26. Lontano dagli occhi
Jeff era collassato, si era lasciato catturare da un sonno profondo che per alcune ore aveva preso in ostaggio ogni suo senso e percezione. Inizialmente si era accasciato sulla vecchia poltrona sgualcita, per poi iniziare a scivolare lentamente fino a cadere a peso morto sul tappeto, con una guancia premuta a terra ed un rivolo di saliva che spuntava fuori dalle labbra socchiuse.
Durante tutto il tempo Eva si limitò a osservarlo, non potendo fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe accaduto al suo risveglio. Il suo aguzzino non aveva reagito bene alla rivelazione del suo stato di gravidanza, eppure non aveva mostrato l'intenzione di farle ancora del male; anche se poco probabile, la ragazza pensò che la possibilità di ottenere da lui un trattamento migliore potesse diventare realtà, quantomeno sperando di poter contare sul senso di colpa che lui forse era in grado di provare in qualche misura.
Non sapeva se Jeff avrebbe mai deciso di lasciarla andare, o si sarebbe semplicemente limitato a tenerla prigioniera per sempre; ma in entrambi i casi, Eva era decisa a fare tutto ciò che era in suo potere per migliorare la sua condizione di vita tra quelle mura.
Forse prima o poi avrebbe avuto occasione di sfuggire alle grinfie del killer e anche il coraggio necessario per farlo, ma fino a quel momento avrebbe dovuto imparare a convivere con ogni sua turba mentale e, se possibile, utilizzarla a proprio vantaggio.
Riverso sul pavimento in una posizione innaturale il corpo di Jeff fu scosso da una serie di spasmi, prima che le sue palpebre non si spalancarono in modo brusco e improvviso: era stato vittima di uno strano incubo ancora una volta. Con una smorfia di dolore a causa degli arti inorriditi il ragazzo rizzò la schiena e rivolse un breve sguardo disinteressato alla sua prigioniera, per poi alzarsi lentamente in piedi lottando contro all'ennesimo giramento di testa; era fortemente disidratato, aveva fame, ma soprattutto sentiva l'imponente necessità di uscire in strada e schiarirsi le idee.
Un rivolo di sangue secco percorreva il suo braccio finistro partendo dal piccolissimo foro causato dall'ago della siringa e percorrendo la pelle fin quasi al gomito, con una serie di strisce dalla forma irregolare che si intersecavano tra loro in più punti; numerose abrasioni e lividi sottocutanei erano la testimonianza di ogni altra volta che aveva fatto abuso di sostanze tramite quella specifica modalità, utilizzando sempre lo stesso arto.
-Tsk...- borbottò, abbassando rapidamente la manica della felpa. Senza rivolgere ad Eva neppure una singola parola il moro si precipitò verso l'uscita del suo microscopico appartamento, avendo cura di chiudere a chiave la porta con due giri completi della chiave nella serratura, poi si apprestò a scendere le scale del palazzo che conducevano all'ingresso sul retro. In quel tardo pomeriggio i profili dei palazzi di Netville erano dipinti da una strana luce giallastra, causata da una fitta coltre di nubi che si erano sovrapposte ai raggi del sole il quale, nel frattempo, si apprestava a scomparire dietro l'orizzonte. Con le mani affondate nelle tasche il moro si incamminò lungo il bordo del marciapiede scegliendo una direzione qualsiasi: non aveva in mente una vera e propria meta, desiderava soltanto camminare fino a quando la sua mente non sarebbe stata più lucida.
Evadendo lo sguardo di qualche passante incuriosito dalla grossa cicatrice sul suo volto il killer accelerò il passo, optando per addentrarsi in un vicolo stretto ove sperava di evitare buona parte della folla; qui, calpestando l'asfalto crepato dal freddo, si ritrovò ad attraversare un cumulo di spazzatura che un cane randagio doveva aver estratto dal cassonetto. Si sentiva irrequieto più del solito, la sua ultima conversazione con Eva era stata per lui a dir poco scioccante, tanto che anche adesso continuava a chiedersi se fosse avvenuta veramente o si fosse trattato di un brutto scherzo giocato dalla sua mente.
Non aveva mai neanche lontanamente valutato l'idea di diventare padre, era perfettamente conscio di non essere in grado di ricoprire tale ruolo e allo stesso modo era certo di non desiderarlo affatto. Uno come lui, in che modo avrebbe mai potuto essere adatto a crescere un figlio?
Con un gesto involontario fece una smorfia, accelerando il passo. Pensò che ormai il danno era fatto, il suo seme aveva dato vita a qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere. Trovare un modo per causare l'aborto spontaneo di Eva sarebbe stata di certo una soluzione al problema, ma ancor più facile sarebbe stato ucciderla e cancellare per sempre ogni segno del suo errore. Ma desiderava davvero questo?
Il ragazzo arrestò in modo brusco il suo cammino, ritrovandosi a fissare con uno sguardo assente il bordo del marciapiede. Sapeva esattamente che cosa avrebbe dovuto fare, sbarazzarsi della ragazza sarebbe stato un gioco da ragazzi per lui; nonostante ciò, il solo pensiero gli faceva annodare le viscere. Quella era forse la prima volta in cui gli capitava di provare una tale esitazione nel pianificare un omicidio, lo strano rapporto che aveva stretto con Eva lo rendeva in qualche modo più debole.
E questo non gli piaceva affatto.
La città era silenziosa, il vicolo in cui si trovava era deserto; d'un tratto però, una figura a lui familiare sbucò fuori da un angolo impedendogli di proseguire.
Jeff strinse le palpebre in un'espressione irritata, osservando in silenzio la maschera blu che rendeva indecifrabile l'espressione sul volto della persona davanti a lui.
-..Jack...- mormorò, con un filo di voce. Un brivido di rabbia e frustrazione scosse il suo corpo percorrendo la spina dorsale da cima a fondo: le sue supposizioni erano esatte, lo stava pedinando.
Il ragazzo mascherato sollevò brevemente una mano per salutarlo, poi si guardò intorno per assicurarsi che non vi fosse nessuno nei paraggi. -Hai un aspetto orribile- commentò, rivolgendogli poi uno sguardo attento. -Possibile che tu non sia mai sobrio?-.
Vestiva con un giaccone di colore scuro un paio di taglie più grande del necessario e dei jeans sbiaditi; teneva un cappuccio calato sul capo dal quale sbucava fuori qualche ciuffo dei suoi capelli marroni, rigorosamente spettinati.
Jeff strinse le labbra, ispezionando con una freddezza disumana il suo interlocutore come volesse assicurarsi che non fosse armato. -Basta con queste stronzate, che cosa vuoi da me?- ribatté, facendosi avanti di un passo. Era cosciente di avere fin troppa frustrazione da sfogare, e se quel ragazzo non si fosse tolto di torno alla svelta le cose si sarebbero messe davvero male.
Per nulla sorpreso dalla sua reazione violenta Jack sollevò le mani, agitandole a mezz'aria. -Rilassati amico, ci siamo incontrati per caso- borbottò. -Perché sei così sospettoso nei miei confronti?-.
Il moro strinse i pugni, trattenendosi a stento dal saltargli addosso e riempirlo di botte. Era chiaro che stesse spudoratamente mentendo, e lui odiava quando le persone gli mentivano. A prescindere dalle motivazioni.
Emise un sospiro lento sforzandosi di trattenere le emozioni, aiutato dagli ultimi effetti della dose che si era sparato in vena poco prima. -Smettila di seguirmi, sparisci- gli intimò, assumendo uno sguardo minaccioso. -Quel che faccio nel mio tempo libero non è affar tuo-.
-Certo che no- rispose Jack, stringendo le spalle in segno di disinteresse. -Almeno non finché non sarò mandato da Smiley a recuperare il tuo cadavere... Ti beccherai una bella overdose prima o poi, è solo questione di tempo-.
-Chiudi quella cazzo di bocca!- esclamò all'improvviso il moro, mentre con uno scatto felino si aggrappava con entrambe le mani alle sue spalle, per poi scuoterlo così forte da rompere qualche cucitura della sua giacca. -Esci dalle palle prima che ti spacchi la faccia-.
Il castano si ritrasse velocemente, sfuggendo alla presa dell'altro e indietreggiando fino a posizionarsi a una certa distanza da lui, mentre con aria infastidita verificava che i suoi abiti non fossero stati danneggiati. -Fai come cazzo ti pare Jeff, non mi interessa- concluse poi; doveva aver pensato che, se Jeff non intendeva in alcun modo collaborare, sarebbe stato inutile continuare a seguirlo per cercare di capire che cosa gli frullasse per la testa. Ma gli restava ancora un'ultima carta da giocare, quell'asso nella manica che aveva sperato di non essere costretto a utilizzate.
-Smiley ti taglierà fuori dai nostri affari, se non metti la testa apposto in fretta-.
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