, sulle sue labbra.
E mi accorsi di averlo tenuti chiusi per più tempo del dovuto, perché adesso era uno sguardo confuso quello che Finn mi rivolgeva, dall'altro lato della stanza.

Era appoggiato contro la piccola mensola a muro della roulotte, proprio di fronte a me. Le gambe incrociate in una posizione rilassata, le braccia morbide lungo i fianchi; le mani che scomparivano nelle tasche dei jeans.

<Scusa...>> farfugliai, cercando di apparire meno stramba di quanto già non fossi.

<<Allora, mi dici cos'hai da tutto il giorno? Sembri... su un altro pianeta.>> fu il sorriso leggero, ma un po' preoccupato, che mi rivolse.

<<Scusa...>> ripetei, scuotendo piano la testa, abbassando il viso dall'imbarazzo.

<<No, no, ehi.>> furono le sillabe che pronunciò, avvicinandosi di nuovo a me, prendendomi il viso tra le mani.

Fu la sicurezza che mi istallarono quelle dita leggere– carezze come ali di farfalla sul mio viso – a farmi alzare gli occhi su di lui.

<<Basta scusarsi, okay?>> mi rassicurò, l'abbozzo di un sorriso.

<<Okay, okay.>>

<<Okay.>> mi fece eco lui.
<<Quindi?>>

<<Finn è... è più semplice di quanto sembri.>> diedi voce ai miei pensieri, agli stessi pensieri che da settimane ormai mi tormentavano. Da quando lui si era riavvicinato a me, da quando mi aveva fatto capire di volere me, da quando tutto il dolore si era dissipato, tra di noi.

Lui mi rivolse un'occhiata interdetta, il mezzo sorriso ancora lì, sulle labbra: <<Scusami non... non penso di seguirti.>>

<<Cosa è... semplice?>> mi chiese lui, cercando di farmi parlare, di far scivolare con più facilità le parole che sentivo aggrovigliate nel palato.

<<Ciò che provo per te.>> buttai fuori in un refolo di fiato.

<<È snervante vedere quanto sia semplice, quasi... fastidioso. È così semplice volerti, desiderarti ogni giorno. È così semplice tenere a te, come fosse un riflesso involontario di ogni mio giorno. Facile mi viene amarti, come sbattere le palpebre.>> dissi velocemente, in balia dei pensieri che finalmente venivano fuori.

<<Millie– >> sentii le sue mani stringersi di più sul mio viso.

<<No. No, fammi finire, per favore.>> lo bloccai, non accorgendomi delle lacrime che già scendevano dalle mia guance.

<<È semplice, volerti stare vicino, quando sei nei paraggi. Mi modello a te: tu ti muovi, io mi muovo. Tu mi guardi ed io ti guardo. E non lo posso controllare, per quanto ci provi, per quanto forte senta il bisogno di ignorarti, a volte... Io... non riesco.>>

Presi fiato, poi continuai. Mi decisi ad alzare gli occhi su di lui, incatenai le sue pupille alle mie.

<<E quindi mi sono chiesta, in questi giorni... come sarebbe stare con te. "Semplice" mi sono risposta. Semplice come respirare, è stata la risposta definitiva. Ma poi...>>

Vidi il suo sorriso tremare per un secondo; le palpebre si strinsero su di me, le sentii mettermi a fuoco in ogni lineamento.

<<Continua.>> fu la voce decisa, ma rotta, che mi fece capire quanto gli stesse costando quell'attimo di vita, lì, in bilico, davanti a me.

<<Noi siamo... così diversi.>> gli confessai, portando una mano sulla sua, ancora sul mio
viso.

<<Noi ci abbiamo provato, Finn. E vedi com'è finita? Per poco non ci rivolgevamo più la parola... siamo stati distanti, non ci siamo capiti, noi non... non sappiamo come tenerci.
Una delle cose che ho capito stando con te è... proprio questa... Che non basta, non basta essere innamorati, bisogna sapersi tenere, e non è facile, io non so come fare, io non–>>

<<Millie! Ehi, ehi, devi calmarti, okay? Sono qui, ti ascolto, ma devi calmarti.>> mi accarezzò il viso, un'espressione indecifrabile sul volto, quasi come fosse... preoccupazione?

E mi accorsi solo in quel momento di star tremando, mentre singhiozzi smussati mi facevano tremare le labbra; le mani di Finn bagnati dalle mie lacrime.

Strinsi forte gli occhi, cercando di riprendere il controllo. Strinsi forte entrambe le mani sui suoi polsi, tentando di respirare in modo più regolare, piano, come mi aveva insegnato a fare  lui.

<<Brava, respira.>> lo sentii sussurrare piano.
<<Prenditi tutto il tempo, sono qui, non me ne vado.>>

<<È che... parlo veloce perché non voglio... non voglio che ti arrabbi con me. Io voglio poterti dire tutto senza che tu... Voglio che tu–>> cercai di spiegare tra i singhiozzi.

<<Non mi arrabbio, Millie. Sono qui, non mi muovo, ti ascolto. Promesso.>>

Annuii a quelle parole che mi confortarono giusto quanto basta per far sì che potessi continuare, che potessi buttar fuori tutto quello che per quei mesi mi ero tenuta dentro, che avevo covato tra i pensieri più fastidiosi.

Lui non se ne va. Non se ne va. Respira.

<<Quando siamo caduti insieme, ti ricordi?>> mi chiese piano lui, dal nulla, mentre io ancora cercavo di riprendere fiato.

Mi limitai ad annuire.

<<Ho capito che con te posso... posso permettermi di farlo. Di cadere, intendo.>>

Alzai gli occhi su di lui: <<Questa volta sono io che non ti seguo.>>

Lui strinse le palpebre, poi continuò: <<Lo so che siamo due ragazzini, d'accordo? So perfettamente che non è facile... che non sarebbe facile, ma io mi prendo il rischio di cadere, mi assumo la responsabilità di potere sbagliare se ci sei tu in gioco. So già che litigheremmo, che ci saranno volte in cui non ci capiremmo, che... che sarà difficile.
Ma dopotutto... per chi è facile? Siamo persone diverse per una ragione, e a volte è bene avere qualcuno accanto che non sia uguale a te: ti fa affrontare e vedere le cose da diverse angolazioni, altre prospettive a cui da solo non arriveresti, particolari che non coglieresti.>>

Lo fissai rapita, in quei secondi in cui parlò così spontaneamente, così di cuore; mi limitai a guardarlo rapita.

<<E tu sei tutto questo per me, proprio perché sei così diversa da me. Mi equilibri, mi bilanci, mi rendi più sicuro... e di certo mi alleni in quanto a pazienza.>> concluse con un sorriso divertito, che smorzò un po' l'ansia di quel momento.

Scoppiai a ridere tra le lacrime a quelle ultime parole: <<Oh sì, in quello sono una ottima allenatrice, lo ammetto.>>

<<Tutto questo per dirti che... che ho paura anche io, Mills.>>

<<Ma ho ancora più paura di perderti un giorno, che tu... che tu diventi di qualcun altro.>> sussurrò le ultime parole così piano che le sentii a stento, pur essendo a un palmo da lui.

<<E poi ho visto la faccia che hai fatto quando hai sentito che andavo in tour...>>

Mi ritrovai a scuotere forte la testa: <<No, non fraintendere, ti prego Finn! Io sono così contenta, così fiera di te...>>

<<Ma?>>

<<Ma quello mi ha ricordato quanto sarebbe distante la nostra relazione, capisci...? E sarebbe sempre così: trovare il tempo per stare insieme sarebbe difficile, vederci sarebbe difficile, in più metti in gioco... i nostri caratteri così diversi, Dio... sarebbe...>> mi bloccai, non trovando la parola adatta.

<<Un casino.>> rispose lui per me in una piccola risata.

Lo guardai dritto negli occhi, un punta di amarezza nella voce, quando dissi: <<Sì, un casino.>>

<<Tu pensi che dovremmo aspettare?>> mi chiese poi, di punto in bianco; la sua voce improvvisamente seria.

<<Pensi che dovremmo, non so... lasciarci come abbiamo sempre fatto? Far finta che tutto quello che sia successo quest'anno non sia... mai successo? Tu riesci, Millie?>>

E in quel momento sentii quella consapevolezza stringermi ancor di più lo stomaco, la stessa che avevo sentito l'ultima volta insieme a lui, la stessa che mi aveva tenuta a terra anche dopo che Finn si era sollevato da me, su quel pavimento, il giorno del Wrap Party.

E mi infastidì, perché mi punse in modo fastidioso, la sentii mangiucchiarmi gli orli dei pensieri.
Quella consapevolezza che era uno schiaffo in pieno viso, silenzio sordo contro i timpani.

E per un secondo mi chiesi se fosse giusto, se non fosse masochista, egoista, se non fosse sbagliato.

Mi chiesi se me ne sarei pentita, o se sarebbe stata la scelta giusta quella che avrei preso.

Poi, senza pensarci, mi sporsi verso di lui e... chiusi la mia bocca sulla sua.

Il mio bacio rimase lì. Non chiesi un permesso che sapevo mi avrebbe concesso, semplicemente assaporai il calore delle sue labbra; le premetti forte per un attimo interminabile– e occhi serrati, per imprimere quell'attimo.

Lui non si ritrasse, rimase fermo, immobile di fronte a me.

Quando mi staccai, il suo sguardo smarrito mi inchiodò lì, a quel pavimento.

Fece una domanda di cui finalmente conoscevo la risposta, pregando che fosse quella giusta, pregando che non avrebbe fatto troppo male, che non ci avrebbe fatto troppo male.

<<Cos'era questo? Un bacio d'addio o... era un ?>>

Spazio autrice

Ci vediamo nel prossimo capitolo, nonché... l'ultimo ❤️

E cos'era quel bacio, Millie? Che aspetti a darci una risposta? Che aspetti a dargli una risposta?

Forse vi strapperò un sorriso 🌸

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