19. La danza delle insicurezze

Jeff deglutì saliva. Aveva la bocca secca, gli arti intorpiditi e percepiva un bruciante dolore provenire dalle sue tempie.
Sollevò lo sguardo, recuperando velocemente il contatto con la realtà; lo sguardo preoccupato di Eva era puntato dritto su di lui come volesse passargli attraverso.
-Stai... Stai indietro, sparisci- balbettò a stento, poggiando i palmi delle mani a terra nel tentativo di mettersi in piedi, nonostante si sentisse estremamente debole. Anche se non riusciva a ricordare con precisione che cosa fosse accaduto era certo di aver nuovamente esagerato con l'alcool, finendo per perdere il controllo come al solito.
Con uno sforzo immane il ragazzo riuscì ad assumere la posizione eretta, per poi scrollare via uno strato di polvere che dal pavimento si era posata sul tessuto dei suoi pantaloni; subito dopo, alzando nuovamente la sguardo, si rese conto che la ragazza era ancora immobile sulla stessa mattonella a fissarlo con le labbra strette, come se avesse voluto dire qualcosa senza trovare il coraggio.
-Sei sorda?- ghignò lui, assumendo un'espressione piena di irritazione. -Lasciami in pace, cazzo-.
Quella seconda richiesta fu accolta poco dopo, quando Eva arretrò in silenzio di qualche passo, allontanandosi da lui quanto bastava a tenere a bada la sua rabbia. I suoi polsi intrappolati dalla stretta legatura erano ormai gonfi e pulsanti, a causa della pressione che impediva al sangue di circolare normalmente; iniziavano a farle un male cane, anche perché si stavano creando sulla sua pelle delle brutte abrasioni causate dallo sfregamento.
Jeff socchiuse gli occhi con sgomento, cercando di recuperare un contatto stabile con la realtà che lo circondava. Il suo sguardo perso percorse rapidamente le decine di vecchi fogli di giornale ingialliti che aveva utilizzato per coprire i vetri del suo appartamento, permettendogli di realizzare che probabilmente stava di nuovo perdendo il controllo della sua rabbia e della sua frustrazione; non poteva lasciare che accadesse ancora, non poteva.
Strinse i pugni in silenzio, voltandosi molto lentamente in direzione della ragazza che stava tenendo prigioniera ormai da giorni senza un motivo specifico; non poteva permettersi di far saltare gli accordi che aveva preso con Smiley e Jack, perciò era assolutamente necessario che riuscisse a trovare un altro modo per incanalare i suoi istinti più folli e violenti.
Jeff era come un leone ammaestrato: innocuo se curato nel modo giusto, ma sanguinario non appena percepisce una minaccia o si sente affamato.
Fu quasi automatico per lui lanciarsi sulla ragazza e farle sbattere la schiena contro al muro, per poi bloccare con abilità e astuzia ogni suo possibile tentativo di fuga; dopotutto, lei era da sempre stata la sua preda.
Gli occhi di Eva, ricolmi di terrore e consapevolezza, erano spalancati così come la sua bocca, mentre il killer premeva intensamente la mano destra sulla sua gola. -Sai che potrei ammazzarti in qualsiasi momento. Non è vero, dolcezza?-.
Le sue dita erano sudate, ma si conficcavano nella carne quasi come se avesse voluto scuoiarla a mani nude; e la ragazza, terrorizzata e incapace di reagire a quel gesto così imprevisto, non riuscì più a muovere un singolo muscolo.
-Certo che lo sai- concluse il moro, allentando parzialmente la sua presa, ma solo per afferrare l'elastico dei suoi pantaloni e abbassarli ferocemente. -Ecco perché fai la brava-.
Eva trattenne il fiato, incapace di impedire al suo intero corpo di tremare vistosamente; già sapeva che cosa la aspettava, ma temeva che questa volta sarebbe stato ancora peggio. Jeff era irritato, paranoico, fuori di sé, e non riusciva a immaginare in che modo sarebbe andata a finire a quel punto.
Fu solo a causa della paura che la ragazza non osò opporre resistenza, neanche quando afferrandola per il colletto la gettò a terra per poi buttarsi su di lei; il contatto con il muro gelido dietro alla sua schiena, in qualche modo, fu un quel frangente una sensazione quasi consolatoria.
Chiuse gli occhi, immaginando disperatamente di trovarsi altrove, mentre il mostro che la teneva prigioniera si impadroniva del suo corpo come fosse quello di una bambola inanimata, alla quale avrebbe potuto fare qualsiasi cosa senza alcuna conseguenza.
Eppure poco dopo, con grande stupore, si rese conto che Jeff era molto più rispettoso di lei, mentre la stuprava; non ne capí il motivo, ma non poté fare a meno di notare che stava evitando di stringerla troppo energicamente, o di farle del male in qualche altro modo; le stava riservando un rispetto maggiore, come quello che si concede a un foglio di carta spiegazzato sul quale è stato scritto qualcosa di importante.
Quel rapporto fu un'esperienza strana e sconvolgente per entrambi, tanto che dopo aver finito di sfogare le sue frustrazioni Jeff si allontanò e sollevò i pantaloni senza dire una singola parola, quasi come se si sentisse improvvisamente a disagio per ciò che aveva fatto. Era destabilizzato, incerto e confuso, ma non riusciva ancora a comprendere per quale motivo si sentisse in quel modo.
Pensò che l'indomani sarebbe dovuto tornare dai suoi due compagni di affari, parlare con loro e chiarire una volta per tutte ciò che stava accadendo; tuttavia, allo stesso tempo, temeva che se loro fossero venuti a sapere che stava tenendo una ragazza prigioniera nel suo appartamento avrebbero perso una buona parte della fiducia che avevano riposto a lui.
Ma gli omicidi a pagamento e i ricatti alle famiglie erano sostanzialmente la sua sola e una fonte di reddito, per cui non poteva assolutamente permettersi di rovinare il suo rapporto di collaborazione con loro.
-Hei... Jeff- mugolò ad un certo punto la voce soffocata di Eva, che aveva avvolto le braccia attorno al petto quasi come volesse trovare un poco di consolazione nel calore della sua stessa pelle.
Il killer si voltò, osservando il modo in cui il corpo della rossa aveva iniziato a tremare.
-Ho... Ho tanto freddo- continuò ancora, con un filo di voce che a stento riusciva a far uscire dalla bocca. -Dammi almeno una coperta... Ti prego-.
Jeff detestava quel suo nuovo atteggiamento, il modo in cui nonostante la paura lei riuscisse a comunicare, arrivando addirittura a palesare i suoi bisogni. Eva era da sempre stata solo e soltanto una semplice preda per lui, un ostaggio privo di valore che avrebbe dovuto sfruttare esclusivamente per ottenere un compenso; eppure, per qualche ragione, la ragazza sembrava aver acquisito con lo scorrere delle ore una sempre maggiore familiarità con quell'ambiente così ostile.
-Non me ne frega un cazzo- ghignò lui, quasi come se avesse voluto provare a sé stesso di essere ancora del tutto padrone della sua personalità fredda e ostile; nonostante questo, in un angolo remoto della sua mente malata, una voce iniziava a sussurrargli che forse stava perdendo il controllo dei suoi sentimenti, ammesso che ne avesse ancora.
La rossa abbassò lo sguardo, lasciando che alcune ciocche dei suoi capelli scomposti scivolassero sul profilo del suo seno. Immaginare di poter manipolare la sensibilità di un assassino a sangue freddo era quanto di più stupido avrebbe potuto fare in quel momento, eppure le circostanze non le permettevano di fare null'altro.
Pochi attimi dopo sollevò lo sguardo, i suoi occhi brillanti incontrarono quelli di Jeff e sentì dentro di lei accendersi un piccolo barlume di speranza; se non puoi competere con la forza distruttiva e crudele di qualcuno, allora l'unico modo per vincerlo è fartelo amico.
-Chi sono quei due che mi hanno rapita prima che arrivassi tu?- chiese, sforzandosi di impedire alla sua voce di tremare. -Tuoi amici?-.

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