38. Il volo dell'angelo

Visti da lassù i quartieri malfamati della città sembravano la malinconica ripresa di un film, con le loro strade strette che si intrecciavano caoticamente e raccontavano miliardi di storie.
Jeff si posizionò in piedi sul parapetto, con la pagina strappata che sorreggeva tra le dita lasciando che il vento la facesse svolazzare. Oltre cinquanta metri di salto, a separarlo da quel marciapiede adesso così lontano c'era soltanto aria ancora carica di umidità a causa del recente temporale.
Quanti secondi sarebbero serviti affinché il suo corpo la percorresse tutta? Questo si stava chiedendo, mentre guardava fisso verso il basso con il cuore che rimbalzava all'impazzata nel suo petto.
Sapeva benissimo di avere tutto il coraggio sufficiente a fare quel passo, un singolo movimento che non richiedeva il benché minimo sforzo ma che lo avrebbe liberato da ogni catena per sempre.
Emise un sospiro pesante, aprendo le dita quanto bastava a lasciar scivolare via il pezzo di carta sul quale aveva impresso i suoi ultimi pensieri. Lo osservò immobile volteggiare a mezz'aria mentre scendeva verso il basso, cambiando più volte direzione a causa delle raffiche di vento che incrociò lungo il percorso per poi posarsi su un terrazzo e venir spazzato via anche da lì; alla fine della sua lenta caduta, durata una decina di secondi, il foglio di carta finì per adagiarsi al centro della strada ove fu colpito dall'unica auto di passaggio.
Jeff sorrise.
Adesso sarebbe toccato a lui.
Forse in quel momento avrebbe dovuto ripensare a tutti i momenti salienti della sua vita come se stesse osservando una pellicola che scorre rapidamente davanti ai suoi occhi, ma era troppo impegnato a pregustare la scarica di adrenalina che quel lancio gli avrebbe donato; un ultimo scossone di emozioni, il brivido più forte che gli avesse mai donato qualsiasi tipo di sostanza o di pessima azione compiuta per il solo gusto di farlo.
Ma quando fu pronto a fare quel maledetto passo in avanti le sue orecchie furono raggiunte, con grande sorpresa, da una voce troppo familiare che chiamava insistente il suo nome.
-Jeff... Ma che fai...-.
Il ragazzo si voltò indietro di scatto e per questo quasi perse l'equilibrio: su quel tetto di cemento, a pochi metri di distanza da lui, i suoi occhi si scontrarono con una figura dai tratti gentili che si avvicinava lentamente. E non poté che riconoscere dal primo istante il rosso acceso di quei capelli sciolti che le ricadevano giù dalle spalle ondeggiando ad ogni passo, o la spruzzata di lentiggini che dominavano le pelle chiara del suo viso.
Il killer trattenne il fiato per un istante, restando fermo a guardarla con una certa incredulità. Non credeva che lei sarebbe tornata ad apparirgli in un momento come quello. Anche perché oramai aveva preso la sua decisione e non sarebbe di certo stata un'allucinazione a fargli cambiare idea.
-Eva...- sibilò, scuotendo il capo e facendo dondolare in modo sgarbato alcune ciocche dei suoi capelli neri.
Poco dopo la ragazza lo raggiunse e gli sorrise. Il vento stropicciava i vestiti che stava indossando e la costringeva a socchiudere gli occhi, disturbati dalle particelle di polvere.
-Perché vuoi farlo?- gli chiese, allungando una mano in sua direzione come volesse assicurarsi che sarebbe riuscita ad afferrarlo, qualora lui avesse tentato di buttarsi all'improvviso.
Ma Jeff distolse lo sguardo, tornando a voltarsi verso l'oblio sotto ai suoi piedi. -Perché è l'unico modo- rispose soltanto.
La rossa lo afferrò per una mano, intrecciando le loro dita in una stretta difficile da sciogliere. Nonostante la consapevolezza che aveva maturato, percepì quel contatto fisico come qualcosa di assurdamente reale.
-L'unico modo per cosa?- insistette. Il tono della sua voce era tornato la dolce melodia che era sempre stata.
-L'unico modo...- ripeté il moro, con un filo di voce. -Per far finire tutta questa follia-. Si voltò poi verso lei, sfiorandole il mento con un dito. -Tu non sei reale, esisti solo nella mia testa. Capisci quanto sono fottuto?-.
Gli occhi di Eva si fecero lucidi, emerse in modo evidente il dispiacere che le aveva scaturito l'udire quelle parole.
-Ma sono qui adesso. Non è forse così?-.
Lui indietreggiò di un passo, serrando le mandibole. -Non lo so- rispose, guardandola dritta negli occhi. -È davvero così?-.
Entrambi conoscevano perfettamente la risposta, perciò la ragazza non poté far altro che restare in silenzio e sorridere appena. Ovvio che no, non era lì per davvero.
-Sono stanco, Eva- esclamò subito dopo il killer, che era tornato ad immaginare il salto nel vuoto come l'unica cosa sensata da fare in quel momento. -Ho perso il controllo, non lo vedi? E non c'è niente che possa riportarmi sulla retta via ormai. Nelle ultime settimane non ho fatto altro che fottermi il cervello e parlare con una persona che neanche esiste-.
Lei annuì con un cenno del capo appena visibile. -Lo so...-.
Un silenzio soffocante iniziò ad aleggiare tra i due e permase per una lunghissima manciata di secondi, rotto dal fruscio del vento e dai rumori lontani che provenivano dalle vie di Netville.
Poi, con palpabile rassegnazione, il killer tornò a parlare: -Non sono più cosciente di quello che faccio, non riesco più ad agire coscientemente, con prudenza. Di questo passo la prossima cazzata che farò sarà il mio biglietto di sola andata per la galera, è questione di giorni- spiegò, annaspando. -E preferisco crepare giù da questo palazzo piuttosto che tra le sbarre di una merdosa cella. Tu sai quello che ho fatto, l'ergastolo è la pena meno severa che potrebbero infliggermi-.
Lei annuì ancora, stringendo le spalle e volgendo lo sguardo al cielo. -Ma fino ad ora non ti hanno mai preso, Jeff. E ci sono così pochi poliziotti a Netv...-.
-Fino ad ora sapevo quello che stavo facendo- ribatté il killer, interrompendola bruscamente. -E poi...-.
-E poi?- chiese Eva, mentre si posizionava al suo fianco proprio sul bordo del precipizio. Anche lei non sembrava avere alcun timore di scivolare giù.
-E poi non so se riuscirei ancora a convivere con tutto quello che ho fatto- terminò, con un groppo alla gola.
Per tutti quegli anni Jeff aveva vissuto ogni atrocità che aveva compiuto con una leggerezza disumana, era riuscito a isolare la sua mente da ogni possibile senso di colpa. Ma adesso, per qualche ragione, qualcosa era cambiato e iniziava a sentire il peso di ogni vita che aveva spezzato gravare sulle sue spalle.
Specialmente quelle dei suoi genitori, e del suo fratello maggiore.
Non era sicuro che su trattasse di un autentico senso di colpa, ma di certo era diventato troppo complicato convivere con quei ricordi.
Eva si voltò per guardarlo, con i capelli che spinti dal vento le svolazzavano sul viso.  -E quindi che cosa facciamo?-.
Lui tornò a guardare in basso, laggiù dove il marciapiede sembrava piccolissimo ed era impossibile distinguere i dettagli. -Cosa faccio, vorrai dire- la corresse, stringendo i pugni. Si chiedeva solo se avesse ancora il coraggio di fare quel passo in avanti, o se in presenza della ragazza non ci sarebbe riuscito per timore di impressionarla. Ma la risposta di lei fu come una pacca sulla spalla che sembrava volerlo incoraggiare.
-Io sono te. Quindi verrò con te-.
Allungò con decisione una mano ed afferrò la sua, stringendola forte per assicurarsi di non perderlo.
-Non devi...-.
-Ma voglio-.
Un respiro profondo, fino a riempire completamente i polmoni di quell'aria pungente.
Jeff chiuse le palpebre lentamente e lasciò che il suo equilibrio su rompesse lasciandosi cadere in avanti, mentre Eva replicava perfettamente ogni suo movimento. Precipitarono giù con una sincronia perfetta, senza mai lasciarsi la mano, trattenendo il fiato come se si stessero tuffando in una enorme piscina d'acqua fredda.
E poco importava se a raggiungere il suolo sarebbe stato un corpo soltanto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top