13. Le distanze che uniscono
Quando Jeff rientrò al suo appartamento, trascinando i piedi a terra come a voler evidenziare il suo pessimo stato d'animo, l'alba era ormai molto vicina e una sensazione di profonda stanchezza stava rallentando i suoi movimenti. Nonostante la sua giovane età, il killer poteva già contare su una carriera da reietto e da criminale davvero molto importante; già da molto tempo le dita delle sue mani non erano più sufficienti a contare il numero di vittime che erano sfortunatamente capitate sotto il suo mirino. Eppure, da qualche tempo, una crescente depressione unita al peggioramento delle sue molteplici dipendenze gli stavano rendendo sempre più difficile agire in modo cauto e organizzato.
Con un movimento piuttosto goffo il ragazzo appoggiò una spalla contro alla porta, mentre tentava di inserire la chiave nella toppa sbagliando mira un paio di volte; all'interno, il piccolo appartamento era avvolto da una parziale oscurità, pezzata dalla luce fioca e traballante dell'abat jour che aveva posizionato giorni addietro sul bancone della misera cucina. Il pavimento, visibilmente ricolmo di polvere, era pieno di bottiglie vuote e lattine mezze schiacciate, testimonianze infelici del suo continuo cercare un po' di sballo nella birra e negli alcolici.
Emettendo un lievissimo sospiro il moro richiuse con attenzione la porta dietro alle sue spalle, poi sollevò lo sguardo e lo posò sul profilo tremante di Eva; la ragazza, rannicchiata su se stessa come fosse una bambina completamente indifesa, osservò con sgomento i suoi passi sussurrando qualcosa che lui, vista la distanza, non riuscì a comprendere. Le sue braccia tese mostravano i segni rossi delle ferite che le aveva causato poche ore addietro, poggiando con maestria la lama del coltello sulla sua pelle liscia e immacolata come farebbe un pittore con la sua tela bianca.
Jeff gettò il mazzo delle chiavi sul piccolo tavolo da fumo posizionato in un angolo, poi la raggiunse, fermandosi qualche secondo a scrutare in silenzio i lineamenti del suo corpo. Aveva dei capelli meravigliosi, Eva, di un rosso acceso che difficilmente si vedeva un giro; i suoi occhi pieni di terrore, poi, donavano al suo viso un'espressione affascinante e profonda che in qualche modo riusciva a stuzzicare le corde che Jeff aveva dentro.
Era bella, molto bella.
Ma come si trattasse di un bellissimo fiore, desiderava soltanto strapparla dal terreno e metterla in tasca, rovinandola per sempre pur di renderla davvero sua.
Proprio a questo pensava adesso il ragazzo, mentre stringeva le labbra e assumeva un'espressione incerta: voleva che quella bella ragazza potesse appartenergli, non gli andava di condividerla con nessuno. Per questo motivo, adesso l'opzione del riscatto non era più una cosa che intendeva tenere in considerazione. Neanche se Jack e Smiley avessero tentato di imporgli il contrario.
-Come...- sussurrò a un certo punto la bocca socchiusa di lei, mentre teneva il capo chino in avanti e spostava lo sguardo sul pavimento sporco su cui poggiava i palmi di entrambe le mani. -Come ti... Qual'é il tuo nome?- riuscì a borbottare infine, dopo aver preso una consistente boccata d'aria.
Jeff le rivolse uno sguardo stranito, aggrottando la fronte e piegando lievemente la sua testa di lato. -Perché mai ti interessa?- ghignò, continuando ad osservarla dall'altro in basso. Le braccia della rossa avevano iniziato a tremare in modo molto evidente, mentre le sue dita erano chiuse in due pugni così stretti da sbiancare le nocche.
Attese forse una decina di secondi, poi scosse la testa e mostrò una smorfia di disapprovazione. -Il mio nome è Jeff, se proprio ci tieni a saperlo-.
Udendo quelle parole, all'improvviso, la ragazza sollevò il capo lasciando scivolare le disordinate ciocche dei suoi capelli sulle spalle strette. -Ti prego, Jeff- mugolò, con il tenue filo di voce che riuscì a tirare su dalla gola. -Sto morendo di freddo... Dammi una coperta, ti scongiuro-.
Una manciata di secondi di intenso silenzio si abbatté sulla stanza di quel monolocale, così pesante che all'improvviso l'aria sembrava essere diventata irrespirabile. Il killer deglutí a vuoto, sbattendo le palpebre più volte; per qualche motivo, in quel frangente, la frase che Eva aveva appena pronunciato appariva totalmente fuori contesto.
Tentò di recuperare il controllo, contando velocemente le dita delle sue mani: questo era il rituale che eseguiva ogni qual volta aveva il dubbio di non essere del tutto lucido.
Dieci.
Sono dieci.
Spostando lo sguardo sul corpo della ragazza, poi, si accorse che lei stava tremando in modo incontrollato tentando invano di coprirsi con i pochi stracci che lui le aveva lasciato addosso. Era assolutamente plausibile che stesse patendo molto freddo.
-Tsk. Che palle- commentò voltando le spalle, ma solo per dirigersi verso l'unico mobile integro che era presente nell'appartamento, luogo in cui custodiva i suoi vestiti personali e anche della biancheria da letto, piegata in malo modo e gettata sul fondo. Vi prelevò una coperta sgualcita, i cui colori sbiaditi componevano una sorta di trama floreale di dubbio gusto, poi la arrotolò e con un gesto di puro disprezzo e fastidio la scaraventò contro alla ragazza ancora rannicchiata sul pavimento. Aveva accontentato quella sua richiesta per il semplice fatto che non voleva che lei morisse troppo presto, ma voleva assicurarsi che quel suo gesto non sembrasse ai suoi occhi un atto di compassione o altruismo.
Eva afferrò lo straccio con un movimento rapido, come se lo stesse rubando; poi, riuscendo a malapena a impedire ai suoi denti di battere gli uni contro gli altri, lo avvolse attorno al suo intero corpo accostando le ginocchia al petto nel tentativo di ricavarne un poco di calore.
Era esausta, il terrore la paralizzava e la prolungata astensione da cibo e acqua iniziava a indebolire il suo fisico che, per sua natura, era già piuttosto snello e fragile. Le faceva male la gola, tremava come una foglia e continue fitte di dolore provenienti dai suoi arti rimasti immobili troppo a lungo le impedivano di rilassare la muscolatura.
Ma sfiorare con un dito la fitta trama della coperta, adesso, la faceva sentire più al sicuro.
-Voglio sapere anch'io il tuo nome- esclamò la voce fredda di Jeff, dopo lunghi attimi di silenzio tombale; lei sollevò la testa, e lo vide intento a fissarla con le braccia conserte e un'espressione assolutamente indecifrabile sul volto. Non riusciva proprio a capire cosa ci fosse dietro gli occhi chiari di quel mostro, cosa fosse quella strana sensazione che la loro vista scaturiva in lei.
-Mi... Mi chiamo Eva...- mugolò, abbassando istintivamente lo sguardo. Il suo corpo a contatto con la coperta si stava finalmente scaldando, i tremori si stavano facendo decisamente meno intensi.
-Eva- ripeté il ragazzo, come per memorizzare meglio quell'informazione. Per una breve manciata di secondi parve pensare, con lo sguardo perso nel vuoto e la fronte lievemente aggrottata; poi, come si fosse appena risvegliato da un breve sonno, avanzò di qualche passo fino a raggiungere la ragazza. -Facciamo un gioco divertente- esclamò poi, mostrando un entusiasmo a dir poco eccessivo.
Eva non comprese nell'immediato a cosa lui si riferisse, ma tentò di fermarlo quando lo vide afferrare la coperta che le aveva appena dato e strapparla via dalle sue mani. Il freddo glaciale che abitava quel lugubre monolocale tornò a raggiungere la sua pelle, causandole un violento brivido lungo la colonna vertebrale.
Il killer in piedi davanti a lei, mostrando un sorriso beffardo, indicò con un dito le catene che bloccavano gli arti della ragazza, così strette da aver già scavato dolorose abrasioni sulla sua pelle causate dallo sfregamento. -Scegli tu, mani o piedi?-.
Lei tacque, tentando di capire che cosa diavolo lui volesse dire; aveva troppa paura per chiederlo. Terrorizzata iniziò a strisciare come un verme lungo il pavimento, cercando di allontanarsi il più possibile da quel folle che adesso, per qualche motivo, si limitava ad osservarla in silenzio ridacchiando in modo silenzioso. La disperazione si impadronì di lei impedendole di ragionare lucidamente, e così non poté trattenersi dal gridare più forte che potè buttando fuori tutto il fiato che aveva in gola.
-Piedi!-.
Il killer cessò la sua perversa risata, diventando del tutto inespressivo.
-Piedi...- ripeté lei, annaspando. -È... È la risposta giusta?-.
L'altro scosse la testa. -Non c'è una risposta giusta-.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top