Chapter thirty: Crawlin' back to you

Consiglio: Ho scritto sulle note di Do I wanna know? - Arctic Monkeys, gentilmente consigliata da _jamilakarim_ (grazie ancora!)
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I had no idea that you're in deep
I dreamt about you near me every night this week
How many secrets can you keep'
'Cause there's this tune I found that makes me think of you somehow
When I play it on repeat
Until I fall asleep
Spilling drinks on my settee
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Due settimane dopo...

P.O.V. Millie

<<Tesoro, siamo arrivati.>> fu la voce bassa e melliflua di mia madre che mi scosse piano per la spalla, cercando di svegliarmi.

<<Siamo arrivati.>> ostentò di nuovo, questa volte a voce un po' più alta, mentre in realtà io ero già sveglia, semplicemente non volevo... aprire gli occhi.

Avevo fatto un bellissimo sogno da cui ero appena stata strappata via, uno di quelli in cui ti senti scaldare la pelle dal sole, uno di quelli in cui hai caldo anche il cuore e non sai se sono i raggi insistenti del sole o semplicemente lui accanto a te.

Finn...

Avevo perso il conto di quante volte avevo sognato Finn quelle settimane. Avevo perso il conto dei baci roventi, delle mani sulla mia pelle bollente a ogni suo tocco, avevo perso il conto di quante volte avevo sognato quei suoi gesti lenti e le sue dita lunghe e affusolate su di me.

Avevo perso il conto, ovviamente, di quante volte lo avessi pensato quelle settimane, e per un secondo realizzai che forse non avevo mai smesso.
Già, era proprio così. Finn era semplicemente un pensiero fisso. Era il pensiero fisso.

Era una costante senza freni, un treno in corsa, una mononota impressa su un pentagramma  infinto.

Era lì, impresso a fuoco e non importava quanto avessi voluto strapparmi via ogni nervo, ogni squarcio di carne, pur di arrivare al cervello per strappare, infine, anche lui. Non importava quante volte gli avessi sussurrato durante la notte di andare via, uscire fuori dalla mia testa.

Non importava a nessuno, non importava neanche a me, maledetta io, perché alla fine lui era sempre lì,  un chiodo schiacciato dentro con così tanta forza da non poterlo più uscir fuori.

E allora la mia mente ci ricamava sopra, come a volermi ricordare quanto fossi un'illusa, quanto fossi una perdente, quando si trattava di lui e me lo faceva sognare, pensare, immaginare, dipingere ad occhi aperti sulla tela sporca e strappata del mio cuore.

<<Andiamo tesoro... scendiamo da qui.>> mi incitò di nuovo mia madre, quando finalmente mi costrinsi ad aprire gli occhi.

<<Stai bene? Hai dormito per tutto il tempo...>> mi chiese lei con aria preoccupata, mentre sentivo la macchina rallentare piano, fino a piantare con estrema flemma le gomme a terra.

Andiamo Millie, un'altra giornata. Puoi farcela. Scendi da quest'auto e fa finta che vada tutto bene. Sorridi e mostra alla gente la dolce e perfetta Millie Bobby Brown, quella che sono tutti abituati a vedere.
Scendi e sorridi, accantona gli strilli del cuore e le fitte alla testa.
Scendi e sorridi.

Guardai per un secondo mia madre, sfuggendo ai suoi grandi occhi e puntando i miei in un punto impreciso della sua giacca di velluto nera.

Scendi e sorridi.

<<Certo che sto bene.>> mentii con occhi vuoti, ma un sorriso che mi attraversava da una parte all'altra del viso.

Scendi e sorridi.

<<Sono solo stanca per adesso... tutto qui.>> tagliai corto, voltandomi dall'altro lato e aprendo la portiera dell'auto per sfuggire a qualsiasi altra ispezione capillare o domanda scomoda.

Scendi e sorridi.

Il caldo e l'afa torbida tipica dell'agosto di Los Angeles mi investirono la pelle appena mi tirai fuori dall'auto.

Nel momento in cui i miei piedi toccarono il suolo e feci forza velocemente sulle gambe per scendere dal sedile, la mia caviglia mi ricordò che dovevo ancora andarci piano con lei.

Fortunatamente avevo tolto i punti qualche giorno prima e la caviglia era migliorata così tanto che non mi sentii di raccontare a mia madre cosa fosse successo quand'ero tornata a casa a Los Angeles, ormai due giorni fa.

Certo lei aveva fatto qualche domanda che la maggior parte delle volte era rimasta a mezz'aria, senza una risposta valida.

"Perché porti sempre quel cappellino per adesso?"
"Perché cammini così piano tesoro? Sbrigati!"
"Millie togli dalla fronte quei capelli! Non vedi il caldo che c'è? Fai respirare il viso!"

In realtà, se avessi dovuto essere del tutto sincera con me stessa, era proprio mia madre l'unica che, in quei soli due giorni, mi stava facendo soffocare.

I suoi continui avvisi, le sue continue domande, le occhiate, le chiacchiere, ogni cosa. Ogni cosa aveva la forza di pizzicarmi, irritarmi quel tanto che bastava da farmi sentire inappropriata in ogni situazione.

Ci avevo pensato su spesso, da quando ero tornata a casa.
Probabilmente sarà perché manco da troppo tempo, pensavo.
Probabilmente non voglio più questa attenzioni, pensavo.

Ma il mio cuore pensava un'altra cosa e la parte meno ostinata di me sapeva che aveva ragione.

Probabilmente ti manca troppo lui, e questo ti rende irrequieta, piccola Millie.

Ecco, ecco cosa pensava il mio cuore, schernendomi e prendendosi gioco di me, della mia ostentazione che negava tutto.
Il mio cuore aveva ragione.

Ero irrequieta, come una preda che sta per essere divorata.
Come un cervo che ha appena inchiodato le sue pupille in quelle del suo cacciatore e aspetta immobile, aspetta che la vita gli venga strappata via perché sa già che non potrà correre più veloce dello sparo che lo seguirà.

Io ero il cervo e Finn, Finn era il mio cacciatore e di per certo mi avrebbe sparato.
Lo sentivo, sentivo già il grilletto premere dritto sul mio cuore, sentivo la canna fredda sul mio muscolo caldo e invece di scappare stavo lì, immobile, arresa a lui.

Perché Finn con me, avrebbe sempre vinto. Sempre.

Non importava quante volte mi aveva respinta quella settimana, quante volte era sfuggito al mio sguardo, quante volte mi aveva voltato le spalle, quante volte lo avevo visto con la coda dell'occhio tendere la mano verso di me per poi ritirarla in fretta, quante volte lo avevo visto aprir bocca per poi richiuderla, quante volte lo avevo visto evitare con tutte le sue forze di guardarmi, di andar via ogni volta che eravamo nella stessa stanza, quante volte aveva evitato di rimanere in roulotte quando c'ero anch'io...

Mi aveva sorriso, rivolto qualche parola di cortesia.
"Come stai oggi?"
"Come va la caviglia?"
"Hai messo la crema stamattina?"
"Ricordi queste battute? Sono così lunghe..."
"Fa davvero caldo oggi, non credi?"

E ogni sua parola, ogni suo sorriso forzato, faceva tendere i miei nervi come una corda di violino, infastiditi da quelle mere frasi totalmente vuote.

Non fingere Finn, pensavo ogni volta che mi aveva rivolto la parola.
Non fingere con me, perché ti riesce male.

Lo vedevo, lo vedevo dai suoi occhi accorti e lo sguardo cauto, di qualcuno che non si prende il rischio di giocare d'azzardo.
E Finn quei giorni era stato tutto, fuorché un giocatore d'azzardo.
Si era tenuto alla larga da me, come ci si tiene alla larga dal tuo peggior nemico.

Si era tenuto alla larga, ma io sapevo, sapevo che avrebbe voluto soltanto...

<<Miss Brown! Finalmente è arrivata!>> trillò la voce femminile di qualcuno che mi strappò ai miei pensieri, facendomi alzare di scatto gli occhi.

Mi resi conto dopo qualche secondo persona guardarmi intorno di aver percorso automaticamente il tragitto dall'auto alla grande entrata della sede di Calvin Klein di LA e adesso una donna dagli occhi vispi mi guardava da dietro una grande bancone in vimini bianco.

Abbozzai un sorriso, mentre i miei occhi facevano un altro giro della grande entrata prima di rispondere.

Vetrate trasparenti da cui filtrava indisturbata la calda luce del sole di quel pomeriggio ricoprivano ogni parete di quella grande holl.
La stanza era illuminata dalla sola luce naturale e l'odore fresco di biancospino iniziò a pungermi le narici nel momento in cui mi accorsi che ad ogni angolo della grande sala tralci verdi e fiori bianchi colmavano gli spazi vuoti.

La stanza era tutto un gioco di luci naturali e profumi dolci ed era per lo più tanto grande quanto vuota, se non fosse stata per l'unico grande bancone, anch'esso bianco, in fondo alla sala, proprio dritto di fronte a me.

Iniziai a camminare incerta verso quella piccola donna che sembrava mi stesse aspettando, ancora sorridente.

Mi accorsi che a terra una moquette bianca attutiva i passi di chi ci camminava sopra, regalando una sensazione piacevole e ammortizzando ogni rumore.

Mia madre, di cui avevo totalmente dimenticato la presenza accanto a me, mi superò, avvicinandosi per prima alla di fronte a noi e stringendole cordialmente la mano.

<<Mrs Brown, Miss Brown. Vi stavamo aspettando. Lo stilista, i costumisti e i sarti sono di sopra.>> furono le prime parole che la donna pronunciò educata, spostando lo sguardo da me e mia madre.

Ricambiai quell'espressione gentile con un sorriso.

<< Mi segua, Miss Brown.>> mi incitò, facendomi segno con la mano di starle dietro, mentre si dirigeva mentre le grandi scalinate a chiocciola di marmo bianco.

La piccola donnina non aveva invitato espressamente anche mia madre, ma lei, ovviamente, ci seguì lo stesso.

Silenziosamente e fedelmente alle sue spalle, iniziai a salire le scale, appoggiandomi al corrimano freddo per supportare un po' il mio peso.

<<Chissà come sarà bello il vestito!>> cinguettò mia madre dietro di me con aria eccitata.

Grata che non potesse vedermi alzai gli occhi al cielo, infastidita, il perché neanch'io riuscivo a spiegamelo.
Semplicemente mi sentivo così diversa da mia madre, in quell'ultimo periodo, così distante da ciò che lei era.

<<Eccoci.>> disse la donna davanti a me, un secondo prima di salire l'ultimo scalino della rampa e rivolgendosi verso di me, sorridendomi gentile.

<<Vieni cara.>> mi disse, appoggiandomi una mano sulle spalle nel momento in cui mi arrestai accanto a lei.

<<Percorri il corridoio, la stanza è l'ultima sulla destra.>> mi spiegò, facendomi intuire che lei non mi avrebbe accompagnata.

<<Torno sotto, a dopo! Spero che il vestito ti soddisfi!>> mi disse in un risolino, prima di fare dietro front e ricominciare a scendere le scale.

Lo spero anch'io, risposi nella mia testa.

Calvin Klein si era offerto di vestirmi per gli Emmy di quell'anno e data la partnership instaurata da meno di un anno a quella parte, mi ero ritrovata ad accettare con molto entusiasmo.
Ma adesso... se il vestito non mi fosse piaciuto?
Se fosse stato semplicemente troppo... diverso da come lo avevo immaginato?

Feci un respiro a pieni polmoni e mi incamminai verso la porta bianca.

Arrivai proprio di fronte e, senza saper bene cosa fare, bussai piano, sbattendo le nocche un paio di volte.

Non passo che qualche secondo, prima che la porta si spalancasse con una tale velocità da smuovere l'aria intorno a me, facendomi svolazzare qualche ciocca di capelli che mi preoccupai subito di rimettere a posto.
Quella mattina non portavo il cappellino, ma prestavo molta attenzione a lasciar che i capelli mi coprissero la fronte, soprattutto in quella piccola parte destra...

<<Miss Brown!>> mi salutò calorosamente un uomo, sfoggiando un gran sorriso, ancora sul ciglio della porta.

Prima che potessi rispondere, quello mi prese per mano, tirandomi lentamente dentro, e continuando a parlare.
<<Oh, spero così tanto che il vestito le piaccia! Ci abbiamo lavorato così tanto, è veramente da... favol– >>

<<Marcus!>> lo richiamò una voce femminile di qualcuno che non era ancora entrato nel mio campo visivo.

Nel momento in cui svoltammo l'angolo, entrando definitivamente nella grande stanza, lo sguardo severo di una donna dai capelli bianchi, ma perfettamente ordinati in uno chignon dietro la nuca, si piantò contro quello dell'uomo accanto a me.

<<Non vorrai rovinare la sorpresa a Miss Brown, spero!>> esclamò quella con un tono ovvio, alzando piano le sopracciglia.

La donna era estremamente bassa, ma aveva un'aria che ti sfidava a contraddirla, con quel metro appeso intorno al collo e i leggeri occhiali da vista sulla punta del naso.

<<A- assolutamente no, Delilia!>> rispose quello, paonazzo in volto.

<<Bene!>> lo prese in giro la donna, con una punta di sarcasmo, rilassando il volto in un sorriso furbo.

Poi, finalmente, puntò gli occhi verdi su di me.
<<Sei pronta a vederlo cara?>> mi chiese con gentilezza.

Annuii piano a quelle parole, sorridendole genuinamente.
Ero davvero curiosa di vederlo, più che altro curiosa di sapere se mi fosse davvero piaciuto oppure no...

<<Seguimi, te lo mostro.>> mi disse Dalila, iniziando a camminare e puntando verso la parte opposta della stanza.

<<Ti piacerà tesoro.>> sussurrò mia madre al mio orecchio, stringendomi piano la spalla con la mano, come a volermi incoraggiare, mentre entrambe seguivamo la chioma morbida di capelli bianchi di fronte a noi.

Mi voltai verso di lei e la trovai a sorridermi, occhi curiosi quanto i miei.
"Speriamo.", le mimai a fior di labbra.
Lei mi fece l'occhiolino.

<<Pronta?>> mi chiese Dalila, fermandosi proprio accanto a un manichino coperto da un grande telo bianco.

<<Oh, sì!>> squittii, annuendo impaziente.

<<Mostraglielo, Marcus.>> disse lei, mentre l'uomo si avvicinava già, iniziando a rimuovere dal basso il copriabito che nascondeva ancora il vestito ai miei occhi.

Mi avvicinai il più possibile, curiosa, aspettando con occhi sgranati.

Ti prego, fa che mi piaccia.
Ti prego, fa che mi piaccia.
Fa che...

No, il vestito che avevo davanti agli occhi non mi piaceva.
Non mi piaceva per niente.

Dire che mi piacesse era troppo riduttivo, troppo ingiusto.
Non rendeva giustizia a ciò che avevo davanti agli occhi, perché io avevo davanti agli occhi una...

<<Una meraviglia.>> sussurrai, portando le mani giunte al petto, non potendo nascondere l'eccitazione e finalmente sorridendo sollevata.

<<Ti piace?>> mi chiese Marcus tutto contento.

<<Se mi piace...?>> chiesi incredula.
<<Lo adoro!>> esclamai entusiasta.

Dalila sorrise di fronte a me: <<Degno di una vera principessa, eh?>>

<<Oh, assolutamente!>> rispose mia madre al posto mio.
Non mi voltai verso di lei, ancora incantata dal vestito che avevo di fronte ma dal suo tono di voce dedussi che dovette piacere molto anche a lei.

<<Beh, che aspettiamo? Lo proviamo, miss Brown?>>

•••

Dieci minuti dopo guardavo incantata la mia immagine allo specchio.
Il vestito era di un rosa cipria tenue, su cui erano disegnate e stilizzate delle rose bianche.
Le braccia erano scoperte, così come le clavicole: le minuscole spalline del vestito mi cadevano poco sotto le spalle, dando quell'effetto naturale, come se fossero semplicemente scivolate via...

Il tessuto mi accarezzava la pelle fino in vita, mentre poi si allargava tutt'intorno alle gambe, fino alle caviglie, esattamente come quello delle principesse che da bambina guardavo con tanta ammirazione allo televisione, o di cui sentivo le storie appassionati prima di andare a dormire.

E in quel momento, in quel rosa caldo a lambirmi la pelle, in quella visione di dolcezza e semplicità estenuante, mi sentii anche io, per un attimo... bella, bella, proprio come una...

<<Una principessa.>> sussurrò mia madre dietro di me, con gli occhi lucidi che incrociarono i miei dal riflesso dello specchio, mentre si portava le mani al petto, commossa.

Feci un giro per osservare meglio il vestito, non credendo ancora di avere quella meraviglia cucita addosso.

<<È bellissismo...>> dissi, per quella che mi sembrò la milionesima volta, rapita da ciò che vedevo di fronte a me.

<<Con questo nessuno ti staccherà gli occhi di dosso, dolcezza.>> esclamò Dalila, con tutta l'aria di chi la sapeva lunga, rivolgendomi un'occhiata eloquente.

Ma mentre osservavo la mia immagine riflessa nello specchio, constatai con mia sorpresa che quella volta non mi importava.
Non mi importava degli occhi di nessuno, se non dei suoi...

A Finn piacerà. Oh, se piacerà...

Me lo sentivo fin dentro le ossa, come una consapevolezza che mi schiacciava la gabbia toracica, bloccandomi il respiro al solo pensiero che i miei occhi quella sera avrebbero incontrato i suoi e lui mi avrebbe vista...

Lui avrebbe visto me, con quel vestito che sembrava uscito fuori da una favola, avrebbe visto me, che desideravo solo lui, avrebbe visto me e forse, forse questa volta non si sarebbe voltato dall'altro lato.
Forse questa volta mi avrebbe guardata, mi avrebbe guardata quel secondo in più per farmi sentire desiderata.

Forse quella sera, il cacciatore non avrebbe sparato al cervo. Semplicemente avrebbe esitato, si sarebbe fermato un secondo a contemplarne la selvaggia e aggraziata bellezza.

Forse quella sera i suoi occhi si sarebbero persi nel desiderio dei miei, forse avrebbe sentito le mie urla silenziose, mentre gli avrei gridato quanto lo amavo.

Esattamente come avevano gridato quella settimana passata insieme, prima che lui partisse.
Glielo avevano gridato i miei occhi, oh, se l'avevano fatto... a ogni occasione, a ogni sguardo incrociato per sbaglio.

Ti amo, avevo sussurrato disperatamente, senza ricevere risposta.
Non avevo mai ricevuto risposta.

Finn era partito una settimana dopo avermi abbracciata in quella stanza, e sul set avevo trascorso un'altra lunga settimana senza di lui.

E i giorni senza di lui erano trascorsi lenti, come le lancette dei secondi di un orologio che mentre le guardi sembrano metterci una vita per far passare anche un solo minuto.

Il tempo mi era sfuggito tra le mani, come granelli di sabbia in un vento leggero.

Se chiudevo gli occhi, potevo ancora sentire le sue braccia avvolte intorno al mio corpo, la sua testa appoggiata sul mio seno...
Dopo aver trascorso non so quanti minuti in quella posizione, Finn si era semplicemente scostato da me, si era alzato ed era... andato via.
Così, senza dire una parola, così, in silenzio, esattamente com'era rimasto per tutto il tempo in cui era stato abbracciato a me.

In silenzio.
E quel pomeriggio imparai a mie spese, quanto un silenzio sapeva gridare.

Il giorno dopo aveva semplicemente fatto finta che niente fosse successo, comportandosi più come un collega che come un amico, rivolgendomi domande inutili, di cui nemmeno a lui importava davvero la risposta.

Tranne forse una risposta, la risposta alla prima domanda che tutte le mattine quella settimana mi aveva rivolto: tutte le mattine, stessa domanda.

<<Come stai?>>

E mi faceva ridere, ridere dalla disperazione, dal paradosso.
Oh, quanto mi faceva ridere.
Ma non risi mai, non davanti a lui.
Anzi, tutte le mattine rispondevo sinceramente, dicendo come stessi.

Ma sapete perché mi faceva così ridere, quella domanda?

Perché lui mi chiedeva semplicemente  come stessi fisicamente.
Come stavo per la slogatura della caviglia, come stavo per i punti di sutura sulla fronte, mai una volta che mi avesse chiesto come stavo per il cuore.

E lo capivo, lo percepivo da quei suoi occhi scuri e attenti, ma vigili e severi che non era quello che volevo sentirmi chiedere, lo percepivo da come mi guardava, come se silenziosamente mi chiedesse di rispondere solo a ciò che lui chiedeva.

<<Come stai?>>
Fisicamente. Solo fisicamente.

Voleva una risposta dettagliata, tutte le mattine.
Lui si accorgeva se mentivo, se nascondevo una fitta alla testa con un "sto bene", e se provavo a non zoppicare davanti agli occhi degli altri, era uno sguardo di rimprovero quello che ricevevo.

Poi, quel venerdì mattina, ero entrata per caso nella roulotte e me lo ero ritrovato lì, intento a riordinare le sue cose.
I suoi occhi si erano posati nei miei non appena avevo messo un piede dentro.

<<Stai... andando via?>> avevo chiesto cercando di apparire rilassata, mentre la voce tremante mi tradiva, nonostante il mio non fosse stato altro che un sussurro.

<<Sì.>> rispose lui, evitando i miei occhi e continuando a sistemare le sue cose dentro un piccolo borsone.
<<Questa settimana ho le prove con la band e la prossima un concerto, quindi vado via prima.>> mi spiegò con voce piatta.

<<Oh.>> fu l'unica cosa che riuscii a dare.

Me ne stavo lì, impalata sulla porta, cercando di trovare qualcosa di decente da dire, qualcosa che potesse spezzare l'imbarazzo che si era creato tra di noi, che si creava sempre tra di noi quegli ultimi giorni, come fossimo due perfetti sconosciuti.

Poi, in un attimo, realizzai.
<<Quindi non ci sarai agli Emmy?>> chiesi con tono deluso, prima che la parte razionale di me potesse frenarmi.

A quel tono triste, lui alzò di scatto gli occhi verso di me, puntandomeli addosso.
Ispezionò ogni centimetro del mio viso per attimi che parvero interminabili, prima di rispondere.

<<Certo.>> disse con voce seria.
<<Certo che ci sarò. Arriverò quel giorno stesso.>>

Mi sentii sollevata a quelle parole e di riflesso sorrisi anche se lui non ricambiò.

Si voltò dall'altro lato e continuò a sistemare le sue cose, come se niente fosse, come se io non fossi lì.

<<Miss Brown, non può mica tenerlo tutto il giorno!>> mi sorrise Dalila, appoggiandomi una mano sulla spalla e facendomi sussultare a quel contatto inaspettato, mentre io mi ero persa ancora in lui, un'altra volta...

<<Oh, sì.>> soggiunsi, rianimandomi.

Tolsi in fretta il vestito, io e mia madre ringraziammo velocemente gli stilisti e dopo qualche convenevole ci dileguammo, ringraziando un'ultima volta quelle persone per quello splendido lavoro, sinceramente grate.

Ripercorremmo il corridoio e le scale, salutammo la simpatica donna della hall e ci incamminammo fuori, immergendoci nel sole che picchiava forte la terra quel pomeriggio.

Sentii il telefono vibrare e lo tirai fuori, svogliata.
Un cipiglio mi incupii il volto, mentre guardavo incuriosita quello strano messaggio della mia migliore amica.

Sadie: Non puoi capire chi ho incontrato per caso questo pomeriggio! Ti ricordi di Josh? Quello della discoteca?  18.24 P.M.

Josh? Josh!

Stavo per digitare una veloce risposta, quando mia madre accanto a me sospirò di sollievo.
<<Finalmente! Stavo per cuocere sotto questo sole!>> esclamò, mentre la nostra auto si parcheggiava proprio di fronte ai nostri occhi.

<<Sbrigati tesoro o ti prenderai una di quelle insolazioni!>> mi incitò, scivolando velocemente nell'auto, mentre io la seguivo, facendo lo stesso dall'altro lato della macchina, spalancando la portiera del passeggero e fiondandosi dentro, rinsavita dall'aria condizionata che mi investii il corpo, facendomi sospirare di sollievo.

Josh.
Pensai a lui, a quel bacio sbagliato, alla sua gentilezza, ai suoi occhi verdi in contrasto con quei capelli neri come la pece.

Pensai a Josh per un minuto, chiedendomi come diamine avesse fatto la mia migliore amica a incontrarlo.

Pensai a Josh.
Pensai a Josh che però non era lui.
Non era Finn, e se non era Finn allora poco importava.
Perché Josh scompariva, semplicemente si dileguava in confronto al mondo che era Finn. Al mio mondo, il mio paradiso personale che in quei giorni vestiva i panni dell'inferno.

Mi bruciava tra le fiamme, mi scottava come scintille di una fiaccola sulla pelle, ogni suo pensiero, ogni ricordo di lui.

Eppure non riuscivo a fare a meno di pensarlo ogni secondo delle mie giornate, ogni respiro che esalavo, spingendolo fuori dai polmoni.

Cosa stava facendo lui in quel momento? Volevo davvero saperlo?

P.O.V. Finn

<<Spero di essere stato chiaro questa volta, Grace.>> buttai fuori in un sospiro con occhi prudenti.

La ragazza davanti a me, mi guardava con aria interdetta e non aveva ancora risposto a ciò che quel pomeriggio le avevo chiaramente chiesto, cercando di soffocare la rabbia, cercando di non pensare a lei, a come quei messaggi avevano fatto partire un circolo vizioso, rovinando ogni cosa, passando sopra ogni ti amo, ogni speranza, ogni emozione e strappandoli via come una tromba d'aria che, quando passa, non ha pietà.

Quindi me ne stavo lì, di fronte a Grace, con le braccia conserte e la porta della stanza insonorizzata dove i Calpurnia avevano provato ogni giorno quel pomeriggio, ora chiusa alle mie spalle.

Aspettavo una risposta, cercando di apparire paziente, mentre Grace di fronte a me non sembrava affatto turbata, anzi quasi, quasi... divertita?

<<Grace.>> la richiamai con voce bassa e autoritaria.

Lei sembrò rinsavirsi, perché finalmente alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi su di me.
<<Ho capito.>> asserì lei con voce piatta e un'espressione indecifrabile.

<<È la cosa che mi hai detto anche l'ultima volta, Grace...>> biascicai in un sussurro, forse più a me stesso che a lei.

<<Finn.>> pronunciò il mio nome istintivamente a quelle parole e portò le mani avanti in un moto di insicurezza.

<<È ok... davvero. Ho capito.>> rispose, facendosi rossa in viso.
A quelle parole mi sorpresi a sospirare di sollievo.

<<Possiamo comunque restare amici, giusto?>> chiese poi, abbozzando un sorriso imbarazzata.

A quella domanda così semplici, sorrisi anche io.
<<Ma certo Grace, noi siamo amici. Non cambierà nulla tra di noi. Semplicemente volevo essere chiaro perché...>>
Le parole mi morirono in bocca, non sapendo neanche io perché.

Avevo appena detto a Grace di volere soltanto un'amicizia da lei e di non fraintendere la mia, perché non avrei preteso e voluto niente in quel senso, non da lei.

Era stato difficile, molto difficile dirlo ad alta voce senza mezzi termini, ma nel momento in cui lo avevo fatto era come se dal cuore mi fosse stato sollevato via un macigno opprimente.

Ma perché? Perché lo avevo fatto? Adesso che Millie aveva letteralmente baciato un altro, che mi aveva lasciato di un punto in bianco, adesso che ogni cosa intorno a me sbiadiva, perdendo di colore, perdendo di vitalità, che importanza aveva cosa pensasse, cosa volesse Grace?

Adesso che avevo perso l'unico motivo che mi aveva spinto a chiarire con lei... ironico vero?

Non fossi stato così disperato, probabilmente è in quel momento avrei riso di gusto di me stesso.

Grace dovette accorgersi della mia espressione contrita.
<<C'entra lei, vero?>> mi chiese in un sussurro senza malizia, senza presunzione, semplicemente sincero e curioso.

Scossi automaticamente la testa a quelle parole.
<<No.>> risposi con quanta più decisione riuscissi a racimolare.

<<No Grace. C'entra il fatto che voglio che restiamo amici e che non ci siano fraintendimenti tra di noi.>> spiegai, cercando di convincere anche me stesso delle parole che avevo appena pronunciato.

La verità era che per quanto cercassi di trovare un equilibrio nella mia vita, mi piacevano soltanto le cose per cui valeva la pena perderlo e per Millie Bobby Brown valeva la mena, oh come la valeva. L'avrebbe valsa sempre... Qualsiasi pena avrebbe valso per lei.

Persino quella che ad oggi mi stringeva il cuore dal rimorso.
Rimorso per non aver avuto il coraggio di guardarla, di parlarle, di afferrarla tra le braccia, quell'ultima settimana in cui avevamo passato del tempo insieme sul set.
La avevo evitata, ero scappata da lei nonostante riuscissi a percepire quanto lei mi cercasse, tutti i giorni, tutto il giorno.

Ma io semplicemente non ero pronto, non ero pronto a perdonare, non ero pronto a dimenticare nonostante il mio cuore non mi chiedesse altro.

A volte semplicemente non riesci, a volte devi lasciare che il tempo scorra inarrestabile mentre tu stai lì a leccarti le ferite, aspettando che cicatrizzino.

A volte devi solo... dare al tempo del tempo.
E aspettare.
Aspettare.

Einstein diceva che "il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando".

Ed io non stavo facendo niente, non riuscivo a fare nessun passo nella direzione di Millie e questa consapevolezza mi pungeva ogni cellula del corpo, rendendomi tristemente consapevole di quanto il tempo io in quel frangente lo stessi solo sprecando.

Rialzai gli occhi verso Grace, notando che lei era rimasta in silenzio alla mia risposta.

La vidi annuire impercettibilmente, prima di avvicinarsi silenziosamente a me.
Trattenni il fato non sapendo cosa aspettarmi.

Lei mi si arrestò davanti, poco lontano dal mio viso, i miei occhi schivavano i suoi nonostante li avessero così vicini.

Non farlo Grace, non farlo ti prego.

Lei mi studiò qualche altro secondo da vicino, prima di piegare il volto e lasciarmi un piccolo bacio sulla guancia.
Restai fermo, non mi mossi, grato e sorpreso al tempo stesso.

<<Ciao, Finn.>> mi disse, superandomi lentamente.

Dopo qualche secondo sentii la porta aprirsi dietro di me per richiudersi lentamente un attimo dopo.
Solo a quel rumore mi concessi il lusso di respirare, buttando fuori l'aria che mi era rimasta incastrata nei polmoni fino a quel momento.

Mi voltai: sì, se n'era andata, segno che sì, anche quella giornata era finita.

Anche quella giornata mi era scivolata addosso, un po' più spenta, senza di lei, senza neanche il suono della sua voce a ricordarmi che fosse reale.

Uscii piano dalla stanza di registrazione e mi andai a sedere sul divano dell'ampia entrata del nostro monolocale.

Il posto era ormai vuoto, Malcom, Ayla e Jack erano già andati via da un po', io ero l'unico ad essere rimasto ad aspettare Grace per poterle parlare.

<<Andate voi.>> avevo detto.
<<Io devo sistemare alcune cose prima di andare. Poi chiudo io.>> spiegai, senza guardare nessuno di loro negli occhi e facendo finta di sistemare le mie cose.

Ma Ayla, Ayla mi aveva rivolto uno di quei suoi sguardi, prima di chiudersi la porta dietro, salutandomi con quegli occhi silenziosi.

"Ho capito." mi aveva sussurrato Ayla attraverso le pupille verdi e sincere.
Mi aveva sorriso debolmente e si era chiusa la porta alle spalle, senza dire una parola, ma era bastato.
Con Ayla bastava sempre.

Io e i ragazzi avevamo provato letteralmente tutto il pomeriggio quel giorno in vista del prossimo concerto e nel momento in cui il mio corpo si abbandonò sul divano di pelle bianca mi accorsi di quanto mi sentissi terribilmente stanco.

Mi presi la testa tra le mani, respirando piano e profondamente, cercando di rilassare gli arti intorpiditi.

Era brutto, brutto e terribilmente sbagliato. Era brutto avere qualcuno in mente così assiduamente, ma non poterlo avere tra le braccia, non poterla stringere a me.

Notai la chitarra appoggiata accanto a me e la afferrai di impulso, senza pensarci, appoggiandola alle ginocchia.

Tirai le AirPods e il telefono fuori dalla tasca dei jeans e feci partire la prima canzone che capitò, nella speranza di distrarmi.

Sorrisi d'istinto nel momento in cui mi accorsi di che canzone si trattasse e mentre le note scorrevano nelle mie orecchie, le mie mani scivolavano sulle corde della chitarra, accompagnando quel suono familiare in modo totalmente casuale.

If this feeling flows both ways
Sad to see you go
Was sorta hoping that you'd stay
Baby we both know
That the nights were mainly made for saying
things that you can't say tomorrow day
Crawlin' back to you.

E con le note di quella canzone ancora nei timpani, istintivamente afferrai il telefono posato sul tavolino davanti a me. Me lo rigirai tra le mani in un attimo di esitazione, poi, aprii la sua chat.

Millie Bobby Brown.

Il suo nome mi comparse, lampeggiante sullo schermo, richiamandomi in un istinto inspiegabile.

In quei giorni non ci eravamo cercati, non avevo il coraggio di scriverle, nonostante le innumerevoli volte in cui avevo provato.
Avevo sempre, sempre ricancellato i messaggi, avevo sentito e percepito sbagliata ogni parola che avevo digitato, ogni cosa che avevo scritto era parsa così inadeguata, così vuota.

E forse era così, forse era davvero così.
Avevo provato a scriverle così tante volte senza scriverle veramente.

La verità era che nonostante lo negassi a me stesso, sentivo un bisogno ripugnante di sentirla, di sapere che stesse bene, che se la cavasse anche senza di me.

Sapere se almeno uno dei due ci riuscisse, perché io ero di certo quello che non ci stava riuscendo.

Non vederla in quei giorni non aveva di certo aiutato, la mia mente viaggiava sempre chilometri orari lontano da me, come a volerla raggiungere, rincorrerla a perdifiato.

Ogni mio pensiero la rincorreva, impigliandosi come in un dedalo di tralci, ma nonostante questi mi ferissero fino a farmi sanguinare, la mia mente non smetteva di rincorrerla, la cercava disperatamente in ogni gesto, in ogni sorriso, in ogni movimento tra la gente, che però non era mai il suo.

In quel momento, con il suo nome sul display ancora a illuminarmi il viso, digitai quelle parole.
E forse, per la prima volta dopo due settimane, volevo una riposta, la risposta.

Inviai istintivamente, senza neanche fermarmi a pensare un secondo.

"Come stai?" 19.00 P.M.

E forse, quella volta, volevo una risposta vera. Quella volta volevo davvero sapere come stesse dentro.

Ti prego, fa che mi risponda.

Costa stava facendo lei in quel momento? Volevo davvero saperlo?

Spazio autrice
Non è un capitolo incredibilmente lungo, chiedo perdono! Ma a me è piaciuto come è venuto fuori, in realtà mi sento abbastanza soddisfatta e presto Millie e Finn si vedranno...
Gli Emmy si avvicinano 💥
P.S. Il prossimo capitolo probabilmente uscirà prima di domenica (vi aggiorno in bacheca e su Instagram @fillieinlovestories) e nel prossimo ancora, beh... qualcuno cederà alla tentazione?
Il cacciatore sparerà al cervo o si incanterà a guardarlo quando finalmente lo vedrà?

Have a good day sweeties ♥️

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