1. La curiosità uccise il gatto
La città di Netville aveva un fascino decisamente particolare, che la rendeva molto diversa da qualsiasi altro insediamento nell'intera regione. La sua essenza era intrisa di nostalgia e solitudine; queste erano le emozioni che scaturiva, quasi automaticamente, la visione dei suoi immensi palazzi raffazzonati che si erigevano verso il cielo senza una vera e propria logica. Si trattava di costruzioni tanto imponenti quanto malmesse, un'accozzaglia di edifici in evidente declino che si appoggiavano l'uno sull'altro come a cercare una stabilità mancata. Appartamenti di dimensioni assurdamente piccole, realizzati per lo più dagli stessi abitanti che si dilettavano, come meglio potevano, ad impilare mattoni e calce.
Netville era una città decisamente povera, nessuno avrebbe mai deciso di stabilirsi in quel luogo avendo la possibilità di vivere altrove; eppure, oltre alle lamiere arrugginite adagiate sui tetti e alle finestre scheggiate che la sera trasmettevano all'esterno luci timide e fioche, numerose famiglie conducevano una vita pressoché normale.
Eva era una di queste: nata e cresciuta nella periferia di Netville, la ragazza dai capelli rossi non aveva mai vissuto o conosciuto i privilegi di una vita in cui non ci si debba preoccupare di avere qualcosa da mettere sotto ai denti ogni giorno. I suoi genitori avevano assunto un atteggiamento estremamente protettivo nei suoi confronti, da quella volta in cui dieci anni prima di era perduta tra gli stretti vicoli della città ed erano riusciti a ritrovarla per pura casualità.
Non era affatto difficile che una persona si perdesse tra le vie di Netville. E ancora meno improbabile era che questa non facesse mai più ritorno a casa.
Tra le traballanti insegne al neon dei negozi e le finestre barricate, infatti, si annidavano un numero incalcolabile di trafficanti, mafiosi e malavitosi di ogni genere, che sguazzavano molto bene tra le strade cittadine a causa della quasi assoluta mancanza di sorveglianza.
Eva tutto questo lo sapeva bene, così come sapeva che avrebbe dovuto assolutamente tenersi alla larga dal quartiere centrale della città, in particolar modo durante le ore serali: fin da quando era bambina, le era stato ripetuto un numero nauseante di volte che non avrebbe mai dovuto addentrarsi in quei posti per nessuna ragione.
Eppure, nonostante la sua pericolosità, il centro storico di Netville aveva un fascino letteralmente indescrivibile, che finiva inevitabilmente per attirare l'attenzione di chi, proprio come lei, sapeva guardare oltre.
Eva si perdeva a viaggiare con lo sguardo tra i profili dei palazzi, i parapetti arrugginiti, le insegne stroboscopiche dei locali notturni ed i cumuli di spazzatura che venivano accatastati ai lati della strada; quella maledetta città decadente, così schietta e viva, l'aveva rapita fin dal primo giorno che le era capitato di vederla.
Sapeva bene che i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di recarsi in centro, per di più da sola, a quella tarda ora del pomeriggio; ma la ragazza, ormai ventenne, era assolutamente sicura di avere il pieno controllo della situazione. Si sarebbe incontrata al pub con un'amica, giusto il tempo di buttare giù un paio si drink prima di tornare a casa; ecco perché indossava una gonna così corta, fissata in vita da una sottile catenella d'argento che in qualche modo accentuava le piacevoli curve del suo giovane corpo. Eva era bella, davvero molto bella, nonostante il fatto che non tutti vedessero di buon occhio il rosso acceso della sua capigliatura e la generosa spruzzata di lentiggini che le riempiva entrambe le guance.
Erano le nove e mezza quando la ragazza raggiunse il centro di Netville, ove l'oscurità della sera veniva brutalmente spezzata dai colori accesi delle insegne e dei fari accesi sulle strade principali. La cosa che più di tutte rendeva così particolare quell'ambiente erano proprio le sue vie così strette, letteralmente soffocate tra i palazzi e le montagne di spazzatura che quasi mai veniva raccolta e smaltita; per questo motivo, trovarsi tra le vie principali di quella strana cittadina donava una sensazione di soffocamento e disagio che aveva, per qualche motivo, un fascino davvero unico.
Passando davanti ad un paio di bar aperti Eva abbassò istintivamente le mani afferrando i bordi della gonna, come a volersi assicurare che camminando non avesse accidentalmente scoperto troppo le cosce; guardava dritta avanti a sé, decisa a raggiungere il pub in cui la attendeva l'amica senza farsi distrarre da niente altro.
Quella non era la prima volta che Eva sgattaiolava fuori dalla finestra della sua stanza per fare un giro in centro, anche se non era un comportamento per lei molto usuale; quella sera, tuttavia, aveva percepito l'inpellente necessità di farsi un giro.
Facendo scorrere distrattamente lo sguardo tra le insegne tremolanti dei negozi, sormontate da tettoie in lamiera e terrazzi sommersi di piante rampicanti di ogni tipo, la ventenne pensava che di certo anche quella volta, così come tutte le altre volte, tutto sarebbe andato per il verso giusto. Dopotutto, aveva intenzione di bersi un solo drink, scambiare quattro chiacchiere con l'amica e rientrare a casa prima delle due di notte.
Che cosa sarebbe mai potuto andare storto?
Camminando a passo svelto, con l'accortezza di schivare un paio di pozze d'acqua piovana che erano rimaste ai bordi della strettissima strada principale, Eva pensava che non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla, perché tragiche scene di assassini o stupri era più usuale viverle nei film che nella realtà. Inoltre, si disse, lei non aveva affatto paura.
Le sue mani sudate intrecciate sul petto e lo sguardo teso, però, sembravano proprio suggerire il contrario. Una fitta coltre di nebbia stava scendendo molto lentamente tra i profili imponenti di quei vecchi palazzi, che di certo contenevano molti più appartamenti di quanti avrebbero potuto ospitarne; l'ambiente stava diventando più tetro, quasi come se quella maledetta città si stesse divertendo a farle gli sgambetti.
"Calma, ci siamo".
Eva stava diventando decisamente nervosa, anche se non riusciva a capire fino in fondo a cosa fosse dovuta questa terribile sensazione che percepiva. Rifiutandosi di mollare proprio adesso, proseguì dritta verso il pub ove si era data appuntamento con l'amica pochi giorni prima, convincendosi che dopo averla incontrata quella fastidiosa sensazione di disagio sarebbe svanita in pochi attimi.
Tuttavia poco dopo, percorrendo la via antistante il suddetto locale, Eva si rese conto di trovarsi in una situazione ben più pericolosa di quanto avesse temuto fino a quel momento: sotto al porticato di un vecchio supermercato abbandonato, un piccolo spazio divorato dall'incuria e soffocato da enormi mura di palazzi che si allungavano verso il cielo fin quasi a farne scomparire del tutto il manto, il cadavere di una donna giaceva a terra. Eva sgranò gli occhi, incredula e paralizzata dalla scena pietosa che stava osservando; sembrava una prostituta, o almeno questo fu quello che la ragazza poté dedurre dai tacchi altissimi che ella ancora calzava e dal pesante trucco nero che trionfava sul profilo sei suoi occhi vitrei. Indossava ancora una camicetta rosa, che pareva essere stata strappata con disumana violenza mettendo un mostra il seno prosperoso che celava, mentre una terrificante pozza di sangue scarlatto di allargava lentamente sotto al suo corpo immobile.
Eva portò istintivamente le mani alla bocca, ma non riuscì a gridare; solo un attimo dopo, con un tempismo a dir poco impeccabile, una figura incappucciata sbucò fuori dall'angolo del palazzo li di fronte.
"Queste cose accadono solo nei film" continuava a ripetersi Eva, quasi come sperasse che la linea dei suoi pensieri avrebbe potuto in qualche modo modificare il presente.
"Non accadrà di certo a me".
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