Un autobus

Ho gli occhi gonfi, lo so, me li sento perché bruciano.

Ho pianto per almeno due ore e non sono ancora arrivata a scuola stamattina.

Come possono, i miei stessi genitori, dirmi quelle cose? Se già loro non mi capiscono, loro che dovrebbero amarmi incondizionatamente, come posso aspettarmi che lo facciano gli altri?

Ieri sera è scoppiata la bomba. Erano davanti alla tv e mi sono avvicinata al divano: «Mamma, papà, devo dirvi una cosa...» La voce mi tremava, ma avevo deciso che fosse arrivato il momento.

Si sono guardati, poi hanno guardato di nuovo me, mentre papà toglieva l'audio al televisore; così ho continuato: «Io... Devo dirvelo...» Ho fatto un respiro, poi un altro, e un altro ancora: «Io sono gay.»

Per un paio di minuti nessuno ha fiatato, finché non ho visto mia madre diventare rossa come un pomodoro e mio padre bianco come un lenzuolo.

«Sei sicura?» mi ha chiesto stupidamente mia madre.

Ho cercato di essere comprensiva... Io...: «Sì.»

Mio padre ha abbandonato il telecomando, il divano, la stanza e si è chiuso in camera.

Mia madre ha cercato di capire (ma che cosa c'era da capire?)... Finché non si è messa a piangere (e cosa c'era da piangere?)...

Ho gettato la spugna, ho deciso che doveva sbollire da sola: «Dovevo dirvelo. Sai dove trovarmi.» E sono tornata nella mia stanza.

Pensavo che ne avremmo parlato, mi aspettavo urla, domande, ma al contrario si erano chiusi in un guscio che mi stava escludendo, invece di accogliermi.

Sapevo che avremmo affrontato ancora la questione, ma non avevo idea che l'avremmo fatto stamattina, davanti alla colazione.

«Clara,» ha cominciato mia madre, assumendo un tono che doveva risultare comprensivo: «io e tuo padre ne abbiamo parlato.»

Di nuovo, non capivo dove volessero arrivare.

«Pensiamo che ti farebbe bene parlarne con qualcuno, un terapista... Che ti possa aiutare...»

Se mi avessero picchiato, probabilmente mi avrebbero fatto meno male: le lacrime hanno cominciato a scendermi sulle guance senza controllo. Stavo male, sto male, non mi stavano capendo e addirittura mi volevano cambiare, aiutare, guarire!

«Pensavo potesse essere una bella cosa da condividere con voi, ma non capite niente di me!» ho urlato tra le lacrime: «Non ho nessuna intenzione di cambiare, perché voglio essere me stessa! Voglio essere libera di amare una donna, senza dovermi preoccupare di quello che pensa la gente, di quello che pensate voi!»

Alla fine sono uscita di casa, di corsa, mi sono rifugiata sull'autobus, nella speranza di racimolare un briciolo di normalità; andare a scuola, vedere i miei compagni, ascoltare i professori... Tutto, pur di sentirmi normale.

Sento ancora gli occhi bruciare, di quelle lacrime che ormai non cadranno più, perché ho deciso così.

Ho deciso di essere libera.

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