27. Le corde dell'anima
L'espressione dipinta sul volto di Eyeless Jack era interamente celata sotto allo spesso strato di plastica blu della maschera che indossava, che aveva il preciso scopo di celare al mondo intero la sua identità. Nessuno aveva mai avuto occasione di poter scrutare il suo volto incluso Smiley, nonostante la loro collaborazione in numerosi crimini violenti li avesse costretti a trascorrere molto tempo assieme.
Stringendo entrambi i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi Jeff gli rivolse uno sguardo frustrato, trattenendosi ancora una volta dall'iniziare uno scontro che non avrebbe fatto altro che peggiorare ulteriormente la delicata situazione in cui si trovava. -Non me ne frega un cazzo, Jack- affermò, con un tono di voce fermo e deciso. -Anzi, sai che ti dico? Puoi anche comunicare al nostro amico che la mia collaborazione finisce qui, mi avete davvero stancato-.
Il castano intrecciò le braccia sul petto, scuotendo il capo in segno di disapprovazione. -Lo farei volentieri, se non fosse che Smiley mi ha pregato di seguirti per cercare di capire cosa ti passa per la testa- gli rispose, valutando di non avere più abbastanza pazienza per continuare a portare avanti quella farsa. -Quindi dimmi, dovrei riferirgli che intendi ritirarti?-.
-Ma che cazzo dici- replicò il killer, con evidente stupore. -Quindi è stato lui a chiederti di pedinarmi in questo modo?-.
-Esattamente- rispose l'altro, in modo calmo e diretto. Emettendo un lento sospiro e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, poi, Jack si diede una rapida occhiata intorno e fece un passo verso il suo interlocutore. -Non giriamoci intorno, lui ha bisogno di te, perché sei un ottimo assassino- esclamò. -Non vuole perderti, per questo si preoccupa per la tua salute. Ti è chiaro, no?-.
-Allora digli di andare a farsi fottere- replicò aspramente Jeff, con una smorfia. -Puoi occuparti tu dei corpi, sai farlo bene quanto me. Lasciatemi in pace-.
Sotto alla maschera le labbra del castano si curvarono in un piccolo sorriso di soddisfazione. -È proprio quello che speravo di sentirti dire-. Voltò le spalle con disinvoltura intendo ad andarsene ma, solo dopo aver compiuto un paio di passi, il ragazzo si fermò di colpo e tornò a voltarsi indietro; nonostante quelle informazioni fossero per lui più che sufficienti, era certo che Smiley avrebbe preteso maggiori dettagli. E non gli andava proprio di dover discutere anche con lui.
-Aspetta, muso pallido. Posso almeno chiederti che cosa combini?- gli disse, grattandosi la nuca. -Da un giorno all'altro hai iniziato a comportarti in modo strano. Hai detto di esserti innamorato, chi è la fortunata?-.
Jeff strinse le labbra, indeciso se rispondere alla domanda oppure limitarsi a andarsene. Dopotutto, né Jack né Smiley meritavano alcun tipo di spiegazione riguardo al suo ritiro dall'organizzazione; ciò che faceva della sua vita era esclusivamente affar suo. Inoltre, sapeva che parlare di Eva non sarebbe stata una buona idea poiché, considerato con chi aveva a che fare, non poteva escludere che Smiley avrebbe potuto tentare di farla fuori pur di riaverlo dalla sua parte.
Fu proprio per difendere la ragazza che la sua risposta seguente fu estremamente vaga.
-Lei riesce a capirmi- si limitò a dire, abbassando istintivamente lo sguardo sull'asfalto scuro sotto ai suoi piedi. -È il cambiamento di cui avevo bisogno-.
Eyeless Jack allungò una mano e la picchettò amichevolmente sulla sua spalla. -Riguardati, Jeff-.
Pronunciando quelle poche parole, quasi con un filo di voce, il castano riprese a camminare lungo il marciapiede scomparendo poco dopo tra i vicoli del quartiere, senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio se non un grande peso sullo stomaco di Jeff. Quest'ultimo si ritrovò a fissare immobile il vuoto per molto tempo, ripensando a quella conversazione e al modo in cui lo aveva fatto sentire: era fiero della decisione che aveva preso e si sentiva in qualche modo felice, perché aveva scelto di proteggere la ragazza preoccupandosi, forse per la prima volta, della sua incolumità; allo stesso modo tutto ciò lo faceva sentire estremamente debole, e questo non gli piaceva affatto.
Strinse i pugni, mentre qualche goccia di pioggia gelata si posava sul suo naso.
Ripensò a Eva, al modo in cui l'aveva lasciata senza cibo e senza acqua in quei giorni, al modo in cui non si era mai preoccupato dei suoi bisogni. Anche se detestava l'idea che nel suo ventre stesse crescendo una vita della quale lui stesso era responsabile, non poteva più permettersi di trattarla in quel modo. Capì che doveva prendersi cura di lei, perché quella coraggiosa creatura dai capelli rossi adesso era tutto ciò che gli restava.
Barcollando vistosamente il killer si mise sulla strada di casa, fermandosi lungo il percorso in prossimità di uno dei tanti piccoli negozietti che pullulano per le vie del centro con l'intento di acquistare qualcosa. La maggior parte delle attività commerciali a Netville erano completamente abusive: piccole stanze scarsamente illuminate che venivano ricavate nei garage dove si poteva trovare di tutto, compresa una serie di sostanze illegali. In particolare, quella scelta da Jeff era una piccola bottega sotterranea il cui proprietario, un losco individuo sudamericano di mezza età, gli aveva già fornito in passato cibi e bevande in cambio di soldi rubati.
Entrò di fretta e altrettanto velocemente ne uscì, stringendo nella mano destra un sacchetto di plastica contenente acqua potabile e qualche vivero; poi, tornando a calarsi il cappuccio sulla testa, riprese silenziosamente il cammino.
Jeff aveva un'animo freddo e silenzioso, che si rispecchiava perfettamente nell'espressione assente del suo volto e nel vuoto che nel suo sguardo era onnipresente; eppure in quel momento, camminando a testa bassa lungo il bordo del marciapiede, qualcosa di nuovo si era acceso dentro di lui. Qualcosa a cui non sapeva ancora dare un nome.
Raggiunto l'imponente palazzo decadente in cui era locato il suo appartamento si diresse deciso verso il portone d'ingresso contornato da vetri rotti, dove un gruppo di ragazzi stavano chiacchierando a bassa voce tirando con energia una sigaretta piena d'erba, che si passavano continuamente di mano in mano. Il killer passò nel bel mezzo dell'allegro gruppetto senza batter ciglio, spalancando il portone con un'energica spallata; ognuno dei presenti, che grazie alla sua pessima fama dovevano averlo riconosciuto, evitò di guardarlo in faccia facendo finta di niente. Jeff era un individuo particolarmente temuto in quel quartiere, con il quale nessuno voleva avere a che fare.
Salì in fretta le rampe di scale che conducevano al secondo piano con il sacchetto ben stretto nel pugno, poi si apprestò a inserire la chiave nella serratura della sua porta. Un silenzio tombale proveniva dall'interno, unito ad un forte odore di muffa e sporcizia; cercò a tastoni l'interruttore della luce posto sulla parete e lo premette con eccessiva energia, illuminando il piccolo ambiente ricolmo di cianfrusaglie e spazzatura.
Eva era seduta sul bordo del letto, con i piedi a terra ed entrambe le mani chiuse tra le ginocchia tremanti; il suo volto esprimeva chiaramente quanto fosse intimorita dal trovarsi nuovamente dinnanzi al suo sequestratore, consapevole che un solo passo falso avrebbe potuto scatenare nuovamente la sua ira. Ma nonostante questo le sue labbra si curvarono in un sorriso tirato, come se volesse dirgli che era felice di rivederlo.
Senza dire una singola parola Jeff le si avvicinò e ripose il sacchetto di plastica ai suoi piedi, lasciandolo cadere sul pavimento con poca cura; i gesti di altruismo non erano certo il suo forte e non aveva idea di come avrebbe dovuto comportarsi, ma era certo che la ragazza avesse urgente bisogno di mangiare e di dissetarsi. In effetti poco dopo, mentre il killer recuperava una lattina di birra dal pavimento e si gettava sul divano per sorseggiarla, Eva iniziò a frugare nervosamente afferrando il cibo e portandolo sgraziatamente alla bocca come avrebbe fatto un animale affamato.
-Vacci piano, bellezza- commentò lui, riponendo la lattina sul bracciolo in finta pelle. -Non vorrai strozzarti-.
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